§ Amori impossibili?

Il ragno




Giovanni Bernardini



Il ragno non possedeva supporti abbastanza adeguati su cui sostenere il suo sentimento. Comunque, da quando aveva filato la tela nell'angolo dell'architrave posto sopra l'ingresso della villa, avvertiva un piacevole impulso ogni volta che appariva la bella signora, entrasse o ne uscisse. La bella signora di solito ancheggiava sinuosa su alti tacchi, talora viceversa passava veloce e sportiva, le gambe fasciate da pantaloni attillatissimi, i piedi piccoli chiusi in scarpe da tennis. Le ragnette non esibivano nulla di simile. Questa novità d'una creatura totalmente diversa e appartenente dopotutto a una razza nemica lo ammaliava contro ogni suo volere. Per questo egli cercava d'attirare l'attenzione della bella signora compiendo voli audacissimi di varie decine di metri col suo filo in bocca affidandosi alle ali del vento, che sapeva sfruttare con grande maestria fino a raggiungere il cancello del parco da cui era circondata la villa. Da lì poi tornava sempre, a volo sopra la porta. Acrobazie anche più vertiginose avrebbe saputo compiere se non avesse valutato che la bella signora lo avrebbe perduto di vista. Di fatto però sembrava che la signora non lo vedesse mai. Egli ostinato insisteva nei tentativi di richiamare lo sguardo di lei. (In giorno le si calò addirittura sulla testa e gli piaceva molto affondare in quella chioma rosso-rame, ma si rese conto che non era posto per farsi notare. Un altro giorno le si calò sul collo. La signora lanciò un piccolo strillo e accelerò il passo. Neanche allora tuttavia l'aveva visto. Un altro giorno scese a piombo davanti ai suoi occhi, ma la signora battè solo le palpebre, un po' automaticamente. Accanto a lei un uomo alto ed elegante manovrava una scatolina, la signora pronunciava alcune parole quasi rispondesse a domande. Ebbe un bell'oscillarle davanti: tutto inutile, era molto concentrata nel signore alto ed elegante e specialmente nelle parole che gli rivolgeva. Allora il ragno intuì che doveva crescere, doveva diventare grande, possibilmente alto ed elegante. Da quel momento moltiplico i suoi pasti, tese le tele su numerosi alberi, quindi le ispezionava una dopo l'altra per verificarne il buon funzionamento. Bisogna dire che le trappole funzionavano benissimo poiché si presentavano sempre colme di cacciagione. Catturava ogni giorno mosche farfalle vermi e insetti di qualsiasi genere. A sera, dopo essersene rimpinzato, poteva specchiarsi nell'acqua verde della vasca in mezzo al parco e rallegrarsi di essere cresciuto.
Nel giro di due mesi infatti il ragno era diventato grosso quanto un gatto. Ciò non gli impediva di tessere ragnatele che costruiva man mano più robuste e vaste da poter catturare piccoli mammiferi ed uccelli né gli impediva di arrampicarsi dove voleva agile appunto quale un felino. Soltanto non riusciva più a volare da un luogo all'altro con la velocità del vento, sospeso al suo filo. Ma questa gli sembrava poca perdita a paragone della gioia di essere ben visibile. Ormai era sicuro che la bella signora non avrebbe potuto più ignorarlo, anzi avrebbe dovuto prenderlo in considerazione, anche se onestamente riconosceva di non essere ancora alto ed elegante. Ma queste qualitá le avrebbe acquisite col tempo.
Intanto la primavera, che con dita verdi e rosa aveva dipinto tutto il parco e spandeva dovunque una brezza fragrante, lo indusse nella luce tenerissima di un'alba ad affacciarsi alla finestra della camera dove la bella signora dormiva. Bussò lievemente ai vetri, attendendo che lei si svegliasse. Non trascorse molto, la signora si svegliò, scese dal letto, venne verso la finestra nella sua lunga camicia di velo. Appariva bellissima e si muoveva con gesti languidi che la rendevano più attraente. Il ragno pensò che forse si stava rallegrando fra sé d'aver dormito ottimamente e di poter godere una giornata deliziosa. Pensò anche che doveva offrirle un dono, come si usa con le ragnette nei rituali d'amore. Avrebbe potuto presentarle un moscone ben avvolto nella rete o addirittura un topino.
La signora aveva spalancato le imposte sullo spettacolo sempre nuovo del risveglio della natura in quel mattino d'iniziata primavera. Ma subito un impulso d'orrore le fece emettere un urlo. Sul davanzale un mostriciattolo la fissava con otto occhi ineguali tendendo verso di lei una zampa sottile quasi volesse toccarla, Il suo cervello non riusciva a classificare a quale specie appartenesse la bestia. Perciò era attraversato da sensazioni nuove: paura e schifo. Queste la stimolavano a tirarsi indietro, sennonché la zampa già le stringeva il polso e la trascinava verso di sé. Per quanto opponesse tutta la resistenza possibile del suo morbido corpo, la presa del mostro era d'acciaio. Lui naturalmente non voleva farle male, voleva solo esprimerle il suo amore o almeno farglielo in qualche modo capire, dato che non possedeva la facoltà della parola. La signora però non capiva, si divincolava emettendo suoni lunghi e striduli fìnché il ragno non lebbe tratta fino all'orlo del davanzale, dov'egli stava saldamente poggiato sulle altre sette zampe. Se fosse riuscito ad avvicinare il suo becco alle labbra di lei, la bella signora avrebbe finalmente capito. In questo tentativo avvenne che la signora, con uno scarto improvviso, si libero dalla morsa ma cadde violentemente all'indietro. Il pavimento in quel punto non era coperto dai folti tappeti che coprivano quasi per intero la camera sicché la nuca delicata andò a frantumarsi sul duro marmo e ne fuoriuscirono microparallelepipedi e altri aggeggini strani dei quali uno seguitava a mandare a intermittenza strilli angosciati.
Il povero ragno avrebbe voluto emettere anche lui grida dolorose, ma non sapeva farlo, inoltre era pietrificato dallo stupore. A un tratto si aprì la porta della camera, entrò il signore alto ed elegante che in quel momento non era poi tanto elegante: indossava un accappatoio da bagno evidentemente infilato in gran fretta e forse neppure suo tanto gli andava stretto e corto. Teneva in mano la solita scatola in più fornita di un 'asta allungabile. Ne pigiava i tasti riuscendo soltanto a ottenere ambigui squittii dalla bocca aperta della signora. Si piegò su di lei maledicendo e domandandosi come mai era potuto accadere, Nello stesso tempo raccoglieva tutto il materiale che costituiva il meraviglioso cervello della bella bambola.
Che d'una bambola si trattava lo aveva finalmente compreso anche il ragno e ne era mortificatissimo, anzi indignato contro se stesso.
Il signore adesso non molto elegante, tutto intento a raccattare i pezzi del suo capolavoro, non si accorse nemmeno del ragno mostruoso sul davanzale. E il mostro, sempre più avvilito, sempre più infelice, si calò lentamente dalla finestra nel parco, arrancò fra gli alberi e i fiori variopinti e, trovata una siepe, vi nascose la sua depressione.
Non ebbe più voglia di tessere le tele né d'intrappolare mosche e farfalle. Se ne rimase lì rintanato, senza fame né sete, senza desideri, in un'inerzia assoluta. Poiché non mangiava, il suo corpo dalle anomale proporzioni d'un gatto si ridusse via via a quelle d'un passero e poi ancora sempre più piccolo fino a quelle di ragno qual era una volta e, come non bastasse, divenne un ragnetto quasi invisibile, ogni giorno più rattrappito e privo di peso, tanto che un refolo lo spazzo via di sotto alla siepe e non se ne seppe più nulla.

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