§ Ri/scoperte

Alla ricerca di Angelo Thio




Luigi Scorrano



L'aristotelismo padovano esaurisce ogni possibilità offerta dalla logica del grande filosofo e dalle interpretazioni ed applicazioni che essa aveva trovato nell'averroismo. Nel pieno Cinquecento i maestri dello Studio padovano avevano proseguito per un cammino lungo il quale l'impegno e lo sforzo più grandi erano posti nel "definire la logica come sapere strumentale, come disciplina metodologica elaboratrice di procedimenti e di tecniche strettamente vincolati ai progressi della fisica in generale e, specialmente, della medicina" (1).
Anche a non voler, come s'è fatto talvolta forzandone significato e limiti del lavoro, vedere nei risultati dell'opera degli aristotelici padovani acquisizioni troppo precorritrici della scienza moderna, innegabile è l'elaborazione di strumenti e di strutture logico-formali di grande significato da parte di uno dei più agguerriti gruppi intellettuali del Rinascimento.
Una cultura, sia nel pieno svolgimento che nel suo tramonto, avvertita e pugnace: una cultura che appare, Se guardata da lontano, compatta e continua, ma che forse lo è meno se la si osserva da vicino nelle figure di coloro che la produssero. Come in ogni processo di complessa articolazione, in essa il nuovo e il meno nuovo si trovano accostati e corrono sugli stessi binari; il discorso si svolge tra indugi sul passato e tensioni verso l'avvenire.
Si è, nell'ambito del lavoro d'insieme che ne emerge, maestri e tributari nello stesso tempo. I nomi illustri (Balduino, Zabarella, Tomitano, Piccolomini, Vernia, Nifo, Pomponazzi, Zimara; e si citano alla rinfusa e a titolo di esempio) s'alternano ad altri di minore risonanza; ma è vivo l'insieme, per la passione con cui si affrontano i problemi, per il confronto di tesi e posizioni filosofiche, per l'esigenza vivamente avvertita di immettere nella grande conversazione culturale il patrimonio di idee e di espressioni fuori delle linee maestre del professato aristotelismo.
C'è chi si sporge decisamente sul nuovo e chi combatte battaglie di retroguardia. La passione è la stessa, la persuasione animosa; vale, spesso, ed èesigenza filologica fondamentale, il richiamo alla esattezza della lettura delle fonti, che si vuole scrostate da interpretazioni fuorvianti di traduttori o di chiosatori. In tal senso significativa è la presa di posizione di Marcantonio Zimara nei confronti del celebrato Ermolao Barbaro, il quale, traducendo, falsava qualche testo "inducendo tanti filosofi in errori grossolani" (2).
Il tema centrale della speculazione padovana è la logica vista come strumento fondamentale per l'esplorazione della realtà in tutti i suoi aspetti, in particolar modo in quelli più vivi, legati al concreto operare dell'uomo, su cui la cultura umanistica aveva appuntato la propria attenzione.
L'ambiente padovano vede, in tempi diversi, ma con una certa continuità, la presenza di un cospicuo numero di intellettuali salentini, in veste di maestri o di discepoli che frequentano lo Studio insigne: Girolamo Balduino, Marcantonio Zimara galatinese, e "Policleto Bleve di Montesardo, il neoscotista Francesco Storella da Alessano, Giustiniano Bazzuto di Montesardo, Lucio Bleve da Gagliano del Capo, il giurista alessanese Anselmo Manfredi, i religiosi Cherubino Panzera e Giuseppe Ragusa entrambi di Giuliano" (3).
Una colonia salentina in territorio padovano; un piccolo, ma non infrequente, fenomeno di migrazione intellettuale dovuta al richiamo fortissimo esercitato da una sede prestigiosa come quella dello Studio veneto.
In questa temperie si collocano la figura * l'opera di Angelo Thio da Morciano di Leuca. Figura minore, certo, ma collocabile in dignitosa posizione entro il quadro mosso ed articolato dell'aristotelismo. Scarsa, o nulla, attenzione vi si è prestata finora sia perché l'indagine degli studiosi-esploratori delle figure della cultura salentina si è rivolta a personaggi di maggior rilievo (Zimara, Balduino, Storella), sia perché grava sull'opera del Thio l'ombra del sospetto di plagio o, almeno, di una quasi meccanica ripetizione di idee o largamente esposte ed approfondite da altri o che, da lui esposte, sono avvertite come appartenenti a tematiche ormai fuori degli interessi più vivi di una cultura in sviluppo.
Plagiario, o semplicemente ripetitore in ritardo di tesi note e in parte esaurite, Thio è come relegato in un limbo dal quale non sarebbe uscito se non se ne fosse appassionato, anche per patria pietas, Cesare Daquino. Questi ha dedicato, nel 1988, un solido saggio esplorativo alla figura e all'opera di Angelo Thio, e oggi, conservando le linee maestre di quel saggio, lo sostiene con la pubblicazione di una delle opere del filosofo morcianese: ANGELO THIO, L'oggetto della logica, a cura di Cesare Daquino, Maglie, Erreci Edizioni, 1991.
Autore, il Thio, di solo due opere, pubblicate non per decisione autonoma ma per l'amichevole, e avventurosa, iniziativa di un allievo ed ammiratore suo, il leccese Mariano Occhibianco. Insomma, il Thio, che per conto proprio non si era deciso a pubblicare il frutto dei propri studi (in sostanza le sue lezioni universitarie), si trovò, per l'iniziativa dell'Occhibianco, posto di fronte al fatto compiuto. Non sconfessò l'operato del discepolo e amico; si arrese alle circostanze.
L'opera riproposta dal Daquino è il De subiecto logices, e il curatore la presenta in una veste filologicamente discutibile. Si tratta di una traduzione che manca del testo a fronte, sicché viene meno ogni possibilità di immediato confronto con l'originale. Il curatore non ha espressamente motivato le ragioni di una simile scelta, ma si tratta di ragioni intuibili. La traduzione mira a far accostare all'opera del Thio superando lo scoglio del latino (non sempre appetibile) di un'opera filosofica. Non agli specialisti in senso stretto delle discipline filosofiche s'indirizza la traduzione del Daquino ma, largamente, alle persone di cultura che avessero voglia di tentare una più diretta conoscenza del personaggio attraverso la sua opera. Ed è per questo, ancora, che Daquino, come scrive in una scarna Avvertenza, ha ritenuto opportuno, per consentire una lettura più agevole dell'opera, "estrapolare dal testo originale le continue citazioni e riportarle sic et simpliciter a margine della pagina, con relativa lettera di riferimento" (4).
Discutibile, sì, ma pure plausibile il metodo adottato dal Daquino; e intanto non si può non riconoscergli il merito, indubbio, di trarre dall'oblio la figura di un intellettuale salentino e di rivendicarne la collocazione, tutt'altro che forzata o incongrua, in quella costellazione di pensatori di Terra d'Otranto che, se altrove svilupparono i frutti della loro ricerca, non dimenticarono di essere figli di una terra in cui tradizione classica e buoni studi avevano radici profonde. A ragione Daquino sostiene, con passione terragna ma senza sospetto di inopportuno municipalismo, che occorre "la massima attenzione nei confronti di questo intellettuale [il Thio] del più profondo Sud che impegnò la totalità delle sue energie per dare il meglio di sé e per tenere alto il nome della Terra dalla quale era stato generato, alla ricerca continua di ciò che può rendere l'uomo degno di questo nome" (5): l'habitus filosofico.
Con equilibrio Cesare Daquino traccia il profilo del suo conterraneo. Ne rinfresca la memoria, ma non ne fa un "caso", non grida alla scoperta. Con onestà intellettuale non si nasconde i limiti dell'opera del Thio. Scrive che il grande merito del pensatore è rappresentato dalla conoscenza straordinariamente puntuale, precisa, scientifica, delle fonti classiche e di quelle più moderne. [ ... ] Tale merito indiscusso del Thio è nel contempo il suo grande limite, il limite di un pensiero al quale è mancato un lavoro di elaborazione e di trasposizione concettuale dell'enorme materiale acquisito: la struttura e l'impostazione generale dell'opera fanno pensare a un disegno sistematico, ad una esposizione ordinata di dottrine e risultanze attraverso la distribuzione proporzionata del materiale [ ... ]. Eppure la ricchezza di questa conoscenza si trasforma, per così dire, in un vicolo cieco, in cui vanno a perdersi anche alcune apprezzabili intuizioni: Angelo Thio resta imbrigliato in questa stessa conoscenza, nella dovizia delle fonti, nell'esuberanza delle citazioni (6).
Si può dire che al Thio mancò la capacità di sintesi: l'accumulo dei materiali finiva per travolgerlo. Naufragava in esso, ne era sopraffatto. Non sarà stata la consapevolezza di questo a impedirgli di procedere alla pubblicazione delle proprie opere?
La logica nella sua "funzione metodologica e strumentale", liberata da ogni sovrapposizione metafisica, è il centro della sua ricerca. Una tale predilezione non è un tratto originale (il tema era diffuso nell'ambito dello Studio padovano): è solo una predilezione difesa attraverso affermazioni mutuate da altri maestri e fatte proprie: riproposte più che originalmente ripensate.
Anche la confessione di voler pubblicare un'opera che trattasse della conoscenza dell'arte nel suo aspetto operativo e la mancata realizzazione di un simile proponimento lasciano intravedere un Thio ansioso di trovare una strada propria e di lasciare un'impronta del suo ingegno, ma consapevole della propria inadeguatezza. Un'illazione, questa; forse non priva di qualche aspetto di verità se si legge nel comportamento del filosofo di Morciano. Un piccolo dramma intellettuale, si direbbe, che però non affiora mai direttamente attraverso l'impostazione di scuola dell'opera rimastaci.
Posizioni originali Daquino non ne rileva, in Thio, nemmeno "sul fronte della riflessione morale e teologica" improntata ad un generico teismo.
Un pensatore, si può arguire, allineato su posizioni consolidate nell'ambito dello Studio, forse timoroso di avventurarsi con decisione fuori da sentieri battuti e probabilmente conscio delle proprie possibilità come dei propri limiti. Daquino non manca di segnalare affioramenti di originalità, ma episodici, non tali da sconvolgere - nell'ambito in cui il Thio svolse la sua opera di pensatore - un paesaggio culturale ben altrimenti mosso e vivace. Un ambiente in cui "lo studio della 'filosofia naturale', della metafisica e della stessa medicina veniva prospettato in una visione 'ogica' della realtà tutta quanta, non considerando più le varie parti della filosofia come compartimenti-stagno, ma nella loro mutua interdipendenza, alla cui base vi era sempre la preoccupazione di aprire su prospettive nuove la concatenazione del sapere in tutte le sue forme e di stabilire sii strutture efficaci e controllate la validità di tutte le scienze, compresa la logica" (7). In questo paesaggio culturale Thio appariva non un innovatore, ma un onesto sostenitore di scoperte già effettuate.
Basta questo per lasciare Angelo Thio a far la parte del carneade in un limbo di autori condannati a rimanere "sospesi" in una sorta di non aurea mediocrità? Operazioni come quella di Daquino mostrano che anche un autore eventualmente modesto è degno di essere tratto dall'oblio in una prospettiva di capillare ricostruzione del volto dell'umanesimo meridionale, comunque e dovunque esso abbia fatto le sue prove. Se l'operazione di recupero di figure minori e minime non apporterà sconvolgimenti ai quadri consolidati (ma che occorrerà pur rivedere per correggere delle prospettive troppo "parziali" o aprioristiche) servirà certamente a determinare non in modi approssimativi ma precisi ed approfonditi quella fisionomia culturale di una regione che da una parte contribuisce - entrandovi a partecipare - alla costruzione di caratteristiche "nazionali"; da un'altra parte mostra di quale materia sia composta la linea delle culture regionali. E, infine, illuminando i rapporti interregionali, mostra come la cultura, ovunque esercitata, mentre conserva i caratteri che sono propri dell'arca in cui nasce, grazie agli scambi fecondi attuati con altri luoghi e ambienti diversi da quelli d'origine contribuisce a una comprensione maggiore tra gli uomini, a salde forme di intesa e di collaborazione.


Note
1) G, PAPULI, Girolamo Balduino. Ricerche sulla logica della Scuola di Padova nel Rinascimento, Manduria, Lacaita, 1967, p. 7.
2) A. ANTONACI, Ricerche sull'Aristotelismo del Rinascimento. Marcantonio Zimara. Vol. I: dal primo periodo padovano al periodo presalernitano, Lecce-Galatina, Editrice Salentina, 1971, p. 115. Per la delineazione dell'ambiente padovano si rinvia a questo testo e a quello, citato nella n. precedente, del Papuli e alle ricche indicazioni bibliografiche in essi contenute.
3) C. DAQUINO, Angelo Thio, filosofo "apulo" del XVI secolo, "Idee. Rivista di filosofia", a. III, 7-8, gennaio-agosto 1988, p. 184.
4) ID., Introduzione ad A. Thio, L'oggetto della logica, a c. di C. DAQUINO, Maglie, Erreci Edizioni, 1991, p. XXXIX.
5) ID., Angelo Thio, filosofo "apulo"..., cit., pp. 197-98.
6) ID., Introduzione, cit., p. IX.
7) A. ANTONACI, Ricerche..., cit., pp. 118-19.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000