Ricordi
di scuola. Gli Egizi. Il papiro. E' normale pensare a quella civiltà
quando si nomina questa pianta. Ma quanti sono a sapere che il papiro
- così legato al ricordo degli scribi egiziani - caratterizza
addirittura un angolo della Sicilia? Quest'angolo è il corso
di un fiumiciattolo - il Ciane - che nasce ad otto chilometri da Siracusa.
Nei meandri del Ciane la pianta della nostra memoria scolastica ha trovato
l'ultimo, o uno degli ultimi rifugi, in tutto il Mediterraneo.
Questa pianticella si può offrire alla vostra vista solo che
abbiate voglia di camminare lungo il corso del fiume. C'è una
strada sulla sinistra percorrendo la via per Canicattini Bagni. E se
veramente avete voglia di muovere le gambe farete delle belle scoperte
in fatto di... papiri, tutti ovviamente ancora da lavorare, con raffinata
arte (ci sono, ci sono ancora questi maestri per ospitare i vostri capolavori.
Se invece i capolavori li volete trovare bell'e pronti, ricordate che
a Siracusa l'arte della lavorazione del papiro è ancora in auge.
Tornando al fiume, può capitare di fare anche una scoperta negativa.
Potrete cioè rendervi conto di persona del danno che può
arrecare l'insipienza di certi turisti, poco inclini a riportare a casa
i rifiuti o per lo meno a lasciarli nei cosiddetti "luoghi depurati",
cioè i cestini. E allora scoprirete che le povere pianticelle
di papiro, che sulle sponde del Ciane hanno trovato l'ultimo rifugio,
possono aver subìto dei gravi danni al fusto, a causa dei topi
ingrassati per bene
proprio dagli avanzi di pasto lasciati dai succitati personaggi incivili.
Per il resto, ripetiamo, il Ciane è una graziosa scoperta. Basti
dire che tale piccolo corso d'acqua un tempo era veramente di straordinario
interesse botanico e faunistico, notissimo paradossalmente più
all'estero che da noi (capita anche ai fiumi ... ) e citato da molti
letterati. Per riconoscere il papiro, magari alla sorgente del Ciane,
ricordate: ha un lungo fusto eretto che spunta dall'acqua e un bel pennacchio
verde.
L'orecchio
del tiranno
E visto che siamo nei pressi di Siracusa perché non accostiamo
i ricordi della civiltà egizia a quelli della civiltà
greca, che certamente ci è più vicina, in tutti i sensi?
E dunque andiamo alla scoperta di questa città e dei suoi dintorni.
E basti per tutte la citazione di Gabriele D'Annunzio: "A Siracusa
camminavo nei boschi di aranci vedendo fra i tronchi splendere il
mare. Là vorreste vivere. Là, là è la
gioia ... ".
Civiltà greca, soprattutto. I monumenti sono famosissimi in
tutto il mondo: il teatro, che poteva contenere fino a quindicimila
persone, l'ara di Ierone (un solo sacrificio a Zeus - così
ci dice Diodoro Siculo - comprendeva 450 buoi, un bel... macello).
Ma al ricordo della presenza greca sono legate soprattutto le latomìe,
enormi cave che si addentrano nella roccia e forse adibite a prigione.
Qui si trova la famosissima apertura - l'orecchio di Dionigi, ben
65 metri - in cima alla quale, si dice, il tiranno riusciva ad ascoltare
i discorsi dei prigionieri, grazie, appunto, alla particolare acustica
del luogo.
Ma la visita "greca" non può fermarsi qui. Un salto
è necessario anche al Museo archeologico che tra i pezzi forti
ha una Venere che sorge dalle acque.
Siracusa non parla comunque solo greco. Parla anche barocco italiano.
E sì, perché anche questa città sicula ha subìto
gli oltraggi del terremoto. E nel '600 si dovette porre mano alla
ricostruzione. Ecco il perché di alcune significative testimonianze
di quell'epoca, come il Duomo, il Collegio dei Gesuiti, la chiesa
della patrona Santa Lucia.
Ricordi greci, dunque, e ricordi barocchi. E per fissarli ancora meglio
nel cervello è forse opportuno ricorrere a certe specialità
gastronomiche locali. Non avete che da scegliere, tra pesce spada
e tonno affumicati, la cotognata, la giuggiolena, un saporitissimo
torrone di semi di sesamo e miele.
I fusti, ma
anche il vecchio
Passiamo lo Stretto, ed eccoci in Calabria. Anche qui, in fatto di
ricordi greci, non c'è che l'imbarazzo... E intanto, a Reggio,
i Bronzi, forse un po' perduti di vista dalle masse, ma sempre lì,
pronti a catturare la sorpresa del visitatore dall'alto dei loro basamenti
a prova di terremoto. Un consiglio, però: non dimenticate,
proprio a due passi da loro, nella stessa stanza, di dare più
di uno sguardo al bellissimo busto del "Filosofo di Porticello",
un bel vecchio che vi scruta, che vuole penetrare nella vostra anima,
mentre voi vi sforzate di capire invece chi effettivamente fosse lui,
con quella lunga barba, la fronte aperta, l'immagine della saggezza...
Ricordate ancora che il Museo della Magna Grecia di Reggio Calabria
è uno dei più belli, più ricchi e certamente
più grandi del nostro Paese; e in più sorge su un lungo
mare sullo Stretto che il solito D'Annunzio definì uno dei
più belli d'Italia. In questo Museo della Magna Grecia, altri
pezzi forti sono le pìnakes, le statuette votive dedicate a
Persefone e trovate a migliaia da Paolo Orsi negli scavi di Locri,
qualche chilometro di costa più su, sul versante jonico, una
puntata certamente utile per chi ama le espressioni della civiltà
magnogreca.
Il gioiello
nella roccia
E se dal greco classico volete passare al greco bizantino, bene, rimaniamo
sullo Jonio, visitiamo Locri, e puntiamo più in alto.
Passati per Riace e per le rovine di Caulonia, un'altra delle decine
di piccole repubbliche magnogreche, eccoci nella valle dello Stilàro,
famosa per un'atroce battaglia fra Ottone di Sassonia e i bizantini
che si contendevano il Sud. in cima, il monte Consolino, e, incastonato
su una parete rocciosa del monte, uno dei più incredibili gioielli
di architettura bizantina, un'opera d'arte di grandissimo valore da
ascrivere alla pazienza e all'arte dei monaci dalla lunga barba -
i basiliani - che in Calabria, come in tutto il Mediterraneo, costruirono
decine e decine di cenobi, laure, monasteri. La Cattolica di Stilo
è, dicevamo, incredibile. Pochi metri quadrati, una struttura
ancora ben conservata, le cupolette circolari classiche dell'architettura
bizantina. il tutto aggrappato per miracolo alla pietra, che può
sembrare pencolante sopra e sotto di voi.
E se vi siete innamorati dell'arte bizantina in Calabria, non avete
scampo. Dovete puntare ancora al Nord, ma sempre sulla costa jonica.
E allora, superata la Marina di Catanzaro e dato uno sguardo alla
chiesa della Roccelletta, che scoprirete tra gli ulivi del Parco archeologico
omonimo nell'ex tenuta Mazza, prima o poi troverete il cartello che
vi invita ad andare a Santa Severina, la nave di pietra, così
la chiama la "Pro Loco", in quanto da lontano è questa
l'immagine che vi si presenta della città abbarbicata su un
colle. A Santa Severina, due piccioni con una fava: i capolavori bizantini
(Battistero e chiesetta di Santa Filomena) e il castello, certamente
uno dei più belli e meglio conservati in tutta la Calabria.
Puli e pulicchi
Un salto con la fantasia ed eccoci in Puglia per chiudere queste note
di bighellonaggio della memoria tra le bellezze del... Bel Paese.
Chiusura in tono con l'apertura, cioè in tono "nature".
E in fatto di natura la Puglia ha di che venderne.
Dunque i puli. I puli delle Murge. Non fatela faccia strana, vi diciamo
subito di che si tratta. Siamo in presenza di fenomeni carsici, spesso
di notevole spettacolarità. Questi grandi crateri, secondo
la voce popolare, vengono dal... cielo, nel senso che sono stati causati
da enormi meteoriti. In realtà le meteoriti non c'entrano un
bel niente. Si tratta di cose più semplici anche se sempre
molto suggestive: cioè di grotte la cui volta è crollata
da millenni. Il pulo ve lo ritrovate davanti agli occhi quando meno
ve lo aspettate, tra i campi. Le pareti sono verticali, quasi sempre
con grotte più o meno accessibili. E in questi bordi impervi,
il ricovero più che naturale per molti rapaci.
Qualche nome? Ne citiamo tre: il pulo di Altamura, quello di Molfetta
e quello di Gravina. Il primo è molto grande, profondo circa
75 metri in media e un diametro di mezzo chilometro; ma è molto
povero di vegetazione. Diverso, più simpatico, il pulo di Molfetta,
più piccolo ma ricco di vegetazione. Il profumo, lì,
è intenso, tutto mediterraneo. Le piante che vi vegetano sono
quanto di più "nostrano" si possa immaginare: agrumi,
alloro, melograno, fichi, mandorli, fichidindia.
Veramente "nature" è il pulicchio nei pressi di Gravina.
Nella sua "pancia", profonda cento metri, si forma d'inverno
una palude.