§ I commenti

L'Europa rinasce dalla societą civile




Giuseppe De Rita



Visto che le emozioni e i problemi maggiori ci sono venuti recentemente dall'Europa, partiamo allora dall'Europa per tentare di capire cosa sta avvenendo e come dobbiamo orientarci.
Nessun dubbio crediamo ci sia quanto all'esigenza di un'Europa, almeno quella occidentale, unita e integrata. Nel tempo le motivazioni possono essere mutate: ideali prima e a scopo difensivo, e poi economiche e finalizzate alla costituzione di un "nocciolo duro" rispetto alle frammentazioni etniche crescenti; ma nessuno può negare la necessitata prospettiva storica dell'integrazione europea.
Ma il problema non è di prospettiva, è di modi e tempi del processo di integrazione. Facendo un passo indietro, dobbiamo ricordare che da sempre, fin cioè dagli anni 50, la costruzione europea è stata vista in tre modi (e tempi) diversi:
- un modo affidato all'integrazione fra popoli (fra le loro culture, i comportamenti, i linguaggi), con tempi e processi di evoluzione fisiologica, nel sociale come nel 'economico: l'integrazione linguistica, il mercato, la libera circolazione, ecc.
- un modo affidato alla responsabilità e alle decisioni dei poteri politici (sui piani della difesa comune, della comune politica internazionale, delle politiche migratorie, ecc.);
- un modo rapido e politicamente meno faticoso, concentrato nella delega all'economia e in particolare agli strumenti finanziari e monetari.
Tutti sanno che negli ultimi anni la strada regina della costruzione europea è stata la terza. Oggi abbiamo un'Europa dei parametri, delle regolazioni, dei poteri finanziari e monetari più che un'Europa delle economie reali, dei comportamenti collettivi, della politica. Ne abbiamo avuto la prova nelle fragilità evidenti degli ultimissimi anni: quando si deve passare per un atteggiamento dei popoli (referendum danese e francese) la costruzione trema; quando si deve esplicitare una posizione politica comune (guerra del Golfo, golpe in Unione Sovietica, crisi nella ex Jugoslavia) la costruzione europea è quasi inesistente.
Un'Europa distillata dalla razionalità e dalla competenza di quelle poche decine di persone che regolano finanza e moneta (lontano dai popoli e per vocazione autonome dalla politica) rischia di diventare un'Europa senza corpo, senza quotidianità chimica. E inevitabilmente fragile anche sul versante su cui si è scelto di operare, come dimostrano i sospetti, le rabbie, le inimicizie, gli allontanamenti reciproci che in queste settimane hanno prodotto una tempesta monetaria e hanno certificato più di ogni referendum la parzialità pericolosa di un modo troppo verticistico di fare l'Europa.
Dobbiamo proporci di rinegoziare il modo di fare integrazione continentale, se non vogliamo che l'Europa fatta da pochi (e quindi fragile) venga sfibrata da fenomeni sociali e politici non controllabili con le sole leve economiche-finanziarie.
Vagano per l'Europa fenomeni e problemi enormi, che sono fuori dalla portata della competente razionalità dei vertici economici: o li si affronta con una rinegoziazione complessiva dell'attuale modo di fare Europa o la costruzione europea sarà all'apparenza razionale (se poi la razionalità finanziaria esiste, in mondi a forte carica di speculazione), ma nei fatti sempre più socialmente fragile e anche economicamente incapace, se è vero che il suo meccanismo fondamentale (più innovazione, più competizione, più disoccupazione, ecc.) è troppo contraddittorio per promuovere sviluppo globale.
Rinegoziare socialmente e politicamente l'Europa diventa quindi un passaggio obbligato: dovremo tutti insieme capire che i campi di decisione politica (la politica estera, la politica di difesa, le politiche di welfare, ecc.) hanno la stessa dignità, almeno, dei parametri economici; e dovremo tutti insieme comprendere che anche i processi sociali (dall'integrazione linguistica e culturale ai flussi migratori) devono poter essere considerati fattori non secondari dell'integrazione europea.
Ci saranno più lentezze e contraddizioni, ma più aderenza alla realtà: a questa banale esigenza di aderenza vanno richiamati coloro che sembrano disprezzare i popoli "che non capiscono" e coloro che invitano a tener lontani i politici dalle decisioni serie. E' un'esigenza che tocca tutti i Paesi europei, ma che per l'Italia è drammatica, visto che l'ignoranza vile dei problemi sociali e politici dell'integrazione europea (insieme alle colpevoli indulgenze finanziarie) ci ha ridotto ad essere un "Lazzaro alla loro porta". Rinegoziare e riequilibrare i poteri, quindi: non solo quelli fra Stati, ma quelli fra soggetti. Occorre che nella costruzione europea valgano sempre più i soggetti di economia reale (le imprese, le grandi reti, ecc.), i soggetti sociali (associativi, sindacali, locali), o i soggetti politici (nazionali e locali, partitici e no); tutti i soggetti, cioè, che rispondono al funzionamento reale e quotidiano di una comunità di oltre 300 milioni di persone.
Forse la botta di orgoglio nazionale cui qualcuno ci richiama potrebbe essere applicata a una proposta di rinegoziazione sociopolitica dei trattati più che all'obbedienza perinde ac cadaver. E non si dica che, se non accettiamo l'obbedienza, ci troveremo alla mercé di processi selvaggi e di particolarismi frammentati in cui vincerebbero i soggetti e gli strumenti forti. I soggetti e gli strumenti forti stanno vincendo, e pesantemente, anche e specialmente in una integrazione formalmente alla pari. Se l'Europa deve avere un destino neoimperiale è forse meglio che l'Impero si costruisca nella corsa libera piuttosto che camuffarsi in fraterna confederazione. Le confederazioni imperiali non esistono in natura.


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