§ I conti del Paese

Nord privilegiato nella spesa pubblica




S. B.



Dobbiamo essere grati a Giuseppe De Meo, dell'Accademia dei Lincei e già presidente dell'Istat, e a Giuseppe Carbonaro, di una loro nota di estremo interesse comunicata alla più celebre Accademia italiana, dal titolo "il Mezzogiorno debitore, del Nord?". Grati, perché quella nota Fornisce una serie di dati rigorosamente analitici sul dare e sull'avere tra Nord e Sud, documentando l'infondatezza di alcuni luoghi comuni che descrivono il Mezzogiorno come un'area assistita, quindi debitrice dei Settentrione. Inutile sottolineare l'estrema attualità di questo tema. Nella loro analisi, i due studiosi prendono in esame una serie di elementi socio-economici. Cominciamo dal confronto fra consumi e produttività delle due aree.
Si sostiene spesso, scrivono gli autori, che il Sud vivrebbe al di sopra dei propri mezzi perché, in relazione al prodotto pro-capite, il consumo per abitante risulterebbe nel Mezzogiorno molto elevato.
Nell'87, ad esempio, a fronte di un consumo per abitante pari al 76,6% di quello del Nord, il prodotto pro-capite è pari soltanto al 57,5% di quello relativo al Nord. L'argomentazione è inconsistente, confutano De Meo e Carbonaro, giacché non l'intera popolazione, ma solo quella addetta alle attività produttive si deve prendere in considerazione, dal momento che nella popolazione meridionale la percentuale dei bambini, dei ragazzi e dei giovani senza lavoro, che non contribuiscono alla produzione, è molto più alta che nel Nord. Fatta questa doverosa correzione, si scopre che il prodotto medio risulta essere nel Mezzogiorno pari al 77,6% di quello del Nord, percentuale non inferiore a quella dei consumo pro-capite, anzi leggermente superi ore.
Consumi collettivi. Si sostiene, a prova dell'assistenzialismo accordato al Sud, che nel Mezzogiorno la percentuale dei prodotto interno lordo dei consumi collettivi è particolarmente elevata: 74,5% nel Nord, contro 24,6% nel Sud. In realtà, l'incidenza sul Pii di questi consumi risulta al Sud maggiore a causa dei prodotto relativamente basso dei settore privato nelle meno sviluppate aree meridionali. Distribuendo invece l'erogazione di molti servizi pubblici (difesa, giustizia, servizi generali, ecc.) in proporzione alla popolazione, si ha che i consumi collettivi sono confluiti per il 64,2% al Nord e per il 35,8% al Sud, secondo una proporzione molto vicina ai pesi demografici delle due aree geografiche (rispettivamente pari al 63,6% e al 36,4%).
Altra accusa al Sud. nel Mezzogiorno si preferisce l'impiego pubblico a quello privato, come dimostrerebbe la più alta percentuale di dipendenti pubblici meridionali in rapporto al totale degli occupati. Ma questa percentuale discende dal minor numero di occupati nel Sud. Se invece si fa riferimento all'intera popolazione, si deduce che, rispetto agli abitanti, i dipendenti pubblici sono pari, rispettivamente, al 7,45% e al 6,76% nel Nord e nel Sud, sicché le cose stanno esattamente in modo contrario alle tesi antimeridionaliste.
E' poi vero che l'intervento straordinario nel Mezzogiorno è scarsamente produttivo, visto che il divario tra Nord e Sud non si è ridotto in modo apprezzabile negli ultimi decenni? Per rispondere a questa domanda, occorre chiedersi quale potrebbe essere oggi il divario tra le due aree senza quell'intervento. Nell'anno considerato, il valore aggiunto complessivo derivò per il 75,4% dal Nord e per il restante 24,46% dal Sud. E' irrealistico, sostengono i due studiosi, pensare che queste due proporzioni possano modificarsi in pochi anni e persino in pochi decenni. Se il valore aggiunto crescesse, ad esempio, al tasso medio annuo del 2% al Sud e dell'1% al Nord, nell'arco di trent'anni (termine, il 2017) la quota parte del valore aggiunto prodotto nel Sud salirebbe soltanto dal 24,5% al 30,5%.
E' questo il motivo principale, sostengono i due autori, per cui nonostante gli sforzi ("peraltro non cospicui") compiuti dalla Cassa per il Mezzogiorno è difficile attendersi miglioramenti nella riduzione dei divario. Ma poi, qual è l'entità dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno? Nel periodo 1951-'81 le spese erogate dalla Cassa ammontarono in media allo 0,85% dei reddito netto dell'Italia. Secondo una recente indagine (degli studiosi Cafiero e Marciani), nel periodo 1951-'89 l'incidenza della spesa straordinaria sul Pil è stata mediamente dello 0,7%, del tutto modesta, se si tiene conto dei carattere largamente sostitutivo assunto dalla spesa straordinaria.
Protezione sociale. Facendo anno di riferimento il 1986, le spese per Sanità, Previdenza e Assistenza, che costituivano più della metà delle spese complessive delle pubbliche amministrazioni, sono affluite per circa il 70% al Centro-Nord e solo per il 30% al Sud, secondo una proporzione notevolmente minore della percentuale della popolazione meridionale. Nell'anno seguente, le quote delle spese nel Mezzogiorno furono del 33,5% per la Sanità, del 28,5% per la Previdenza, del 32,2% per l'Assistenza e del 29,8% per il complesso. Ma c'è di più: la quota delle spese pubbliche affluite al Sud nell'anno considerato, quando la popolazione era pari al 36,4% di quella nazionale, risulta essere stata pari soltanto al 34%. Tradotta in cifre assolute, la differenza tra queste due percentuali equivale a circa 8.800 miliardi: questo è l'ordine di grandezza della minore spesa erogata da tutte le pubbliche amministrazioni nel Sud rispetto a quanto tale ripartizione avrebbe dovuto ricevere in base al suo peso demografico. E questa cifra, precisiamo, è relativa a un solo anno.
Due ultime considerazioni. Le analisi dei due studiosi in materia fiscale rivelano che, a livello territoriale, il nostro sistema tributario, anziché informarsi a criteri di progressività come prescrive la Costituzione, "è in realtà regressivo, in quanto le aree meno prospere dei Paese sopportano una incidenza che, rispetto al Pil, risulta più elevata di quella cui sono soggette le zone economicamente più avanzate". per una percentuale calcolata in 11,4%. Sicché "alla luce dei fatti considerati si può concludere che l'azione redistributrice del circuito pubblico non si verifica affatto in direzione Nord-Sud, ma piuttosto nella direzione opposta: dal Sud al Nord".
Infine, se si analizza la politica protezionistica attuata in Italia in varie forme, dall'unificazione in poi, per favorire l'industrializzazione del Nord, si arriva alla conclusione che quella politica ha sfavorito la competitività dell'intero sistema economico italiano sul mercato internazionale, ma con conseguenza assai più negative proprio sulle meno prospere regioni dei Mezzogiorno.

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