§ L'America dietro l'angolo

Le fatiche di Colombo




Ada Provenzano, Tonino Caputo, Gianfranco Langatta
Coll. Giorgio Franza, Mario De Santis, Rina Formenti



Una rissa invereconda fra due Grandi di Spagna è il primo anello di una catena di avvenimenti che ritardano di almeno sei anni la scoperta dell'America.
Quando Cristoforo Colombo lascia il Portogallo - deluso perché il re non ha accettato i suoi progetti e disperato perché è più che mai carico di debiti - viene in Spagna e sembra avere finalmente trovato la sua fortuna.
Don Enrique de Guzmàn, duce di Medina Sidonia, Grande di Spagna, l'uomo più ricco del Paese, riceve Colombo, lo ascolta attentamente, si interessa ai suoi progetti tanto da essere sul punto di promettere al navigatore (siamo sul finire dell'anno del Signore 1485) di allestire per lui una flotta a sue spese.
Ed ecco che viene a lite con il duca di' Cadice, e questa lite prende sempre più proporzioni di rissa tanto grossa e violenta da giungere all'attenzione del re e della regina, i quali cacciano Medina Sidonia da Siviglia.
E per Colombo è ancora una volta delusione, tanto più amara perchè le cose sembravano ormai avviate per il meglio.
Arrivando in Spagna, Cristoforo Colombo era sbarcato a Palos con il figlioletto Diego (Palos, porto del destino per lui). Poco lontano, verso sud, su un'altura, c'era il convento di La Rabida, tenuto dai francescani: è qui che Colombo aveva lasciato il figlio, che avrebbe trovato anche i maestri necessari alla sua educazione. Ma non soltanto aveva potuto collocare il figlio in modo da esser libero nella sua ricerca di mezzi e di amici: aveva trovato anche fray Antonio de Marchena, che lo aveva presentato a Medina Sidonia.
Ma, come abbiamo visto, la cosa non era andata a buon fine. Colombo, tuttavia, non si perde d'animo.
Frequentando il Medina Sidonia ha conosciuto altre persone facoltose. Primo fra tutti, Don Luis de la Cerda, conte e poi duca di Medinaceli. Anche Medinaceli è attratto dal progetto di Colombo e decide di armare per lui `tre o quattro caravelle bene equipaggiate". Tuttavia ritiene giusto e necessario per una simile spedizione che i sovrani siano informati e diano il loro consenso.
Il 20 gennaio 1486 Colombo è a Cordova per presentarsi alla regina, come questa aveva ordinato a Medinaceli. Deve aspettare fino al mese di maggio, però, per vedere la regina, la quale era andata col marito a Madrid. Colombo, che ora vive a spese del Medinaceli, mette a profitto questo tempo per allacciare una relazione con Beatriz Enriquez de Harana, che sarà la sua compagna fino alla sua morte (gli sopravviverà quattordici anni), ma che egli non sposerà mai, nonostante la nascita di un figlio, Ferdinando.
Forse non sposa Beatriz perché figlia di un contadino, e per questo motivo non presentabile a Corte. E tuttavia un fratello e un cugino di Beatriz avranno incarichi importanti nella flotta di Colombo, che si preoccupa, comunque, di assicurare alla donna una sufficiente eredità anche da parte del primo figlio, Diego.
In aprile, i reali tornano all'Alcazar di Cordova. Nel mese di maggio Cristoforo Colombo viene finalmente ricevuto a Corte.
Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona si erano sposati nel 1469, e con il loro matrimonio avevano dato vita a un regno che comprende la Castiglia, il Leon e l'Aragona: regnano e governano congiuntamente, nel senso che Isabella non è "la moglie del re", ma sovrana alla pari, a pieno titolo. Quando Colombo arriva col suo progetto, Ferdinando e Isabella sono completamente occupati dalla lotta contro i Mori del regno di Granada: cacciarli di lì significa completare la "reconquista" della Spagna, unificare finalmente tutto il Paese in un solo regno, sotto le loro splendide corone.
Isabella, più concreta del marito sempre assorbito dagli intrighi internazionali della diplomazia dell'epoca, assume la gestione dell'affare Colombo. C'è una questione di denaro: in tempi così difficili, la Corona può prendersi l'onere della spedizione, oppure è meglio lasciare tutto nelle mani del Medinaceli? E se poi va a finir bene? Ma può andar bene? E così siamo alla solita commissione che deve decidere sulle possibilità reali del viaggio proposto dal genovese. La commissione deve essere presieduta da fray Fernando de Talavera, priore del Prado, confessore della regina e, poco più avanti, arcivescovo di Granada.
Nell'attesa che la commissione sia formata e si riunisca, Colombo vivrà in casa di Alonso de Quintanilla, tesoriere e amministratore della regina. La commissione si riunisce per la prima volta nell'estate del 1485, a Cordova; successivamente, si riunirà a Salamanca, dove la Corte trascorre il Natale.
E proprio a Salamanca nasce un grande equivoco, che peserà sulla storia che in futuro si racconterà di Colombo. In questa città il progetto di Colombo viene respinto perché i dotti della locale Università non accettano per niente che la Terra sia rotonda. E questo è uno dei più clamorosi falsi storici: la disputa non è sulla sfericità o meno della Terra. Uomini di cultura e marinai, in quest'epoca, sanno perfettamente che la Terra è rotonda. La disputa, invece, verte sulla lunghezza del viaggio da compiere per attraversare l'oceano (per di più, l'Università di Salamanca non c'entra, se non per il fatto che le sedute della commissione si tengono in uno dei collegi del celebre Studium.)
Sul problema della distanza, comunque, ha torto marcio proprio Cristoforo Colombo: o perché vuole di proposito tener bassa questa distanza per avere maggiori probabilità di convincere la commissione, oppure perché ne è realmente convinto. Perché si possa avere un termine di paragone, sarà bene riportare le distanze reali misurate dall'ammiraglio Morison lungo il ventottesimo parallelo, fra i rispettivi meridiani: dalle Canarie al Cipango, cioè l'isola che si incontra "buscando el levante por el ponente", confondendo il Giappone con il non ancora conosciuto continente americano, miglia marine 10.600 (secondo Toscanelli 3.000; secondo Colombo 2.400); dalle Canarie a Quinsai (Hangchow), miglia marine 11.766 (secondo Toscanelli 5.000; secondo Colombo 3.550).
Come si vede, anche Toscanelli sbagliava di grosso, ma Colombo per davvero esagerava. In ogni caso, la Corte, aspettando di capire chi ha realmente ragione, pensa di tenersi Colombo in riserva e gli stabilisce uno stipendio annuo di dodicimila maravedis, che bastano appena a vivere dignitosamente o poco più. L'anno successivo, il 1487, Colombo ritiene che sia giunto il momento in cui i sovrani, che intanto hanno preso Malaga, abbiano tempo per lui. Ma non è così, perché la guerra liberatrice si presenta ancora lunga e difficile. E comunque la commissione non ha ancora deciso nulla. Giunge il 1488, e la situazione di Colombo si fa nuovamente molto complicata. Non viene licenziato, ma neppure gli viene più pagato lo stipendio. Beatriz, che è a Cordova, ha dato alla luce Ferdinando. Qualcosa occorre fare per il viaggio e per la famiglia.
Colombo già da qualche mese ha scritto a re Joâo del Portogallo, chiedendo di ripresentargli il suo progetto: se può avere, però, un salvacondotto che gli eviti l'arresto per i debiti che vi ha lasciato. il re gli ha risposto molto cordialmente, pregandolo quasi di andare subito a Lisbona, tranquillo nei confronti del possibile arresto. Colombo tergiversa per qualche mese, evidentemente ha ancora fiducia nella commissione della regina di Spagna. Ma non accade nulla e lui è arrivato ai limiti della sopravvivenza. Perciò decide di partire per il Portogallo. Dove ancora una volta a delusione lo colpisce duramente. Il re portoghese -Colombo lo capisce subito - non ha più alcun interesse nel viaggio alle indie, passando per ponente. Il genovese è arrivato in Portogallo appena in tempo per vedere l'arrivo di Bartolomeo Dias che aveva doppiato il Capo di Buona Speranza, estrema punta dell'Africa, e che, quindi, aveva aperto la rotta orientale per l'India.
E' lo stesso Cristoforo Colombo che in margine a un foglio della "Imago Mundi" di Pierre d'Ailly annota: "Da notare che in questo anno '88, nel mese di dicembre, è giunto a Lisbona Bartolomeus Didacus, capitano delle tre caravelle che il serenissimo re del Portogallo aveva inviato ad esplorare la terra di Guinca. Egli riferisce di aver raggiunto un promontorio, da lui chiamato Cabo de Boa Esperança, che noi riteniamo trovarsi in Agisinba [Abissinia?]. Afferma di avere in questo luogo rilevato con l'astrolabio di trovarsi a 45 gradi al di sotto della linea equinoziale. Ha descritto il suo viaggio, e lo ha ricostruito lega per lega, su una carta nautica acciocché il detto re potesse prenderne visione. A tutto ciò io sono stato presente".
Testimone oculare, dunque, dei motivi della sua nuova sconfitta. Sconfitta che tuttavia non scalfisce il suo spirito combattivo. Non perde un giorno nel pensare a chi altro rivolgersi. A chi? Spagna e Portogallo sono accantonati. Ma Francia e Inghilterra?
Nel 1489, Colombo fa ritorno in Spagna, mentre manda il fratello Bartolomeo prima alla Corte d'Inghilterra e in seguito alla Corte di Francia a proporre il gran viaggio. Fallimento sii l'uno e l'altro fronte. A Londra, Enrico VII riceve Bartolomeo, ne ha in dono una carta, si interessa al progetto, ma niente di più. In Francia, Carlo VII non finge neppure interesse, e tuttavia la sorella del re - reggente al trono - Anna di Beaujeu, gli dà delle speranze, delle quali Bartolomeo forse approfitta per una sistemazione personale come cartografo. Si installa a Fontaineblcau, e nel 1491 lo stesso Cristoforo, a quanto sembra, sta per andarci, illuso dalle speranze lasciate trasparire da Anna di Beaujeu. Ma i segni che vengono dalla commissione spagnola lo trattengono una volta di più. In
Spagna, Colombo se ne sta un po' a Cordova con Beatriz e Ferdinando, un po' va dal primo figlio, Diego, che èsempre a La Rabida. E intanto si arrovella per trovare il modo di accelerare i tempi. Ogni tanto gli torna un fastidioso pensiero. Nel 1484 era arrivato a Lisbona da Norimberga un giovane molto intraprendente, Martin Behaim: questi era portatore di un progetto pericolosamente vicino a quello del genovese, salvo un particolare importante. E' inutile, e anche impossibile, cercare di capire se il progetto è tutto suo, oppure se l'abbia copiato. Sta di fatto che possiede buone entrature, e presto o tardi potrebbe anche indurre qualcuno a lasciargli realizzare il viaggio. Colombo ne è turbato. Non ha paura per i suoi piani: ha paura che qualcuno, senza capire nulla, dia via libera a questo concorrente. In effetti, la chiave dell'impresa di Colombo, in termini di fattibilità marinara, sta nel fatto che egli progetta di partire dalle Canarie, mentre Behaim intende partire dalle Azzorre. Colombo, muovendo da sud, fruirà di quei venti favorevoli che chi parte da nord non può trovare; anzi, dovrà lottare contro i venti a sfavore. Nel 1490, tuttavia, Behaim torna a Norimberga. Nel 1491 non c'è più alcun pericolo incombente sul genovese, che tuttavia non riuscirà a mettere a frutto il suo asso nella manica: partire dalle Canarie. Il destino ha deciso diversamente. E il resto è già un'altra storia.

Una Yalta dei Cinquecento

Le superpotenze dell'Oceano Mar

C'erano due modi di guardare alle Americhe nei decenni successivi alla scoperto, quando le navi ormai filavano sempre più veloci e sicure sull'oceano. C'era chi fissava l'orizzonte, in mare aperto, con l'occhio avido di ricchezze materiali, sognando saccheggi e città tutte d'oro. E c'era chi saltava sulle navi per sognare, con occhio non meno avido, un intero mando di anime da salvare: milioni di convertiti potenziali che colmavano l'orizzonte fin dove arrivava lo sguardo.
Spagna e Portogallo, che il 17 giugno 1494, due anni dopo il viaggio di Colombo, già si spartivano il mondo a Tordesillas, in un primo tempo avevano nominato arbitro il papa Alessandro VI. Questi aveva tagliato il mondo in due parti precise, con un colpo di spada che spaccava le corte nautiche cento leghe a ovest delle isole dei Capo Verde. Portogallo e Spagna, fatti due conti, decisero un ritocco, e la linea di divisione venne spostata di qualche grado, 370 leghe (1.300 miglia) più in là, sempre in mare aperto. Ad ovest dei meridiano, che nell'altro emisfero ricadeva fino a comprendere il Giappone e le isole Marianne, la Spagna era padrona, ad est, vigilava il Portogallo. Nessuno sapeva che cosa toccasse di preciso alla Spagna, mentre era certo che al Portogallo toccavano le coste dei Brasile, l'Africa, le Indie e praticamente l'intera Asia. Alessandro VI morì poco più tardi.

Il suo successore, Giulio II, mentre i "conquistadores" con elmo e corazza davano il via al saccheggio delle Americhe, creò il corpo dei "conquistadores" spirituali, armati di crocefisso, la cui missione era mettere a sacco le culture religiose locali. In altri termini: cristianizzare il Nuovo Mondo.
Non era un proposito da poco: l'America era immensa e le casse dei Papato erano vuote. Per riuscire nell'impresa, la Santa Sede doveva appoggiarsi alle Corone di Spagna e di Portogallo, accollando loro il costo delle missioni. Coi Portogallo, in verità, il Papato era d'accordo fin dal 1452, quando Leone X aveva concesso alla corona portoghese, unica superpotenza marinara del mondo, l'esclusiva delle missioni su tutta la Terra (all'epoca, ancora piatta). Giulio Il ritoccò questo accordo, come Spagna e Portogallo avevano ritoccato le carte dei suo predecessore al Sacro Soglia.
Con la bolla "Universalis Ecclesiae", promulgata nel 1508, il Papato concesse al re di Spagna il monopolio delle missioni sui territori di suo dominio' allo stesso prezzo già accordato al Portogallo: in cambia dei diritto d'occupare metà del pianeta nel nome di Nostro Signore, la Spagna si impegnava "a inviare missionari in numero adeguato, procurar loro il passaggio gratis, far pervenire ad essi un viatico, provvedere alla costruzione di chiese e di presbiteri". Fu un buon accordo per tutte le parti. "Conquistadores" laici e religiosi lavorarono a lungo in perfetta armonia. Era un autentico lavoro di squadra: il soldato preparava il terreno alle conquiste spirituali dei sacerdote, e questi consolidava le conquiste militari dei soldato.
Ogni anno, insieme ai soldati e ai mercanti, le navi dei re cattolicissimi scaricavano nell'America centrale e meridionale, nella provincia di Cuzco e nelle Antille, a Bogotà e a Città dei Messico, anche le "divisioni" del papa. Erano gruppi di regolari e di secolari, che si stabilivano nelle città "contendendosi la nomina di cattedrali e collegiate", oppure viaggiavano spericolatamente verso l'interno, "assumendo l'incarico delle missioni indiane". A scoperta dell'America ancora fresca, nel 1502, sbarcarono nel Nuovo Mondo i primi francescani; seguiti otto anni più tardi dai domenicani e, nel 1519 e nel 1533, rispettivamente dai mercedari e dagli agostiniani.
UItimo ordine religioso a scoprire l'America Fu quello dei gesuiti, nel 7568. Fu l'ultimo, è vero, ma fu anche quello destinato a lasciare, nelle Americhe, le tracce più mirabolanti: tracce di utopia, tracce di modernità, molto spesso da ammirare, qualche volta da discutere. Comunque, gli ordini religiosi erano in America, e senza perder tempo cominciarono a gettare le basi del Cristianesimo nel Nuovo Mondo, che fino a quel momento si era accontentato di religioni elementari che crollarono come castelli di carta al primo soffio dei venti che trascinavano attraverso il mare le legioni papiste.
Nelle Antille, già nel 1511, c'erano ben tre vescovi, mentre Città del Messico e Lima divennero arcivescovadi nel 1564, precedute da Bogotà e Santo Domingo, arcivescovadi dal 1553 e dal 1545. Nel 1583, a Limo, si tenne un sinodo che mise a punto metodi e programma dell'opera missionaria nei possedimenti spagnoli. Lo presiedeva l'arcivescovo Toribio di Mogrovejo, il quale governava una diocesi che comprendeva anche il Nicaragua e una buona metà del Cile.
Fu il sinodo a stabilire che il catechismo venisse tradotto nella lingua aymara e nella lingua quechua parlate dagli Incas.
Ovviamente, non era lo stesso catechismo insegnato in Europa. Era un catechismo semplificato, per così dire "a tempo": il primo livello destinato al largo consumo. il secondo leggermente più complesso e, infine, il terzo pienamente sviluppato. Ma nondimeno era un catechismo, e per di più in lingua indigena, vale a dire una testa di ponte culturale, molto più solida di qualunque fortezza militare. E la diceva lunga sui progetti della Chiesa riguardo alle Americhe, assai più lungimiranti di quelli delle due potenze che, pochi anni prima, si erano spartite il mondo, disputandosi addirittura la scoperta di Colombo.
Mentre la corona portoghese e quella spagnola erano accecate dalle ricchezze delle Americhe e pensavano solo a riempire le stive delle navi di oro e di argento, le divisioni del papa accumulavano conoscenze e guardavano lontano: alla conversione di un intero continente, nuovo alle religioni complesse, vergine di grandi cosmologie. Nel Nuovo Mondo, che Cristoforo Colombo aveva portato in dote dai suoi viaggi, il messaggio cristiano non doveva subire la concorrenza di religioni sovente più antiche e sempre altrettanto ricche di contenuti, come quelle che si incontravano andando verso est. lungo la Via della Seta. In oriente si combatteva ad armi pari, religione organizzata contro religione organizzata, ma nelle Americhe lo spirito era giovane, la religione puramente animistica, e il missionario quasi non incontrava resistenza viaggiando di villaggio in villaggio, al seguito dei soldati o anche da solo, attraverso regioni ancora sconosciute, alla ventura. Volendo, era concorrenza leggermente sleale il confronto militare tra chi, come gli amerindi, ancora non avevano scoperto la ruota e gli europei, che avevano già scoperto, e da un pezzo, sia il cannone che l'archibugio: le sontuose cerimonie cattoliche, i fascinosi canti cristiani, il culto spettacolare, le preghiere e i sacramenti affondavano nelle culture religiose locali come dita nel burro, soprattutto dopo l'arrivo dei gesuiti, grandissimi incantatori d'anime.
Del resto, non ci furono solo conversioni. Missionari come Pietro di Gand, José de Acosta e Bernardo di Sahaguan, animati da un'autentica passione scientifica oltre che di spirito convertitorio, scrissero opere d'etnografia e di linguistica tuttora fondamentali per la conoscenza delle civiltà indiane. Conoscenza e conversione furono l'una il sottoprodotto dell'altra: ogni conversione arricchiva il bottino delle conoscenze, ogni nuova conoscenza accresceva il numero delle conversioni. Si dice che il sacco religioso delle Americhe, guadagnate rapidamente al Cristianesimo, non sia stato meno atroce, sanguinoso e brutale della loro conquista militare. E in parte è così. Ma una cosa va riconosciuto ai missionari. Furono soltanto ed esclusivamente loro - i missionari, uomini come Padre Bartolomeo de Las Casas, che nel 1552 condannò le razzie e le atrocità compiute da Pizzarro in Messico - ad alzare qualche volta la voce in difesa degli indiani, che gli eserciti di Spagna e del Portogallo, in un delirio di distruzione, cercavano di cancellare dalla faccia, dei mondo. Altre proteste furono sollevate dal francescano Nicola Herbon e dal domenicani Antonio da Cordova, Giovanni Focher, Francesco da Vittoria, Domenica de Soto, Melchiorre Cano e Bartolomeo da Medina. Erano voci isolate, ma forti e chiare, senza le quali lo scacco morale dell'Europa, durante e dopo la conquista, sarebbe stato completo.
Furono altri gli errori delle missioni, nei primi anni dopo la scoperta delle Americhe: il Cristianesimo, dopo aver sbaragliato le religioni locali, rimase la religione dei conquistatori, e le missioni, in un secolo d'evangelizzazione, non riuscirono a ordinare un solo sacerdote indigeno. Erano stati creati, a questo scopo, appositi collegi, uno a Santiago Tlaltelolco, non lontano da Città del Messico, e un altro a Lima per gli Incas.
Ma non ne venne fuori nulla: il primo collegio venne chiuso in fretta, e quello di Lima ordinò soltanto sacerdoti spagnoli di sangue puro. Intorno alle missioni, intorno alle chiese e alle cattedrali, nascevano città-giocattolo, che scimmiottavano quelle europee egli indiani venivano battezzati in massa. Ma il catechismo in lingua aymara e in lingua quechua restò semplificato ancora a lungo. Poi venne il tempo dei gesuiti, che a nord Fondarono l'attuale Maryland, la Terra di Maria, e che a Sud tentarono il primo esperimento comunistail cosiddetto "Stato Musicale" del Paraguay, nato e morto nelle selve vergini abitate dai "guarany" e dai "chiquito", tra i fiumi argentati e le oscurità di smeraldo. Cominciava la leggenda. Che dura ancora oggi.


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