§ Parlando di inflazione

Il rimedio c'è




N. C.



E' l'inflazione il nemico principale? Su questo tema ci sono stati sempre epici scontri, peraltro non sempre limpidi. Cerchiamo ora di capirci qualcosa.
Oggi la situazione economica è profondamente diversa da quella degli anni Settanta e dei primi Ottanta, dominati dalla stagflation, la stagnazione dell'economia accompagnata da un'inflazione galoppante. La normalità sembra essersi ristabilita: al rallentamento dell'economia fa riscontro un rallentamento dell'inflazione. Se la domanda cala, i prezzi dovrebbero diminuire, ma nel regime dello Stato sociale, che è quello di tutti i Paesi industrializzati, la domanda è sostenuta dalla spesa pubblica, ed i prezzi non diminuiscono mai, rallenta o si accelera la loro crescita. Negli anni Settanta i prezzi crescevano in un'economia in flessione perché c'era la pressione esterna del prezzo del petrolio e soprattutto quella dei grandi gruppi che intendevano approfittare della situazione per ristabilire margini di profitto.
Oggi la pressione sulla domanda è molto forte. Non solo la caduta dell'occupazione comincia ad essere preoccupante, ma si è invertita la tendenza nel costo del lavoro, ed i salari reali sono in discesa. Il rapporto tra l'indice dei prezzi al consumo e l'indice delle retribuzioni è passato dallo 0,6 all'1,5, che significa una riduzione dello 0,5 per cento nel salario reale. L'inflazione rallenta, ma i salari rallentano ancora di più.
Occorre mettere nel conto anche i mutamenti strutturali. Dalla stagflazione degli anni Settanta tutte le economie dei Paesi industrializzati sono uscite attraverso l'indebitamento. Non solo quello dello Stato, ma soprattutto l'indebitamento delle imprese per fare investimenti, quello dei consumatori per comprare case, prime e seconde, o automobili, e per finanziare nuove forme di consumo come i viaggi all'estero. Così è stata bruciata una parte non indifferente di reddito futuro, ed oggi qualsiasi aumento di reddito non si traduce in aumento della domanda, ma va in primo luogo a diminuire il debito contratto con le istituzioni finanziarie. Ciò rende ancora più difficile l'uscita dalla recessione.
Per poter esprimere un giudizio equilibrato occorre perciò tener conto di fattori di diversa origine. Potremmo rallegrarci del rallentamento dell'inflazione, se a questo si accompagnasse una ripresa della produzione. D'altra parte, dobbiamo sapere che in una economia di servizi l'inflazione è sempre in agguato, particolarmente in un Paese come l'Italia, dove una parte notevole della popolazione non è attiva, e quindi consuma senza produrre.
La conclusione che si può trarre è che si può avere crescita senza inflazione soltanto se aumenta l'offerta e che dalla stretta si può uscire, ma solo se si rilancia l'economia reale. Ma per questo occorre espandere la capacità produttiva e quindi ci vogliono gli investimenti. Se intendiamo evitare che un finanziamento in disavanzo degli investimenti rilanci l'inflazione, dobbiamo controllare i consumi.
Una politica di rilancio non è una politica di dissipazione, ma di austerità. La politica monetaria o la politica dei redditi prese a sé non possono dare risposte adeguate. Negli Stati Uniti negli ultimi dieci anni i salari reali sono diminuiti del 9 per cento, i tassi di interesse reali sono bassissimi, eppure il Paese più potente del mondo non riesce a venire a capo della recessione. Se la domanda resta bassa, non serve diminuire i tassi, perché nessuno avrà voglia di fare investimenti. Vale la pena di ricordarlo alla Confindustria.
Occorre allora spostare i flussi verso gli investimenti e verso l'occupazione, ed allora la funzione di una politica attiva dello Stato è insostituibile. Sta in questo la sfida che i tempi nuovi portano a tutte le pigrizie intellettuali nutrite dei luoghi comuni alla moda.


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