§ Ripresa dell'economia

Per l'Italia cura di concorrenza




Lamberto Dini



Senza un'azione immediata e prolungata nel tempo che riequilibri i conti pubblici e ponga le basi per un recupero di competitività, le prospettive di crescita stabile sfumeranno lontane; il declino della nostra industria, dell'occupazione, dell'intero sistema economico sarà inevitabile. Perché la via intrapresa, che fa della stabilità del cambio il baricentro dell'intera politica economica, non divenga ancora più angusta, si richiedono oggi mutamenti di fondo nelle regole, nelle politiche, nei comportamenti degli operatori.
E' convinzione sempre più diffusa che occorra modificare le modalità della contrattazione salariale. L'attuale sistema, caratterizzato dall'assenza di una chiara ripartizione delle competenze dei vari livelli contrattuali (confederale, di categoria, aziendale), aumenta l'incertezza sull'esito effettivo del contratto. Soprattutto, in mancanza di un quadro macroeconomico di medio periodo sufficientemente credibile, si moltiplicano le tensioni all'atto dei rinnovi contrattuali, rendendo assai difficile la valutazione dell'andamento futuro del salario reale. Ciò favorisce i fenomeni di rincorsa, o di "anticipazione salariale", intersettoriali, di per sé agevolati dagli sfasamenti temporali dei rinnovi, Sotto questo profilo, il nostro sistema contrattuale appare inefficiente: a parità di salario reale acquisito ex post, la dinamica retributiva nominale è maggiore di quella conseguibile in un sistema coordinato. La disciplina imposta dal cambio stabile ai comportamenti nei settori esposti alla concorrenza internazionale attenua, non elimina, questo risultato.
Ha concorso a determinare il "sovrappiù" inflazionistico il meccanismo di determinazione della scala mobile. L'indicizzazione alla dinamica passata dei prezzi protraeva l'impatto degli aumenti dei costi; gli effetti di compressione dei differenziali salariali aumentavano le rincorse salariali; la dipendenza indiretta, attraverso i prezzi al consumo, dagli shock esterni innescava spinte inflazionistiche dal lato dei comportamenti di impresa nel tentativo di ripristinare la distribuzione del reddito ex ante. In sintesi, era un modo inefficiente di preservare il salario reale. La salvaguardia del potere d'acquisto può essere conseguita dalle parti sociali minimizzando, in sede contrattuale, le spinte inflazionistiche future.
La riduzione del differenziale di inflazione e l'inversione di tendenza sul fronte della finanza pubblica sono legate all'operare della concorrenza. Tutti i mercati e i settori ne sono toccati: l'industria e soprattutto il terziario privato, segnatamente nei comparti della distribuzione, delle telecomunicazioni, della raccolta pubblicitaria, delle infrastrutture al servizio delle imprese e del cittadino, del turismo. Vanno abbattute le barriere all'ingresso, alla libertà di iniziativa, all'accesso alle informazioni; va garantito il permanere effettivo di condizioni concorrenziali.
Gli stessi servizi di pubblica utilità possono acquisire livelli di efficienza oggi sconosciuti, introducendo forme di concorrenza nella gestione del servizio, oppure, ove opportuno, alienando le imprese a soggetti privati. Nell'immediato, ciò potrà contribuire ad alleviare l'onere del debito; ma soprattutto concorrerà in prospettiva ad elevare l'efficienza del sistema economico nel suo complesso.
L'area su cui devono incidere gli interventi è dunque vasta; vi sono coinvolti tutti i soggetti economici. In particolare sul sistema industriale, che pure nell'ultimo decennio ha compiuto progressi importanti ancorché non definitivi, continuano a gravare numerose diseconomie esterne. Tutto ciò pesa, e molto. Ma ovviamente non è realistico pensare che tutto il male venga da fuori. Occorre anche guardare direttamente dentro il settore industriale al fine di individuare, se vi sono, questioni irrisolte, di valutarne la criticità, di predisporre i tentativi di soluzione hic et nunc.
Qual è allora, in questo spirito, il contributo che può dare l'industria al risanamento dell'economia italiana? Dal 1987, il saldo a prezzi costanti dell'interscambio mercantile è peggiorato anno dopo anno. Su questi risultati pesa l'apprezzamento del tasso di cambio reale, pari fra il 1987 e il 1991 a circa quattro punti percentuali. Ma quest'ultimo fattore non esaurisce le cause dei fenomeni menzionati. La composizione settoriale delle nostre esportazioni è ancora dominata dai beni tradizionali di consumo e di investimento, dove appare sempre più difficile acquisire, se non mantenere, vantaggi comparati in assenza di modifiche profonde nell'organizzazione della produzione, della distribuzione, dei rapporti con i fornitori.
In ambito internazionale restiamo un Paese lontano dalla frontiera tecnologica: le difficoltà in tal campo emergono chiaramente dallo scarso peso, rispetto agli altri Paesi industriali, degli investimenti in ricerca e sviluppo sia in rapporto al Pil sia in termini di quota di addetti sulla forza di lavoro complessiva.
In una valutazione di sintesi della storia recente si è tentati di affermare che se l'industria italiana si è mostrata efficace nella prima metà degli anni Ottanta nella ricerca di un uso ottimale dei fattori della produzione e nella compressione dei costi, essa non è stata ugualmente capace di imprimere negli anni seguenti ulteriori impulsi allo sviluppo.
La delicatezza del passaggio dalla fase di "sviluppo senza crescita" a quella successiva, in cui non sarebbe bastato operare secondo quelle modalità, è stata tuttavia ben presente ai massimi livelli di responsabilità. Qualche anno fa, l'amministratore delegato del gruppo Fiat pose l'accento sulla necessità di operare una profonda innovazione nell'organizzazione della produzione, lungo le linee riassunte dal termine, ormai divenuto popolare, della "qualità totale". In Giappone, dove è stato avviato alla metà degli anni Settanta, questo sistema di lean production ha segnato l'abbandono dell'organizzazione fordista. Esso si caratterizza non tanto per l'accresciuto grado di automazione, quanto per una diversa e più snella combinazione organizzativa dei fattori produttivi (in particolare del lavoro) e per nuovi rapporti con i fornitori e con i distributori. In particolare, per quanto concerne l'impiego del lavoro, la "qualità totale" implica una minore gerarchizzazione, un coinvolgimento attivo e una rotazione degli addetti nell'ambito di gruppi di lavoro.
Non è d'altra parte possibile separare la "qualità totale" dal sistema di relazioni industriali. Si tratta infatti di ridefinire in buona misura le modalità del contributo del lavoro al processo produttivo in una direzione che implica nei fatti, per lo meno a livello aziendale, un maggior grado di codeterminazione. Ciò rimanda, a sua volta, alle questioni concernenti il tipo di strutture sindacali deputate a rappresentare gli interessi del lavoro nel nuovo sistema. Sono questioni a tutt'oggi aperte, ma determinanti per il conseguimento di una maggiore capacità competitiva.
La "visione strategica" si collega dunque strettamente alla fiducia delle imprese nelle proprie capacità e nelle possibilità di procedere lungo la via dell'innovazione tecnologica e organizzativa.
Questa fiducia può trovare conforto in alcuni fenomeni recenti. Nonostante i segnali di malessere evidenziati dallo sviluppo industriale negli ultimi anni, emergono anche potenzialità nuove.
Il dibattito, così faticosamente avviato fra le parti sociali sulla struttura della contrattazione e del costo del lavoro, costituisce comunque un primo sintomo incoraggiante. Dopo le contrapposizioni degli anni Settanta e Ottanta, quando le parti sociali tendevano quasi a considerare quale loro primo obiettivo la disfatta della controparte, sembra stia facendosi strada la consapevolezza che, senza un approccio cooperativo volto alla definizione di regole entro cui dispiegare le rispettive autonomie contrattuali, non vi sono vincitori, ma alla lunga solo vinti.
Il sestante della rotta di risanamento è rappresentato dall'impegno che l'Italia ha assunto nei confronti degli altri Paesi della Comunità, nella prospettiva dell'Unione economica e monetaria. Anche questo è un viaggio iniziato vari anni fa, con l'adesione dell'Italia al Sistema monetario europeo, una traversata che non può essere affidata al solo timone della politica monetaria.


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