§ Economia dei Paesi industrializzati

La ripresa che trascinerą l'Europa




Lawrence R. Klein
Premio Nobel per l'Economia



Fenomeni recessivi ed altri aggiustamenti economici particolari, inizialmente localizzati, interessano ormai una vasta area dell'economia mondiale, che comprende Germania, altri Paesi dell'Europa occidentale e Giappone. Considerata, però, la presenza di alcune sacche di prosperità e di progresso ininterrotti, non definirei la situazione attuale una recessione mondiale generalizzata, come quelle del 1974-'79 e del 1981-'82, ma un rallentamento mondiale in piena regola, data 'estensione dei suoi effetti.
Ci sono elementi in gioco tali da ritenere che questa non sia una inversione di tendenza ciclica? Partiamo, innanzitutto, dal massiccio processo di ristrutturazione in atto in aree diverse. In molti Paesi in via di sviluppo, alle prese con un'inflazione galoppante, il processo in questione si proponeva inizialmente di combattere l'inflazione e ristrutturare il debito. Oggi, si direbbe che per il Messico, il Cile, l'Argentina e il Venezuela i tempi peggiori siano ormai alle spalle: le rispettive economie danno infatti segni di ripresa, mentre il tasso d'inflazione è moderato anche se ancora lontano dal
livello zero. A queste economie, che si annunciano promettenti, è probabile che in futuro si aggiungano quelle del Brasile, del Perù, delle Filippine e di altri Paesi in via di sviluppo, per i quali gli anni Ottanta sono stati un decennio perduto, oberati com'erano da un indebitamento che è stato necessario ristrutturare.
Diverso il processo di ristrutturazione in corso negli ex Paesi socialisti, molti dei quali pesantemente indebitati. Qui, per motivi differenti da quelli dei Paesi del Terzo Mondo, la ristrutturazione si basa sulla privatizzazione e sul tentativo, di arginare la corruzione.
Certo, il livello di ristrutturazione dei Paesi già appartenenti al Comecon non è paragonabile a quello dei Paesi in via di sviluppo più promettenti. Mentre questi ultimi registrano notevoli prestazioni economiche anche per il 1992, è probabile che l'Est europeo debba attendere il 1993 o il 1994 perché l'inflazione e la disoccupazione diminuiscano e la produzione aumenti. Quanto alla Russia e ai suoi partners ex sovietici, è troppo presto per dire quando potrà verificarsi una inversione di tendenza. Ora, malgrado le non poche analogie con una recessione ciclica, i processi suddetti hanno caratteristiche che da questa la differenziano, fermo restando che essi gravano non solo sulle economie dei Paesi interessati, ma anche sui loro partners commerciali. E' il caso della Finlandia, per esempio, costretta, per sostituire gli scambi con l'ex Unione Sovietica, a stringere nuove relazioni economiche. Impresa che potrebbe essere lunga e non indolore. Anche la Svezia è in recessione ed è alle prese con la ristrutturazione di uno Stato assistenziale, oggetto, a suo tempo, di grande ammirazione nel resto del mondo.
I primi Paesi industriali ad entrare in recessione furono, nell'ordine, Nuova Zelanda, Australia, Canada, Regno Unito e Stati Uniti. Una recessione ciclica più o meno normale, un po' aggravata nel caso degli Stati Uniti dalla guerra del Golfo e, in altri casi, da politiche monetarie ortodosse, intese a raggiungere una inflazione "zero". Per gli Usa l'uscita dalla recessione si è rivelata estremamente fiacca e laboriosa. Per stimolare una ripresa che, alla fine, farà la sua comparsa potrebbe essere necessario somministrare qualche medicina fiscale (keynesiana) in aggiunta alla politica monetaria che rischia ormai di diventare un'ossessione. il recupero dell'economia americana sembra più prossimo che non quello del Regno Unito, del Canada e, probabilmente, dell'Australia, ma è un fatto che un'economia Usa al rallentatore ha effetti più sensibili sull'economia mondiale. Ciò spiega, almeno in buona parte, il rallentamento che ha colpito altre economie. Anche negli Stati Uniti è in corso un processo, sia pure parziale, di ristrutturazione inteso a chiudere gli impianti inefficienti nel tentativo di conquistare una maggiore competitività a livello internazionale. Essendo questo un anno elettorale, si può essere certi che le autorità competenti faranno sforzi maggiori per stimolare l'economia e, quindi, avere le carte in regola per aspirare ad un rinnovo del loro mandato. Sforzi che, inutile dirlo, graveranno inizialmente su un debito di per sé astronomico, ma dieci anni di "reaganomics" e l'inazione dell'amministrazione Bush non ci lasciano alternative. I pesanti indebitamenti - a livello federale, di impresa privata, famiglia e governo locale - ci hanno fatalmente portato al giorno della resa dei conti. Una volta che la ripresa sarà stata avviata, si renderà necessario aumentare il reddito pubblico e migliorare l'efficienza economica onde mettere ordine alle nostre finanze. Compito che non è impossibile, ma esige un diverso orientamento di politica economica.
Il rallentamento ha colpito anche i due giganti del mondo industriale, Germania e Giappone. Per quanto riguarda l'ansimante locomotiva tedesca, se possono esserci dubbi su una recessione in piena regola, la flessione della produzione e l'aumento della disoccupazione e dei prezzi sono un dato di fatto. Dovuto al costi dell'unificazione, ma anche ad un contesto mondiale perturbato. Anche il resto dell'Europa occidentale risente di un andamento economico negativo: persino la Svizzera non è all'altezza delle prestazioni a cui siamo abituati. La debolezza economica dell'Europa fa purtroppo sì che l'apertura del Mercato unico avvenga in un momento sfortunato, nel senso che, in presenza di un ciclo economico insoddisfacente, non sarà facile porre in essere gli sforzi necessari alle modifiche strutturali richieste dall'Europa del 1993.
Quanto al Giappone, dove una flessione protratta dell'attività economica è senz'altro fuori discussione, il rallentamento della crescita viene considerato alla stregua di una recessione. Per l'economia giapponese, infatti, lo "scoppio della bolla di sapone" della speculazione del mercato mobiliare e azionario ha avuto le stese conseguenze del fallimento delle Casse di risparmio e di altri Istituti negli Stati Uniti. Il problema è che la limitazione alle importazioni dovuta al rallentamento economico si traduce nell'ulteriore aumento di un attivo commerciale già esorbitante.
Le altre economie dell'area del Pacifico asiatico, pur risentendo della debolezza dei mercati esteri all'esportazione, continuano ad essere solide e a fare progressi: una nota di luce in un quadro economico altrimenti fosco.
La ripresa dell'Est europeo e, perché no?, dell'ex Unione Sovietica farà infine la sua comparsa, magari a livelli di espansione. I Paesi dell'America Latina e dell'area del Pacifico continueranno a progredire. Quando il ciclo attuale avrà esaurito il suo corso, anche per i Paesi industrializzati inizierà una fase di crescita economica sostenuta e vigorosa. il fatto che le nostre economie siano state colpite da malesseri insoliti non significa che la fase successiva debba essere debole. Oggi è plausibile prevedere una crescita mondiale superiore al 3 per cento in termini di produzione e al 5-6 per cento in termini di volumi di scambi. Intendo dire che, nelle circostanze attuali, non c'è nulla che vincoli gli Stati Uniti e gli altri Paesi industrializzati ad una espansione debole del 3 per cento.

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