§ Le tesi di Bankitalia

Ritorno in Europa




Carlo Azeglio Ciampi
Presidente Consiglio dei Ministri



La nostra economia vive una fase difficile, nella prossimità delle scadenze europee, sotto l'urgere dei problemi che deve comunque affrontare. Alle questioni che da anni sottoponiamo a disamina va data certezza di soluzione in tempi brevi, agendo sin da ora, nelle prossime settimane.
Con quest'appello a provvedere con urgenza oramai estrema diedi inizio all'intervento all'Assemblea annuale della Banca d'Italia. Benché le elezioni politiche, l'attesa delle quali aveva impedito per mesi ogni sostanziale iniziativa di risanamento, avessero avuto luogo in aprile, un nuovo governo tardava a formarsi; sarebbe entrato in funzione solo ai primi di luglio. Nel frattempo, maturavano incertezze sull'attuazione del progetto di Unione monetaria europea, suscitate ai primi di giugno dall'esito negativo del referendum danese sul trattato di Maastricht, alimentate dall'attesa del referendum francese, dal dibattito nel Regno Unito, dai problemi connessi con la stessa unificazione tedesca.
Ne è nata una crisi valutaria che ha assunto intensità inaspettata, senza precedenti dalla creazione dello Sme. Di questi eventi, intendo oggi riproporre l'esame, con particolare riferimento alla nostra economia: soffermandomi sui fattori di origine interna che li hanno determinati; ricordando come quei fattori abbiano interagito con quelli di origine esterna; cercando di trarne indicazioni per i comportamenti futuri.
Prima di iniziare questo excursus, desidero fare alcune osservazioni su aspetti che si riferiscono più direttamente a un tipo speciale di lavoro:
1) nonostante la gravità della crisi, la tentazione di reintrodurre controlli valutari non ha prevalso: il principio che i mercati dei cambi debbono restare liberi di operare senza restrizioni non è stato rimesso in discussione;
2) non è venuto meno l'impegno a promuovere miglioramenti nell'operatività del mercato, eliminando fattori di distorsione e di inefficienza, quali la tassa sulle operazioni a termine in valuta. Altre e ancora più importanti innovazioni sono imminenti: è stata presentata dalla Banca d'Italia al Tesoro la proposta di abolire la procedura del fixing, che si è rivelata occasione di amplificazione delle perturbazioni;
3) nei momenti di tensione più acuta si è avvertita ancor più fondamentale l'importanza dell'informazione, della professionalità, della correttezza deontologica; troppe volte pressioni sul cambio sono state suscitate da informazioni inesatte, fuorvianti, infondate, spesso originate da anonimi "analisti", talora strumentalizzate da intermediari, in specie stranieri, prima che la loro consistenza potesse essere acclarata.
Da anni l'azione della politica economica italiana si è mossa in modo diseguale e talvolta contraddittorio nelle sue componenti, lungo le direttrici in cui era incanalata: l'integrazione europea, la riduzione del disavanzo pubblico.
Importanti passi sono stati compiuti con la liberalizzazione dei movimenti dei capitali, con l'adesione alla banda stretta di oscillazione nello Sme. L'Italia ha dato un impulso di rilievo alla stessa definizione del Trattato per l'Unificazione economica e monetaria europea. Ma l'occasione offerta, soprattutto dalla metà degli anni Ottanta, da una favorevole condizione ciclica e dalla possibilità di ottenere ampio credito internazionale, anziché essere colta per accelerare il risanamento, attutendone i costi, ha finito di fatto per procrastinarlo. Il disavanzo pubblico non è mai sceso al di sotto del dieci per cento del Prodotto interno lordo. Il saldo al netto degli interessi, pur riducendosi dal 1985, solo nel 1992 è arrivato a conseguire valori positivi.
Ai ritardi nel riequilibrio del bilancio si sono aggiunti, sul finire degli anni Ottanta, aumenti del costo del lavoro nei settori pubblico e privato superiore a quelli dei nostri principali partners europei e, in importanti comparti della stessa industria, lentezze nel rispondere alle accresciute spinte concorrenziali, alle esigenze di rinnovamento.
La contraddittorietà di comportamenti del governo, degli operatori, delle parti sociali, ha finito per ripercuotersi sul cambio della lira; su questo snodo si sono accumulate le frizioni tra mancato risanamento interno e aggancio all'Europa. Il mantenimento di un cambio della lira stabile sollecitava, come è nello spirito dello Sme e della prospettiva dell'Unione monetaria europea, a intraprendere un'azione incisiva sul disavanzo pubblico e una politica dei redditi rigorosamente antinflazionistica, che dal settore pubblico si riverberasse su quello privato. Quelle sollecitazioni non sono state recepite in misura sufficiente. Nella relazione tra cambio e comportamenti degli operatori pubblici e privati ha finito con il prevalere la direzione inversa: il difetto di appropriate azioni di bilancio e di moderazione dei redditi nominali ha minato le fondamenta della stabilità della lira.
Queste tematiche, l'invito a provvedere, la preoccupazione per le conseguenze gravi del non provvedere sono state il leitmotiv di tutti i documenti della Banca d'Italia negli ultimi anni. I ripetuti richiami all'urgenza erano dovuti alla consapevolezza del rischio che, in assenza di credibili interventi di politica economica, venisse meno la fiducia nella stabilità del cambio, e, rischio ancora più grande, nel mantenimento del valore reale della ricchezza finanziaria.
Nell'impostazione che governo e Parlamento si erano dati per il riequilibrio della nostra economia e per la convergenza verso le condizioni prevalenti nei maggiori Paesi europei il fattore tempo era essenziale. Quanto più avessero tardato appropriate politiche di bilancio, dei redditi e di struttura, tanto più sarebbero divenute concrete due prospettive sfavorevoli: una crisi valutaria e finanziaria, di credibilità, di fiducia nella stabilità dei livelli di cambio e d'interesse; una erosione più lenta e meno manifesta, ma non per questo meno preoccupante, della capacità competitiva, la disciplina del cambio implicando l'accumularsi di un handicap concorrenziale nei costi interni per unità di prodotto.
In un'economia in cui per la prima volta è stata data a tutti i cittadini la facoltà piena e totale di trasferire fondi all'estero e di investire il proprio risparmio in qualsivoglia strumento finanziario; in un'economia in cui il debito pubblico ha dimensioni e grado di liquidità elevati, e una sua quota crescente è detenuta da investitori stranieri; in un'economia siffatta, la salvaguardia del risparmio, la fiducia nella capacità dello Stato di saper amministrare le proprie finanze costituiscono il presupposto di ogni azione di risanamento, dello stesso ordinato funzionamento dei mercati finanziari e valutari.
La narrazione sintetica degli eventi succedutisi dagli inizi di giugno '92 conduce ad alcune riflessioni:
a) come membri dell'Europa;
b) come Paese;
c) come istituzione monetaria.
Da decenni viviamo un processo di integrazione europea. L'approccio per gradi è necessariamente diseguale nel tempo per i diversi settori. Dopo il non riuscito tentativo di dar vita alla Comunità europea di difesa, l'orientamento fu di far precedere l'integrazione economica; più di recente il moto di punta è stato affidato alla moneta. Ciò è avvenuto secondo una sequenza scandita, proiettata verso il termine del 1997, pur nella consapevolezza dei rischi, in campo monetario, di una prolungata transizione.
Di fronte al materializzarsi di questi rischi, un primo punto resta fermo, non è posto da nessuno in discussione. Il 1° gennaio del 1993 ha avuto luogo l'avvio formale del Mercato Unico; con esso, l'unificazione d'Europa realizza uno straordinario progresso: dal libero scambio dei soli prodotti al libero scambio esteso ai fattori della produzione, al confronto competitivo dei sistemi d'offerta di beni e di servizi secondo i principii del mutuo riconoscimento e dell'armonizzazione delle normative nazionali. La rimozione delle barriere e una politica attiva per la concorrenza dischiudono benefici importanti: di efficienza, di produzione e occupazione, di benessere.
L'ulteriore scelta che l'Europa ha fatto, scelta fondata sul consenso politico dei Paesi aderenti, è volta a consolidare l'Unione economica con una crescente stabilità dei cambi, proiettata sino a divenire Unione monetaria. L'intento è di far avanzare l'integrazione riducendo e infine annullando la fonte di incertezza insita nella pluralità di monete.
Il piano dell'Unione monetaria venne disegnato prima che avessero luogo accadimenti quali la fine dell'Urss, i sommovimenti politici e la crisi delle economie dell'Est europeo, la unificazione della Germania. Da quegli accadimenti ha tratto forza la volontà politica di realizzare quel piano, traducendolo nel Trattato di Maastricht, su cui i Parlamenti e i cittadini dei dodici Paesi si stanno pronunciando. Il Trattato contiene le condizioni per venire a una moneta unica, governata da una unica Banca centrale, alla quale tutti i Paesi partecipino in modo equilibrato, così come è previsto nello Statuto del Sistema europeo di Banche centrali. La società tedesca è impegnata in uno sforzo imponente, che di fatto si proietta oltre l'unificazione delle due, molto diseguali, componenti di quell'economia. La bilancia dei pagamenti di parte corrente della Germania, storicamente attiva, ha accusato un disavanzo di 33 miliardi di marchi nel 1991; il disavanzo del 1992 è di 23 miliardi, quello previsto per il '93 di 19 miliardi. Nonostante questo trasferimento di risorse reali dall'estero, il tasso di interesse tedesco resta elevato; condiziona l'evoluzione dei tassi di interesse internazionali; per questa via accresce i rischi recessivi per l'intera economia mondiale, da troppi anni segnata da tassi di interesse reali notevolmente più elevati del tasso di crescita del potenziale produttivo. Il resto d'Europa e del mondo sta partecipando di fatto allo sforzo della Germania per vie di mercato.
Lo Sme resta il punto di congiunzione tra mercato unico e unione monetaria: è il ponte necessario a valicare un passo delicato; ha fortemente contribuito alla convergenza delle economie europee verso una condizione di equilibrio. Le tensioni a cui esso è stato sottoposto di recente non sono dipese tanto da difetti gravi insiti nella sua struttura, quanto dal modo non acconcio con cui le sue regole sono state negli ultimi tempi interpretate. La regola fondamentale, che resta valida e da meglio applicare, è che incoerenze nei rapporti di cambio come quelle tra i tassi d'interesse dei diversi Paesi vanno evitate; se si verificano, vanno corrette, agendo in modo concordato sugli uni e sugli altri. Perché ciò avvenga, perché al tempo stesso, attraverso politiche concertate, avanzi ulteriormente la convergenza tra le economie, occorre che la collegialità di lavoro nei vari gruppi e comitati dei dodici Paesi si trasformi da momento di prevalente informazione a momento di effettiva valutazione congiunta e di sostanziale influenza sulle decisioni, che pur restano di competenza delle istituzioni nazionali.
Libertà di movimento dei capitali e cambi fissi, o quasi fissi come nello Sme, non sono compatibili con politiche monetarie nazionali, non possono coesistere a lungo con esse. Gli elementi di fragilità dello Sme sono stati accentuati dal fatto che alla liberalizzazione valutaria non si è accompagnato alcun progresso nell'armonizzazione del trattamento fiscale delle attività finanziarie e del risparmio. Questa esigenza, da lungo tempo riconosciuta, è stata finora disattesa: occorre provvedervi, per eliminare una delle cause di movimenti di capitale destabilizzanti.
Nell'immediato, la risposta alla crisi europea sta, come ho già detto, in una precisa volontà di cooperazione nell'applicare le esistenti regole dello Sme; in prospettiva, nell'attuazione e, se possibile, nell'accelerazione del progetto previsto dal trattato di Maastricht.
La vera riforma di cui lo Sme ha bisogno è la sua trasformazione da accordo per limitare le variazioni dei cambi ad assetto nel quale la politica monetaria volge verso una progressiva unificazione. E' quanto sancisce il trattato sull'Unione europea; il primo passo istituzionale è la creazione dal l° gennaio 1994 dell'istituto monetario europeo.
Secondo il trattato, la costruzione dell'Unione monetaria è un'impresa alla quale debbono partecipare su base paritaria tutti i Paesi della Comunità, anche se l'ingresso nella fase finale potrà essere modulato nel tempo per le diverse economie. Diritti e obblighi, condizioni e modi di funzionamento dell'Unione e della partecipazione ad essa devono essere decisi collegialmente, anche dai Paesi che non siano in condizioni di parteciparvi dal primo giorno: per loro, l'accesso deve essere libero, assicurato in qualsivoglia momento, sulla base di concordati, ben definiti presupposti.
Quanto detto per l'Europa trova riscontro per l'Italia nella decisione che il governo e il Parlamento hanno confermato con il procedere nella ratifica del trattato di Maastricht: la scelta per l'integrazione europea.
L'averla ribadita ha tre implicazioni: essere parte attiva del mercato unico; rientrare quanto prima possibile nell'Accordo di cambio dello Sme; mantenere il riferimento offerto dall'Unione monetaria europea. Presupposto comune è il risanamento delle pubbliche finanze. La crisi di cambio e finanziaria che ha colpito l'Italia è insorta perché quel risanamento ha tardato troppo a lungo. La crisi può superarsi pienamente soltanto se gli operatori economici, i risparmiatori italiani, i creditori esteri, potranno persuadersi che il risanamento è in atto, è affidato a misure chiare, severe, è realizzabile in tempi definiti, solleciti.
Se ciò non avverrà, mancheremo di cogliere, in senso strutturale, i vantaggi del mercato unico; tarderemo a rientrare saldamente nell'Accordo di cambio; perderemo la prospettiva stessa di essere parte di un'Europa unificata. Se ciò non avverrà, l'economia italiana ricadrà nella morsa dell'inflazione e ristagno da cui ci siamo faticosamente tratti negli anni Ottanta.
Come più volte ho avuto modo di affermare, la svalutazione non risolve i problemi; è un passaggio costoso che diviene necessario per sanare uno squilibrio, quando non sia stata praticata in tempo la terapia necessaria. L'essere stati costretti a far ricorso alla svalutazione non significa dover abbandonare l'obiettivo del risanamento economico. La tempesta che stiamo tuttora attraversando ha sconvolto la nostra rotta, non ha cancellato la meta. Il rammarico di vedere allontanarsi risultati in termini di abbattimento dell'inflazione ormai a portata di mano non deve scivolare nello sconforto. Bisogna riconfermarci nel fine, il riequilibrio della nostra economia nei suoi diversi aspetti; occorre tracciare un'altra rotta, riformulata in relazione alle mutate condizioni. Nello schema a cui la politica economica italiana si era ispirata fino a settembre, la modifica della parità della lira verso il basso veniva ipotizzata per il tratto terminale del processo di convergenza incentrato sulle politiche di bilancio e dei redditi: era un atto eventuale, necessario nella misura in cui a un consistente avanzamento nella convergenza non si fosse unito un sufficiente recupero nella perdita nel frattempo intervenuta nella competitività.
Nel nuovo schema che la politica economica deve ora darsi, il deprezzamento della lira si pone a monte. Per evitare che ciò degeneri in inflazione, occorre applicare le politiche di bilancio e dei redditi con rigore maggiore e secondo tempi accelerati; portare a conclusione, pur fra accentuate difficoltà, il dialogo fra le parti sociali. Nessuna azione monetaria può sostituire questi passi, fondamentali per ridare fiducia agli operatori. Apparirà allora appieno l'infondatezza dei timori di interventi forzosi sui titoli di Stato, come pure quelli di limitazione ai movimenti di capitali con l'estero.
La manovra di bilancio che il governo sta attuando per contenere il fabbisogno nel '93 assomma ad un rilevante importo. Essa si incentra su significative riforme nei principali comparti di spesa, segnatamente quelli della previdenza, della sanità, della finanza locale, del pubblico impiego. La fermezza nell'applicare l'insieme delle misure dovrà unirsi alla più attenta sorveglianza degli andamenti effettivi del bilancio, così da assicurare con prontezza le correzioni che si rendessero necessarie.
Al di là del pur indispensabile importo complessivo dell'intervento, che mira a produrre nel '93 un avanzo primario dell'ordine di 50 mila miliardi, essenziale sarà la capacità di conseguire pienamente e stabilmente il ripristino della fiducia nell'azione complessiva di riequilibrio dell'economia italiana.
La violenza dei mercati ha spinto il valore esterno della lira al di là di ogni ragionevole esigenza di competitività di prezzo dell'industria italiana. Sulla base delle quotazioni medie recenti, il guadagno di competitività nello Sme risulta del 14 per cento rispetto a sei mesi prima.
La modifica della parità della lira provoca costi, offre opportunità; sta ai comportamenti di tutti gli operatori, pubblici e privati, minimizzare i primi, cogliere le seconde. Sono decisive la prontezza, la duttilità nell'adeguare i comportamenti alla nuova situazione, nel saper utilizzare in modi e tempi diversi strumenti e obiettivi intermedi, restando immutati quelli finali. L'impegno delle istituzioni, delle parti sociali, degli operatori, ciascuno per la propria responsabilità, deve concentrarsi sull'obiettivo di contenere la domanda interna e l'inflazione: il Parlamento e il governo nell'approvare sollecitamente e nell'attuare fino in fondo la manovra di risanamento del bilancio; imprese e lavoratori nel moderare i costi, nell'accentuare lo sforzo di produzione e di vendita di beni e servizi; la Banca d'Italia nel frenare la moneta; gli intermediari creditizi nel moderare l'espansione del credito e soprattutto nell'orientarlo al sostegno delle attività di produzione e d'investimento. Se saremo capaci di fare questo, il Paese supererà le attuali difficoltà economiche, tutelerà il bene del risparmio, salvaguarderà le prospettive di lavoro, anche per le nuove generazioni: potremo allora riandare con il ricordo a questi tempi con animo diverso da quello di oggi, con la soddisfazione di aver saputo trarre dalle vicende presenti occasione di progresso, di benessere.


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