§ Sebc / Autonomia delle Banche centrali

Buon governo della moneta




Innocenzo Cipolletta



La stabilità della moneta è un bene di cui si avvantaggia tutta la collettività: agevola gli scambi, riduce l'alea delle scelte d'investimento, sostiene il risparmio, pone una delle condizioni d'equità nell'imposizione fiscale. Alla sua difesa è preposta la Banca Centrale. La riflessione sugli strumenti idonei a garantire la stabilità monetaria si è svolta, sin dall'avvio di un gran dibattito che non è spento, su due fronti: quello dei meccanismi istituzionali coerenti con l'obiettivo, quello delle regole a cui far riferimento nella creazione di moneta.
Oggi come ieri, vi è chi sostiene che una soluzione congiunta dei due problemi può trovarsi in procedure automatiche, capaci di sottrarre la creazione della moneta alla competenza dell'Esecutivo. I regimi nei quali la moneta era convertibile in una merce dotata di valore intrinseco vengono elevati a ideale di riferimento. Ma neppure in quei regimi la creazione di moneta era mai interamente affidata ad automatismi; soprattutto, chi la governava non si privava della facoltà di modificarne il valore o di sospendere la convertibilità.
La pratica della "moneta manovrata" e l'affermazione analitica della sua utilità trovarono decisivo sostegno nella formulazione keynesiana dell'equilibrio di sottocupazione. La necessità e la possibilità per la politica economica di contenere le fluttuazioni cicliche e di assecondare lo sviluppo sfociarono negli anni Cinquanta e Sessanta negli ottimismi del fine tuning. Le vicende inflazionistiche e recessive degli anni Settanta hanno riacceso la discussione sull'alternativa fra regole e discrezionalità.
Nell'analisi però è stata scossa la convinzione che indirizzo antinflazionistico e sviluppo economico siano antinomici. L'accento è stato posto sulle distorsioni che l'inflazione produce nell'allocazione delle risorse, sull'incertezza che determina negli operatori circa le scelte di risparmio e d'investimento. Nella posizione dei fautori della regola rigida di espansione monetaria va colta l'istanza prioritaria di una chiara linea di tendenza nel comportamento della Banca Centrale, che rappresenti l'elemento di certezza. Nella posizione dei fautori della politica attiva e discrezionale è da rinvenirsi il richiamo alla Banca Centrale di essere pronta a fronteggiare emergenze che possano insorgere. La flessibilità temporanea offerta da una Banca Centrale credibile non deve andare a scapito del rigore di fondo nel governo della moneta: il richiamo ad essa significa rifiuto di automatismi, valorizzazione della qualità che Guicciardini chiamava "discrezione".
Per l'ordinato svolgersi dell'attività economica è fondamentale che le aspettative degli operatori possano far perno sulla coerenza di comportamento di una Banca Centrale credibile. Condizione di credibilità è che la Banca Centrale sia autonoma, dagli operatori finanziari e non finanziari, e dall'Esecutivo.
Il problema diviene allora come salvaguardare l'autonomia delle Banche Centrali. Sul piano delle guarentigie istituzionali, vi è una varietà di soluzioni possibili, molte delle quali già sperimentate. Legittimazione sostanziale e legittimazione formale sono complementi, talvolta sostituti, l'una dell'altra. Tuttavia, le pur diverse soluzioni previste dagli ordinamenti dei vari Paesi hanno in comune l'intento di fare della Banca centrale un argine all'uso improprio della moneta. Nel contempo, la coerenza d'azione della politica economica e gli stessi principii di una società fondata sulla libertà e sulla democrazia verrebbero messi in forse da una Banca Centrale la cui necessaria, irrinunciabile autonomia degenerasse nell'arbitrio.
La soluzione più equilibrata sta nel riconoscere alla Banca centrale un'indipendenza che le permetta di rendere manifesto il conflitto eventuale tra politica monetaria e politica di bilancio, e nel prevedere procedure che ne assicurino, nel Parlamento, la composizione.
I criteri che ho richiamato circa le funzioni e il ruolo istituzionale della Banca Centrale sono al centro del dibattito sulla progettazione dell'Unione economica e monetaria europea, nel disegno del "Sistema europeo di Banche Centrali". Al Sebc, superata la fase di transizione affidata all'Istituto monetario europeo, verranno attribuiti il governo della moneta comune, l'Ecu e l'attuazione, con strumenti orientati al mercato, della politica monetaria e del cambio della Comunità.
Ai principii sopra enunciati abbiamo ispirato l'azione della Banca d'Italia nel decennio trascorso, tenendo conto di fattori molteplici: le condizioni in cui la nostra economia versava, le particolari difficoltà ereditate dagli anni Settanta; le opportunità e i vincoli derivanti dal Sistema monetario europeo in cui siamo inseriti; lo sfavorevole contesto economico internazionale, caratterizzato da alti tassi d'interesse reali. L'obiettivo primo, doveroso, è stato quello di ridurre l'inflazione, che nel 1980 superava il 10 per cento, con tendenza ad aumentare.

La politica monetaria ha seguito un orientamento restrittivo. I tassi d'interesse reali, negativi per diversi punti percentuali nel 1979, in un triennio salivano a livelli positivi, del 4-5 per cento; rimanevano poi su questi livelli, tendenzialmente in linea con i tassi europei. A questo indirizzo monetario si raccordava un attivo governo del cambio. Volgendo nella direzione del rigore le sinergie offerte dallo Sme, si è agito per rimuovere negli operatori l'aspettativa di un cambio della lira accomodante. Un'aspettativa siffatta si era radicata attraverso le crisi degli anni Settanta: insieme con i tassi d'interesse reali bassi, se non negativi, essa aveva contribuito a far sì che le imprese procrastinassero il contenimento dei costi e la ristrutturazione imposta dai mutamenti dei prezzi relativi dei prodotti e dei fattori, nel convincimento che la competitività sarebbe stata comunque e pienamente fatta salva dal deprezzamento della moneta.
All'effetto di disciplina e allo stimolo sui prodotti, esercitati da un cambio nominale ex ante non cedevole, si è accompagnato fino al 1985 un cambio reale ex post tendenzialmente costante, tale da non pregiudicare ulteriormente la competitività di prezzo e la bilancia di parte corrente, minate da un'inflazione interna che, sebbene in calo, restava ben più alta di quella delle economie concorrenti. Questa politica, a un tempo della moneta e del cambio, moderando la domanda interna e i costi, ha contribuito ai progressi che l'economia italiana è riuscita a compiere sino allo scorcio del decennio. Quei progressi si sono realizzati nonostante le difficoltà incontrate nel risanare i conti pubblici e nel riportare stabilmente sotto controllo la dinamica dei redditi nominali, prima e dopo il momento, pur importante del freno posto agli scatti della scala mobile nel 1984. L'inflazione scendeva al di sotto delle due cifre nell'ottobre del 1984; scendeva sino al 4,2 per cento, anche col favore delle ragioni di scambio, nel dicembre del 1986. La ristrutturazione produttiva, attesa per anni, si realizzava; le imprese recuperavano produttività e capacità competitiva, tornavano al profitto, abbattevano debiti, ricostruivano la base di capitale proprio. L'economia italiana poté unirsi alla ripresa ciclica internazionale del 1983 e alla lunga espansione del prodotto, degli investimenti, dell'occupazione dispiegatesi sino al 1990. Il disavanzo di parte corrente e i conti con l'estero, che era giunto al 2,2 per cento del prodotto interno lordo nel 1980-'81, si annullava nel 1986-'87.


Nel modus operandi della politica monetaria veniva completato il passaggio dagli strumenti diretti di controllo amministrativo del credito, agli strumenti indiretti, di intervento nei mercati della base monetaria e dei titoli di Stato. In un nesso di interazione, è stato dato impulso al miglioramento dei mercati monetari e finanziari e del sistema dei pagamenti, all'efficienza e all'imprenditorialità delle banche. In alcuni casi, come quello del mercato secondario telematico dei titoli pubblici, si son dovute creare, con il concorso degli operatori, strutture prima inesistenti. Per queste vie, è stato possibile gestire a tassi d'interesse decrescenti in termini nominali un debito pubblico in forte aumento anche rispetto al prodotto interno lordo (dal 60 a oltre il 100 per cento), alimentato da disavanzi di bilancio che hanno sfiorato il 14 per cento del prodotto interno lordo nel 1983, e sono stati nel decennio sempre al di sopra del 10 per cento.
Negli ultimi anni Ottanta l'economia italiana è entrata in una fase nuova, apertasi all'insegna dell'adesione al processo di unificazione economica e monetaria in Cui l'Europa è impegnata.
La scelta per l'Europa che governo e Parlamento hanno fatto, interpretando la volontà del Paese, è il punto di riferimento per la Banca d'Italia. Coerenti con quella scelta sono la salvaguardia della stabilità interna ed esterna della moneta, l'azione per migliorare l'efficienza degli intermediari creditizi e delle strutture finanziarie, per consolidare e rendere ancor più evidente e irreversibile la stessa autonomia della Banca d'Italia, in conformità con la costituzione di un Sistema europeo di Banche Centrali.
Sotto quest'ultimo profilo, il venir meno dell'obbligo della Banca di assicurare il collocamento in asta dei Bot non sottoscritti da altri operatori aveva rappresentato, nel 1981, il primo passo. Il più recente è stato quello di affidare alla Banca d'Italia la determinazione della maggiorazione del tasso d'interesse sulle anticipazioni a scadenza fissa. I mutamenti istituzionali hanno trovato seguito nel comportamento della Banca d'Italia. Impegnata a contenere la crescita della quantità di moneta in linea con gli obiettivi annualmente stabiliti, la Banca ha ridotto il suo finanziamento al Tesoro.

Ulteriori progressi sul piano istituzionale sono stati compiuti. Mi riferisco alla riforma del conto corrente di tesoreria. L'inserimento che deriva nella banda stretta dello Sme, deciso nel gennaio del 1990, si è realizzato con successo.
In mancanza di un'adeguata azione di politica economica, la stabilità del cambio produce solo parte dei beneficii attesi. implica costi crescenti, che il Paese già paga, con il deterioramento della competitività di prezzo del sistema produttivo, con la prospettiva di una crescita del prodotto e dell'occupazione sempre più stretta dal morso del vincolo esterno.
Il deterioramento avviene in un periodo di bassa congiuntura, che incide sulla situazione finanziaria e di redditività delle imprese; ne risultano aggravate le condizioni di debolezza anche strutturale che alcune di esse, specie della fascia medio-grande, presentano per difficoltà settoriali o per ritardi e lentezze nell'affrontare problemi di ristrutturazione. Esiste il pericolo del concatenarsi degli effetti negativi di fattori ciclici e strutturali. Per sventarlo, occorrono un rinnovato lancio di imprenditorialità, la capacità collettiva di riconoscere gli interessi comuni, la fiducia in se stessi che non può mancare in un Paese che ha saputo compiere così importanti progressi economici.
Dal 1988, sospinta dai costi interni, l'inflazione è risalita: è stata del 6,5 per cento, in media d'anno, nel 1991, circa tre punti più alta che in Francia e in Germania. Il disavanzo corrente della bilancia dei pagamenti si è riportato al di sopra dell'1 per cento del Pil, con conseguente accumulo di debito netto del Paese verso l'estero. La disciplina del cambio non può, da sola, erodere lo zoccolo duro dell'inflazione, portare a termine il risanamento incompleto degli anni Ottanta. S'impone l'attuazione della linea di risanamento della finanza pubblica e di regolazione dei redditi che governo e Parlamento hanno approvato nel maggio dello scorso anno. Alle parti sociali si chiede di uniformare i loro comportamenti agli impegni internazionali dell'Italia, così da restituire competitività alle merci e ai servizi e riaprire spazi di crescita equilibrata. Va ad ogni costo ridotta l'incidenza rispetto al reddito del fabbisogno e del debito pubblico, onorando l'impegno preso a Bruxelles con l'inscrivere il programma di convergenza economica nella procedura comunitaria. E' necessario rafforzare il peso degli interventi di correzione nei settori più critici: sanità, finanza locale, previdenza; deve trovare realizzazione il piano di dismissione di cespiti patrimoniali pubblici. Appare sempre più urgente una politica che accresca la concorrenza nel settore terziario, ricordando che la concorrenza internazionale in un contesto integrato è sempre più concorrenza fra sistemi economici.
Partecipare all'unificazione economica e monetaria dell'Europa è l'impegno che il Paese ha assunto. Nella coerenza dei comportamenti sta la possibilità di riuscire. A questa coerenza la Banca d'Italia ha informato e continuerà a informare la propria azione. L'accordo raggiunto a Maastricht investe non solo la costruzione europea, ma anche il tema di fondo al quale dedico queste mie riflessioni.


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