§ Angelo Thio / Controstoria

Il pensiero "debole" di un filosofo salentino




Cesare Daquino



Pensatore di origine salentina del Cinquecento, di Angelo Thio si hanno poche e scarne notizie, attinte direttamente dalle due uniche sue opere affidate alla stampa, oltre che da rari documenti.
Nacque a Marciano di Leuca, piccolo paese in provincia di Lecce, nel 1519 e vi morì di gotta, appena quarantenne, nel 1559. Possiamo conoscere la data di nascita dall'ultima pagina dell'opera dei Thio stesso, intitolata Quaesiturn et praecognitiones, là dove è scritto che l'Autore nel 1547, anno di pubblicazione della suddetto opera, aveva 28 anni. Conosciamo invece, il nome del padre, Andrea, e molte altre interessanti notizie dal verbale dell'esame di laurea conservato presso l'Archivio Antico dell'Università di Padova. Erano le ore 21 del 2 marzo 1546 quando il Thio veniva sottoposto all'esame di laurea nell'Aula vescovile di Padova; commissari d'esame erano Girolamo Maripetro, Francesco Frizimelica, Francesco Bonafede, Giovan Battista del Monte, Odo de Odi, Girolamo Stefanelli, Paolo de Grassi, Giovan Battista de Balneatis, oltre ai famosi Marcantonio il Genua e Sperone Speroni. Nello stesso anno, il Thio fu nominato Professore di Logica nell'Università di Padova - la stessa città in cui da giovane si era trasferito per completare gli studi - con lo stipendio di 35 fiorini, succedendo al piemontese Giovanni Gabriele Alberto, e qui rimase fino alla vigilia della morte: quando si rese conto che, nonostante la giovane età, aveva i giorni contati, se ne tornò in patria.
Stando ad alcuni manoscritti di Cesare Raho da Alessano, contemporaneo dei Nostro, documenti di cui purtroppo è andata perduta ogni traccia, due sole opere del Thio furono pubblicate, conosciute negli ambienti più colti d'Italia con i titoli abbreviati De subiecto logices e Quaesitum et praecognitiones. Il resto degli scritti rimase manoscritto e andò irrimediabilmente perduto; sono scampati solo i titoli delle seguenti opere:
Lectiones in primam Philosophiam;
Expositio in librum de causis Prodi;
Quaestiones disputatae;
De Materia prima;
De Memoria et Reminiscentia;
De Somno et Vigilia;
De Piuritate Formarum;
De Intellectu et Intelligibili;
De Coelo et Mundo;
De quo est et quod est;
De Motibus Corporum coelestium.
La testimonianza del Raho fu riferita agli inizi dei Settecento dallo storico neretino Giovanni Bernardino Tafuri nella suo monumentale Istoria degli Scrittori nati nel Regno di Napoli.
Angelo Thio proveniva da famiglia agiata e benestante, anche se non blasonata o titolata: questa Casata da secoli è scomparsa, al punto che lo stesso nome suona strano e sconosciuto persino al morcianese di oggi. La risposta a chi fossero i Thio nella società di Marciano del XVI secolo ci può venire esclusivamente da un esame dei Libri parrocchiali. Genealogisti antichi e moderni non hanno tramandato notizie su questa famiglia, ad eccezione dei Fatto che essa proveniva da Vicenza intorno al XII secolo e che vestiva l'abito di Malta.
Una consistente autorevolezza questa famiglia si guadagnò nell'esercizio delle arti liberali e grazie alla propria ben salda posizione economica: quella dei Thio, assieme agli Ippolitis e ai Protopapa, nel Cinque-Seicento fu una delle famiglie più importanti, più ricche, più colte e più rispettate della società morcianese; i Libri parrocchiali dei Battesimi e dei Morti di quel periodo sono stracolmi dei loro nomi. E' documentato, così, che i Thio s'imparentarono con le più potenti famiglie di Marciano e dei Basso Salento (Simone, Tasca, Serafini, Abbaterusso, Ippolitis, Stasi, Protopapa e gli stessi baroni Sambiasi, Castromediano e Capece). Non veniva celebrato battesimo in cui non Facesse da padrino o da madrina un esponente dei Thio: prova evidente della radicata signorilità da loro conseguita. Come pure espressione di rispetto veniva dimostrata dai discendenti della stessa famiglia nel momento in cui ai propri nati veniva spesso attribuito il nome Angelo, a ricordare colui che senza dubbio alcuno è stato il figlio più famoso e più importante di Marciano.
Una singolare ironia della sorte ha caratterizzato, appunto, il destino di questa famiglia: i Thio, famigliachiave nella Marciano cinque-seicentesca, prolifica in misura elevatissima, diradano in maniera impressionante agli inizi del Settecento, fino a scomparire dei tutto. L'ultimo discendente dell'illustre schiatta è stata una donna, Giuseppa Thio, morta alla veneranda età di 91 anni il 17 settembre 1839.
La vicenda che segnò per sempre la vita di Angelo Thio fu l'ascolto delle lezioni tenute a Padova da Girolamo Balduino, altro celebre filosofo salentino, nativo di Montesardo, dei quale il Nostro diventò discepolo fedele e rispettoso al punto di essere accusato bel presto di plagio negli ambienti accademici. Questa critica pesò terribilmente sul Thio, il quale ne rimase sconvolto e profondamente amareggiato: ancora nel 1789 Giovan Battista Lezzi* da Casarano, lettore cappuccino nel seminario di Oria, in un suo corposo manoscritto a carattere memorialistico fortunatamente conservato presso la Biblioteca Arcivescovile "Annibale De Leo" di Brindisi, tracciando uno schema dei contenuto dei due scritti del Thio, scrive d'aver avuto tra le mani una copia di un'opera dello scrittore morcianese con alcune notazioni a margine tendenti a dimostrare che il Nostro avrebbe copiato quasi tutto dal Balduino senza mai citarlo. Triste conclusione di una vita molto breve, improntata all'ossequio per Balduino, chiamato sempre con il titolo di magister oppure affettuosamente Baldunus meus!
Un'analisi più profonda delle opere del Thio, in un riscontro comparativo con i testi balduiniani, rivela, se mai, un lavoro di approfondimento - disorganico quanto si vuole - ma carico di intensità, dal sapore tutto particolare e dal tono tra l'entusiasta e il suggestivo di temi specifici, quali il rapporto tra dimostrazione e delinizione, il concetto di precognizione, i famosi cinque predicati di Porfirio, il concetto di logica come facultas (e quindi non identificato né con l'arte né con la scienza), l'oggetto della logica. E rivela, anzi, una grande onestà intellettuale, una serietà storiografica sorprendente che obbliga il Thio a citare con puntigliosità esasperante tutte le fonti, tutti i riferimenti a pensatori antichi e moderni, con la morbosa preoccupazione di non andare al di la della propria naturale modestia e riservatezza, di non presumere di aggiungere molto di nuovo e di inedito rispetto a quanto dimostrato da altri (e la mente non può fare a meno di pensare, appunto, al maestro e conterraneo Girolamo Balduino), fino a spezzare il proprio testo, a mortificare lo stesso periodare, fino a infarcirlo di note a ogni pie' sospinto.
Un'accusa di plagio, dunque, che non rende giustizia della realtà dei fatti, che sospende malignamente il lavoro dei Thio nel limbo delle inutili ricostruzioni, negli eclettismi dei mediocri, e che, invece, ripropone un tema non nuovo nella passata cultura salentina: si pensi, ad esempio, all'impietosa dissoluzione di Cesare Raho e di Giulio Cesare Vanini, sistematicamente perseguita a cavallo tra gli anni Venti e gli anni Trenta di questo secolo da Luigi Corvaglia e dimostratasi poi sostanzialmente ingiusta in un contesto culturale più sereno ed equilibrato.

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