§ Sud oggi

Quel legame con l'Europa




Napoleone Colajanni



Fin dalla nascita della Comunità economica europea una parte non insignificante del meridionalismo è anelata sostenendo che l'avvenire del Mezzogiorno doveva essere ricercato in uno stretto legame con l'Europa. L'indicazione era suggestiva e per questo ha avuto successo, ma non è mai stata compiuta un'analisi circostanziata di che cosa in concreto questo potesse significare, forse per la solita tendenza a nutrirsi di slogan e per paura di dir male di Garibaldi, in un'Italia ostentatamente europeista.
Il legame europeo non poteva consistere in aiuti provenienti dalla Comunità, almeno per tre ragioni. Non sono i soldi che mancano al Mezzogiorno, è il modo di spenderli che non va, e una aggiunta proveniente da Bruxelles non avrebbe cambiato niente; in ogni caso il volume di trasferimenti sarebbe stato scarsamente rilevante; la politica regionale della Comunità è carente nella elaborazione di una strategia credibile. Che l'Europa, dominata di fatto dai Paesi più ricchi e dalle ideologie liberiste, potesse assumere come proprio l'obiettivo dello sviluppo nelle regioni arretrate era certamente un ottimismo eccessivo. Le politiche regionali sono servite da merce di scambio nelle laboriose contrattazioni comunitarie. D'altra parte, non era l'apertura del mercato che poteva dare slancio all'economia meridionale, perché questa non riesce a decollare nell'ambito del mercato italiano, e ancora più difficilmente avrebbe potuto farlo in un mercato dove la concorrenza era più forte. Concorrenza che si è andata accentuando con l'allargamento ai Paesi mediterranei.
L'europeismo meridionalista non sembra quindi molto fondato. Ciò non toglie che abbia avuto il grande merito eli impedire che il Mezzogiorno si opponesse, all'Europa, ripiegando, come è sempre tentato di fare, sulla dimensione angusta del localismo, terreno di coltura del meridionalismo straccione. Solo così, ad esempio, l'Italia ha potuto tranquillamente accettare, anzi essere una delle promotrici dell'allargamento alla Spagna e al Portogallo.
Con le nuove scadenze fissate a Maastricht, è tempo eli una rimeditazione seria. L'allargamento del mercato e la moneta unica significano maggiore concorrenza, ed il Mezzogiorno deve prepararsi a questo. Per gli aiuti, le cose sono orinai chiare. La decisione è che la Comunità deve usare il fondo strutturale, la Banca europea degli investimenti, al fine eli ridurre i divari tra i livelli di sviluppo, il che non significa niente. La novità è l'impegno a presentare un rapporto ogni tre anni sui progressi fatti, cioè un aiuto all'industria della carta. il nuovo Fondo di coesione, come con scarso senso dell'umorismo si chiama, e che dovrebbe entrare in funzione alla fine del 1993, è dedicato a interventi nell'ambiente e nelle infrastrutture, ma esclude esplicitamente l'Italia in quanto l'accesso è riservato a Stati con un reddito pro capite inferiore al 90 per cento del reddito pro capite medio della Comunità.
Rimeditare vuol dire cercare di tener conto senza pregiudizi e senza illusioni della nuova situazione. Dalla nuova mobilità che investirà i mercati finanziari non c'è da aspettarsi molto, perché le occasioni di investimento si moltiplicano ed allora bisogna essere molto concorrenziali nell'offrire dei rendimenti allettanti. Cosa da cui attualmente siamo molto lontani. Ciò vuol dire che non dovremo aspettarci spostamenti di progetti di investimento dal Nord al Sud e meno ancora dagli altri Paesi. Qui diventa determinante una certa concezione della politica di concorrenza, che sembra affermarsi a Bruxelles, per cui gli aiuti dello Stato italiano all'investimento Fiat a Melfi sono sospetti, mentre gli investimenti dei giapponesi in Inghilterra sono da considerare positivamente.
In ogni caso bisogna essere ben consapevoli che alla concorrenza il Mezzogiorno non può sottrarsi; si tratta di vedere come può arrivarci al meglio. Antonio Fazio, della Banca d'Italia, ricordava recentemente che la spiegazione della minore produttività nel Mezzogiorno va ricercata nelle diseconomie esterne: ambiente sociale, compresa la criminalità, infrastrutture, efficienza di credito. Tanto per fare una cifra, di quelle che gli aspiranti leghisti dimenticano sempre, ogni anno 20 mila miliardi di risparmi del Sud prendono la via dell'impiego al Nord. E la cosa non può essere considerata come corretta dai trasferimenti correnti, perché la loro destinazione è diversa da quella degli impieghi del credito, questo in misura assolutamente prevalente verso le attività produttive, quelli verso i consumi. Non sono certo dell'idea che il risparmio va impiegato soltanto dove si produce, in quanto decisivo per la domanda di credito è che esistano imprenditori capaci di utilizzarlo. Il fatto costituisce comunque l'indice di una situazione paradossale, per cui il Mezzogiorno non è capace di utilizzare appieno il proprio risparmio.
Fazio lamenta l'assenza di progetti che perseguano finalità di più ampio respiro da parte degli istituti pubblici di credito che stanno cambiando struttura giuridica ed acquistano quindi una maggiore agilità operativa. E questa, senza accollare al credito responsabilità eccessiva, pare certamente una via su cui andare avanti per porsi in concreto il problema della concorrenzialità.
L'altro grande punto debole resta ancora quello delle infrastrutture. Per i trasporti, la dotazione del Mezzogiorno si può considerare inferiore del 20% a quella del Centro-Nord, e la cosa è ancora più grave in quanto la posizione geografica del Mezzogiorno costituisce di per sé un freno. Ma il divario si aggrava ancora per quanto riguarda le comunicazioni e la disponibilità di energia, e scende al 40 per cento per le risorse idriche.
Credito ed infrastrutture potrebbero essere due punti di riferimento, mentre agli incentivi potrebbe essere riservata una funzione suppletiva, cercando anche nuove metodologie di intervento, come l'approntamento, nell'ambito di un'azione concordata con l'investitore e con modalità di spesa che mettano l'amministrazione in condizioni di non nuocere con la sua lentezza, dell'ambiente per insediamenti industriali. Sperando bene che l'Europa non trovi da ridire anche su questo.

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