Il
nostro mondo del credito - forse in misura superiore a quanto si registra
in altri ambiti occidentali, a causa di diversità dimensionali,
contestuali, di fasi operative - sta attraversando un momento decisamente
impegnativo.
Vi sono le scadenze Cee del 1993 e quelle successive monetarie; vi sono
gli effetti e le prospettive derivanti dai presupposti normativi in
atto o da sviluppare; vi sono gli sbocchi da dare anche in questo ambito
ai connotati dell'azienda Italia quanto a destinazione delle disponibilità
ed a vocazioni anche nuove di impieghivi sono gli ampi vuoti da colmare
(e questi hanno a che fare oltre che con il pieno recepimento delle
spinte e delle possibilità tecnologiche anche con i vuoti e con
le carenze che si manifestano in taluni ambiti particolari (commercializzazione
e Sud, ad esempio), e così via. A differenza, tuttavia, di quanto
si verifica in altri settori, quello del credito certamente si sta muovendo
con una strategia definita, coerente, graduale nella determinazione
degli obiettivi (un po' troppo, dicono taluni), ma comunque ad essi
mirata.
Alla base di tutto c'è una normativa non improvvisata, rispetto
alla quale lo stesso Parlamento è più dialettico ed attento
di quanto mostra eli saper e voler fare in altri campi e in altre occasioni;
C'è un Istituto Generale che dispone di un apparato e di un quadro
normativo ed operativo di tutto riguardo, nel rispetto di una tradizione
e nella pratica di una professionalità sicuramente allineate
con quelle dei Paesi più avanzati; c'è una base strutturale
del credito che nelle grandi, ma anche nelle piccole, dimensioni cerca
di assolvere al meglio in stretto coordinamento, previncolato ma pure
volontario, le proprie funzioni e responsabilità. A questo riguardo
ci sono, come si sa, le eccezioni (e qualcuna di esse è troppo
recente e troppo nota per essere menzionata ancora una volta in queste
occasioni), ma esse non hanno modificato, né modificano la sostanza
del quadro.
Un quadro che già normalmente richiede una costante e crescente
dinamica, ma che ora certamente impone un'intensificazione del ritmo,
richiesta dalla maggiore concorrenzialità interna ed internazionale
cui è sottoposto tutto il mondo del credito, da un progresso
tecnologico che anche quando nella sua creatività innovativa
non formula nuove proposte richiede sempre un più largo recepimento
da parte dei suoi destinatari ed una maggiore conoscenza applicativa.
Ed è da quest'ultimo aspetto che bisogna certamente compiere
da parte nostra più decisi e pronti passi innanzi.
Informatica e sue applicazioni bancarie non hanno avuto fin qui un cammino
parallelo; ora si tratta di meglio adeguarne le interrelazioni, correggendo
quelle disfunzioni che l'utenza registra, fra l'altro, con le frequenti
pause dei terminali.
Obiettivi deterninanti
Ma fermiamoci ad alcuni fra i più significativi esempi della
strategia più largamente perseguita. Essa, a grandi linee,
appare essere la seguente:
- L'incremento in termini di capitali medi in lire con la clientela,
sia nella raccolta sia negli impieghi. E' questa una vocazione naturale
della funzione bancaria, che presuppone una modulazione di interventi
rapida ed organica allo stesso tempo, nella quale politica economico-finanziaria
e professionalità bancaria devono certamente sempre meglio
combinarsi ed integrarsi, dietro le reciproche sollecitazioni dei
soggetti. Questo cammino, pur dominato dalle leggi di mercato, deve
divenire più corrente.
Il sistema ha di fronte a sé un risparmio privato che quest'anno
raggiungerà il milione e 800 mila miliardi e supererà
i due milioni di miliardi entro il 1993, pur dovendosi constatare
una minore propensione, correggibile, ed una preferenzialità
per l'investimento in titoli pubblici, con i condizionamenti che ne
derivano per la stessa struttura creditizia. il diffuso disimpegno
del risparmio dagli investimenti direttamente produttivi è
un grosso problema, nel quale si inserisce una serie di nodi che intralciano
sviluppo, livelli di produttività, occupazione, ecc., oltre
a porre decisamente in serie "B", a prescindere da altre
circostanze, i nostri mercati finanziari.
Ecco qualche cifra. Il debito pubblico a fine 1994 ha di fronte due
cifre: 2 milioni e 100 mila miliardi o il suo contenimento programmatico
ad 1 milione 598 mila miliardi. Da ciò discendono chiare delimitazioni
operative per il sistema. Di un sistema che al momento deve fare i
conti, anche per questa causale, con una certa staticità della
raccolta, pur attivata con tutti i mezzi possibili e con un tanto
pure di fantasia nell'offerta di nuovi prodotti finanziari. Difatti,
la dinamica dei depositi si è attestata a quota 655.000 miliardi,
con una crescita del 7,9%.
Per contro, gli impieghi in lire delle dipendenze bancarie hanno marciato
al ritmo annuo del 16,2%. Alla base di questa tendenza - la richiesta
soddisfatta di finanziamenti si è incrementata di 16.400 miliardi,
attestandosi su 530.500 miliardi - vi sono la modifica intervenuta
nell'anno scorso della riserva obbligatoria, la discesa dei tassi
bancari pur nelle controtendenze successivamente manifestate da taluni
istituti, le più pressanti esigenze delle imprese, dovute al
loro rallentamento produttivo (e se ne conoscono le ragioni) ed ai
loro minori utili. Il quadro dovrebbe risultare migliore per quanto
riguarda il ruolo creditizio nell'attivazione di investimenti produttivi
e diretti allo sviluppo sul finire dell'anno ed agli inizi di quello
prossimo in conseguenza della funzione trainante dell'economia statunitense
e di quella giapponese, dovendosi attendere meno del previsto da quella
tedesca e da quella dei Paesi dell'Est, ex Unione Sovietica in testa,
dati i tempi e i limiti delle trasformazioni strutturali delle loro
economie, nel breve e nel medio termine prevedibilmente più
che altro oggetto di interventi (soccorsi) che non soggetti di stimoli.
Ma per quanto ci riguarda, c'è pur sempre una grossa questione
da risolvere e che riguarda l'assestamento reale ed idoneo fra il
nostro sistema bancario e il sistema produttivo. A questo riguardo
non si può non essere d'accordo con chi afferma che un miglioramento
potrebbe venire da uno sviluppo del mercato borsistico.
Dice il Presidente dell'ABI che con un maggior ricorso del sistema
produttivo al capitale di rischio si riduce anche la necessità
di prestiti bancari. Il che è fuori discussione. E' successo
nel biennio 1985-'86. Si tratta tuttavia di combinare due sollecitazioni
in questa direzione, e cioè quella dell'incoraggiamento e della
maturazione del risparmio, e quella del miglioramento del contesto
operativo e normativo, essendovi ampi margini di iniziativa e di interventi
per entrambi e che fin qui non sono stati certo ampiamente utilizzati.
Ed è su questo terreno che la politica economica deve dare
la mano a quella creditizia, come compenso alla frequenza di una politica
monetaria vicaria di quella economica, più o meno renitente.
Dice sempre il Presidente dell'ABI che pensa che il '92 sarà
un anno di aumenti di capitali. Ma bisogna aggiungere che fin da ora
bisogna predisporre perché ciò possa avvenire sia a
livello di aziende che a quello delle attitudini di un omologo risparmio
e delle strutture che lo raggruppano, ne interpretano e ne indirizzano,
nei limiti possibili e noti, le scelte.
Certamente un risveglio in questa direzione può essere rappresentato
dal collocamento al pubblico di quote di grandi Enti, che portando
il risparmio sul piano dell'impiego di rischio ne favorirà
la maggiore oculatezza di scelte e di impieghi, nella maggiore discriminazione
delle possibili convenienze.
- La crescita della raccolta indiretta di titoli e di valori in custodia,
conseguente alla stessa ripartizione del risparmio, di cui prima abbiamo
richiamato alcuni tratti salienti concernenti i titoli pubblici. Si
tratta di un ruolo bancario di grande consistenza, cui tuttavia non
sempre corrisponde la necessaria trasparenza del rapporto fra servizio
all'utenza e costo da questa sostenuto.
Dei passi innanzi sono stati compiuti a questo riguardo, ma è
certo che in materia di trasparenza molto più si dovrà
fare, oltre quella che è l'autodisciplina e quelli che sono
i margini della negoziazione individuale, tuttora precaria e marginale.
- La riorganizzazione interna delle singole strutture, che è
favorita dall'incalzare delle nuove tecnologie, dalla maggiore disponibilità
manifestata su questo terreno dalle utenze, dal fatto che temporalmente
creazione di nuovi sportelli e disponibilità di mezzi tecnici
nuovi coincidono in una con un'attitudine urbanistica predisposta
al nuovo. Gli aitriti e le remore in direzione del nuovo si sono indubbiamente
ridotti e di ciò avvantaggerà maggiormente chi sarà
più predisposto. Il sistema bancario, lo ripetiamo, è
certo uno di questi comparti più sensibili ed in Italia, dobbiamo
dire anche in Italia, più tradizionalmente predisposti.
Naturalmente, da questo punto di vista, dobbiamo tenere presente anche
quanto riguarda l'aspetto dei costi. Orbene, uno dei nostri maggiori
Istituti bancari rileva l'incremento del numero dei suoi sportelli
per ben 75 unità, nel suo caso, a fronte del quale vi è
stata una crescita del personale di 80 unità, mentre nel quinquennio
precedente vi è stata una diminuzione di circa 1.000 elementi.
il che sta a significare che le allocazioni devono essere sempre più
pertinenti e che l'impiego del personale deve puntare ad una sempre
maggiore qualificazione e ad una sempre migliore sua ubicazione. E
questa certamente è una strada tutt'altro che agevole e pratica,
ma che certamente remunera, come le cifre esemplificativamente indicate,
per un solo istituto, stanno a confermare.
- A monte di queste innovazioni strutturali, si viene ponendo sempre
più chiaramente quella che già viene definita nuova
filosofia lavorativa. Talune banche l'annunciano con la progressiva
informatizzazione di molti suoi settori, nelle forme da esse ritenute
dal proprio interno più rapide ed efficienti. Il che però
non è tuttavia condiviso dall'utenza, imponendo da una parte
una maggiore informazione di questa - talune banche pensano di aver
risolto il problema con gli assistenti alla clientela, ma spesso non
si sa dove essi siano oltre il loro cartello solo emblematicamente
indicativo della loro presenza - e dall'altra una maggiore efficienza
della strumentalizzazione disponibile, che ancora non c'è a
livello più o meno generalizzato.
Si deve dare atto del maggiore sforzo di approccio di cui dà
prova il sistema, con riguardo alla moneta elettronica, al bancomat,
e così via.
Ma il rapporto cliente-banca, anche individuale, sembra affievolirsi,
dietro pure il velo di una regolamentazione dei rapporti di lavoro
che sembra ignorare che oltre ai due soggetti, datore e prestatore,
c'è una terza persona immediatamente dietro lo sportello.
Due spunti di cronaca sono innanzi a noi in questi ultimi tempi. Uno
riguarda il diritto-dovere di presenza nella partecipazione bancaria
alla trattativa triangolare sul costo del lavoro e sulla riforma del
salario, onde evitarne rigidità e perdita di competitività
e conseguirne maggiore produttività. Tutto ciò, aggiungiamo
noi, non rispecchia solo diritti e aspettative di due soggetti, quelli
cioè consueti e ricorrenti, ma anche dell'utenza e perciò
è necessario che queste partecipazioni e presenze siano effettivamente
reali, perché tutto il sistema sia valido e pienaniente efficiente.
L'altro spunto di cronaca, sempre in quest'ottica, lo rileviamo da
quanto scrive un "opinionist", osservatore di costume e
di cose del nostro Paese. Egli, parlando delle barriere che continuano
a sopravvivere nel nostro Paese, invocando serie riforme partendo
proprio dalla loro eliminazione, osserva le file interminabili esistenti
presso i nostri sportelli bancari (alcuni di questi ci ricordano il
disservizio delle utenze postali dei conti correnti) per suggerire
quanto molto semplicemente praticato dalle banche statunitensi con
ringhiere uniche, dalle quali si liberano uno per Lino gli utenti
a mano a mano che uno sportello si libera. Da noi invece si fanno
le porte blindate, si annuncia con i cartelli che le casseforti sono
indipendenti da forzature di tempo o da interventi del personale,
si moltiplicano gli annunci tanto più frequenti quanto più
non sono indicativi, ma si trascurano accorgimenti pur facili e altrove
praticati.
La realtà è che il nostro sistema, nell'appuntamento
del 493, dovrà confrontarsi anche con questi elettagli, che
poi minimi non sono, perché hanno a che fare con attitudini
di altri istituti, che hanno riaperto fra l'altro sportelli pure architettonicamente
individualizzati. Gli altri camminano anche così e da noi,
invece, molti non se ne sono ancora accorti.
- La maggiore attenzione verso la cosiddetta rete estera, che significa
non solo copertura verso Paesi esteri per quanto riguarda rischi,
ma anche convogliamento di presenze straniere nel nostro sistema,
che invero hanno subìto un rallentamento in quest'ultimo periodo,
fino a far risalire ad alcuni anni fa la presenza esterna nel nostro
Sud (ad esempio un'impresa del Texas ad Aversa che, ultima, non è
certo di ieri). La banca su questo terreno deve certamente fare di
più, in funzione di una reciproca integrazione, che mentre
sempre più deve trovarci protagonisti sulle varie piazze internazionali,
deve aprire le nostre porte all'iniziativa degli altri, con le società
miste, con le affiliazioni di quelle estere, con le allocazioni in
settori chiave o in aree di sviluppo, e così via.
Molte sono certamente le strade che conducono a questo traguardo,
ma certamente una di esse, forse tra le preliminari, è quella
bancaria, che non ha solo il compito funzionale che le è proprio
di strumento formale e conclusivo, ma ha anche quello preparatorio,
indicativo, sollecitatorio.
Le nostre banche maggiori hanno tradizioni in questo campo. Ora occorre
non solo che le amplino, ma le estendano a quegli istituti minori,
che hanno in questo campo l'ansia di guadagnare il tempo perduto e
di camminare in fretta. Molte operazioni da queste compiute in questi
ultimi mesi e talune di esse concernenti proprio organismi minori
del Sud ce ne danno la conferma.
Vitalizzazione
del mercato
Ma in questo così articolato panorama, nel quale affiorano
anche indirizzi riduttivi e più gradualistici di ritmi nettamente
dinamici (ma di essi parleremo più oltre), c'è da registrare
e da sottolineare particolarmente la condotta diretta a dare una sempre
più organica applicazione alla legge Amato ed alle concentrazioni
e comunque alle sinergie idonee. Tali sinergie sono create sia ad
opera di istituti rilevanti (c'è l'esempio di istituti bancari
romani con le possibili ulteriori estrinsecazioni che si vengono predisponendo),
come ci sono i molteplici esempi che si rivelano nell'ambito degli
istituti minori, e taluni eli essi riguardano, come si sa, anche il
Mezzogiorno. Ci sono poi le estrinsecazioni in S.p.A., con un ventaglio
di partecipazioni aperte agli investitori e ai risparmiatori. In questa
schiera fra le espressioni rappresentative bisogna inserire anche
il Banco di Napoli, che è il primo istituto pubblico ad aver
raggiunto il traguardo della S.p.A., intesa come strumento di vitalizzazione
strumentale e di inserimento organico nella realtà e nell'attivazione
del mercato.
Di questo impegno di maggiore inserimento nel mercato si registrano
anticipazioni pure nella scelte del San Paolo, uno dei maggiori primatisti
nel nostro sistema bancario, per quanto concerne la trasformazione
in società per azioni e la quotazione in Borsa, in funzione
di una crescita attraverso anche il mercato e non solo in virtù
dell'autofinanziamento.
Riguardo tuttavia a questo specifico discorso concernente le quotazioni
in Borsa (e si tratta di un problema che non riguarda singolarmente
questo o quel soggetto, già operativo o che si propone di intervenire,
ma concerne l'intera vitalità della Borsa e del suo allineamento
avanzato), alcuni elementi da tenere presenti, e gli istituti bancari
per parte loro non mancano di richiamarli, sono i seguenti:
- La legge sulle SIM dischiude possibilità da non disattendere
in funzione sia di una maggiore attivazione del mercato, sia della
pronta correzione della tendenza ad un crescente trasferimento all'estero
di scambi di azioni italiane. E' stato rilevato che, nel primo trimestre,
per le 14 blue chips italiane trattate a Londra il Turnover segnato
sulla piazza britannica ha rappresentato circa il 25% degli scambi
effettuati in Italia. Anche taluni fatti negativi che si sono recentemente
verificati, per quanto concerne certi macroscopici scoperti, hanno
a che fare con una caratterizzazione del quadro, in cui dimensioni
e chiarezza devono avere certamente maggiore rilevanza.
- Un profilo particolare è poi quello concernente il comparto
dei titoli pubblici, che deve essere ripensato in quest'ottica di
assestamento, in funzione sia del fatto che esso è il terzo
del mondo come dimensione (ed è una dimensione di cui faremmo
molto volentieri a meno) sia dell'assenza di un mercato organizzato
per le contrattazioni a termine. Qualche esperto dice che è
proprio il mercato dei titoli di Stato che paradossalmente può
divenire un punto di forza per la crescita e l'ammodernamento della
piazza finanziaria italiana. Ed al riguardo si cita il precedente
positivo fornito dall'introduzione del mercato secondario telematico
sui titoli di Stato.
Indubbiamente queste spinte sono più facilmente esercitabili
di tante altre, perché hanno a monte l'Istituto centrale di
emissione, nella sua duplice qualità di offerente, e perciò
di primo operatore, e di garante del sistema. Ma teniamo conto della
sua tendenzialità di fondo, che è estremamente gradualistica
e per molti aspetti anche contingente, e quindi una capacità
prospettica quanto mai cauta ed ampliamente verificata e preparata.
Un altro aspetto non certo secondario da considerare in questa rinnovata
dinamica bancaria è quello dell'integrazione collaborativa
con le strutture estere. In molte nostre banche c'è sempre
stata una strategia internazionale, ora certamente essa meglio si
concretizza ed espande. Sono le grosse dimensioni e gli accostamenti
di mercati ieri lontani, oggi divenuti contigui e tante volte anche
complementari, che esigono un riscontro anche nel sistema bancario
e lo stanno avendo. Se c'è una scorciatoia per la collaborazione,
l'integrazione, lo sviluppo, è quella bancaria, strumento allo
stesso tempo di predisposizione, di incentivazione, di realizzazione.
Si stanno così formando, a cominciare dall'ambito Cee, assi
creditizi, alleanze, accordi di cooperazione, che hanno motivazioni
iniziali ora nel nostro interno, ora nel nostro esterno. Qualche istituto
dice che dopo aver avviato le prime consistenti iniziative ed operazioni
ora si pone, si può dire è in grado di porsi, obiettivi
di consolidamento, che vuol dire coincidenza del fattore dimensionale,
quale sia l'allocazione nazionale ed internazionale, con quello qualitativo,
e cioè parità ovunque di efficienza di servizi.
Un campo d'incontro internazionale particolarmente significativo in
questo momento è quello mediterraneo (ed al riguardo c'è
una nostra antica tradizione cui si affianca l'opzione per una gravitazione
verso il centro dell'Europa, che poi è la matrice dell'unità
continentale ed il punto di partenza e comunque di riferimento per
le interrelazioni con i Paesi dell'Est).
E' questo un disegno che non potrà non vedere coinvolto il
nostro Mezzogiorno, in funzione da una parte del potenziamento e dell'adeguamento
di questo specifico comparto e, dall'altra, della sua insostituibile
capacità di supporto, non solo geografico - come chiaramente
è -, ma anche strutturale e perciò pure creditizio.
Su questo terreno si conoscono le iniziative italiane in atto per
quanto concerne l'attivazione del sostegno creditizio delle attività
del Mezzogiorno (con l'appendice delle critiche imprenditoriali all'applicazione
della legge 44 ed alle difficoltà di reperimento dei capitali
iniziali). E il discorso è sempre aperto per quanto attiene
alla concretizzazione più mirata dell'intera strategia dell'incentivazione
del Mezzogiorno. Per molti aspetti si tratta di cambiare pagina e
lo si riconosce. Per altri si tratta di utilizzare già da ora
ed al meglio le esperienze finora compiute e di percorrere più
organicamente e radicalmente le strade fin qui percorse. Sennonché
nell'una e nell'altra direzione continua a mancare la necessaria organicità
e capacità decisoria e non si tiene conto del fatto - il che
si verifica con particolare evidenza - che certi supporti in tanto
possono ampliare la loro dimensione ed articolare capillarmente il
loro sistema, in quanto è lo stesso mercato a saperne e doverle
prospettare sia pure in rapporti temporali non immediati.
Non dimentichiamo che, sempre, lo sviluppo richiede un contesto. Ed
è di esso che deve farsi carico ogni politica meridionalistica,
che dobbiamo ricordarlo non sarà mai, non dovrà essere
mai una questione a sé stante.
E ciò perché ormai se di sviluppo si deve parlare nel
nostro Paese, esso non riguarda questa o quella parte, bensì
tutta la sua armonica unitarietà. Ad un certo momento correttivi
e riequilibratori dovranno funzionare più o meno automaticamente,
dovendo essere le eccezioni strettamente contingenti e non cronicamente
straordinarie.
Il che rientra nell'ottica cui è legato anche lo sviluppo bancario,
che segnala quali piazze calde nella creazione di nuovi sportelli
quelle della Campania. Soprattutto Caserta (47 sportelli con + 52,2%),
Avellino (+33) ed in misura minore Napoli, dove si registrano 84 sportelli
con una crescita però contenuta, rispetto alle città
vicine, al 22% circa.
Ma un altro spicco non secondario di questo specifico quadro concernente
il Mezzogiorno riguarda l'attivazione delle banche del Sud, che figurano
fra le aziende leader nell'apertura di nuove agenzie dall'aprile dello
scorso anno al l' giugno del 1991. Orbene, per l'incremento della
rete, ci sono il 90% della Banca di Girgenti, il 66,7% della Banca
di Marsala, il 43% della Banca di Credito siciliano, il 28,6% della
Banca Agricola Popolare di Ragusa, il 25,0% della Banca Pop. Irpinia,
il 18,7% della Banca Popolare Pescopagano, il 7,4% della Cassa di
Risparmio Puglia.
Questa dinamica è naturalmente riferita alle rispettive progettualità
di crescita, perché per quanto attiene all'efficienza in numero
di sportelli il discorso è diverso. Ed a questo riguardo, per
taluni degli istituti più importanti, sono Sicilia e Puglia
a tenere la palma.
Tappe raggiunte
e obiettivi da conseguire
Ma qual è la generale situazione del Paese a questo riguardo?
C'è anzitutto da rilevare che le banche in genere stanno approfittando
con particolare impegno della liberalizzazione degli sportelli. Una
quota di essi riguarda, come abbiamo visto, il Sud, ma con questa
modulazione: preferenza, oltre che per il Veneto, per la Campania
(come abbiamo detto) ma anche per il Molise. La Calabria, nonostante
le cifre ricordate prima, e la Sardegna sono fra le zone meno richieste.
Il che è solo parzialmente indicativo delle differenziazioni
esistenti nelle situazioni singole. Ad esempio Oristano denuncia il
contrasto fra il fatto che ogni sportello raccoglie in media 110 miliardi,
il triplo del valore nazionale, e nessuna richiesta di nuovi sportelli
è stata avanzata.
Due cifre di sintesi possono riepilogare tutto questo discorso.
La prima è rappresentata da 2.562 sportelli che sono stati
autorizzati dalla Banca d'Italia fra l'aprile '90 ed il marzo '91.
Sono tanti, perché riflettono una crescita del 13,8%, che non
è riscontrabile in nessun dato di aumento riscontrabile nelle
nostre statistiche, sia in pro che in contro.
La seconda cifra è costituita dai 2.868 comuni senza sportello,
con una funzione sostitutiva esercitata dagli sportelli postali, i
quali proprio con questa prospettiva, surrogatoria e di sviluppo allo
stesso tempo, pensano alla razionalizzazione ed estensione dei propri
servizi. Sennonché il punto debole dei servizi postali è
costituito dal fatto che essi pensano al potenziamento proprio nelle
aree dove maggiore è la presenza bancaria, con la pretesa di
una concorrenza rispetto al fisiologicamente più funzionale
sistema creditizio.
Il fatto reale, in verità, è che il 35% del totale dei
comuni italiani è senza sportelli bancari, con la conseguenza
che bisogna rivedere la strategia fin qui seguita, meglio calandola
in una realtà che non è stata sempre rettamente interpretata.
Si è parlato e si parla giustamente di accavallamenti di concorrenze
sulle stesse piazze, di indulgenze ad indici di cosiddetta bancabilità
che non hanno trovato e non trovano consenso nella realtà effettiva
o possibile, di disponibilità antieconomiche da parte di qualche
istituto (che tenta la crescita a tutti i costi) ad operazioni con
clientele marginali ed a maggiore rischio bancario.
Tutto ciò comporta una riflessione ed una strategia, che è
forse per alcuni tratti da inventare - e speriamo invece che la Banca
già l'abbia inventata -, e della quale comunque si può
cogliere qualche segno dal fatto che dopo l'espansione dell'anno scorso
le nuove autorizzazioni di sportelli nei primi cinque mesi dell'anno
sono state solo 711. Ma come si spiegano queste cifre? Qualcuno dice
che l'espansione dell'anno scorso è stata principalmente la
conseguenza del precedente contenimento, oltre che dell'impegno di
una crescita naturale e richiesta anche dall'evoluzione comunitaria,
in atto ed in prospettiva dal '93 in poi. Quanto poi al rallentamento
di oggi, esso è in relazione - si afferma - con l'azionamento
di un certo contagocce che l'Istituto di emissione sempre utilizza
anche se tiene nascosto. Che ciò avvenga per molte cose è
più che giusto e necessario, ma che di questo contagocce si
possa e si debba sapere qualche cosa di più in una materia
che investe le strutture ci pare fuori discussione.
Comunque, le spiegazioni ci sono sempre ed una di queste è
fornita dal Presidente dell'ABI, il quale dice che quando Via Nazionale
fissa le variabili macro-economiche stabilisce anche la crescita dei
depositi. Questo significa che un incremento degli sportelli superiore
a quello previsto per le variabili monetarie crea diseconomie. A meno
che le banche non puntino -aggiunge sempre il Presidente dell'Associazione
bancaria - accanto alla raccolta ed agli impieghi anche sui servizi
aggiuntivi, come le gestioni patrimoniali ed i servizi di consulenza
alla clientela.
Questo appare secondo noi il punto culminante e determinante di tutto
il discorso. Il sistema tutto intero deve infatti meglio "mirare"
i suoi obiettivi di indirizzo e consulenza della clientela. Ciò
è necessario soprattutto nel Mezzogiorno, nel quale i presupposti
maggiori dello sviluppo e della sua maturità sono da ricercare
ed instaurare nel campo delle scelte delle gestioni per quanto concerne
il risparmio e le sue opzioni ed in quello della consulenza, che è
poi contributo o complemento della formazione, per quanto attiene
alla formazione. Dobbiamo dire invece che si tratta ancora di una
consulenza che, se è ancora estranea alle aree che domandano
crescita, è periferica anche nelle aree che già la crescita
vengono realizzando.
Il salto di qualità è tutto qua e non riguarda solo
crescita dell'informatica e dell'automazione, sulla quale siamo tutti
d'accordo per quanto fin qui è stato fatto, ma concerne quanto
si deve fare da parte del sistema bancario per ciò che si riferisce
al miglioramento del suo contesto operativo, e cioè il livello
stesso della sua presente e futura utenza.
Evitiamo, come giustamente viene sottolineato, un'espansione che si
traduca in boomerang, teniamo sempre d'occhio i conti economici, ma
continuiamo ad essere fedeli all'abitudine, che è generalmente
esemplare nello stesso mondo bancario, non solo di guardare al futuro
ma anche di prepararlo. Ed in questo avvenire un grosso spicchio è
proprio rappresentato dal Mezzogiorno, che tuttora presenta larghe
sacche di difficoltà nell'erogazione e nella fruizione del
credito e fra l'altro continua a pagare il denaro ad un prezzo più
alto di quello rilevabile nel Nord. Nel primo semestre dell'anno scorso
-secondo alcune rivelazioni - nell'Italia nord-occidentale il tasso
medio attivo nelle operazioni a breve era il 13,6% contro il 15,5%
nel Sud ed il 16,4 in Basilicata. Sul piano nazionale eravamo al 14,17%.
Sono queste medie alle quali crediamo fino a un certo punto, perché
fra piccoli e grandi fidi la differenza è enorme ed esistono
quei margini di contrattazione che nascondono e diversificano tante
cifre ufficiali. La statistica, come al solito, dice quel che può.
E difatti la realtà è molto mutevole, con la complessa
diversificazione dei tanti, vari stati di fatto.
Una coda di tutto questo discorso la si trova nel rapporto impieghi-depositi,
che contrappone ad una media nazionale del 75% quella sensibilmente
minore delle aree meridionali, che è difatti compresa fra il
50% ed il 60%.
Partendo sempre dal Sud, c'è poi un'altra proiezione da considerare
e che concerne il Mediterraneo, come prima si diceva. Si tratta dell'istituzione
di una struttura finanziaria che si faccia carico dei problemi dello
sviluppo di quest'area, a somiglianza della BERS concernente i Paesi
dell'Est. Si tratta di una materia oggetto di studi e di iniziative
del nostro ministero degli Esteri, che hanno trovato già riscontro
in taluni Paesi di quest'area, avendo a fondamento l'intento di destinare
lo 0,25% del Pil comunitario alla cooperazione con i Paesi del Mediterraneo.
E ciò nella linea dello sviluppo delle premesse poste con l'accordo
raggiunto a Roma alla fine del '90 fra i 5 Paesi del Maghreb ed i
4 della sponda Nord del Mediterraneo.
Siamo, com'è chiaro, solo agli inizi di un processo al momento
più politico che economico, più tendenziale che precisamente
progettuale, ma che comunque sta ad indicare anche alla strategia
bancaria due precisi linee di opzioni, e cioè quella che dovrà
investire direttamente quest'area, e l'altra sempre più determinante
(sul piano della produttività anche bancaria e della competitività)
della statura internazionale, della diretta collocazione sul mercato
internazionale del nostro apparato bancario.
Le esperienze
degli altri
Ma nel perseguimento di questo obiettivo di confronto internazionale,
che ci dice il panorama che ci è dinanzi?
La Germania sta tirando, nell'ambito europeo, più degli altri
Paesi, in termini di dimensione degli attivi e di redditività.
Per contro, Francia e Gran Bretagna riflettono quello che è
stato il rallentamento congiunturale con conseguente riduzione dei
margini di sviluppo delle grandi banche commerciali. Una crescita
più contenuta è dipendente anche dalla cautela della
condotta degli istituti indotta dal pericolo di sofferenze.
Ma a correzione di questa tendenza vi è tutto un impegno riequilibratore
e propulsivo, che vede in prima fila la Gran Bretagna, oltre che la
Germania naturalmente. Per la prima volta si tratta di difendere quella
che è stata definita la cittadella finanziaria più importante
dell'Europa. Per la seconda, l'obiettivo è quello soprattutto
di vincere la partita all'Est ed in forza di questa rivendicare e
praticare un ruolo più avanzato nello steso quadro occidentale.
Si tratta, come si vede, di obiettivi grandiosi, i cui strumenti sono
costituiti da due idee-forza, valide anche per il sistema bancario,
l'integrazione e la globalizzazione, l'una e l'altra stimolate dalla
deregolamentazione dei mercati. Ed in questo specifico circuito, come
è noto, vi è chi corre di più e chi cammina meno
in fretta. Le due velocità in questo campo certamente già
ci sono.
A puntare in questa direzione sono soprattutto i già grandi.
Ma se guardiamo anche ai minori, vediamo che in questi l'ansia e gli
intendimenti diventano più marcati e coerenti. Così
è ad esempio per la Spagna, le cui banche pubbliche si muovono
all'insegna del più grande e del più competitivo. Il
primo riscontro di tutto ciò è nella recente creazione
di un'holding di tutti gli istituti pubblici, in promozione di una
maggiore efficienza.
Anche in quest'occasione è stata sollevata la dibattuta questione
se l'efficienza deve precedere la struttura o se questa debba costituirne
il prius. Ma qui è il pragmatismo, che deve significare anche
prontezza, che è chiamato a fare la sua parte, le cui spinte
sono costituite dall'urgenza delle difficoltà da superare e
degli obiettivi da conseguire. Comunque questo Paese, mentre deve
registrare il fatto che due sue banche sono fra le cinque più
redditizie del mondo, riflette anche una situazione per la quale con
uno sportello ogni 2300 abitanti - e si tratta di una densità
record nella Cee elevatissimi ne sono naturalmente i costi ed eccessivi
i margini di intermediazione.
A questa holding pubblica si vengono affiancando le fusioni, il tutto
in funzione di una riduzione di costi, di offerta di servizi più
avanzati, di creazione al limite di prodotti maggiormente sofisticati,
per i quali si sta profilando anche un made, destinato a trovare anch'esso
seguito, imitazioni, emulazioni. E quando si parla di tutto ciò
è agli Stati Uniti che si guarda con maggiore attenzione. Ma
quali sono le principali indicazioni che essi ci offrono da questo
punto di vista?
Mentre la riforma bancaria sta compiendo il proprio iter, e mentre
devono essere ancora definiti alcuni importanti punti controversi
(rapporti con i gruppi industriali, banche commerciali-banche di investimento,
ecc.), la mappa del sistema bancario è cambiata nell'arco di
un paio di settimane, avendo innanzi a sé due obiettivi: il
consolidamento regionale, anziché continentale, e il potenziamento
in funzione di confronto anti giapponese ed anti europeo, naturalmente
nella ricerca e nello sforzo delle relative sfumature terminologiche.
Negli approcci statunitensi con queste due sfere vi sono, come si
sa, due atteggiamenti non sempre concordanti. Ma esistono, con la
nota grinta sul terreno degli affari. Grosse fusioni sono state rapidamente
realizzate, altre sono in corso, nella ricerca di affinità
nelle attività di bilancio e nell'organizzazione con l'obiettivo
di adeguate economie di scala e di consistenti miglioramenti nel grado
di efficienza. Milioni di dollari di risparmio ne costituiscono la
prima precisa contropartita.
Se da questo discorso ci trasferiamo nel nostro ambito, europeo e
nazionale, vediamo che ogni forma di tentato o realizzato sviluppo
(avendo per questo a riferimento l'apertura di nuovi sportelli) sarà
a rischio, se non accompagnato da sgravi e da nuove leggi. Ci sono
tre nodi da sciogliere, per quanto particolarmente ci riguarda, e
cioè quello della coabitazione con un mercato mobiliare troppo
piccolo e per tanti versi arretrato, quello della disparità
fiscale e quello della funzionalità più avanzata della
gestione del credito.
Per la Borsa, la legge sulle SIM ha predisposto uno strumento di recupero,
che qualcuno dice potrà favorire la nostra capacità
di scalata al terzo posto fra le Borse Cee. Ma questo non è
certo un risultato dietro l'angolo ed è al momento tutt'altro
che favorito da un contesto che registra e provoca le altalene che
si conoscono, gli interventi repentini e le fughe, le oscillazioni
delle medie comparative che non sfociano in inizi veri e propri di
tendenze, ecc. Comunque, si afferma da fonte ufficiale che uno strumento
c'è e che tocca agli operatori, in primo luogo alle banche,
prendersene carico. Restano altri due colli di bottiglia. E cioè
anzitutto quello fiscale, che è particolarmente incisivo e
determinante, se è vero che anche ammesso che il nostro sistema
raggiunga un grado di efficienza pari ad esempio a quello tedesco
esso, per la mancanza di sgravi fiscali, perderebbe uno o due punti
sull'intermediazione. Per il secondo fattore, e cioè quello
della funzionalità creditizia, è proprio da fonte ufficiale
che si afferma che il meccanismo di rifinanziamento degli istituti
da parte della Banca centrale è talmente rigido e lacunoso
da non essere in grado di garantire che una banca soltanto illiquida
non diventi insolvente.
E queste sono tutte altrettanto strettoie, che occorre prontamente
rimuovere come accompagnamento di un generale progresso innovativo,
del quale anche se si colgono positivamente tanti segni, come prima
abbiamo ricordato, non si possono ignorare i limiti, se il contesto
a monte resta inadeguato.
E per questo adeguamento, i tempi sono molto stretti. Un esempio di
quest'urgenza viene a riguardare la normativa delle OPA (fonti, soggetti,
modalità dell'offerta, tutela degli azionisti, ecc.). Ma, ripetiamo,
si tratta solo di un esempio, perché la tematica delle armonizzazioni
e degli adeguamenti è ancora molto ampia ed anche se registra
accelerazioni e buone intenzioni, del resto doverose, ha ancora molti
passi da fare, dovendo avere come premessa e come corollario fondamenti
normativi ed applicativi compatibili e coerenti.
Credito / Banche
italiane
Sopravviveranno
al 1994?
Per quanto teatrale
e drammatica, la domanda è, nei fatti, giustificata alla vigilia
della completa apertura delle frontiere finanziarie della Comunità
europea e dopo numerosi allarmi dal giudizio di Moody's alla severa
rampogna di Ciampi sulla qualità dei servizi. Molti fattori
giocano contro una risposta automaticamente positiva, quanto meno
a livelli di sistema.
La congiuntura economica, innanzitutto. Nell'ultimo anno la frenata
dell'attività economica non ha coinciso con una analoga frenata
degli impieghi. Il sospetto è che gli impieghi siano stati,
almeno in parte, sostitutivi dell'autofinanziamento aziendale, o peggio.
Per la prima volta dal 1984, infatti, il totale degli investimenti
dell'industria è sceso rispetto alla stagione precedente. Gli
impieghi, insomma, in alcuni casi sono serviti a ridare ossigeno al
conto economico.
La qualità degli impieghi. il caso Federconsorzi ha gettato
la prima ombra sinistra sulla solidità di impieghi garantiti,
anche in senso lato, dal sistema politico. E la direttiva Cee sui
grandi fidi impone comunque una revisione profonda dei rapporti con
la clientela, soprattutto con colossi indebitati, tipo Iri.
La scarsa patrimonializzazione, sul versante italiano e su quello
internazionale. La questione dei crediti sovietici, sopravvenuta dopo
quelli dell'Iraq (e prima di quelli dell'Algeria?) impone interventi
severi per le grandi banche. E sul fronte interno la situazione, dopo
la frenata economica, non sembra difficile. Pare sospetto, in questa
chiave, che l'indice delle sofferenze dei sistema si sia mosso di
pochi decimali (dal 6 al 6,3 per cento) nell'ultimo anno, a differenza
di quanto accaduto negli altri Paesi avanzati. 0 il sistema ha dato
eccezionali prove di sagacia nella gestione della clientela, oppure
una visione ottimistica del futuro maschera problemi destinati prima
o poi ad emergere.
A questi interrogativi, dettati dalla congiuntura economica, vanno
aggiunti altri nodi strutturali, ampiamente prevedibili, ma forse
non sufficientemente considerati.
La qualità dei servizi. Il dito accusatore di Ciampi ha svelato
impietosamente i ritardi sul fronte dei bonifici e nella trasparenza
delle commissioni. E qui emergono due considerazioni gravi. In primo
luogo, la rete telematica per garantire bonifici più rapidi
già funziona, con un principio importantissimo: le eventuali
colpe sono a carico della banca inadempiente.
Poche banche però hanno aderito, e, tra queste, poche la utilizzano.
Insomma, la moneta cattiva scaccia la buona e anche banche efficienti
e in buona fede non possono garantire i servizi.
Inoltre, sul fronte della trasparenza, le resistenze sono fortissime
e dotate di una loro logicità. Bankitalia spinge per la maggior
efficienza della rete telematica, convinta a ragione di poter abbassare
i prezzi (e l'onere dei Tesoro) e attrarre compratori dall'estero.
Le commissioni sui titoli di Stato rappresentano però una delle
maggiori rendite di posizione, una delle poche fonti sicure di reddito.
E non tutti sono pronti, in termini di uomini, a far fronte ai problemi
che l'efficienza comporta.
Il costo della raccolta. Esso sale, e non in modo uguale per tutti.
C'è chi presidia il territorio moltiplicando le filiali o i
servizi, chi sviluppo marketing aggressivi, chi tenta di tagliare
i costi. Ma il quadro generale è chiaro: la concorrenza sul
fronte degli impieghi, combinata alle nuove propensioni di un pubblico
che risparmia meno e chiede di più in materia di rendimenti,
ha reso il denaro più coro. Non a caso, Bankitalia è
divenuta grande creditrice del sistema, condizione
che rischia di diventare strutturale. E' una novità per l'Italia
che aumenta il potere dell'autorità monetaria.
Gli stranieri. E' assai difficile che le banche straniere impiantino
grosse reti di raccolta, costose e dall'esito incerto. Ma è
un fatto che le banche straniere sono già sbarcate in Italia
rilevando alcuni istituti fra i più interessanti nel panorama
dei credito: basti ricordare la Bai, finita nell'orbita di Deutsche
Bank, o il Credito Bergamasco, nelle mani del Lyonnais. Non è
un mistero, infine, che Crédit Agricole punta a contare di
più nel Nuovo Banco Ambrosiano.
Insomma, gli stranieri avanzano, puntando ai gioielli del sistema
e, nel complesso, la difesa appare debole. Le rigide frontiere tra
banca e industria, unite alla fragilità della Borsa, rendono
quasi nulle le possibilità di trovare un margine di difesa.
E così modelli più efficienti possono entrare pagando
un prezzo d'ingresso relativamente modesto. Assai diversa è
la situazione delle poche grandi banche italiane all'estero. O non
comprano nulla, oppure pagano il pedaggio acquisendo gli istituti
meno efficienti.
I ritardi legislativi. A pochi mesi dall'apertura delle frontiere
finanziarie, le banche sembrano incapaci di far fronte all'offensiva
sui servizi e i grandi clienti. Uno dei pochi punti di forza italiani
consiste nell'alto livello di intermediazione del sistema, rispetto
all'estero. Ma la situazione, con l'arrivo di grandi broker finanziari,
fondi d'investimento stranieri, compagnie di assicurazione, può
cambiare, forse anche rapidamente. La mancata ristrutturazione. All'estero
le banche hanno già completato massicce ristrutturazioni: tagli
negli organici, poderosa informatizzazione, incremento dei fondi patrimoniali,
riorganizzazione della rete e delle attività, con specializzazioni
tematiche e concentrazione geografica. Le banche italiane hanno rinviato
queste scelte: e così sono in ritardo sia sul fronte della
formazione sia su quello delle eccedenze di personale.
Tutte le altre comunità bancarie nazionali hanno dovuto affrontare
problemi analoghi, uscendone profondamente mutate. Sarebbe assai strano
se quella italiana riuscisse a sopravvivere tale e quale.
A questi spunti di riflessione potrebbero aggiungersene altri.
Anche in Italia, ormai, il sistema corre a più velocità.
Ci sono banche efficienti e banche in ritardo, ovviamente, e lo dimostra
il diverso andamento della raccolta nell'ultimo periodo. Ma la considerazione
vale solo fino ad un certo punto. Le banche italiane sono abituate
ad agire come sistema compatto (basti ricordare la scelta nelle carte
di credito) e il rischio vero è che, nei fatti, i migliori
debbano adeguare il proprio passo sui peggiori. Carlo Azeglio Ciampi
non la pensa così. Ma quale sarà l'opinione dei politici,
veri manovratori dei credito? E' uno degli interrogativi cui, prima
o poi, si dovrà rispondere.