§ Leopardi e la letteratura maltese

Quattro passi nella solitudine




Oliver Friggieri



L'aspetto più saliente della personalità di Karmenu Vassallo (1913-1987), uno dei poeti più importanti di Malta, è quello di ricercatore di un modello estetico-morale. Il modello è Leopardi, interprete del dolore umano e maestro di raffinatissima tecnica. La psicologia del Vassallo è di un poeta che rinunzia alle testimonianze della sua società per intuire l'esistenza in sé, concepita come alienazione e vissuta come tormento. La lotta contro il limite "geografico", evidenza di un limite più fondamentale, è un componente essenziale della sua complessa personalità. Nell'indagine che segue si cercherà di dare un profilo degli elementi comuni ai due poeti visti alla luce del tema e della condizione che la critica leopardiana comunemente definisce come esclusione.
La vita come solitudine caratterizza l'esperienza centrale di Vassallo. Nella strofa che segue si ha un raggruppamento dei motivi salienti del suo stato di escluso: l'incapacità di partecipare all'atto creativo dell'uomo, la malattia che trasforma la gioventù in vecchiezza, e l'isolamento psicologico:

Inhossni wahdi; wahdi jien u nibqà;
ma nkattarhiex ix-xita tal-bnedmin.
Inhossni wahdi; wahdi jien u nibqà;
zaghzugh poeta mejjet haj fis-snin!
(1)

L'esclusione, annunziata già dalla prima lirica Inhobbok del 1932 e sentita poi nella sua interezza per vari anni, si presenta sotto due aspetti. Il primo esce dal confronto tra se stesso e la società che si sente gioire intorno a lui, condannato alla solitudine dai mali fisici e da tutto quello che non lo rende socievole.
Il confronto è, in primo luogo, ambientato poeticamente in un giorno di festa tradizionale. Zewg ghidien si compone di due quadretti contrari l'uno all'altro. Nel primo si dà rilievo alla festività svolta in un paese locale, e nel secondo si dipinge la triste scena di un giovane fatalmente ammalato che si sta portando all'ospedale. Dalla contemporaneità delle due scene, svolte nello stesso luogo, nasce il contrasto. In guisa del Leopardi (La sera del dì di fiesta, A Silvia, Il passero solitario), il Vassallo contrappone due circostanze, l'una lieta e l'altra tristissima, e dalla loro compresenza e contemporaneità produce una fusione di inno e di elegia, rendendo così, in virtù degli oppositi, più commovente il significato del contrasto e più malinconico il quadretto negativo. E' questa poesia del contrappunto felicità-dolore che spiega perché il poeta, pur essendo solitario, è continuamente consapevole della festa sociale che si sta svolgendo intorno a lui:

Dehra tà qsim il-qalb u ggib il-biki,
ghid iehor naqra fik u nhoss il-lum;
il-ghid tal-mard u I-mewt tà qalb zaghzugha
il qatt ghal hajja gdida iz jed ma tqum:
(2)


L'esclusione del Vassallo è leopardiana anche nella sua polemica contro la banalità della folla contemporanea. E' in fondo, la poetica, di ascendenza petrarchesca e poi alfieriana, che nel recanatese si annunzia già con All'Italia e continua a maturarsi e a diventare una delle preoccupazioni salienti della sua vita. Il Vassallo degli anni 1932-1944 è polemico contro la folla insensibile, priva di valori che sollevano l'uomo al di sopra dell'animalità (3). La definizione degli uomini contemporanei, atroci nelle loro azioni e moralmente ipocriti, è spinta, sia nel Vassallo sia nel Leopardi, dall'idea della superiorità spirituale del poeta nei confronti della leggerezza collettiva del popolo (4).
I due, in ultima analisi, si definiscono nemici del genere umano, e l'isolamento, che in alcuni momenti sembra l'effetto di una sconfitta personale, si traduce orgogliosamente in un motivo di netta distinzione degna dei grandi:

Mbiebi kulma hlaqt int: barra l-bnedmin! (5)
E sprezzator degli uomini mi rendo. (6)

Il secondo confronto da cui esce il quadro dell'escluso, sempre in virtù della rievocazione contemporanea di due opposti, è quello tra il processo incessante e sovrabbondante della natura e la sterilità insanabile e moribonda del poeta. Da un lato c'è il continuo rinnovamento di un programma stagionale che non si esaurisce mai, e dall'altro c'è la staticità di una condizione umana.
Stilisticamente si può dire che questo confronto è costruito su due parole, una che evoca la festosità dello spettacolo della natura, e l'altra che ricorda il turno inesauribile del processo naturale.
La prima è jitbissem o danhkan. La natura "ride", ma la vita del poeta è una elegia perenne!

Xi gmiel madwari!
X'scher hu dan! X'milja tà hajja! X'qawwa
tiggedded fil-holqien! Kemm hi tà I-gliageb
il-migja tieghek, Marzu tieghi! Kollox
kollox johla u jfuh; kollox jitbissem;
kollox joghxa bil-ferh! Jien biss, jien wahdi
irrid u ma nistax inkun bhall-bqija
tal-hlejjaq fuq din l'art.
(7)

E' lo stesso contrasto leopardiano, visto dal punto di vista del "riso", festoso per la natura e causa di rimpianto, perché non realizzabile, per il poeta. Lo spettacolo incantevole degli elementi naturali stabilisce il conflitto per la condizione solitaria dello spettatore che non può mai partecipare al "riso" che si svolge attorno:

Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta
infinita beltà parte nessuna
alla misera Saffo i numi e l'empia
sorte non fenno.
( ... ) A me non ride
l'aprico margo, e dell'eterea porta
il mattutino albor; me non de' faggi
il murmure saluta; e dove all'ombra
degl'inchinati salici dispiega
candido rivo il puro seno, al mio
lubrico pie' le flessuose linfe
disdegnando sottragga,
e preme in fuga l'odorate piagge.
(8)

Il susseguirsi dell'inno e dell'elegia è comune ai due poeti. Accanto alla celebrazione della bellezza del mondo esterno si erge la figura desolata, simbolo del mondo interiore, così che il trionfo dell'oggetto e l'agonia del soggetto, i superlativi per la natura e le parole di privazione per il poeta, si intrecciano in un insieme. Apparentemente i temi sembrano accostati ma ultimamente si fondono perché la relazione tra l'esterno e l'interno è reciproca, intrecciata in un rapporto di causa ed effetto. Più la natura rivela il suo incanto, più si addolora lo stato d'animo. La stessa dialettica si sente di nuovo in April, il mese che il Vassallo evoca quasi per sottolineare il suo vagheggiare inutilmente il "fior di gioventù, il bello April degli anni" (9), e in cui la metafora conduttrice del riso si traduce in un motivo insistente per lo svolgimento dell'aspro contrasto:

Arawh kollu dankan jizfen u jghanni
darb'ohra I-ghanja tiegnu;
arawh b'elf genna mieghu
darb'ohra jixxahxan
jitghawwem, jitbahbath
f'bahar bla tmiem.
( ... )
Kollox, mghaxxaq bi gmielu,
darb'ohra regà fih;
darb'ohra tajjar nghasu,
dilek bil-fwieha xuxtu,
kellel biz-zahar u bil-weraq rasu,
demmen bil-qroll lelluxtu
( ... )
Izda mhux hekk, imsejkna,
fl-ghanja tà qalbi ckejkna
regghu dis-sena
tal-ferh, tà l-hena
haddru t-tamiet.
(10)

La metafora del riso della natura, personificata in una figura umana di incanto idealizzato, è frequente nel linguaggio leopardiano, anche in momenti quando non si richiede un punto di riferimento per lo svolgimento fantastico del motivo dell'esclusione. I seguenti sono alcuni dei brani che mostrano con quanta costanza il Leopardi visualizza e umanizza l'incanto naturale e in conseguenza con quanto rimpianto afferma la sua esclusione:

e di natura il riso, (11)
solitario riso; (12)
A un campo verde che lontan sorrida; (13)
a gara intorno
ogni cosa sorride;
(14)
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
rida la primavera.
(15)

La metafora a cui partecipa il verso citato "haddru t-tamiet" circola entro il nucleo figurativo che nel linguaggio leopardiano traduce la gioventù, come periodo saturo di speranze future, in una primavera, o nell'età verde (16). Il Vassallo colloca poeticamente la propria giovinezza nello stesso scenario vegetativo in cui, tuttavia, si sente più l'assenza della "vegetazione" vagheggiata che la vera fioritura. E', in verità, l'inverno che desidera l'arrivo di una primavera di verdura. Raccogliendo il nucleo metaforico, il Vassallo rimane entro gli stessi limiti figurativi e rimpiange il suo trovarsi in un "deserto" (17) perché anche per lui "il verde è spogliato alle cose" (18).

aghmel li nbaddar bix-xewqat u t-tama; (19)
Bhalma mis-sigar
tà hajti tigbor wahda wahda I-weraq
mitbiel, niexef, safrani; u bhalma tghoddli
wahda wahda t-tamiet li jinxfu u jaqghu
minn qalbi msejkna tà kuljum fuq l-art;
(20)

Tamieti sofor u nexfin kif kienu
ghadhom u jibqghu u ma jhaddru qatt.
(21)

La seconda parola su cui si costituisce il confronto tra natura e poeta è ma jasal qatt nel Vassallo e non torna nel Leopardi. L'uno celebra le bellezze dell'ambiente naturale e maltese, particolarmente nel villaggio campestre e agricolo in cui è nato e vissuto, e l'altro si rammenta delle campagne recanatesi. Ma tutti e due si sentono esclusi dal ciclo stagionale che fa tornare la vita dopo la morte dell'inverno.L'alternanza complessiva della celebrazione consolatrice dello scenario e della rivelazione dolorosa della crisi personale si scioglie nel Leopardi in un intreccio di quadri, mentre nel Vassallo dà lo spunto alla formazione di due quadri, apparentemente autonomi l'uno dall'altro, che intendono raffigurare il binomio gioia-sofferenze, l'ammirazione per il ciclo del mondo esterno e il rimpianto per l'irrimediabilità dello stato d'animo:

Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
van gli amanti recando alle fanciulle,
dico: Nerina mia, per te non torna
primavera giammai, non torna amore.
Ogni giorno sereno, ogni fiorita
piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento,
dico: Nerina or più non gode: i campi,
l'aria non mira;
(22)

Xejn, xejn ghal kollox ma jintemm; kull haga
titbiddel dejjem u hag'ohra ssir;
( … )
Jiena, msejken, mhux hekk... Zghuziti mxejha,
u qalbi mnikkta f'guf il-ferh ukoll
( … )
Ghax sew jekk jigi s-sajf u tigi x-xitwa,
kemm il-harifa u r-rcbbiegha, jien
dejjem u dejjem mejjet haj; ghalija
ma jasal qatt tal-ward... tal-frott is-zmien.
(23)

L'esclusione, sottolineata dai due poeti con forti costrutti negativi, mette in chiara luce la bipolarizzazione: l'io e l'altro, il singolare e l'insieme.Il contrappunto leopardiano confronta l' "infinita beltà" alla "a me non ride" (24), il "tutta vestita a festa" all' "io solitario" (25), il "tu non ti acconci più" all' "ogni giorno sereno, ogni fiorita piaggia" (26), e il Vessillo confronta il "kollox, kollox johla a jfuh, kollox jitbissem, kollox joghxa" al "jien biss, jien wahdi" (27), il "kollu dahkan... kollu nghaxxaq" al "izda mhux hekk... il-ghanja tieghi" (28), il "kull haga" al "jiena, msejken,... jiena" (29).

 

NOTE

1) Wahdi, vv. 29-32.
2) Zewg ghidien, vv. 37-40.
3) Cfr., ad esempio, Mysterium mysteriorum, vv. 37-40 e Il-bizá tieghi, vv. 19-36.
4) Si può paragonare, tra l'altro, la figurazione del popolo in Iftahli mà e Int biss con "la codarda gente" (Amore e morte, v. 12) che è presente in Il pensiero dominante, vv. 53-58, 65-68 e in Le ricordanze, vv. 30-33.
L'avversione che ebbe il Leopardi per il "borgo natìo", sentita già nelle prime lettere dell'epistolario, corrisponde all'avversione che il Vassallo ebbe per la generazione contemporanea dei maltesi, un argomento che ritornerà con tutta la forza nell'ultimo periodo (1947-1970) in cui si fa meno sentito il profondo dissidio tra il mondo interiore e la realtà mediocre dei contemporanei e si dà inizio ad un processo di smascheramento dell'ipocrisia e della bassezza morale della società.
Fra le poesie dell'ultimo periodo cfr. Jekk.... Il-lum, "Unknown island", Il-bniedem, Lil Dun Mikiel Xerri. L'introversione sparisce e viene fuori l'estroverso rigenerato, il Vassallo del periodo post-leopardiano, che lancia invettive senza, però, ritirarsi e richiamare la propria miseria.
5) Mbiebi, v. 40.
6) Le ricordanze, v. 42.
7) Marzu, vv. 11-18
8) Ultimo canto di Saffo, vv. 19-36.
9) Al Conte Carlo Pepoli, vv. 101-102.
10) April, vv. 5-10, 12-17, 21-25.
11) Alla sua donna, v. 6.
12) Al Conte Carlo Pepoli, v. 129.
13) Il pensiero dominante, v. 31.
14) Le ricordanze, vv. 123-124.
15) Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, vv. 73-74.
16) Cfr. ad esempio, Il passero solitario, v. 26; La sera del dì di festa, v. 24; Al Conte Carlo Pepoli, v. 116; Le ricordanze, vv. 28.
17) Cfr. Amore e morte, vv. 35; Alla sua donna, vv. 18; Il pensiero dominante, v. 97; Al Conte Carlo Pepoli, v. 118.
18) Ad Angelo Mai, vv. 118-119.
19) Fil-knisja tà Pinu, v. 51.
20) Ottubru, vv. 25-29. Si riecheggiano qui i vv. 5-6 dell'Autunno di Antonio Gazzoletti:
Il cader d'ogni foglia
mi ricorda il cader d'una speranza.
21) Dejjem... qatt, vv. 39-40.
22) Le ricordanze, vv. 162-169. Lo stesso motivo applicato ad un altro elemento della natura ritorna nei vv. 51-69 de Il tramonto della luna.
23) Dejjem-qatt, vv. 21-22, 25-26, 33-36. Così scrive anche il Petrarca: "Primavera per me pur non è mai" (Quanto 'l pianeta.... v. 14).
24) Ultimo canto di Saffo, vv. 21 e 27.
25) Il passero solitario, vv. 32 e 36.
26) Le ricordanze, vv. 161 e 166-167.
27) Marzu, vv. 14-16.
28) April, vv. 5-12, 21-26.
29) Dejjem... qatt, vv. 21 e 25-41. E' interessante notare che non è mai presente il Vassallo di contrasto tra la consapevolezza umana del dolore e l'incoscienza animale, tanto frequente nel Leopardi (cfr. Il passero solitario, vv. 45-49; Canto notturno di un pastore errante dell'Asia vv. 105-132; Detti memorabili di Filippo Ottonieri, I, p. 580; Zibaldone, II, p. 41; Pensieri, I, p. 732; Bruto minore, vv; 61-64). Comunque, il motivo è presente in altri due poeti romantici maltesi, Dun Karm (cfr. Lillkanarin tieghi) e Ruzar Briffa (Lil ghasfur ighanni).
Per il Vassallo, differente fino ad un certo punto dal Leopardi, che trova nella facoltà intellettiva la causa maggiore della condanna umana, è l'ordine vegetativo che raffigura il divario che egli cerca di rilevare poeticamente tra vita dinamica e agonia.


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