§ Così parlò la Lega

Quelli dell'Italia celtica




Aldo Bello



"Il nuovo Assessorato alla Cultura incentiva il recupero di valori attualmente a rischio (causa una forte crisi d'identità), la cui sopravvivenza è garanzia di tutela di un patrimonio che ci identifica, fondandoci, quale popolo del Nord, a difesa della nostra cultura. Leggiamo infatti quale esigenza primaria, per la sopravvivenza della nostra identità a rischio, il recupero, come rifrequentazione, della nostra matrice continentale; facendo parte storicamente la Padania, o Lombardia, come fu sempre chiamata, della civiltà europea centro-occidentale.
"Lottiamo per il ripristino d'una visione storica offuscata dall'imposizione di un potere che non vuole rispettarci e perciò estranea alla nostra "forma mentis" e dunque non familiare, ma perturbante unheimlich, come bene esprime l'aggettivo tedesco caro alla psicanalisi. Il nostro discorso culturale locale si regge su due verbi che sono: TUTELARE chi siamo stati per RIAFFERMARE chi vogliamo continuare ad essere e poterci così ricavare come futuro nostro, ovvero secondo una continuità naturale e perciò interna al nostro processo di crescita, rifiutandoci a una cultura imposta che questa continuità inceppa a spezzarla, imponendoci modelli non rispondenti alle nostre esigenze. E, più specificatamente, la nostra politica culturale impone a ogni sezione il rifiuto sostanziale di un intervento non mirato, ma opaco quanto velleitario, perché confuso nelle intenzioni, essendo al servizio della propaganda politica di questo o quel partito, invece che vissuta testimonianza dello spirito di un popolo e perciò incidente nel suo tessuto connettivo, di cui solo allora si costituisce appropriata manifestazione. Vogliamo riabituarci a noi stessi e a ritrovarci, stringendoci tra noi anche se non si otterrà facilmente senza riformarci nell'attenzione con un lavoro prima di tutto in noi stessi di "scavo archeologico" documentario, disciplinato e metodico, sulle nostre tradizioni, le nostre fonti, il nostro patrimonio artistico, ripristinandolo, anzi recuperandolo laddove invaso dal degrado a cui spesso lo riduce l'indifferenza romana per le cose nostre. Ci battiamo e ci batteremo affinché in ciascuno di noi rinasca l'istinto di cane da guardia, a tutela delle cose sue, che sono lo spazio che occupa e quanto la storia vi abbia impresso e andrà imprimendovi: perché la nostra casa comincia dai confini della nostra terra, prima che dal numero civico della nostra abitazione. Ogni Popolo infatti, smarrito alla propria Storia, perde il suo futuro, se dimenticato del proprio passato, da cui soltanto ricava l'identità che lo contraddistingue, privato della quale impoverisce, se non annulla, la possibilità di arricchire gli altri della propria peculiare esperienza civile, in un comune appiattimento soffocando quella conflittualità creativa, stimolo irrinunciabile alla vivacità del pensiero, che sola feconda il cammino della Storia.
"L'Assessorato alla Cultura, nella persona del suo rappresentante, membro della Consulta Cattolica per la Brianza, all'operare ci vuole affiancato della Chiesa, madre di ogni cristiano e di nessun partito; nella sua Dottrina riconoscendosi a testimoniarla, malgrado recenti equivoci (da leggere più fraintendimento che incomprensione), contro l'ateismo di matrice illuminista al suo fianco battendosi: nell'intento finalizzandosi di arginare il più infelice dei suoi frutti, nell'imperante riconoscibile mentalità consumista, con i suoi effetti devastanti per l'uomo e la natura. Nel solco la Consulta così operando, alla tradizione cara all'Ecclesia Ambrosiana, sollecitata sempre della nostra Storia le radici cristiane, da chi le avversa corrodendole, nel perseverare. E a tal fine l'Assessorato alla Cultura intende operare in costante simbiosi d'intervento con l'Assessorato all'Urbanistica, nell'intento di recuperare e riproporre il patrimonio artistico della nostra troppo trascurata Storia, di cui si vuole evidenziare la matrice ambrosiana del suo cattolicesimo fortemente segnato dai movimenti riformatori d'Oltralpe".
Quello che abbiamo riportato è il manifesto programmatico dell'Assessorato alla Cultura di Meda, comune antemarcia dei leghisti, il primo ad aver raggiunto, con il 51 per cento dei voti, la maggioranza assoluta per il Carroccio, e il primo, di conseguenza, ad avere espresso un'amministrazione civica totalmente lumbard. Ecco - avevamo incautamente pensato -, questa sarà la cartina di tornasole della nuova politica locale italiana, ispirata all'efficienza e all'efficacia, tutta cose, tutta servizio, tutta azione. Meda è un paesone di case operaie e di fabbriche con i fuochi accesi, abitato da cittadini che pagano le tasse (così dicono), che detestano il centralismo antidemocratico di Roma, che vogliono limitare l'immigrazione sudista (bianca e nera), che intendono far da sé. Vuoi vedere - avevamo sempre incautamente ipotizzato - che ora, impugnando con una mano l'elsa della spada a doppio taglio del mitico Alberto di Giussano e con l'altra il timone della loro cosa pubblica, questi crociati giallo-cisalpini ti stravolgono l'esausto pensiero politico peninsulare, lo rivoltano come una calzetta, e distillano un linguaggio diverso, pacificamente aggressivo, comunque nuovo, e sia pure massiccio e incombente - ma visibile e condizionante - come il loro orrendo gotico? Vuoi vedere che hanno avuto proprio ragione le schiere di giornalisti dallo stile non proprio anglosassone, di presunti storici, di docenti universitari che sognano sudditanze austro-tedesche, e di masse crociate che sambano per le piazze e per i corsi delle città del Nord, reclamando autonomia, indipendenza, autogestione amministrativa, liberazione dal Sud d'Italia e del mondo, e altre cose del genere?
Secoli di scirocco avevano condizionato il Paese. Gli intellettuali di Magna Grecia, indicati al ludibrio pubblico dall'Avvocato italiano per eccellenza, avevano sepolto sotto una pesante coltre di astrazioni le residue energie creative di un popolo. Le cadenze osco-sannite di De Mita avevano alimentato la satira politica nazional-popolare. A Meda avevano persino assoldato un interprete: il nemico, si sa, va tenuto sotto controllo. E i suoi messaggi vanno letti in chiaro. Che cosa mai poteva significare un'espressione come "convergenze parallele"? Ci si è interrogati per due decenni, i medesi non riuscivano a capire, forse è per questo che si sono rivolti a Miglio e a Bossi e li hanno pregati di metter su un partito: nel nome della chiarezza, sotto l'impulso voltairiano della realpolitik. Addio elucubrazioni terronesche. Addio bizantinismi mediterranei, Addio linguaggi che hanno tramortito generazioni. La prosa eccelsa degli epigoni celtici è la linea di displuvio che segna la nuova frontiera storica: di qua, l'italo-partenopeo delle "maggioranze senza alternative", l'italo-siculo delle "coppole storte", l'italo-apulo delle l'opzioni di sostegno" e l'italo-appenninico della "dradizione demogradiga"; di là l'illuminante linguaggio dell'"identità a rischio", del "perturbante unheimlich", la logica grammaticale e sintattica -oltre che logica - del rifiuto "a una cultura imposta che questa continuità inceppa a spezzarla", lo splendore illuministico di principii quali "vogliamo riabituarci a noi stessi e a ritrovarci, stringendoci tra noi anche se non si otterrà facilmente senza riformarci nell'attenzione": perché se ci si riforma in qualcos'altro è proprio una catastrofe. Di qui, uno stato di necessità che fa abbaiare agli estensori: "Ci battiamo e ci batteremo affinché in ciascuno di noi rinasca l'istinto di cane da guardia, a tutela delle cose sue": nel senso che l'osso è osso, e i leghisti non intendono più mollarlo, pena lo "smarrimento della propria Storia", quella con la "S" maiuscola di Meda e dintorni, che, com'è noto, è stata archetipo e matrice dell'intera storia europea.
E non finisce qui. Non pietre, ma macigni sono le parole dell'"Assessorato alla Cultura, nella persona del suo rappresentante, membro della Consulta Cattolica per la Brianza", che non è poco. Il quale sostiene a spada tratta - è il caso di dirlo - che "all'operare ci vuole affiancato della Chiesa", espressione magnifica e progressiva, soprattutto perché questa benedetta Chiesa, "madre di ogni cristiano e di nessun partito", "nella sua Dottrina riconoscendosi a testimoniarla, malgrado recenti equivoci (da leggere più fraintendimento che incomprensione), contro l'ateismo di matrice illuminista al suo fianco battendosi: nell'intento finalizzandosi di arginare il più infelice dei suoi frutti, nell'imperante riconoscibile mentalità consumista, con i suoi effetti devastanti per l'uomo e la natura". Era ora di dirlo a chiare lettere. Da secoli eravamo in trepida attesa della manifestazione di questa "tradizione cara all'Ecclesia Ambrosiana, sollecitata sempre della nostra storia le radici cristiane, da chi le avversa corrodendole, nel perversare". Chiaro?
Quello che gli intellettuali di Magna Grecia in fondo non hanno ancora capito è che da qualche parte, in questo nostro disgraziatissimo Paese, le scuole elementari sono state evidentemente chiuse, e i manicomi li hanno deliberatamente aperti: e a riprenderli, quelli che ne son venuti fuori, non bastano le forze di polizia dell'intero continente. Che poi Oli - quello che insieme con il Devoto scrisse un non ignobile vocabolario della lingua italiana - abbia deciso di prendere le distanze dalla sua stessa opera, rinnegandola, e sostenendo che deve rifare tutto da cima a fondo, perché la maggior parte delle parole italiane ha avuto origine nel Nord della penisola, è comprensibile: almeno alla luce dell'olimpica prosa dell'Assessorato alla Cultura, nella persona del suo rappresentante. Altro che tradizione greca e latina, e magari araba, o peggio ancora, persiana ed estremo orientale. Buttate al macero i volumi del Battaglia, sono un inganno della storia (con la W' minuscola). Oli e l'esimio "rappresentante" - in persona - dell'Assessorato, questi sì che sanno il fatto nostro e loro.
Una sera di tanti anni fa, a Torino, percorrevamo in auto una via del centro. A bordo, accanto al guidatore, c'era Mario Cicelyn, inviato speciale del "Mattino" di Napoli: scrittore elegante, aristocratico di antiche radici partenopee, di nobili ascendenze. Il quale, ad un certo punto, ci intimo di accostare per chiedere un'informazione. Abbassò il vetro e si rivolse a un passante: "Per cortesia -disse - mi saprebbe dire come possiamo raggiungere il tal ristorante"? Costui colse le cadenze napoletane della dizione di Cicelyn, e rispose con un intricato discorso in dialetto torinese. Incomprensibile per chiunque di noi. Pazientemente l'inviato ripete la domanda, scandendo le sillabe. Per sentirsi rispondere di nuovo in un dialetto forse ancora più stretto, accompagnato da una complessa serie di gesti che indicavano tutto e il contrario di tutto. Cicelyn lo fissò a lungo, poi ce lo indicò con l'indice. "Io appartenevo al Regno di Napoli", disse: E pensate un po': questo coglione mi ha conquistato". Se avesse avuto una sciabola, lo avrebbe infilzato sul posto.


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