1.
LE RAGIONI DELLA REGOLAMENTAZIONE
In tutti i principali Paesi industrializzati il settore finanziario,
e in particolare quello bancario, è oggetto di una regolamentazione
prudenziale penetrante.
Le ragioni dell'intervento pubblico sui mercati e sugli operatori finanziari
sono molteplici; esse sono tuttavia sinteticamente riconducibili al
ruolo peculiare svolto dall'industria dei servizi finanziari all'interno
del sistema economico, il cui sviluppo dipende anche dalla distribuzione
delle risorse che si effettua attraverso il settore finanziario.
L'industria finanziaria svolge al meglio i propri compiti quando gli
operatori che in essa intervengono dispongono di un adeguato grado d'informazione.
La conoscenza delle caratteristiche oggettive dei diversi prodotti finanziari
e di quelle soggettive, in particolare di affidabilità del mutuatario,
è indispensabile per una corretta e consapevole allocazione delle
risorse.
L'obiettivo di adeguatezza informativa dev'essere perseguito con modalità
differenziate in relazione alle caratteristiche dei singoli mercati.
Per il mercato dei valori mobiliari, nel quale l'incontro della domanda
e dell'offerta avviene in modo diretto, sulla base di informazioni che
non hanno caratteristiche di riservatezza, è richiesta la massima
trasparenza delle condizioni. La chiarezza delle forme contrattuali
e la certezza dei costi e dei ricavi, collegati alle operazioni effettuate,
facilitano la confrontabilità delle diverse alternative e ampliano
la possibilità di scelta della clientela.
In altri mercati finanziari l'insufficienza di informazioni, superabile
soltanto sostenendo il costo per la valutazione del merito creditizio,
rende necessario l'intervento di intermediari specializzati che erogano
prestiti sulla base di informazioni riservate, non disponibili per il
mercato. Ponendosi in un rapporto di delega nei confronti dei risparmiatori,
l'intermediario creditizio valuta e segue l'impresa affidata; quest'ultima
trova vantaggioso il ricorso a tale forma di credito, potendo contare
sul riserbo circa i propri piani di investimento, al quale dovrebbe
rinunciare se ricorresse direttamente al mercato dei valori mobiliari.
Nello svolgimento di tale funzione, alcuni di questi intermediari assumono
una configurazione di bilancio potenzialmente instabile, indebitandosi
per ammontari nominali certi (tipicamente i depositi) e investendo in
attività incerte; l'esigenza di tutela del risparmio rende indispensabile,
in tale situazione, l'intervento di regolamentazione prudenziale da
parte dell'Autorità di Vigilanza.
Inoltre, in sistemi complessi nei quali sia elevata l'interdipendenza
degli operatori, la crisi di liquidità e/o insolvenza anche di
intermediari non bancari che si segnalino per rilevanza dimensionale
e per volume di attività svolta con il pubblico può ripercuotersi
sugli altri, anche se non direttamente coinvolti, generando sfiducia
verso l'intero sistema.
Si rende di conseguenza necessario il ricorso a interventi regolamentari,
volti da un lato a ridurre il rischio di improvvise crisi di fiducia
del pubblico nella solidità degli intermediari finanziari e,
dall'altro, a limitare le conseguenze della crisi qualora questa si
produca. In definitiva, lo scopo della vigilanza prudenziale è
di consentire alla collettività di beneficiare del ruolo svolto
dagli intermediari finanziari, evitando al tempo stesso il rischio di
impulsi destabilizzanti in grado di coinvolgere il settore reale dell'economia.
Le regolamentazioni dell'attività finanziaria, di trasparenza
e di vigilanza, non sono alternative, ma devono essere variamente combinate:
mercati e intermediari creditizi costituiscono elementi compatibili,
anzi complementari, di una realtà variegata e complessa. E' opportuno
che gli interventi di trasparenza, così come quelli di stabilità,
si estendano in modo trasversale a tutti gli operatori, sia pure in
misura differenziata in relazione alle caratteristiche dei contratti.
In particolare, la tutela della stabilità attraverso la vigilanza
prudenziale va modulata in relazione alle differenti realtà istituzionali,
al tipo di clientela e alla potenziale rischiosità sistemica
degli operatori.
Un livello massimo di controllo deve essere predisposto per le banche:
esse, infatti, sono maggiormente soggette al rischio di crisi di liquidità,
originate dal venir meno della fiducia da parte dei depositanti, siano
essi individui, società, istituzioni finanziarie e anche bancarie.
Le banche, inoltre, si distinguono dagli altri intermediari finanziari
perché costituiscono un canale di trasmissione degli impulsi
di politica monetaria della Banca centrale, la quale governa la liquidità
del sistema e può agire quale prestatore di ultima istanza nei
confronti di enti creditizi illiquidi.
infine, alle aziende di credito è affidato un ruolo fondamentale
nel funzionamento del sistema dei pagamenti, del quale esse assicurano
le infrastrutture, oltre che gran parte dei servizi; anche in tale campo
l'efficienza nella produzione e nell'offerta di mezzi di pagamento è
essenziale per il corretto svolgimento e lo sviluppo delle transazioni
economiche e commerciali.
L'applicazione di norme prudenziali particolarmente stringenti per le
banche non esaurisce la gamma degli interventi regolamentari loro rivolti,
essendo necessario il ricorso a norme di trasparenza sui contratti da
esse realizzati con la clientela, anche al fine di favorire il dispiegarsi
della concorrenza.
Accanto agli enti creditizi che agiscono nel campo dell'intermediazione
tradizionale, si stanno diffondendo altri tipi di operatori che contribuiscono
a rendere più articolata l'offerta di servizi finanziari. La
loro attività è indirizzata a svolgere funzioni specialistiche,
complementari o anche sostitutive di quelle delle banche. A tali soggetti
vanno certamente applicate le regole di trasparenza, le quali riguardano
sia le condizioni di impiego, sia quelle connesse con l'emissione di
valori mobiliari.
Tali intermediari richiedono, inoltre, l'applicazione di forme di vigilanza
prudenziale per due tipi di considerazioni; innanzitutto per l'esistenza
del pericolo di contagio che nell'industria finanziaria è particolarmente
rilevante; in secondo luogo, una regolamentazione più incisiva
può essere giustificata quando l'attività degli intermediari
è basata sull'esistenza di un mandato, ovvero di un affidamento
fiduciario del risparmio da parte degli investitori. Nel caso dei fondi
comuni d'investimento e delle gestioni patrimoniali può potenzialmente
insorgere un conflitto tra cliente e intermediario; gli obiettivi di
investimento di quest'ultimo possono divergere dall'interesse del fiduciante.
Un'ulteriore motivazione a favore dell'estensione dei controlli prudenziali,
sia pure di minore intensità, agli intermediari non bancari risiede
nella constatazione che differenze rilevanti nella regolamentazione
di segmenti di attività contigui possono dar luogo a distorsioni
concorrenziali e a spinte all'elusione dei controlli. Ciò è
particolarmente rilevante in un contesto di progressivo dissolvimento
dei confini tra i mercati finanziari, di aumento del livello di concorrenza
e di riduzione dei margini di profitto.
E' importante non dimenticare, d'altra parte, che discipline di vigilanza
che non siano giustificate da sostanziali esigenze di stabilità
possono comportare costi tutt'altro che trascurabili in termini di vincoli
alle scelte degli imprenditori bancari e finanziari, determinando altresì
possibili svantaggi competitivi nel confronto internazionale.
2. L'EVOLUZIONE
DELLA REGOLAMENTAZIONE IN ITALIA
Il sistema finanziario italiano ha subìto una profonda evoluzione
durante gli anni Ottanta. Le innovazioni, favorite dal processo di
internazionalizzazione e dal progresso tecnologico, hanno riguardato
sia gli operatori sia i mercati. Gli sviluppi intervenuti, insieme
con l'avanzare del processo di integrazione comunitaria, hanno richiesto
di rivedere le modalità dell'intervento di regolamentazione;
esso non poteva più essere volto unicamente a garantire la
stabilità del sistema, ma doveva favorire il diffondersi di
adeguati livelli di efficienza.
Il rinnovo della regolamentazione ha investito sia l'attività
bancaria, secondo gli accordi presi in sede internazionale, sia settori
in precedenza non regolamentati. Per il comparto creditizio è
stato ridotto il ruolo della vigilanza strutturale a favore di quella
prudenziale, con un graduale allentamento dei vincoli più rigidi:
in particolare è stato rivisto l'intero sistema dei controlli
"all'entrata", tra i quali i requisiti per la costituzione
di nuove banche e per l'apertura di sportelli; sono state introdotte,
nel contempo, regole prudenziali in materia di coefficienti patrimoniali
che hanno modificato l'esplicarsi dell'attività di vigilanza.
Il processo evolutivo non ha comportato l'attenuazione dei controlli
dell'Autorità, né della responsabilità dei dirigenti
bancari; il potere conoscitivo e regolamentare della Banca d'Italia
è stato anzi esteso ad aspetti nuovi dell'attività finanziaria,
attraverso opportuni interventi legislativi che consentono la supervisione
dei gruppi creditizi; la tutela della concorrenza e della separatezza
tra banca e industria; la regolamentazione organica dell'intermediazione
mobiliare; le discipline, non meno importanti, della trasparenza,
del credito al consumo e del factoring; la disciplina degli intermediari
finanziari non regolati da norme specifiche.
Con riferimento alle banche, da una concezione dell'attività
creditizia di tipo marcatamente istituzionale, derivata dall'idea
che in esse prevalessero aspetti di pubblico servizio, si è
passati a una visione che ne afferma e ne recupera la natura imprenditoriale.
E' stato così possibile riassegnare al mercato un maggior ruolo
nella valutazione della solidità e della redditività
degli intermediari bancari, sottoponendoli agli stimoli concorrenziali
benefici per l'efficienza del sistema.
Per quanto concerne la regolamentazione degli intermediari non bancari,
assume particolare rilevanza la legge 5 luglio 1991, n. 197, che ha
l'obiettivo di limitare l'uso del contante e dei titoli al portatore
nelle transazioni e prevenire l'utilizzazione del sistema finanziario
a scopo di riciclaggio; essa si compone, sotto un profilo sostanziale,
di due distinti ambiti normativi: tino riguardante la materia del
riciclaggio, sulla quale mi soffermerò nella parte finale di
questo articolo; l'altro la previsione di un sistema di controlli
nei confronti delle società finanziarie. Si realizza in tal
modo una "chiusura" dei vari modelli di vigilanza già
applicati nei confronti degli intermediari (creditizi, mobiliari,
assicurativi) componenti il sistema finanziario italiano.
La legge 197/91 fissa la struttura generale del controllo prudenziale
e i requisiti di onorabilità generalmente applicabili agli
intermediari finanziari non altrimenti regolamentati. L'esercizio
dell'attività a contenuto finanziario viene riservato dalla
legge ai soggetti iscritti nell'albo generale tenuto dall'Ufficio
Italiano dei Cambi; per gli intermediari che operano direttamente
con il pubblico sono previsti l'adozione del modello della società
per azioni, requisiti di capitale minimo e di professionalità
degli amministratori. La legge, infine, attribuisce al Ministro del
Tesoro la potestà di fissare i criteri in base ai quali sono
individuate le società finanziarie da inserire in un apposito
albo speciale e da assoggettare ai controlli di vigilanza prudenziale
della Banca d'Italia.
I compiti di supervisione affidati a quest'ultima investono il profilo
della stabilità degli intermediari, come avviene per gli enti
creditizi. Secondo lo schema di riferimento in precedenza tracciato,
le società finanziarie sottoposte a controlli prudenziali sono
unicamente quelle che, in virtù della loro dimensione, del
loro grado di indebitamento e dell'esercizio dell'attività
nei confronti del pubblico, possono rappresentare, in caso di dissesto,
un pericolo per la stabilità dell'intero sistema.
Le prime analisi dei dati contenuti nell'albo generale degli intermediari
finanziari curato dall'UIC danno una indicazione della morfologia
degli intermediari in parola. La quota di quelli che svolgono attività
che implicano contatti con il pubblico, e che sono quindi potenzialmente
più rilevanti in un'ottica di vigilanza, si situa intorno a
un quinto degli oltre ventisettemila intermediari censiti.
Tra questi, circa la metà svolge attività di concessione
di finanziamenti, mentre un terzo opera nel campo della locazione
finanziaria. Rilevante, seppure a volte dai contorni indefiniti, è
l'attività di assunzione di partecipazioni; presenti solo in
misura minore sono le altre tipologie di enti operanti nel settore
della gestione dei mezzi di pagamento e dell'intermediazione in cambi.
Sotto il profilo della distribuzione territorale, la maggioranza degli
intermediari risulta localizzata nel Nord Italia; tuttavia le finanziarie
operanti nel Centro e nel Sud svolgono in maniera più rilevante
la propria attività con il pubblico.
Nella costruzione del modello di supervisione occorrerà tener
conto del fatto che i soggetti da vigilare non costituiscono un insieme
omogeneo. Società che erogano finanziamenti, imprese che gestiscono
partecipazioni, intermediari in cambi e soggetti che forniscono servizi
di incasso, pagamento e trasferimento di fondi sono accomunati solo
dall'esercizio professionale di un'attività a contenuto finanziario
nei confronti del pubblico.
3. IL PROBLEMA
DELLA CRIMINALITA' NEL SETTORE FINANZIARIO
La centralità del settore finanziario nell'economia richiede
che banche e società finanziarie siano sottratte all'indebita
influenza di fattori e interessi che possano condizionarne i processi
decisionali alla base del meccanismo di allocazione delle risorse.
Tale obiettivo deve essere perseguito riaffermando il principio di
separatezza tra banche e imprese industriali e commerciali e prevenendo
forme di inquinamento non solo dei vertici aziendali ma anche dei
dirigenti.
In questo senso autonomia e integrità del settore finanziario
acquistano il rilievo di valori essenziali per l'ordinamento e la
società civile, che vanno difesi da ogni interferenza e, a
maggior ragione, dai condizionamenti strumentali della criminalità
organizzata.
Il crimine, modificando il proprio modello di comportamento, tende
a mimetizzarsi sotto attività economiche lecite; esso è
sempre più spesso gestito secondo formule organizzative e criteri
di efficienza tipiche del mondo dell'impresa; produce, soprattutto
nel settore del traffico di droga, profitti considerevoli e crescenti.
Di qui l'attenzione alle opportunità di investimento offerte
dal sistema economico e l'esigenza di riciclare i capitali per impedire
che possa essere ricostruito il legame con l'area dell'illegalità
dalla quale provengono.
In un contesto di rapida innovazione e integrazione finanziaria il
riciclaggio dei proventi del crimine organizzato assume, a sua volta,
connotati di novità: diventa più difficoltoso da un
lato individuare i canali percorsi dai proventi illeciti che, anche
grazie all'utilizzo degli strumenti telematici, attraversano le frontiere
nazionali; dall'altro, ricostruire il legame con l'area dell'illegalità
dalla quale provengono. Le istituzioni finanziarie divengono, anche
inconsapevolmente, gli strumenti privilegiati di raccolta, trasformazione
e trasferimento dei proventi di attività delittuose.
Anche il mezzo di pagamento più tradizionale, il contante,
si presta a usi illeciti, poiché non lascia attestazioni documentali
dei trasferimenti effettuati, né dei nominativi tra i quali
essi si perfezionano, creando forti ostacoli all'attività di
accertamento e repressione degli organi investigativi e giudiziari.
Le recenti esperienze internazionali dimostrano altresì che
l'ingerenza della criminalità organizzata può incidere
negativamente sulla stabilità di importanti intermediari. Il
perseguimento esasperato di obiettivi di affermazione nel mercato
non deve condurre gli operatori finanziari a porre in secondo piano
i valori della deontologia professionale e della correttezza negli
affari. Ne può risultare compromessa la stessa distribuzione
ottimale delle risorse nell'economia.
Ma instabilità e presenza di interessi illegali sono profili
che risultano strettamente interdipendenti anche su un altro versante:
le organizzazioni criminali dimostrano una maggiore capacità
di infiltrazione proprio laddove le unità del sistema presentano
minore solidità, a causa di profili tecnici deboli, di carenze
organizzative, di controlli interni insufficienti.
Il pericolo che la penetrazione criminale rappresenta per l'economia
è oggi globalmente avvertito. Anzi, un'azione efficace sulle
attività finanziarie illecite richiede l'estensione del le
norme antiriciclaggio agli operatori di tutti i Paesi, per contrastare
una criminalità che ormai non conosce più il limite
delle frontiere degli Stati.
Proprio sul piano internazionale sono state assunte significative
iniziative promosse dalle Autorità di Vigilanza bancaria, sensibili
per vocazione al valore di autonomia e indipendenza degli intermediari.
La dichiarazione dei principi di Basilea del 1988, le iniziative del
GAFI (Gruppo di Azione Finanziaria) e della Comunità Economica
Europea sollecitano l'osservanza anche di principi di ordine etico.
Il gruppo di Azione Finanziaria fu istituito nel luglio 1989 in occasione
del vertice di Parigi dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi più
industrializzati, allo scopo di studiare il rapporto tra criminalità
e finanza e proporre soluzioni; il Gruppo, in considerazione della
sempre maggiore consapevolezza del problema della criminalità
organizzata, si è poi trasformato in struttura permanente presso
l'OCSE; questa struttura ha il compito di osservare il fenomeno e
di verificare lo stato di attuazione delle misure suggerite.
Non vanno dimenticate, tra le iniziative internazionali, la Convenzione
ONU stipulata a Vienna nel dicembre 1988, sul traffico della droga,
la Conferenza del Consiglio d'Europa di Strasburgo del novembre 1990
e, infine, la direttiva CEE del 10 giugno 1991 volta a generalizzare
in tutta l'area comunitaria alcune misure antiriciclaggio, peraltro
già introdotte nel nostro Paese con decreto legge 143 del 3
maggio 1991, convertito nella citata legge 197.
Anche sulla scorta degli impulsi internazionali, numerosi Paesi hanno
adottato misure intese a contrastare la penetrazione della criminalità
nel sistema economico, in particolare nei circuiti dell'intermediazione
creditizia e finanziaria. Figure specifiche di reato riguardanti attività
di riciclaggio sono state introdotte nelle legislazioni degli Stati
Uniti, del Canada, del Regno Unito; in quest'ultimo Paese, in particolare,
vengono puniti coloro che, con la loro assistenza, permettono a chi
sia conosciuto o sospettato come trafficante di droga di conservare
o investire i proventi illeciti.
La prevenzione e il controllo sono di norma affidati a sistemi di
censimento e segnalazione, che fanno carico agli intermediari, e sono,
a seconda dei casi, previsti da accordi interbancari o imposti dalla
legge. L'identificazione dei nominativi che effettuano operazioni
superiori a certi importi è stata adottata in Svizzera e nei
Paesi Bassi; in alcuni Stati si è disposta la segnalazione
a organi investigativi o a speciali agenzie delle operazioni sospette,
come nel Regno Unito, o di quelle superiori a certi importi, come
negli Stati Uniti d'America. Altri Paesi, come la Francia, hanno seguito
la strada del doppio obbligo, di registrazione delle operazioni che
superano un determinato importo e di segnalazione di quelle che si
presentano sospette.
In Italia la normativa antiriciclaggio risale alla fine degli anni
Settanta. Il decreto legge n. 59 del 1978, convertito nella legge
n. 191, ha introdotto una prima fattispecie del reato di riciclaggio
all'art. 648-bis del codice penale. Il decreto legge n. 625 del 1979,
convertito nella legge 15/80, ha imposto agli Uffici della Pubblica
Amministrazione e alle banche di identificare e registrare le generalità
di quanti versino, incassino o prelevino somme di denaro superiori
a L. 20 milioni.
Negli anni a seguire la Banca d'Italia ha intensificato, nell'ambito
delle proprie competenze, la collaborazione con gli organi investigativi
e giudiziari, nonché le iniziative di contrasto al riciclaggio:
sul piano internazionale, avviando e partecipando a forme di collaborazione
con le Autorità di Vigilanza estere; sul piano interno, conducendo
un'azione attenta e continua diretta a verificare, anche attraverso
controlli ispettivi, il rispetto da parte delle banche della normativa
introdotta con la legge 15/80; è stata inoltre svolta una costante
e capillare opera di sensibilizzazione degli operatori creditizi fino
a promuovere, assieme all'Associazione Bancaria Italiana, il recepimento
dei principi di Basilea in un accordo interbancario sottoscritto dagli
enti di credito. In tutte le sedi istituzionali la Banca d'Italia
ha rappresentato la gravità del pericolo criminale per la stabilità
del sistema bancario, apportando il proprio contributo di competenza
tecnica alla predisposizione di idonei strumenti di contrasto.
L'impianto normativo si è consolidato con l'emanazione della
legge 55/90 e della richiamata legge 197/91: la prima ha, tra l'altro,
esteso il reato di riciclaggio, previsto dall'art. 648-bis del codice
penale, al denaro proveniente dalla produzione e dal traffico di droga
e ha introdotto una nuova figura delittuosa, quella dell'impiego di
beni di provenienza illecita in attività economiche.
In particolare, la legge n. 55 del 1990 ha reintrodotto la sanzione
penale in luogo di quella amministrativa per l'abusivismo bancario;
questo, al pari dell'abusivismo delle varie forme di attività
finanziaria, è considerato facilmente esposto a condizionamenti
illeciti e quindi alla contiguità con le pratiche di riciclaggio,
soprattutto in determinati contesti ambientali.
La legge 197/91, riservando l'attività finanziaria ai soli
intermediari censiti e assoggettati all'obbligo dei requisiti e ai
controlli di cui si è già detto, ha provveduto a delimitare
i confini dell'intero sistema dell'intermediazione finanziaria, colpendo
con sanzione penale gli operatori abusivi. A tal proposito va ricordata,
come contributo alla lotta dell'abusivismo, la recente e ormai consolidata
giurisprudenza la quale rifiuta l'omologazione alle società
che intendono esercitare forme di attività finanziaria senza
assoggettarsi ai prescritti adempimenti, con ciò violando le
riserve di legge e, in particolare, quella relativa all'attività
bancaria.
Il nuovo quadro normativo porta chiarezza in un'area dell'intermediazione
che, non essendo finora puntualmente regolamentata, aveva dato luogo
a pratiche di gestione dei rapporti con la clientela non sempre ispirate
a criteri di correttezza e talvolta fonte di comportamenti anche penalmente
rilevanti. L'integrale regolamentazione degli operatori finanziari
favorirà il progressivo assorbimento delle forme di finanziamento
sommerso e delle pratiche di usura.
L'estensione a tutti gli intermediari dell'obbligo di identificazione
della clientela per ogni operazione superiore a L. 20 milioni è
stata accompagnata al divieto di trasferire denaro contante o titoli
al portatore per uguale importo, se non tramite gli intermediari abilitati,
i quali debbono registrare tali operazioni così da rendere
possibile la ricostruzione a posteriori della mappa delle transazioni.
Di particolare rilevanza, anche per i profili più strettamente
giuridici, è la previsione a carico degli operatori bancari
e finanziari dell'obbligo di segnalare all'Autorità di polizia
le operazioni che possano ritenersi effettuate con denaro proveniente
dai gravi reati elencati nell'art. 648-bis del codice penale, che
punisce il riciclaggio. Questa forma di collaborazione attiva risulta
nuova per il nostro ordinamento giuridico. Si tratta di una fattispecie
prevista anche dalla direttiva comunitaria del 10 giugno 1991; il
recepimento della direttiva da parte degli Stati membri consentirà
l'introduzione generalizzata in tutta la Comunità dell'obbligo
di segnalare operazioni sospette da parte degli intermediari bancari
e finanziari.
L'applicazione di tale previsione richiede all'intermediario una grande
attenzione nel contatto con la clientela, nonché una certa
sensibilità a cogliere gli elementi di sospetto, considerato
che l'operatore bancario e finanziario ha un'attitudine istituzionale
a conoscere e valutare le esigenze del cliente, le sue condizioni
patrimoniali, l'ambito, la consistenza e la natura delle sue attività
economiche. Resta comunque escluso che l'operatore si debba fare carico
di una vera e propria attività investigativa, che rimane di
esclusiva competenza delle forze di polizia e degli altri organismi
istituzionalmente incaricati di svolgerle. A conferma di quanto detto,
la segnalazione non assume certo la forma della denuncia di fatti
penalmente rilevanti, ma costituisce soltanto una semplice comunicazione
di sospetti utile a innescare la normale funzione investigativa.
L'obbligo di segnalazione è presidiato da una sanzione pecuniaria
di natura amministrativa, ma il rischio cui si espone l'intermediario
inadempiente èassai più consistente, potendo egli essere
incriminato per concorso nel reato di riciclaggio o anche per favoreggiamento.
Proprio allo scopo di fornire un riferimento orientativo agli intermediari,
è allo studio, anche in relazione ad analoghe iniziative assunte
in altri Paesi e in particolare dalla Banca d'Inghilterra, la predisposizione
di una casistica che esemplifichi i più comuni comportamenti
che facciano sospettare l'esistenza di operazioni di riciclaggio e
che, quindi, attivino l'obbligo della segnalazione.
La legge 197 richiede, inoltre, agli intermediari il potenziamento
del sistema dei controlli e riscontri interni, in modo da attivare
procedure volte a prevenire il coinvolgimento in operazioni di riciclaggio.
In particolare, al collegio sindacale è fatto specifico obbligo
di vigilare sul rispetto della normativa introdotta con la legge 197
e di inviare al Ministero del Tesoro, alla Banca d'Italia e all'Ufficio
Italiano dei Cambi, secondo le diverse competenze, le osservazioni
mosse in materia agli organi di amministrazione dell'ente.
Lo sforzo di individuare e chiudere le vie di infiltrazione del crimine
nel sistema degli intermediari trova un utile supporto nelle disposizioni
che, pur non essendo state concepite per la lotta contro il riciclaggio,
ne rendono più difficile la pratica; mi riferisco alle norme
che assicurano la trasparenza nella gestione dell'attività
creditizia e finanziaria, negli assetti proprietari delle banche (legge
n. 287 del 1990), nell'uso delle informazioni economiche e finanziarie
riservate, oggetto della recente legge sull'insider trading.
La trasparenza, intesa come principio di validità generale,
la solidità degli operatori, assicurata da una gestione accorta
e prudente, nonché l'efficienza dell'organizzazione e dei controlli
interni costituiscono altrettanti punti di forza e fattori di protezione
dal pericolo della criminalità. Un intermediario che sa operare
sul mercato con efficienza, competitività e trasparenza è
anche un intermediario più libero dal condizionamento di interessi
impropri. In questo senso l'Autorità di Vigilanza, nel perseguire
obiettivi di stabilità del sistema, ha svolto da sempre e continua
a svolgere un'azione indiretta, ma non meno efficace, di prevenzione
contro le influenze del crimine organizzato.
Si riconosce contestualmente l'interesse pubblico all'integrità
e all'efficienza del sistema dell'intermediazione per il progresso
del Paese. Di qui l'esigenza di tutelare gli intermediari con una
strategia composita di intervento, sul piano preventivo dei controlli
di Vigilanza e su quello repressivo delle sanzioni penali e amministrative.
L'obbligo di segnalazione delle operazioni sospette rappresenta un
momento che riafferma la necessità di una convinta e fattiva
collaborazione all'interno della società civile.
Sul piano della concreta realizzazione delle misure organizzative
necessarie per attuare i richiamati indirizzi, occorre tener conto
dei fattori di costo e di appesantimento delle procedure operative.
Il quadro che emerge evidenzia che il riciclaggio deve essere combattuto
essenzialmente con strumenti di natura penale e attraverso la cooperazione
internazionale tra Autorità giudiziarie e di polizia.
Peraltro, l'opera delle Autorità di regolamentazione del sistema
finanziario costituisce un importante supporto per la prevenzione
del fenomeno; essa evita che le conseguenze di comportamenti illeciti
da parte di alcuni soggetti si trasferiscano anche a operatori sani,
minandone la solidità.
E' opportuno sottolineare le differenze di finalità e di strumentario
dei diversi Organi di controllo. Le Autorità di Vigilanza bancaria
perseguono sostanzialmente finalità di tutela dei risparmio,
attraverso la protezione del depositante e il controllo sull'ordinato
esercizio del credito, laddove gli Organi della giustizia penale rivolgono
la propria azione fondamentalmente alla repressione dei reati. Anche
nell'esercizio dell'attività del controllo ispettivo, che talora
viene erroneamente paragonata a quella degli accertamenti giudiziari
o di polizia, le analisi di Vigilanza non investono la sfera soggettiva
privata, non si avvalgono di poteri coercitivi. Diverse sono di conseguenza
le modalità procedurali e le logiche operative: l'Organo di
Vigilanza in via ordinaria fornisce indicazioni e direttive generali,
la cui applicazione spetta ai competenti organi degli enti creditizi,
nella loro piena responsabilità sulla correttezza e sulla validità
delle singole operazioni poste in essere.
In conclusione, l'ordinamento affida alla Banca d'Italia il compito
di tutelare il risparmio e di favorire un corretto esercizio del credito.
In questa attività, la Banca d'Italia ha affermato con forza
la necessità di un'ampia autonomia della impresabanca dalle
altre imprese, industriali e commerciali. A maggior ragione, ènecessario
che l'impresabanca sia isolata dalle imprese che operano nei mercati
illegali. La prevenzione assume due diverse forme: la prima investe
gli assetti proprietari impedendo che le imprese illegali possano
acquisire potere di comando all'interno delle banche; la seconda,
che attiene ai flussi finanziari, si realizza impedendo che la stabilità
delle banche e il corretto esercizio del credito possano essere influenzati
da un qualche coinvolgimento di fatto nelle transazioni che hanno
per oggetto disponibilità finanziarie che si originano sui
mercati illegali.
Il raggiungimento di questi obiettivi non può essere garantito
dai soli controlli tecnico-amministrativi svolti dalla Banca d'Italia
quale organo di Vigilanza - è essenziale la collaborazione
tra quest'ultima, la Magistratura, le Autorità di polizia.
La Banca d'Italia nell'esercizio dei suoi compiti di vigilanza sugli
intermediari finanziari viene di frequente in contatto con le istituzioni
cui è affidato il compito della lotta alla criminalità
organizzata. Ad esse rivolge, e da esse riceve, ampia e proficua collaborazione.
Il coordinamento tra le diverse istituzioni, ognuna per i profili
di propria competenza, è elevato e crescente: trova motivazione
nella rilevanza degli interessi coinvolti; rappresenta il mezzo migliore
per la tutela del bene pubblico, fine ultimo che unisce tali istituzioni.
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