§ Previsioni

Sotto il segno dell'incertezza




Alberto Mucci



Incertezza. E' questo il termine Che, più di ogni altro, qualifica il momento economico che stiamo vivendo. E' lo stesso termine che veniva ripetuto all'inizio degli "Anni Ottanta", quando - si diceva - l'Occidente stava affrontando un nuovo decennio con molti, pressanti interrogativi economici, sociali e politici.
Si sottolineava, allora: l'incertezza caratterizza le prospettive degli Stati Uniti, che iniziano l'era di Ronald Reagan; coinvolgono l'Europa dominata dall'europessimismo; qualificano i rapporti internazionali nella contrapposizione Usa-Urss. Oggi, dopo un decennio da quella previsione - rivelatasi poi fallace, perché gli "Anni Ottanta" sono stati anni di crescita, di sviluppo, di avvenimenti "impensabili" (come il crollo del muro di Berlino) - la parola ancora una volta più ripetuta è incertezza. Come allora, incertezza sulle prospettive economiche a livello Mondo; incertezza nei rapporti fra i Paesi (anche se un solo grande Paese, gli Stati Uniti, appare oggi in grado di avere una leadership significativa); incertezza politica in quasi tutti i Paesi, alla ricerca di riforme che diano forza alla governabilità dei singoli sistemi.
Molteplici spinte e controspinte caratterizzano i rapporti, a tutti i livelli, in una dimensione sempre più globale. Sicché mai come in questo periodo gli interrogativi si rincorrono e tarpano le volontà. All'inizio degli "Anni Ottanta" si doveva piegare l'inflazione e ravviare la macchina produttiva, mentre restavano aperti i contenziosi con Mosca sugli euromissili, sulle aree calde (in Africa e in Medio Oriente). Oggi la situazione è diversa: l'inflazione non appare a livello Mondo un pericolo dietro l'angolo; l'Urss si è sgretolata; gli Stati Uniti parlano di nuovo ordine economico mondiale. Ma nel frattempo l'economia è in stallo; le Borse sono in difficoltà e il clima di opinione dei cittadini-consumatori, di qua e di la dell'Atlantico, è improntato a una diffusa e profonda sfiducia.
Qualcosa non funziona, nella "macchina" del cosiddetto "capitalismo", dopo il completo fallimento dei comunismo. Qualcosa di non ben definito, di imprecisato nelle motivazioni, di incerto nelle prospettive. Ma qualcosa di ben presente a tutti, produttori e consumatori, se gli operatori, per primi, dichiarano di non capire, di voler riflettere, di attendere. Una constatazione preoccupante, se letta in prospettiva: significa che le decisioni importanti (pensiamo agli investimenti, pensiamo alle riforme strutturali che ovunque appaiono urgenti) vengono rinviate, in attesa di schiarite, di tempi migliori.
Il fatto è che viviamo - in questi primi Anni Novanta - un periodo di cambiamenti continui, come non s'era mai verificato nella storia moderna. All'inizio degli "Anni Ottanta" l'incertezza veniva da ciò che il mondo aveva vissuto, dalle crisi petrolifere alla constatazione degli squilibri sociali provocati da un'inflazione a due cifre. Oggi l'incertezza scaturisce guardando ciò che sta avvenendo, analizzando le contraddizioni dei presente, i nuovi e profondi squilibri (Nord-Sud, ma anche all'interno delle aree forti, come nell'America del Nord), non riuscendo a comprendere che cosa succederà, in un mondo che è "senza guerre vere", ma è caratterizzato da crescenti tensioni sociali ed etniche. Dove ogni regola vien messa in discussione, ogni ipotesi contraddetta dai comportamenti.
Non siamo di fronte ad una serie di paradossi. In poche settimane il comunismo è crollato. Ma, oltre l'ideologia, si è sfaldato un impero. La CSI, che costituiva punto di riferimento politico per ogni previsione basato sul bipolarismo, è diventata fattore di instabilità e di incertezza, anche sul terreno economico. Si trasformano, giorno dopo giorno, realtà che hanno fino ad oggi condizionato il modo di fare affari, di stendere previsioni, di compiere scelte. Sono i comportamenti che cambiano di continuo. Nulla è scontato. Tutto è imprevedibile. Sullo scenario internazionale l'incognita Urss, il domani di questo immenso e ricco (di risorse) Paese suscita i più forti interrogativi. Come reggerà all'onda d'urto di una trasformazione senza regole? Nessuno fornisce risposte. Giungono quotidiani segnali che alimentano nuove aree di incertezza.
Si pensi al problema oro: la CSI, che è il più grande produttore mondiale dei "metallo giallo", dichiara oggi di avere utilizzato tutte le sue risorse. In pratica, è stato tolto di mezzo il bene rifugio per eccellenza, il riferimento costante di ogni discorso sulla ricchezza.
Si pensi al problema petrolio: la CSI è anche in questo campo il primo produttore mondiale, ma le sue pompe sono oggi pressoché ferme, per disfunzioni interne, e il petrolio non viene più esportato: un'altra incognita sui prezzi internazionali.
Si pensi all'uranio, di cui la CSI è grande produttore; si pensi a tutto il mercato delle materie prime dominato da incognite sui livelli di produzione.
In sintesi, le aree di incertezza si moltiplicano. Rispetto all'epoca della guerra fredda, l'incertezza internazionale cambia matrice: da politico-militare diviene economico-sociale. Gli steccati di Yalta cadono, ma nel contempo si accrescono a dismisura le pressioni che l'Est e il Sud esercitano sulle scarse risorse dei pianeta. Imponenti ammontari di investimenti appaiono necessari per attenuare i divari di reddito fra le due metà dei mondo, ma il risparmio -colpa soprattutto dei cattivo comportamento dei settore pubblico in molti Paesi - è insufficiente. Il "mismatching" crea incertezze e mette in tensione il sistema finanziario internazionale. Recuperare, sanare questo gap rappresenta la sfida degli Anni Novanta.
Il "caso Italia" si colloca in questo contesto, con le sue ancora più diffuse e profonde incertezze, politiche, istituzionali ed economiche. All'incertezza generale si aggiungono le nostre, gli squilibri che ci trasciniamo da anni e che giungono al dunque, mentre l'Europa del '93 si avvicina, mentre si profila la nascita della Banca Centrale Europea e della moneta unica. Unico punto fermo: la lira e la condotta monetaria perseguita con fermezza.
Questa incertezza italiana ha molteplici cause, tanto che gli economisti, parlando del nostro Paese, definiscono lo scenario interno "di cartapesta". la Finanziaria '92 ha rattoppato la situazione di degrado dei conti pubblici, senza correggere la corsa alla spesa facile, senza frenare il continuo patteggiamento degli interventi assistenziali e clientelari dei partiti. Si stanno alimentando entrate eccezionali (come il condono), senza fermare strutturalmente la corsa alla spesa.
Un benessere "strano" (si pensi ai viaggi all'estero degli italiani, che battono ogni primato) è diffuso e palpabile, costruito in buona misura sulla discutibile base di un debito pubblico che supera il valore dei Pii e ci allontana drammaticamente dall'Europa. Per converso, gli imprenditori dichiara no che non c'è soltanto un problema di costo dei lavoro, ma di posto di lavoro. le industrie annunciano nuove ristrutturazioni, con riduzioni di manodopera. Si parla apertamente di de-industrializzazione, sulla base di dati di fatto. Ma nessuno sembra preoccuparsi più di tanto.
Eppure nel Paese è diffusa la sensazione che ci si trovi - lo si voglia o meno - alla vigilia di profondi cambiamenti. Il "così non può continuare", che il Censis aveva segnalato lo scorso anno come sensazione che stava diffondendosi, ha preso piede. Si è imposto. Ne parlano studiosi ed esperti, senza remore.
La spesa corre, i consumi incalzano. Ma è sempre più diffusa la presa di coscienza che con questo Stato, con questa burocrazia, con questa amministrazione si è creata una situazione insostenibile, di disfunzioni, di sperperi e di squilibri (un caso classico è il regime fiscale) dalla quale è tempo di uscire, rompendo gli indugi. Il rinvio è impossibile.
Ma sul "come" cambiare, sulle forze da mettere in campo, sulle alleanze da far valere, nessuno si pronuncia. Sicché fattori di incertezza si aggiungono a fattori di incertezza. Ed il clima è quello descritto: di attesa. Con i pericoli che ne conseguono per un Paese che è rimasto indietro, che deve oggi recuperare terreno, che non può adagiarsi aspettando passivamente l'evoluzione degli eventi. Un Paese che non può soltanto bruciare risorse, mentre l'Europa-mercato, all'insegna della concorrenza e dell'aperta competizione, è scadenza per l'oggi. Non per il domani.
Ma la lira è ferma, dicevamo... Un dato di fatto positivo (l'unico) in un contesto turbolento. Il fatto - da sottolineare - è che l'industria bancaria e finanziaria, in Italia, si è ammodernata nell'ultimo periodo, sulla base di un disegno delineato in anticipo e perseguito con coerenza. Problemi ne esistono, di concorrenza e di efficienza (Piazza Affari continua ad essere un non-mercato; il regime fiscale delle attività finanziarie penalizza ingiustamente intermediari e risparmiatori). Ma è indubbio che un ventaglio di misure amministrative è stato attuato; vari provvedimenti sono stati approvati dal Parlamento seguendo un "progetto". Il settore è maturato, scrollandosi di dosso sensi di colpa e frustrazioni antiche. Non altrettanto è avvenuto in altri campi (dall'industria al terziario), come denunciano gli economisti industriali: sforzi singoli, iniziative brillanti, ma senza un disegno organico di "sistema Paese" a livello politico e di governo.
L'industria bancaria e finanziaria ha camminato: dal "divorzio" del luglio 1981 fra Banca d'Italia e ministero dei Tesoro nella gestione dei debito pubblico alla politica monetaria seguita, all'azione volta a salvaguardare e ad accrescere l'efficienza e la stabilità degli intermediari finanziari e dei mercati dei capitali, al provvedimenti adottati (le norme anti-trust, la nascita delle Sim, ecc.), fino alla legge "Amato-Carli", che sta rompendo quella "foresta pietrificata", che ha caratterizzato per tanti (troppi) anni l'attività bancaria, è stato un susseguirsi di passi lungo una strada definita: quella di creare un mercato.
"Efficienza e stabilità dipendono, oltre che dagli stimoli concorrenziali, dall'architettura istituzionale dei sistema finanziario", sottolineano alla Banca d'Italia, dove auspicano un rapido completamento dell'architettura. Auspicio importante, ma non esaustivo. Quest'architettura dovrebbe trovare interpreti anche in altri settori, per dare al "sistema Paese" quella struttura organica ed unitaria che è urgente se l'Italia vuol restare Paese d'Europa.

Banca Popolare Pugliese
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