§ Blocchi commerciali

Mercati aperti o scontro frontale?




Robert M. Solow
Premio Nobel per l'Economia



Gli europei saranno senz'altro divertiti dall'infantile scambio di insulti gratuiti che informano ormai le relazioni tra Stati Uniti e Giappone. Un esercizio dialettico a dir poco stupido, considerato che le abitudini personali dei lavoratori americani costituiscono al massimo un fattore marginale rispetto ai vantaggi di cui gode la produzione giapponese in termini di costi e di qualità. Non solo, l'orgoglio con cui il primo ministro nipponico sottolinea che i lavoratori dei suo Paese utilizzano il fine settimana non per divertirsi, ma per pensare a lavorare duro il lunedì successivo non torna certo ad onore di una cultura che si consideri sana.
Al di là delle polemiche, si nascondono tuttavia aspetti ben più preoccupanti che su entrambe le sponde dei Pacifico denotano spinte protezionistiche a malapena velate. Il Che, naturalmente, non è un fatto nuovo: il desiderio di tutelare l'industria e i posti di lavoro interni è sempre esistito. Meraviglia anzi il fatto Che, a livello mondiale, i vari governi siano riusciti a limitare in misura accettabile il protezionismo dichiarato. Ciò non vuoi dire che gli scambi commerciali internazionali non siano protetti da una serie di misure, che probabilmente sono assai più numerose in Giappone che non nell'America dei Nord.
Le mie considerazioni relative al Giappone e all'America dei Nord valgono anche per l'Europa. Anche la Comunità europea, infatti, ha le sue colpe in materia di barriere protezionistiche e appare sempre meno propensa a rispettare le regole dei gioco per quanto riguarda il libero scambio. L'esempio più noto è quello delle restrizioni alle importazioni di auto giapponesi e di prodotti agricoli americani. Un esempio più recente è dato dall'attacco di un alto dirigente della Olivetti all'alleanza stipulata tra la Ibm e il gruppo francese Bull, a seguito della quale, questa l'accusa, l'Ibm potrebbe immettere i suoi computer sul mercato europeo. Pur non conoscendo i termini precisi dell'accordo in questione, debbo pensare che l'accusa abbia colto nel segno, nel senso che scambi commerciali aperti implicano che la Ibm abbia uguale accesso al mercato europeo in espansione. Evidentemente ci sono ostacoli Importanti che è nell'interesse dell'Olivetti che vengano mantenuti. Nessuno è senza peccato.
Tutto questo ci porta diritti al problema dei negoziati Gatt, che si trascinano ormai da troppo tempo e che ancora una volta sembrano essersi orenati, nonostante le voci sporadiche di qualche progresso nelle trattative. La verità è che le prospettive di un accordo in tempi brevi appaiono esigue. La recessione ostinata e la crescita al rallentatore che affliggono sia l'Europa sia l'America dei Nord fanno sì che questo non sia il momento più felice per manifestazioni di buona volontà in materia di mercati aperti. Negli Stati Uniti, fra l'altro, è apertissima la corsa per la Presidenza, il che autorizza a ritenere alquanto improbabile che l'Amministrazione addivenga ad un compromesso per quanto riguarda le sue richieste di accesso dei prodotti agricoli e di tutela dei diritti della proprietà intellettuale. Date le circostanze, è scontato che sul Gatt circolino battute come quella che lo definisce "Generai agreement to talk and talk", un accordo per parlare all'infinito, insomma. La verità è che non ci si dovrebbe aspettare troppo, proprio perché l'impulso a tutelare l'industria e l'occupazione interne è sempre presente ed è arginato non dalla convinzione popolare, bensì dalla volontà dei governi di opporsi a tale tendenza. L'importanza delle disposizioni del Gatt non risiede nel fatto che vengono sempre osservate, cosa che peraltro non si verifica, ma nella loro stessa esistenza. Questa, oltre a fungere da monito sugli obblighi assunti, ricorda al vari governi che "il mancato rispetto delle regole" può dar luogo a ritorsioni. Non solo, essa rappresenta una valida giustificazione internazionale per quei governi che vogliono opporsi alle spinte protezionistiche. Esistono buone probabilità che il mondo si evolva in direzione di tre grandi blocchi commerciali rappresentati dall'Europa, dal Nord e Sudamerica e dalla regione asiatica dell'Est. All'interno di ciascuno sarà operante il libero scambio, sia pure in termini relativi, a cui faranno riscontro notevoli barriere ai danni degli altri due blocchi. Non sarebbe, questo, Il peggiore dei mondi, ma non sarebbe certo all'altezza, in termini di produttività e di crescita, di quella sorta di sistema di scambi aperto che il Gatt dovrebbe avere il compito di creare. La conclusione più rapida possibile dell'attuale fase negoziale sarebbe un piccolo passo nella giusta direzione, il cui traguardo è ancora molto lontano. Più difficili, i passi successivi.

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