§ Economia & criminalità

Etica dell'intermediazione finanziaria




Lamberto Dini



1. LE RAGIONI DELLA REGOLAMENTAZIONE
In tutti i principali Paesi industrializzati il settore finanziario, e in particolare quello bancario, è oggetto di una regolamentazione prudenziale penetrante.
Le ragioni dell'intervento pubblico sui mercati e sugli operatori finanziari sono molteplici; esse sono tuttavia sinteticamente riconducibili al ruolo peculiare svolto dall'industria dei servizi finanziari all'interno del sistema economico, il cui sviluppo dipende anche dalla distribuzione delle risorse che si effettua attraverso il settore finanziario.
L'industria finanziaria svolge al meglio i propri compiti quando gli operatori che in essa intervengono dispongono di un adeguato grado d'informazione. La conoscenza delle caratteristiche oggettive dei diversi prodotti finanziari e di quelle soggettive, in particolare di affidabilità del mutuatario, è indispensabile per una corretta e consapevole allocazione delle risorse.
L'obiettivo di adeguatezza informativa dev'essere perseguito con modalità differenziate in relazione alle caratteristiche dei singoli mercati. Per il mercato dei valori mobiliari, nel quale l'incontro della domanda e dell'offerta avviene in modo diretto, sulla base di informazioni che non hanno caratteristiche di riservatezza, è richiesta la massima trasparenza delle condizioni. La chiarezza delle forme contrattuali e la certezza dei costi e dei ricavi, collegati alle operazioni effettuate, facilitano la confrontabilità delle diverse alternative e ampliano la possibilità di scelta della clientela.
In altri mercati finanziari l'insufficienza di informazioni, superabile soltanto sostenendo il costo per la valutazione del merito creditizio, rende necessario l'intervento di intermediari specializzati che erogano prestiti sulla base di informazioni riservate, non disponibili per il mercato. Ponendosi in un rapporto di delega nei confronti dei risparmiatori, l'intermediario creditizio valuta e segue l'impresa affidata; quest'ultima trova vantaggioso il ricorso a tale forma di credito, potendo contare sul riserbo circa i propri piani di investimento, al quale dovrebbe rinunciare se ricorresse direttamente al mercato dei valori mobiliari.
Nello svolgimento di tale funzione, alcuni di questi intermediari assumono una configurazione di bilancio potenzialmente instabile, indebitandosi per ammontari nominali certi (tipicamente i depositi) e investendo in attività incerte; l'esigenza di tutela del risparmio rende indispensabile, in tale situazione, l'intervento di regolamentazione prudenziale da parte dell'Autorità di Vigilanza.
Inoltre, in sistemi complessi nei quali sia elevata l'interdipendenza degli operatori, la crisi di liquidità e/o insolvenza anche di intermediari non bancari che si segnalino per rilevanza dimensionale e per volume di attività svolta con il pubblico può ripercuotersi sugli altri, anche se non direttamente coinvolti, generando sfiducia verso l'intero sistema.
Si rende di conseguenza necessario il ricorso a interventi regolamentari, volti da un lato a ridurre il rischio di improvvise crisi di fiducia del pubblico nella solidità degli intermediari finanziari e, dall'altro, a limitare le conseguenze della crisi qualora questa si produca. In definitiva, lo scopo della vigilanza prudenziale è di consentire alla collettività di beneficiare del ruolo svolto dagli intermediari finanziari, evitando al tempo stesso il rischio di impulsi destabilizzanti in grado di coinvolgere il settore reale dell'economia.
Le regolamentazioni dell'attività finanziaria, di trasparenza e di vigilanza, non sono alternative, ma devono essere variamente combinate: mercati e intermediari creditizi costituiscono elementi compatibili, anzi complementari, di una realtà variegata e complessa. E' opportuno che gli interventi di trasparenza, così come quelli di stabilità, si estendano in modo trasversale a tutti gli operatori, sia pure in misura differenziata in relazione alle caratteristiche dei contratti. In particolare, la tutela della stabilità attraverso la vigilanza prudenziale va modulata in relazione alle differenti realtà istituzionali, al tipo di clientela e alla potenziale rischiosità sistemica degli operatori.
Un livello massimo di controllo deve essere predisposto per le banche: esse, infatti, sono maggiormente soggette al rischio di crisi di liquidità, originate dal venir meno della fiducia da parte dei depositanti, siano essi individui, società, istituzioni finanziarie e anche bancarie.
Le banche, inoltre, si distinguono dagli altri intermediari finanziari perché costituiscono un canale di trasmissione degli impulsi di politica monetaria della Banca centrale, la quale governa la liquidità del sistema e può agire quale prestatore di ultima istanza nei confronti di enti creditizi illiquidi.
infine, alle aziende di credito è affidato un ruolo fondamentale nel funzionamento del sistema dei pagamenti, del quale esse assicurano le infrastrutture, oltre che gran parte dei servizi; anche in tale campo l'efficienza nella produzione e nell'offerta di mezzi di pagamento è essenziale per il corretto svolgimento e lo sviluppo delle transazioni economiche e commerciali.
L'applicazione di norme prudenziali particolarmente stringenti per le banche non esaurisce la gamma degli interventi regolamentari loro rivolti, essendo necessario il ricorso a norme di trasparenza sui contratti da esse realizzati con la clientela, anche al fine di favorire il dispiegarsi della concorrenza.
Accanto agli enti creditizi che agiscono nel campo dell'intermediazione tradizionale, si stanno diffondendo altri tipi di operatori che contribuiscono a rendere più articolata l'offerta di servizi finanziari. La loro attività è indirizzata a svolgere funzioni specialistiche, complementari o anche sostitutive di quelle delle banche. A tali soggetti vanno certamente applicate le regole di trasparenza, le quali riguardano sia le condizioni di impiego, sia quelle connesse con l'emissione di valori mobiliari.
Tali intermediari richiedono, inoltre, l'applicazione di forme di vigilanza prudenziale per due tipi di considerazioni; innanzitutto per l'esistenza del pericolo di contagio che nell'industria finanziaria è particolarmente rilevante; in secondo luogo, una regolamentazione più incisiva può essere giustificata quando l'attività degli intermediari è basata sull'esistenza di un mandato, ovvero di un affidamento fiduciario del risparmio da parte degli investitori. Nel caso dei fondi comuni d'investimento e delle gestioni patrimoniali può potenzialmente insorgere un conflitto tra cliente e intermediario; gli obiettivi di investimento di quest'ultimo possono divergere dall'interesse del fiduciante.
Un'ulteriore motivazione a favore dell'estensione dei controlli prudenziali, sia pure di minore intensità, agli intermediari non bancari risiede nella constatazione che differenze rilevanti nella regolamentazione di segmenti di attività contigui possono dar luogo a distorsioni concorrenziali e a spinte all'elusione dei controlli. Ciò è particolarmente rilevante in un contesto di progressivo dissolvimento dei confini tra i mercati finanziari, di aumento del livello di concorrenza e di riduzione dei margini di profitto.
E' importante non dimenticare, d'altra parte, che discipline di vigilanza che non siano giustificate da sostanziali esigenze di stabilità possono comportare costi tutt'altro che trascurabili in termini di vincoli alle scelte degli imprenditori bancari e finanziari, determinando altresì possibili svantaggi competitivi nel confronto internazionale.

2. L'EVOLUZIONE DELLA REGOLAMENTAZIONE IN ITALIA
Il sistema finanziario italiano ha subìto una profonda evoluzione durante gli anni Ottanta. Le innovazioni, favorite dal processo di internazionalizzazione e dal progresso tecnologico, hanno riguardato sia gli operatori sia i mercati. Gli sviluppi intervenuti, insieme con l'avanzare del processo di integrazione comunitaria, hanno richiesto di rivedere le modalità dell'intervento di regolamentazione; esso non poteva più essere volto unicamente a garantire la stabilità del sistema, ma doveva favorire il diffondersi di adeguati livelli di efficienza.
Il rinnovo della regolamentazione ha investito sia l'attività bancaria, secondo gli accordi presi in sede internazionale, sia settori in precedenza non regolamentati. Per il comparto creditizio è stato ridotto il ruolo della vigilanza strutturale a favore di quella prudenziale, con un graduale allentamento dei vincoli più rigidi: in particolare è stato rivisto l'intero sistema dei controlli "all'entrata", tra i quali i requisiti per la costituzione di nuove banche e per l'apertura di sportelli; sono state introdotte, nel contempo, regole prudenziali in materia di coefficienti patrimoniali che hanno modificato l'esplicarsi dell'attività di vigilanza.
Il processo evolutivo non ha comportato l'attenuazione dei controlli dell'Autorità, né della responsabilità dei dirigenti bancari; il potere conoscitivo e regolamentare della Banca d'Italia è stato anzi esteso ad aspetti nuovi dell'attività finanziaria, attraverso opportuni interventi legislativi che consentono la supervisione dei gruppi creditizi; la tutela della concorrenza e della separatezza tra banca e industria; la regolamentazione organica dell'intermediazione mobiliare; le discipline, non meno importanti, della trasparenza, del credito al consumo e del factoring; la disciplina degli intermediari finanziari non regolati da norme specifiche.
Con riferimento alle banche, da una concezione dell'attività creditizia di tipo marcatamente istituzionale, derivata dall'idea che in esse prevalessero aspetti di pubblico servizio, si è passati a una visione che ne afferma e ne recupera la natura imprenditoriale. E' stato così possibile riassegnare al mercato un maggior ruolo nella valutazione della solidità e della redditività degli intermediari bancari, sottoponendoli agli stimoli concorrenziali benefici per l'efficienza del sistema.
Per quanto concerne la regolamentazione degli intermediari non bancari, assume particolare rilevanza la legge 5 luglio 1991, n. 197, che ha l'obiettivo di limitare l'uso del contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e prevenire l'utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio; essa si compone, sotto un profilo sostanziale, di due distinti ambiti normativi: tino riguardante la materia del riciclaggio, sulla quale mi soffermerò nella parte finale di questo articolo; l'altro la previsione di un sistema di controlli nei confronti delle società finanziarie. Si realizza in tal modo una "chiusura" dei vari modelli di vigilanza già applicati nei confronti degli intermediari (creditizi, mobiliari, assicurativi) componenti il sistema finanziario italiano.
La legge 197/91 fissa la struttura generale del controllo prudenziale e i requisiti di onorabilità generalmente applicabili agli intermediari finanziari non altrimenti regolamentati. L'esercizio dell'attività a contenuto finanziario viene riservato dalla legge ai soggetti iscritti nell'albo generale tenuto dall'Ufficio Italiano dei Cambi; per gli intermediari che operano direttamente con il pubblico sono previsti l'adozione del modello della società per azioni, requisiti di capitale minimo e di professionalità degli amministratori. La legge, infine, attribuisce al Ministro del Tesoro la potestà di fissare i criteri in base ai quali sono individuate le società finanziarie da inserire in un apposito albo speciale e da assoggettare ai controlli di vigilanza prudenziale della Banca d'Italia.
I compiti di supervisione affidati a quest'ultima investono il profilo della stabilità degli intermediari, come avviene per gli enti creditizi. Secondo lo schema di riferimento in precedenza tracciato, le società finanziarie sottoposte a controlli prudenziali sono unicamente quelle che, in virtù della loro dimensione, del loro grado di indebitamento e dell'esercizio dell'attività nei confronti del pubblico, possono rappresentare, in caso di dissesto, un pericolo per la stabilità dell'intero sistema.
Le prime analisi dei dati contenuti nell'albo generale degli intermediari finanziari curato dall'UIC danno una indicazione della morfologia degli intermediari in parola. La quota di quelli che svolgono attività che implicano contatti con il pubblico, e che sono quindi potenzialmente più rilevanti in un'ottica di vigilanza, si situa intorno a un quinto degli oltre ventisettemila intermediari censiti.
Tra questi, circa la metà svolge attività di concessione di finanziamenti, mentre un terzo opera nel campo della locazione finanziaria. Rilevante, seppure a volte dai contorni indefiniti, è l'attività di assunzione di partecipazioni; presenti solo in misura minore sono le altre tipologie di enti operanti nel settore della gestione dei mezzi di pagamento e dell'intermediazione in cambi.
Sotto il profilo della distribuzione territorale, la maggioranza degli intermediari risulta localizzata nel Nord Italia; tuttavia le finanziarie operanti nel Centro e nel Sud svolgono in maniera più rilevante la propria attività con il pubblico.
Nella costruzione del modello di supervisione occorrerà tener conto del fatto che i soggetti da vigilare non costituiscono un insieme omogeneo. Società che erogano finanziamenti, imprese che gestiscono partecipazioni, intermediari in cambi e soggetti che forniscono servizi di incasso, pagamento e trasferimento di fondi sono accomunati solo dall'esercizio professionale di un'attività a contenuto finanziario nei confronti del pubblico.

3. IL PROBLEMA DELLA CRIMINALITA' NEL SETTORE FINANZIARIO
La centralità del settore finanziario nell'economia richiede che banche e società finanziarie siano sottratte all'indebita influenza di fattori e interessi che possano condizionarne i processi decisionali alla base del meccanismo di allocazione delle risorse. Tale obiettivo deve essere perseguito riaffermando il principio di separatezza tra banche e imprese industriali e commerciali e prevenendo forme di inquinamento non solo dei vertici aziendali ma anche dei dirigenti.
In questo senso autonomia e integrità del settore finanziario acquistano il rilievo di valori essenziali per l'ordinamento e la società civile, che vanno difesi da ogni interferenza e, a maggior ragione, dai condizionamenti strumentali della criminalità organizzata.
Il crimine, modificando il proprio modello di comportamento, tende a mimetizzarsi sotto attività economiche lecite; esso è sempre più spesso gestito secondo formule organizzative e criteri di efficienza tipiche del mondo dell'impresa; produce, soprattutto nel settore del traffico di droga, profitti considerevoli e crescenti. Di qui l'attenzione alle opportunità di investimento offerte dal sistema economico e l'esigenza di riciclare i capitali per impedire che possa essere ricostruito il legame con l'area dell'illegalità dalla quale provengono.
In un contesto di rapida innovazione e integrazione finanziaria il riciclaggio dei proventi del crimine organizzato assume, a sua volta, connotati di novità: diventa più difficoltoso da un lato individuare i canali percorsi dai proventi illeciti che, anche grazie all'utilizzo degli strumenti telematici, attraversano le frontiere nazionali; dall'altro, ricostruire il legame con l'area dell'illegalità dalla quale provengono. Le istituzioni finanziarie divengono, anche inconsapevolmente, gli strumenti privilegiati di raccolta, trasformazione e trasferimento dei proventi di attività delittuose.
Anche il mezzo di pagamento più tradizionale, il contante, si presta a usi illeciti, poiché non lascia attestazioni documentali dei trasferimenti effettuati, né dei nominativi tra i quali essi si perfezionano, creando forti ostacoli all'attività di accertamento e repressione degli organi investigativi e giudiziari.
Le recenti esperienze internazionali dimostrano altresì che l'ingerenza della criminalità organizzata può incidere negativamente sulla stabilità di importanti intermediari. Il perseguimento esasperato di obiettivi di affermazione nel mercato non deve condurre gli operatori finanziari a porre in secondo piano i valori della deontologia professionale e della correttezza negli affari. Ne può risultare compromessa la stessa distribuzione ottimale delle risorse nell'economia.
Ma instabilità e presenza di interessi illegali sono profili che risultano strettamente interdipendenti anche su un altro versante: le organizzazioni criminali dimostrano una maggiore capacità di infiltrazione proprio laddove le unità del sistema presentano minore solidità, a causa di profili tecnici deboli, di carenze organizzative, di controlli interni insufficienti.
Il pericolo che la penetrazione criminale rappresenta per l'economia è oggi globalmente avvertito. Anzi, un'azione efficace sulle attività finanziarie illecite richiede l'estensione del le norme antiriciclaggio agli operatori di tutti i Paesi, per contrastare una criminalità che ormai non conosce più il limite delle frontiere degli Stati.
Proprio sul piano internazionale sono state assunte significative iniziative promosse dalle Autorità di Vigilanza bancaria, sensibili per vocazione al valore di autonomia e indipendenza degli intermediari. La dichiarazione dei principi di Basilea del 1988, le iniziative del GAFI (Gruppo di Azione Finanziaria) e della Comunità Economica Europea sollecitano l'osservanza anche di principi di ordine etico.
Il gruppo di Azione Finanziaria fu istituito nel luglio 1989 in occasione del vertice di Parigi dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi più industrializzati, allo scopo di studiare il rapporto tra criminalità e finanza e proporre soluzioni; il Gruppo, in considerazione della sempre maggiore consapevolezza del problema della criminalità organizzata, si è poi trasformato in struttura permanente presso l'OCSE; questa struttura ha il compito di osservare il fenomeno e di verificare lo stato di attuazione delle misure suggerite.
Non vanno dimenticate, tra le iniziative internazionali, la Convenzione ONU stipulata a Vienna nel dicembre 1988, sul traffico della droga, la Conferenza del Consiglio d'Europa di Strasburgo del novembre 1990 e, infine, la direttiva CEE del 10 giugno 1991 volta a generalizzare in tutta l'area comunitaria alcune misure antiriciclaggio, peraltro già introdotte nel nostro Paese con decreto legge 143 del 3 maggio 1991, convertito nella citata legge 197.
Anche sulla scorta degli impulsi internazionali, numerosi Paesi hanno adottato misure intese a contrastare la penetrazione della criminalità nel sistema economico, in particolare nei circuiti dell'intermediazione creditizia e finanziaria. Figure specifiche di reato riguardanti attività di riciclaggio sono state introdotte nelle legislazioni degli Stati Uniti, del Canada, del Regno Unito; in quest'ultimo Paese, in particolare, vengono puniti coloro che, con la loro assistenza, permettono a chi sia conosciuto o sospettato come trafficante di droga di conservare o investire i proventi illeciti.
La prevenzione e il controllo sono di norma affidati a sistemi di censimento e segnalazione, che fanno carico agli intermediari, e sono, a seconda dei casi, previsti da accordi interbancari o imposti dalla legge. L'identificazione dei nominativi che effettuano operazioni superiori a certi importi è stata adottata in Svizzera e nei Paesi Bassi; in alcuni Stati si è disposta la segnalazione a organi investigativi o a speciali agenzie delle operazioni sospette, come nel Regno Unito, o di quelle superiori a certi importi, come negli Stati Uniti d'America. Altri Paesi, come la Francia, hanno seguito la strada del doppio obbligo, di registrazione delle operazioni che superano un determinato importo e di segnalazione di quelle che si presentano sospette.
In Italia la normativa antiriciclaggio risale alla fine degli anni Settanta. Il decreto legge n. 59 del 1978, convertito nella legge n. 191, ha introdotto una prima fattispecie del reato di riciclaggio all'art. 648-bis del codice penale. Il decreto legge n. 625 del 1979, convertito nella legge 15/80, ha imposto agli Uffici della Pubblica Amministrazione e alle banche di identificare e registrare le generalità di quanti versino, incassino o prelevino somme di denaro superiori a L. 20 milioni.
Negli anni a seguire la Banca d'Italia ha intensificato, nell'ambito delle proprie competenze, la collaborazione con gli organi investigativi e giudiziari, nonché le iniziative di contrasto al riciclaggio: sul piano internazionale, avviando e partecipando a forme di collaborazione con le Autorità di Vigilanza estere; sul piano interno, conducendo un'azione attenta e continua diretta a verificare, anche attraverso controlli ispettivi, il rispetto da parte delle banche della normativa introdotta con la legge 15/80; è stata inoltre svolta una costante e capillare opera di sensibilizzazione degli operatori creditizi fino a promuovere, assieme all'Associazione Bancaria Italiana, il recepimento dei principi di Basilea in un accordo interbancario sottoscritto dagli enti di credito. In tutte le sedi istituzionali la Banca d'Italia ha rappresentato la gravità del pericolo criminale per la stabilità del sistema bancario, apportando il proprio contributo di competenza tecnica alla predisposizione di idonei strumenti di contrasto.


L'impianto normativo si è consolidato con l'emanazione della legge 55/90 e della richiamata legge 197/91: la prima ha, tra l'altro, esteso il reato di riciclaggio, previsto dall'art. 648-bis del codice penale, al denaro proveniente dalla produzione e dal traffico di droga e ha introdotto una nuova figura delittuosa, quella dell'impiego di beni di provenienza illecita in attività economiche.
In particolare, la legge n. 55 del 1990 ha reintrodotto la sanzione penale in luogo di quella amministrativa per l'abusivismo bancario; questo, al pari dell'abusivismo delle varie forme di attività finanziaria, è considerato facilmente esposto a condizionamenti illeciti e quindi alla contiguità con le pratiche di riciclaggio, soprattutto in determinati contesti ambientali.
La legge 197/91, riservando l'attività finanziaria ai soli intermediari censiti e assoggettati all'obbligo dei requisiti e ai controlli di cui si è già detto, ha provveduto a delimitare i confini dell'intero sistema dell'intermediazione finanziaria, colpendo con sanzione penale gli operatori abusivi. A tal proposito va ricordata, come contributo alla lotta dell'abusivismo, la recente e ormai consolidata giurisprudenza la quale rifiuta l'omologazione alle società che intendono esercitare forme di attività finanziaria senza assoggettarsi ai prescritti adempimenti, con ciò violando le riserve di legge e, in particolare, quella relativa all'attività bancaria.
Il nuovo quadro normativo porta chiarezza in un'area dell'intermediazione che, non essendo finora puntualmente regolamentata, aveva dato luogo a pratiche di gestione dei rapporti con la clientela non sempre ispirate a criteri di correttezza e talvolta fonte di comportamenti anche penalmente rilevanti. L'integrale regolamentazione degli operatori finanziari favorirà il progressivo assorbimento delle forme di finanziamento sommerso e delle pratiche di usura.
L'estensione a tutti gli intermediari dell'obbligo di identificazione della clientela per ogni operazione superiore a L. 20 milioni è stata accompagnata al divieto di trasferire denaro contante o titoli al portatore per uguale importo, se non tramite gli intermediari abilitati, i quali debbono registrare tali operazioni così da rendere possibile la ricostruzione a posteriori della mappa delle transazioni.
Di particolare rilevanza, anche per i profili più strettamente giuridici, è la previsione a carico degli operatori bancari e finanziari dell'obbligo di segnalare all'Autorità di polizia le operazioni che possano ritenersi effettuate con denaro proveniente dai gravi reati elencati nell'art. 648-bis del codice penale, che punisce il riciclaggio. Questa forma di collaborazione attiva risulta nuova per il nostro ordinamento giuridico. Si tratta di una fattispecie prevista anche dalla direttiva comunitaria del 10 giugno 1991; il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri consentirà l'introduzione generalizzata in tutta la Comunità dell'obbligo di segnalare operazioni sospette da parte degli intermediari bancari e finanziari.
L'applicazione di tale previsione richiede all'intermediario una grande attenzione nel contatto con la clientela, nonché una certa sensibilità a cogliere gli elementi di sospetto, considerato che l'operatore bancario e finanziario ha un'attitudine istituzionale a conoscere e valutare le esigenze del cliente, le sue condizioni patrimoniali, l'ambito, la consistenza e la natura delle sue attività economiche. Resta comunque escluso che l'operatore si debba fare carico di una vera e propria attività investigativa, che rimane di esclusiva competenza delle forze di polizia e degli altri organismi istituzionalmente incaricati di svolgerle. A conferma di quanto detto, la segnalazione non assume certo la forma della denuncia di fatti penalmente rilevanti, ma costituisce soltanto una semplice comunicazione di sospetti utile a innescare la normale funzione investigativa.
L'obbligo di segnalazione è presidiato da una sanzione pecuniaria di natura amministrativa, ma il rischio cui si espone l'intermediario inadempiente èassai più consistente, potendo egli essere incriminato per concorso nel reato di riciclaggio o anche per favoreggiamento. Proprio allo scopo di fornire un riferimento orientativo agli intermediari, è allo studio, anche in relazione ad analoghe iniziative assunte in altri Paesi e in particolare dalla Banca d'Inghilterra, la predisposizione di una casistica che esemplifichi i più comuni comportamenti che facciano sospettare l'esistenza di operazioni di riciclaggio e che, quindi, attivino l'obbligo della segnalazione.
La legge 197 richiede, inoltre, agli intermediari il potenziamento del sistema dei controlli e riscontri interni, in modo da attivare procedure volte a prevenire il coinvolgimento in operazioni di riciclaggio. In particolare, al collegio sindacale è fatto specifico obbligo di vigilare sul rispetto della normativa introdotta con la legge 197 e di inviare al Ministero del Tesoro, alla Banca d'Italia e all'Ufficio Italiano dei Cambi, secondo le diverse competenze, le osservazioni mosse in materia agli organi di amministrazione dell'ente.
Lo sforzo di individuare e chiudere le vie di infiltrazione del crimine nel sistema degli intermediari trova un utile supporto nelle disposizioni che, pur non essendo state concepite per la lotta contro il riciclaggio, ne rendono più difficile la pratica; mi riferisco alle norme che assicurano la trasparenza nella gestione dell'attività creditizia e finanziaria, negli assetti proprietari delle banche (legge n. 287 del 1990), nell'uso delle informazioni economiche e finanziarie riservate, oggetto della recente legge sull'insider trading.
La trasparenza, intesa come principio di validità generale, la solidità degli operatori, assicurata da una gestione accorta e prudente, nonché l'efficienza dell'organizzazione e dei controlli interni costituiscono altrettanti punti di forza e fattori di protezione dal pericolo della criminalità. Un intermediario che sa operare sul mercato con efficienza, competitività e trasparenza è anche un intermediario più libero dal condizionamento di interessi impropri. In questo senso l'Autorità di Vigilanza, nel perseguire obiettivi di stabilità del sistema, ha svolto da sempre e continua a svolgere un'azione indiretta, ma non meno efficace, di prevenzione contro le influenze del crimine organizzato.
Si riconosce contestualmente l'interesse pubblico all'integrità e all'efficienza del sistema dell'intermediazione per il progresso del Paese. Di qui l'esigenza di tutelare gli intermediari con una strategia composita di intervento, sul piano preventivo dei controlli di Vigilanza e su quello repressivo delle sanzioni penali e amministrative. L'obbligo di segnalazione delle operazioni sospette rappresenta un momento che riafferma la necessità di una convinta e fattiva collaborazione all'interno della società civile.
Sul piano della concreta realizzazione delle misure organizzative necessarie per attuare i richiamati indirizzi, occorre tener conto dei fattori di costo e di appesantimento delle procedure operative.
Il quadro che emerge evidenzia che il riciclaggio deve essere combattuto essenzialmente con strumenti di natura penale e attraverso la cooperazione internazionale tra Autorità giudiziarie e di polizia.
Peraltro, l'opera delle Autorità di regolamentazione del sistema finanziario costituisce un importante supporto per la prevenzione del fenomeno; essa evita che le conseguenze di comportamenti illeciti da parte di alcuni soggetti si trasferiscano anche a operatori sani, minandone la solidità.
E' opportuno sottolineare le differenze di finalità e di strumentario dei diversi Organi di controllo. Le Autorità di Vigilanza bancaria perseguono sostanzialmente finalità di tutela dei risparmio, attraverso la protezione del depositante e il controllo sull'ordinato esercizio del credito, laddove gli Organi della giustizia penale rivolgono la propria azione fondamentalmente alla repressione dei reati. Anche nell'esercizio dell'attività del controllo ispettivo, che talora viene erroneamente paragonata a quella degli accertamenti giudiziari o di polizia, le analisi di Vigilanza non investono la sfera soggettiva privata, non si avvalgono di poteri coercitivi. Diverse sono di conseguenza le modalità procedurali e le logiche operative: l'Organo di Vigilanza in via ordinaria fornisce indicazioni e direttive generali, la cui applicazione spetta ai competenti organi degli enti creditizi, nella loro piena responsabilità sulla correttezza e sulla validità delle singole operazioni poste in essere.
In conclusione, l'ordinamento affida alla Banca d'Italia il compito di tutelare il risparmio e di favorire un corretto esercizio del credito. In questa attività, la Banca d'Italia ha affermato con forza la necessità di un'ampia autonomia della impresabanca dalle altre imprese, industriali e commerciali. A maggior ragione, ènecessario che l'impresabanca sia isolata dalle imprese che operano nei mercati illegali. La prevenzione assume due diverse forme: la prima investe gli assetti proprietari impedendo che le imprese illegali possano acquisire potere di comando all'interno delle banche; la seconda, che attiene ai flussi finanziari, si realizza impedendo che la stabilità delle banche e il corretto esercizio del credito possano essere influenzati da un qualche coinvolgimento di fatto nelle transazioni che hanno per oggetto disponibilità finanziarie che si originano sui mercati illegali.
Il raggiungimento di questi obiettivi non può essere garantito dai soli controlli tecnico-amministrativi svolti dalla Banca d'Italia quale organo di Vigilanza - è essenziale la collaborazione tra quest'ultima, la Magistratura, le Autorità di polizia.
La Banca d'Italia nell'esercizio dei suoi compiti di vigilanza sugli intermediari finanziari viene di frequente in contatto con le istituzioni cui è affidato il compito della lotta alla criminalità organizzata. Ad esse rivolge, e da esse riceve, ampia e proficua collaborazione. Il coordinamento tra le diverse istituzioni, ognuna per i profili di propria competenza, è elevato e crescente: trova motivazione nella rilevanza degli interessi coinvolti; rappresenta il mezzo migliore per la tutela del bene pubblico, fine ultimo che unisce tali istituzioni.


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