§ Regolamento dei mercati valutari

L'eterna illusione dei cambi fissi




Milton Friedman



Bretton Woods (dal 1944 al 15 agosto 1971). Per non abusare della pazienza dei lettori e dello spazio della rivista, tralascerò i numerosi episodi precedenti, dalla Roma di Diocleziano alla seconda guerra mondiale.
Il primo nobile tentativo di assicurare una stabilità dei cambi nel periodo post-bellico fallì quando il presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, chiuse le casseforti, venendo meno all'impegno sottoscritto dagli Usa a Bretton Woods di convertire la moneta americana in oro per le Banche centrali straniere a 35 dollari l'oncia. In altri termini, gli Stati Uniti non potevano o non volevano adottare le misure deflattive necessarie per tener fede a tale impegno.
Nel corso dei venticinque anni successivi alla creazione del Fondo monetario internazionale, frutto degli accordi di Bretton Woods e destinato a controllare il sistema di cambi fissi tra i Paesi membri, si verificarono numerose variazioni: apprezzamenti del marco tedesco nel 1961 e nuovamente nel 1969, consistenti svalutazioni della sterlina nel 1949 e nel 1967, nonché del franco francese nel 1949, nel 1958 e nel 1969. Le variazioni del 1969 venivano al seguito di una grave crisi valutaria iniziata con la contestazione studentesca del '68 e protrattasi fino al 1969.
Per otto anni nel corso di tale periodo vi fu anche un'Unione europea dei pagamenti destinata a favorire l'applicazione di tassi di cambio a fluttuazione congiunta fra i Paesi europei, e disciolta nel 1958.
In definitiva, il sistema dei tassi di cambio fisso, previsto dagli accordi di Bretton Woods e tanto decantato, funzionò veramente per soli otto anni - dal 1959 al 1967 - e anche quegli anni non furono esenti da variazioni dei cambi.

Il tunnel smithsoniano (dal dicembre 1971 al febbraio 1973). In occasione di una riunione tenutasi presso la "Smithsonian Institution" nel dicembre 1971 fu fatto un tentativo di ricostruire un sistema di cambi fissi. Il sistema sopravvisse per meno di due anni, e anche nel corso di quel breve periodo si registrarono crisi e numerose variazioni dei tassi di cambio.

Fine dell'area della sterlina (23 giugno 1972). Un'area della sterlina costituita prevalentemente da Paesi membri del Commonwealth sopravvisse all'impero britannico prebellico. I partecipanti agganciarono le loro monete alla sterlina e ne seguirono le sorti quando fu svalutata nel 1949 e nel 1967. Dopo molte difficoltà, il sistema crollò definitivamente il 23 giugno 1972, quando l'Inghilterra adottò il cambio fluttuante.

Il "serpente" (dall'aprile 1972 al 1979). Dopo il fallimento degli accordi di Bretton Woods, la Comunità economica europea si imbarcò nel tentativo di creare un sistema di cambi fissi più ristretto, limitato ai membri della Cee. Il tentativo iniziale fu rappresentato dal "serpente", chiamato così in quanto prevedeva per ciascun Paese ampi scostamenti del tasso di cambio al di sopra e al di sotto dei valori centrali, suscettibili anch'essi di variazioni di volta in volta.
Come riferisce Anna J. Schwartz in "Money in Historical Perspective" (Università di Chicago, 1987): "Sei Paesi (Francia, Germania, Italia, Belgio, Lussemburgo, Olanda) entrarono per primi nel "serpente", altri tre si aggiunsero nel maggio del '72 ma ne uscirono in giugno (Gran Bretagna, Danimarca, Irlanda). La Danimarca entro nuovamente nell'ottobre del '72, mentre l'Italia uscì nel dicembre del '72. La Francia uscì nel gennaio del '74, rientrò nel luglio del '75 e uscì nuovamente nel marzo del '76. La Svezia e la Norvegia, che non erano membri della Cee, entrarono nel maggio del '72. La Svezia uscì nell'agosto del '77. E nell'ambito del "serpente" si ebbero molte variazioni dei tassi di cambio".

Il Sistema monetario europeo (dal 1979 al 1992). Il meccanismo insoddisfacente del "serpente monetario" fu sostituito da un accordo più formale, il Sistema monetario europeo (Sme), che fissava limiti più stretti per i cambi delle principali valute e più ampi per le altre. La Gran Bretagna non figurava tra i primi Paesi aderenti ed entrò a far parte del Sistema solo nel '90. L'esistenza dello Sme fu contrastata da frequenti variazioni dei cambi: complessivamente si possono contare undici svalutazioni o rivalutazioni tra il '79 e il 1987, che talvolta riguardarono più di una moneta. Seguì un periodo di stabilità, molto simile a quello verificatosi sotto gli accordi di Bretton Woods dal '59 al '67, seppur più breve. Entrambi i periodi di stabilità erano dovuti fondamentalmente alla stessa ragione: la disponibilità di un grande Paese - prima gli Stati Uniti e poi la Germania - al finanziamento del deficit della bilancia dei pagamenti di altri membri dell'accordo.
La situazione mutò drasticamente con la caduta del Muro di Berlino e l'unificazione tedesca. Per finanziare la riunificazione, la Germania dovette trasformarsi da grande esportatore di capitali, soprattutto verso gli altri membri dello Sme, a Paese neutrale o addirittura importatore di capitali. Di conseguenza, doveva vendere meno e comprare di più da altri Paesi, per cui le sue merci dovevano diventare relativamente più costose per i Paesi stranieri, mentre le merci di questi ultimi dovevano risultare relativamente meno costose per la Germania. Ciò era realizzabile solo in uno - o in una combinazione di più di uno - dei quattro modi seguenti: l'inflazione in Germania, la rivalutazione del marco, la svalutazione delle monete estere rispetto al marco, o la deflazione negli altri Paesi dello Sme.
La Germania non era disposta ad accettare l'inflazione e lo Sme escludeva una variazione dei cambi. Restava quindi solo la via della deflazione negli altri Paesi aderenti allo Sme. La Gran Bretagna e la Francia in particolare, ma anche l'Italia, la Spagna e altri Paesi si assoggettarono a una recessione grave e prolungata e a un aumento della disoccupazione al fine di tenere i loro cambi agganciati al marco. Il prezzo da pagare finì tuttavia per risultare insostenibile per la Gran Bretagna e l'Italia, prima che per altri partners. Quando questi due Paesi si rifiutarono di inasprire ulteriormente le misure deflattive, crollò l'intero castello di carta. Anche se la Gran Bretagna e l'Italia avessero resistito, ben presto sarebbe stata la Francia a tirarsi indietro. La mutata posizione della Germania dopo l'unificazione aveva in realtà segnato la fine dell'intero Sistema.

Gli accordi del Plaza e del Louvre (dal 1985 al 1987). Oltre ai continui accordi formali per il sostegno ai tassi di cambio, non esiste praticamente una riunione del gruppo dei Sette o dei Dieci in cui non si discuta dei tassi di cambio. I due risultati più rilevanti delle passate riunioni sono stati gli accordi del Plaza e del Louvre, pilotati dall'allora segretario del Tesoro, James Baker.
La Conferenza del Plaza nel settembre '85 era stata indetta in quanto si riteneva che il dollaro si fosse eccessivamente apprezzato, visto che dal 1980 all'inizio del 1985 era quasi raddoppiato il valore nei confronti delle valute dei G-10. Nel frattempo, però, il dollaro aveva già incominciato a deprezzarsi, e al momento in cui iniziava la Conferenza aveva perso quasi un quarto del precedente guadagno. Non di meno, i rappresentanti delle principali nazioni convennero che avrebbe dovuto scendere ulteriormente, senza che sembrasse loro necessario intervenire con misure specifiche.
Nel febbraio del 1987, mentre si apriva l'incontro al vertice del Louvre, il dollaro aveva perso oltre tre quarti del suo precedente apprezzamento. Le grandi potenze decisero che era abbastanza: il tasso era proprio al livello giusto. Riuscirono a mantenerlo stabile per circa otto mesi, grazie a massicci acquisti di dollari da parte della Germania e soprattutto del Giappone. Gli acquisti tedeschi ebbero un effetto indesiderato: inflazione dapprima, e contrazione poi. Gli acquisti giapponesi furono anche più massicci e continuarono più a lungo, creando le basi per la successiva esplosione del mercato azionario e del settore immobiliare in Giappone, seguita dalle più recenti difficoltà.
Già nell'ottobre dell'87, il livello fissato dal vertice del Louvre incominciò a dare segni di cedimento e il dollaro riprese a deprezzarsi ulteriormente, finendo per ritrovarsi nel dicembre dell'87 più o meno al punto da cui era partito nell'80; da allora, continuò a fluttuarvi attorno.
Se gli accordi del Plaza e del Louvre non fossero mai esistiti, credo che il dollaro avrebbe continuato la fase di declino allora temporaneamente arrestata, posizionandosi alla fine a un livello superiore a quanto non sia poi avvenuto. Se le cose fossero andate così, sarebbe stato molto meglio per l'economia degli Stati Uniti, del Giappone e della Germania.
Quanti altri insuccessi saranno necessari prima che gli addetti ai lavori si convincano finalmente che un sistema di tassi di cambio fissi non costituisce una risposta finanziaria soddisfacente per un gruppo di grandi Paesi con sistemi politici e politiche nazionali indipendenti?


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