§ Per salvare la Terra

Un nuovo piano Marshall




Al Gore
Vicepresidente degli Stati Uniti



La sconfitta del comunismo è stato il principio informatore delle democrazie occidentali nei cinquant'anni che abbiamo alle spalle ma, oggi che la guerra fredda è ormai un ricordo, il nostro sforzo comune deve essere quello di salvare il sistema ecologico della Terra.
Il cambiamento climatico globale, la riduzione dello strato di ozono, la distruzione delle foreste pluviali, la scomparsa di specie viventi, l'inquinamento degli oceani e altre catastrofi ambientali sono tutti sintomi di una più profonda crisi di valori che si riflette nei rapporti con la terra in cui viviamo.
Dobbiamo ripristinare un corretto equilibrio tra ciò che siamo e ciò che facciamo. Ed è proprio a questo scopo che ho auspicato l'avvio di un piano Marshall globale - che veda l'apporto del capitale europeo, giapponese ed americano - con il compito di realizzare cinque obiettivi strategici.
Primo, dobbiamo creare condizioni atte a promuovere la stabilizzazione degli andamenti demografici. Mi riferisco, per esempio, ad una campagna per la diminuzione della mortalità infantile, che dia ai genitori la sicurezza che i loro figli riescano ad arrivare all'età adulta. E ciò anche in considerazione del fatto che, col tempo, un tasso elevato di sopravvivenza infantile porta a famiglie meno numerose.
Ma mi riferisco anche a livelli educativi e d'istruzione più elevati, soprattutto tra le donne, onde metterle in grado di essere soggetti attivi delle decisioni relative alla pianificazione familiare. L'altro elemento, che per alcuni rappresenta un tasto delicato - e che riveste una funzione squisitamente pratica ma essenziale -, è rappresentato dalla possibilità, per chi lo voglia, di praticare un controllo sicuro ed efficace nelle nascite. Il secondo obiettivo strategico dovrebbe essere quello di accelerare lo sviluppo di tecnologie nuove che facilitino il progresso economico senza distruggere l'ambiente. Tecnologie che dovrebbero essere trasferite in tempi rapidi e in modo efficiente a quei Paesi che non sono in grado di svilupparle o di comprarle. Penso alle fonti di energia rinnovabili, ai sistemi d'irrigazione goccia a goccia, a nuovi metodi di conservazione, ad una gestione integrata delle pestilenze e alle centinaia, se non migliaia, di nuove tecniche, senza escluderne alcune, che possiamo mutuare dalle culture indigene. La rotazione delle colture e i sistemi agroforestali praticati dalle popolazioni andine sono, per esempio, molto più avanzati e sofisticati di quanto non lo siano la maggioranza dei metodi di agricoltura moderni.
Terzo, abbiamo bisogno di un programma mondiale di educazione ambientale, che veda studenti e insegnanti impegnati nel compito comune di controllare l'ambiente in cui viviamo, aiutarci a capirlo di più e intervenire per risolvere le crisi ambientali via via che si presentano.
Quarto, dobbiamo cambiare le regole economiche empiriche fin qui seguite e valutare accuratamente i costi e i benefici delle scelte ambientali che ci apprestiamo a compiere. Il metodo che adottiamo attualmente per misurare il Prodotto interno lordo dà per scontato che le risorse naturali siano illimitate e che non sia quindi necessaria una loro accurata ricognizione.
Si tratta, inutile dirlo, di un assunto che non sta in piedi. E tuttavia, la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, le banche regionali per lo sviluppo e gli istituti di credito nazionali quando sono chiamati a decidere che tipo di assistenza finanziaria e di prestito concedere ai Paesi che ne hanno bisogno partono da valutazioni esclusivamente economiche, con l'occhio, cioè, al modo in cui potenziare l'andamento economico del Paese beneficiario. Sono, in altre parole, le variazioni del Prodotto interno lordo ad essere considerate l'indicatore più importante del progresso economico. Ma nonostante tutte le considerazioni di carattere pratico, sta di fatto che il Prodotto interno lordo considera la distruzione rapida e brutale dell'ambiente alla stregua di un fatto positivo. Tutto questo deve essere cambiato.
Dobbiamo, infine, perseguire una nuova generazione di trattati internazionali e di accordi tra tutti gli abitanti del pianeta per modificare il rapporto tra l'uomo e la Terra e porre così freno al sistema attuale di distruzione, avviare un sistema di rigenerazione - di riforestazione - e ripristinare un sano rapporto tra la civiltà dell'uomo e la Terra.
Ritengo doveroso aggiungere che un nuovo piano Marshall deve avere tra i suoi compiti quello di creare un sistema inclusivo, che non lasci, cioè, alle spalle intere regioni, com'è il caso, oggi, di buona parte dei Paesi dell'Africa e dell'America Latina. In un'economia inclusiva, ad esempio, le nazioni ricche non potranno più pretendere che i Paesi del Terzo mondo paghino interessi astronomici su debiti annosi, anche quando sacrifici necessari per onorarli aumentano la pressione su popolazioni già provate, tanto più in presenza di una tensione rivoluzionaria che cresce in modo incontrollabile.
In questa logica, una distribuzione più equa del potere politico, delle ricchezze e del territorio costituisce per molti di quei Paesi la premessa indispensabile per tentare con successo di salvare l'ambiente e la popolazione civile.
Qualsiasi sforzo teso a risanare l'ambiente deve prendere in considerazione le circostanze assai diverse che prevalgono nei Paesi industrializzati del Nord rispetto a quelle dei Paesi in via di sviluppo del Sud e, con esse, la diversità degli interessi e delle responsabilità.


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