§ Il corsivo / 1

Il serpente nello spot




Milla Pastorino



Il serpente, inteso come tentatore, come seduttore, come accattivante venditore "porta a porta", ammesso che l'Eden avesse porte e ammesso che di Eva da invogliare ne esistesse più d'una.
Comunque, allora bastò una mela e, come ben sanno i pubblicitari, fu lei a convincere lui. E, dalla cacciata dal Paradiso terrestre in poi, forse per farsi perdonare, è sempre stata Eva a fare da tramite insinuante fra il serpente della pubblicità e il bilancio della famiglia. E' per questo che negli spot televisivi, ma anche nella realtà, vediamo frittelle che orrendamente sorridono al tocco della forchetta ammansendo figli reduci da sinistri "rave party" e mariti sfiancati da super tecnologie produttive. E' sempre per la stessa ragione che figli chiaramente ipernutriti rinunciano a serate con gli amici per assaggiare cose surgelate promesse da mamma, quando invece non trasferiscono a casa l'orda degli amichetti per divorare la provvista di qualche gelato conservato in firigorifero.
Attenzione: il serpente non striscia soltanto in famigliole per bene, con interni arredati alla "nonno Ugo". No, il serpente si insinua anche là dove la donna è sola, e per una volta sembrerebbe capovolto il mito, perché c'è di solito un signore, magari non bello ma affascinante, che propone - poniamo - ammorbidenti irresistibili. E sembra proprio che stavolta sia lui, il serpente, perché ecco lei sconvolta dalla possibilità di un morbido più moribondo. Ma, attenzione: lui si ripresenta, ed ecco Eva in tutta la sua sapienza, basata magari su un piumino di cipria formato gigante da strisciare sul viso di lui, uggiolante e sottomesso. E già siamo nel campo degli spot allusivi, dove il serpente ha proprio lo stesso significato di quello dell'Eden, e la mela, qualunque sia la marca, è sempre "quella" mela. Che porta il capo famiglia a indossare, con brividi orgasmatici, i jeans che lei ha lavato e ammorbidito come sopra; che fa dire a lei "ora che l'ho provato non lo cambio più" e chissà a chi e a che cosa allude, apatie il fustino miracoloso del bianco più bianco.
Da qualche tempo (forse per la fine del baby boom), gli spot danno molta importanza ai cibi in scatola per animali. Meno neonati meno omogeneizzati. Più animali e dunque più scatolette. Il che non vuole essere una ipotesi sui contenuti, per carità. Comunque, queste pubblicità di cibi per animali sono spesso di una estrema seduttività. Molto raramente vediamo aitanti giovanotti, ben portanti signori di mezza età o robusti agricoltori sfamare a scatolette il loro cane. Molto, molto più sovente assistiamo a scene in cui languidissime signore (che hanno, chissà perché, quasi tutte lo stesso gatto persiano grigio, forse sempre lo stesso) letteralmente seducono il loro amato micio. Dandogli il contenuto della scatoletta non, come accade nella nostra vita quotidiana, in un angolo della cucina o del terrazzo, ma fra sete e cuscini, non prima di intense manifestazioni di affetto al limite dell'imbarazzante. Boh.
Quando dai cibi e dai gatti si passa ai profumi, lo scenario non cambia, anche se siamo tutti più disponibili a certe stranezze.
Per esempio quel profumo del quale non si possono mettere MAI più di due gocce, come fosse veleno, ma in realtà si vuole alludere all'incredibile Potere afrodisiaco del liquido in questione. Tanto che seguono grovigli di uomini donne bambini chiaramente travolti da una profumata follia. Il che pare eccessivo, come pare eccessivo, ed è sempre collegato a un profumo, quel raduno di impiegati forse in pausa mensa che, avvolti in asciugamani (e si allude al bagno turco) sghignazzano, e certo non stanno parlando del loro capufficio, né del computer. Tuttavia, anche negli spot dei profumi è, come sembra normale, la donna ad avere la meglio. Promettendo vendetta a un macho chiaramente appena domato e abbandonato sul suo grembo, ma anche apparendo moltiplicata per cento, per mille, alle finestre di quello che potrebbe essere un Grand Hotel o una reggia, per gridare a un invisibile uomo: "egoista!". Un uomo che, a giudicare dal numero delle fanciulle, deve essere fondamentalmente masochista.
Che poi, pover'uomo, fa anche tenerezza, perché raramente esce bene dagli spot che lo coinvolgono. C'è una bellissima vicina di casa che gli fa balenare una serata di proibite passioni, ma è solo per rubargli un gelato... E c'è, quella che, dopo una lite, getta tutto ciò che, si suppone, lui le abbia regalato: pelliccia, perle, diamanti, salvo a tenersi, l'infame, le chiavi dell'automobile...
Su un terreno più casalingo, ecco la furbastra che usa XY per i suoi pavimenti: per cui ha la giornata libera (e non vogliamo sapere come la usa), salvo a mostrarsi sfìnita al ritorno del consorte.
Quasi più malvagia di quella che costringe marito e figli a un continuo sollevare di piedi per dimostrare che la sua cera asciuga in un lampo. Molto più simpatiche, e oneste, le decine di finte Carmen che gettano in aria i secchi delle pulizie in omaggio a non so quale detersivo. A proposito di detersivi: avete notato la rimonta delle suocere? Un passaggio quasi indolore: dalla odiosa saccente che non fa mai strapp alla dolce signora che affettuosamente (ascoltatissima) consiglia prodotti antimacchia. E' lo stesso viso, ma tutta un'altra cosa. E a proposito: mi piacerebbe rivedere la suocera che a suo figlio non aveva mai dato una certa carne in scatola, carne che lui mostrava di gradire. Che direbbe oggi, con il surgelato nel microonde?
Povere suocere, povere nonne, costrette dal baby boom a brutali aggiornamenti, mettendo in piazza la loro incontinenza, visto che molte fabbriche di pannolini sono state convertite in fabbriche di pannoloni.
O trasformandosi, da dolci vecchiette del cacao, in astute donne d'affari che sottoscrivono polizze grazie alle quali "non saranno di peso a nessuno", tranne al marito col quale, progetta un viaggio a New York dove forse saranno aggrediti appena scesi dalla metropolitana, se non addirittura sulla metropolitana stessa.
Eh, sì, gli anziani sono anziani anche negli spot pubblicitari. Anche quando non ostentano le dentiere e magari si improvvisano cuochi per tutta la famiglia, che magari è il solo modo per non essere depositati in una casa di riposo.
Ma torniamo al serpente, quello dell'Eden. Abbiamo detto delle scene di seduzione collegate magari al formaggio a fette (quante imitazioni de "Il grande freddo" con gli amici in cucina abbiamo visto in questi dieci anni?), non abbiamo detto delle calze. Che non sono soltanto eventuali prove a carico di una vittima di stupro (vedi processo versus William Kennedy), ma sono quasi sempre occasione per uno spogliarello a rovescio, durante il quale sinuose fanciulle di gamba lunga infilano le calze esattamente come se stessero togliendole. E se non mi credete, guardate con più attenzione il prossimo spot.
E poi, e poi. Come avete reagito quando un grande titolo dalle pagine del vostro settimanale preferito vi ha aggredito chiedendovi: "Perché gli italiani non scopano più come una volta?". Peggio per voi se avete pensato a un quiz e vi siete sforzati di rispondere. Bastava guardare il resto della pagina: era la pubblicità di un aspirapolvere. Proviamo a chiederci il perché di una scelta così azzardata: forse la risposta non è nella fervida fantasia del pubblicitario, ma in una ormai consolidata abitudine a linguaggi che fino a qualche anno fa avrebbero sconcertato non solo le nonne più anziane e conformiste. Passato il tempo delle allusioni, tipo "chi mi ama mi segua,, che mostrava un notevole sedere ma anche un paio di jeans con un nome di tutto rispetto anche per i meno religiosi, siamo ormai non all'allusione, ma alla esplicitazione.
Che non ha nulla a che vedere con l'esternazione, ma forse, chissà. E, su questa linea, ecco il "vestitevi come Kappa vi pare", ed è pubblicità di maglie sportive, ma allude, oh se allude.
Mi fermo qui. Non voglio commentare mani che mostrano lunghezze (formalmente di radio), o robe del genere. Però trovo che il serpente stia esagerando. Finirà, è una previsione, per mordersi la coda. E, si sa, un serpente che si morde la coda è uno dei segni che indicano lo zero.

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