§ Sud oggi

L'illusione di un ricco Mezzogiorno




Giuseppe Galasso



Mi è già accaduto di soffermarmi sul discorso che Benedetto Croce tenne a Muro Lucano il 10 giugno 1923 su `il dovere della borghesia nelle province meridionali'. Ne rilevai allora il significato di documento di alta ispirazione morale, ma, insieme, di monito senza tempo e anche senza luogo, dato che i doveri prescritti alla borghesia meridionale (superare egoismi e particolarismi, per seguire il bene comune e l'interesse generale) sono doveri certo non limitabili a nessuna classe, luogo o tempo.
Inoltre, osservai, di lì a pochi anni il saggio di Croce che qualifica la borghesia come 'un equivoco concetto storico" avrebbe chiarito che la classe a cui egli si rivolgeva nel 1923 parlando a Muro Lucano era una pura convenzione terminologica, e avrebbe messo in tutta evidenza ciò che giù il testo di quel discorso dimostra, e cioè che esso è rivolto in effetti ai singoli componenti della classe evocata e non già a quest'ultima nella sua equivoca generalità. Vorrei ora avanzare qualche altra considerazione sulla collocazione storico-geografica dei 'dovere' di una 'classe' che si ritrova nel discorso di Muro Lucano.
Già la Storia dei Regno di Napoli, scritta da Croce proprio allora, aveva chiarito che Mezzogiorno voleva dire per lui uno spazio storico, non già uno spazio geografico determinato nella sua struttura e condizione naturale.
Della Storia del Regno di Napoli il discorso di Muro Lucano riflette, anzi, lo spirito e le conclusioni con un accento che va notato nella sua particolare inflessione. Vi si sviluppa il tema della diversità tra la vita della capitale e quella delle province dell'antico Reame, e si ricordano "le tristi condizioni nelle quali per secoli giacquero le province napoletane, e la povertà e l'ignoranza e la rozzezza e il quotidiano brigantaggio e le fazioni dei baroni e quelle delle famiglie borghesi e la violenza delle plebi rurali, e come tutte queste cose le rendessero inerti o avverse agli impulsi ideali e politici che provenivano dalla capitale, a, quel che è peggio, le portassero a deformare e falsare quegli impulsi originari, sicché nella capitale l'antagonismo era di giacobini e di realisti, o di liberali e di borbonici, e qui, sotto quelle denominazioni, si convertiva assai spesso in quello di famiglie e di gruppi di famiglie, divise da gare economiche e più ancora da gelosie che si esasperavano in feroce di odi". Si ricorda pure, però, che "la storia e l'esperienza non mostrano solo questi aspetti della vita delle province nostre, ma anche altri sani e generosi: tesori di virtù domestiche, di costume semplice e laborioso, vigore d'intelletti e gagliardia di caratteri, che si riversavano di continuo nella capitale e le davano gli uomini migliori per le magistrature, per l'amministrazione, per la politica, per la scienza e per le lettere". E queste benemerenze della classe borghese o del `ceto civile', come si chiamava, sia nella secolare lotta contro il feudalesimo a tutela e rivendicazione dei diritti del comune, sia nell'amministrazione locale, non dei tutto così partigiana e rovinosa come i polemisti asseriscono, sono state "troppo trascurate" - dice qui Croce -, mentre "sono state, sia pure a fin di bene, raccolte tutte le memorie di molteplici malanni che afflissero e affliggono la vita provinciale e municipale dell'Italia meridionale".
C'è, dunque, qui uno sforzo di applicare il criterio generale della Storia del Regno di Napoli (che è un criterio generale della metodologia storica crociana: la storia si fa dei positivo, non del negativo) al problema particolare della "borghesia" meridionale e ad aspetti della vita provinciale e municipale verso i quali l'attenzione di Croce non mancò mai (e non si deve pensare soltanto ai due bei saggi' su Pescasseroli e Montenerodomo).
Il punto di vista adottato nel discorso del 1923 non va, però, oltre la chiarificazione derivata dalla riflessione storica che il suo "dovere" la "borghesia lo ha saputo e potuto svolgere anche nel passato, a ulteriore dimostrazione che il problema morale è degli individui e non della classe, ed è assoluto, anche se storicamente configurato secondo tempi e luoghi".
E Croce aggiunge, infatti, subito che "in ogni caso quel che la storia ci dice e la realtà ci mostra è un conto, e quel che noi possiamo e dobbiamo fare o tentare è un altro conto; e la prima considerazione non ha altro rapporto con la seconda, cioè con l'azione da esercitare, se non quello di una istruzione che, facendo consapevoli delle difficoltà, ispira avvedimenti e cautela e forze adeguati, e consiglia modestia e umiltà, che son cose che non guastano mai".
Difficile, dunque, dare al discorso di Muro Lucano una valenza meridionalistica specifica, oltre quella confortata dal pubblico a cui Croce si dirigeva. L'essenza concettuale, per dirla in termini solenni, dei discorso resta quella indicata, per cui "il dovere della borghesia nelle province napoletane" è il dovere dell'impegno e dell'azione morale, che è proprio di ogni borghesia e di ogni uomo, sempre. Né la cosa può costituire motivo di sorpresa. Non solo Croce era coerente con il senso generale e particolare di tutta la sua filosofia. ma era coerente pure con quanto in qualche altra specifica occasione gli era avvenuto di osservare in materia di questione meridionale, e che non era molto, riducendosi, in pratica, alla recensione dei due volumi di Giustino Fortunato su Il Mezzogiorno e lo Stato italiano, al loro apparire, nel 1911.
"Se, dopo mezzo secolo di unità, il problema meridionale, che già balenò nell'alta mente di Cavour, è stato riproposto in forma seria, si deve a lui", scrisse allora Croce. E ciò perché "nel libro del fortunato si può dire che si compia la crisi di un'illusione, o di uno di quei giudizi convenzionali che per lungo tempo hanno impedito la schietta e compiuta intelligenza della storia napoletana, rendendo inesplicabili le sue vicende politiche e civili: l'illusione della somma fertilità e ricchezza dell'Italia meridionale". E anche se "questa illusione entrava in contrasto non solo con la tristezza della nostra storia, ma con le osservazioni che si facevano e coi lamenti che si levavano dai nostri scrittori politici per tutte le parti della nostra vita, prese a una a una", tuttavia - proseguiva Croce - "ciò non toglieva che restasse pur sempre la ferma persuasione generale: che i mali erano superficiali e contingenti, dovuti a colpe di principi e a negligenza di popoli, e le condizioni naturali dei paese affatto privilegiate sopra tutte le contrade d'Italia e d'Europa".
Aver dissolto questa 'illusione' era, perciò, un merito duraturo di Fortunato, e giovava non solo in politica, bensì anche agli studiosi di storia napoletana. In politica, inoltre, il discorso di Fortunato innalzava "l'animo alla considerazione della virtù di queste popolazioni meridionali, e valgono come simbolo, della forza redentrice che esse chiudono in loro stesse". E questo era già, come si vede, il piano sul quale più meditatamente e specificamente si sarebbe mosso il discorso del 1923. Il che può apparire, ed è riduttivo rispetto sia al significato generale che all'importanza politica del pensiero e dell'azione meridionalistica di Fortunato, ma, intanto, ne coglieva senz'altro la caratteristica più originale e di maggiore incidenza storica e, in secondo luogo, ne ampliava il significato nella direzione di sviluppi storiografici sicuramente importanti.

Luoghi comuni

La ribellione delle coscienze

Gli stereotipi sono duri a morire, e quello più emblematico vuole che a Sud siano più o meno tutti mafiosi, o comunque contigui alle mafie, omertosi, complici, conniventi. Da tempo, invece, la coscienza civile è in rivolta: dapprima individuale, poi organizzata, e comunque contrapposta al cartello del crimine. Il primo esempio è venuto dalla Campania, con quell'"Osservatorio della camorra" che ha incalzato autorità locali e regionali, ha messo in piazza Fatti e misfatti delle "paranze" camorristiche e dei gruppi che con esse avevano rapporti di vario tipo (affaristico, clientelare, ecc.). E sempre in Campania erano sorti diversi centri, per lo più a sfondo politico e culturale, con l'obiettivo di aggregare intelligenze e di progettare attività di studio e di conoscenza dei fenomeni criminali, attività preliminari ad azioni più concrete di denuncia pubblica delle metastasi camorristiche nella società e nei gangli dei pubblici poteri.
Molto più tenue l'impegno in Calabria e nelle aree pugliesi investite dalle organizzazioni malavitose calabresi e campane. La 'ndrangheta è uscita allo scoperto, con una impressionante serie di omicidi, solo da alcuni anni, trasformandosi da "mafia con le scarpe lucide" (nel senso che evitava accuratamente i reati sangue) in mafia aggressiva e persino stragista. L'arretratezza economica, le stratificazioni classiste, le colpe dei Palazzi, hanno quasi spento ogni capacità d'iniziativa e ogni forma di reazione civile in questa regione, mentre nelle province pugliesi il fortissimo individualismo ha impedito finora la crescita di organismi programmaticamente votati a contrastare l'avanzata delle cosche.
E' proprio in Sicilia, regione che ha storicamente registrato il primato nel crimine organizzato, che le organizzazioni di resistenza alla mafia sono sorte quasi per germinazione spontanea, articolando i propri interventi in tutti i campi della vita pubblica, con reti di informazione e con agguerriti gruppi di lavoro. Primi a spezzare il silenzio e le griglie dell'omertà, gli appartenenti all'Associazione di Coordinamento Antimafia, emersi pubblicamente in occasione del maxiprocesso del 1981: hanno sezioni in tutta l'isola e in tutto Italia, con significative presenze a Udine e a Vicenza. Due i principali livelli d'intervento: la pubblica denuncia degli uomini politici compromessi o colludenti con le famiglie mafiose, e lotta al cosiddetto "terzo livello".
Promuove la cultura antimafia nelle scuole, organizza convegni e incontri tra magistrati, giovani, parenti delle vittime, aggrega giovani dei quartieri ad alta densità mafiosa e li aiuta a prendere coscienza dei propri diritti e doveri e della libertà di voto, di lavoro, di movimento.
Sempre nel capoluogo siciliano agisce il Comitato antimafia, operativo in particolare nei quartieri Brancacciò e Settecannoni, nei quali si sono verificati negli ultimi anni i delitti più feroci. Lavora per la crescita di una cultura antimafia, aiuta chi è colpito o perseguito dalle famiglie ma se. Sul terreno dell'informazione è impegnato anche il Comitato antimafia Brancaccio-Ciaculli, mentre la Comunità di Capodarco si occupa prevalentemente dei giovani diseredati e di quelli "a rischio". E sempre sul terreno culturale agiscono i gruppi universitari di Primavera '90, abbastanza vicini all'ex sindaco e neodeputato Leoluca Orlando, come gli esponenti del Comitato dei 71 mila, che prende il nome dal numero di preferenze ottenuto dall'esponente politico siciliano, a sua volta contiguo al Centro che vide impegnati padre Pintacuda e padre Sorge. oggi rappresentato dal solo Pintacuda.
Un caso a parte rappresenta l'International Commitee of Immigraten Children, fondato da una signora francese, residente a Palermo: si occupa dei figli degli immigrati tunisini (ma anche, in genere, maghrebini) per sottrarli al reclutamento iniziatico mafioso. Promossi invece dai cattolici, il Gruppo Daniele (che lavora sul piano politico e da un paio d'anni organizza contromanifestazioni nella ricorrenza dell'anniversario dell'uccisione di Piersanti Mattarella) e il Gruppo Luca, formato da dipendenti dei Centro Elettronico della Cassa di Risparmio.
L'Associazione Donne contro la Mafia sostiene le vedove (da lupara bianca e da lupara tout court), mentre l'associazione Dipingi la Pace, guidata da padre Turturro, agisce nel borgo Vecchio, uno dei quartieri più degradati del centro storico di Palermo, di fronte al carcere dell'Ucciardone: nel giro dei suoi interessi, gli emarginati, i diseredati, i giovani a rischio dei quartiere. Diretto da padre scordato, invece, è il Centro San Saverio, attivo nell'area dell'Albergheria.
Poi, contro le zone dell'indifferenza e dei disimpegno intellettuale, l'attività della rivista Il Segno,, periodico che opera nel quartiere dell'Uditore, e della rivista Antimafia.
L'insieme di queste associazioni e di questi centri e gruppi è riunito nel Comitato 3 Settembre, data che ricorda il giorno dell'omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa, dei quale fanno parte anche altre aggregazioni, quali il Movimento Città per l'Uomo, l'Arci, il Centro Riforma della Politica, il Movi, il Gruppo Asiago, la Caritas, le Acli, il Centro Socioculturale Ricerca, il centro Quaderni Società Civile, la cooperativa I Siciliani, la Confesercenti. A se stanti, invece, il Centro Terranova, fondato dal magistrato poi ucciso dalla mafia, oggi attivo centro-studi, e la Fondazione Costa-Centro Reina, intestato all'ex segretario Dc Fatto fuori dalla mafia.
A Catania, altro epicentro mafioso regionale, operano Città Insieme, che aggrega migliaia di persone di estrazione cattolica e laica e redige durissime denunce contro le collusioni politiche con la mafia; l'associazione Comunità, legato a Città Insieme, che interviene sul terreno più propriamente sociale; l'Associazione San Cristoforo, che si interessa dei, giovani del quartiere che ha la più alta percentuale italiana di delinquenza minorile; l'associazione I Siciliani, che si muove sui campi della politica e della denuncia sociale. Da qualche tempo è nata, anonima, un'associazione antiracket ha solo un numero di casella postale (il 273) alla quale dovranno essere indirizzate adesioni e denunce.
A Gela, tutte le associazioni studentesche sono riunite nel Centro Polivalente, spiccatamente impegnato sul piano sociale. A Niscemi, in condizioni estremamente difficili, opera il gruppo che fa capo alla rivista L'Anagrafe, che lavora per spezzare la cultura mafioso dominante nel paese nisseno, mentre a Canicattì Giuseppe Livatino, cugino del magistrato recentemente ucciso, dirige Tecnopolis, gruppo che organizza convegni, incontri, manifestazioni. A Palma di Montechiaro sono riuniti nel Cocipa numerosi gruppi e associazioni, comprese quelle studentesche.
A Trapani, altro vertice isolano ad altissima densità mafiosa, sono molto impegnati due gruppi: quello che fa capo al giornale antimafia Il Pungolo. vicino alla Dc, e l'altro, Comunità Saman, che però, dopo l'uccisione del suo promotore, Mauro Rostagno, ha perso buono parte della sua corica di denuncia. Celebre, ormai, l'Associazione
Imprenditori di Capo d'Orlando, che riunisce quanti si sono ribellati al racket mafioso: svolge una cospicua attività di denuncia per tutta la città e per l'intera area confinante. Infine, a Ragusa, l'impegno fa capo alla rivista La Società Civile, vicina a Nando Dalla Chiesa, e ad Augusta a Città per l'Uomo, gruppo di volontoriato.
Al di là di piccoli e disaggregati gruppi studenteschi, non esistono praticamente organizzazioni antimafiose a Messina, ad Enna, a Caltanissetta, a Siracusa: e non perché si tratti di "province babbe", sempre nel nome di uno stereotipo anch'esso superato; ma perché sono ancora ferme, o bloccate, e coscienze civili.


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