*
Ungaretti a Lecce. Le lettere a Comi e a Pagano.
"Questo il
poeta che ricorderemo sempre, che ci pare, d'altronde, di aver sempre
conosciuto: il poeta che ha scritto sull'album di una ragazza, in
piedi sul piazzale della stazione [di Lecce] pochi attimi prima di
ripartirsene: A x y, nella sua giovinezza l'antico Ungaretti".
Così Vittorio Pagano concludeva un suo articolo (apparso su
"Libera Voce" (1) e firmato con lo pseudonimo YORG (2))
nel quale tracciava il consuntivo del soggiorno leccese di Giuseppe
Ungaretti che nel maggio del 1947, giunto da Taranto dove aveva presieduto
la giuria del premio "Taranto", tenne una conferenza su
Giacomo Leopardi presso il Circolo Cittadino del nostro capoluogo,
invitato dall'allora presidente Giuseppe Zaccaria. Oltre a Giacinto
Spagnoletti, verosimilmente (3) fu Girolamo Comi colui che aveva fatto
da tramite fra gli amici leccesi e il massimo poeta italiano del Novecento
che Pagano "vegliò" (4), con religioso trasporto,
nelle ore notturne, in casa di Antonio D'Andrea ove era stato ospitato.
Comi aveva conosciuto Ungaretti, da poco tornato in Italia da San
Paolo del Brasile, a Roma, sul fare degli anni Quaranta, allorché
il poeta della carsica Allegria intraprese nel 1943, proprio con una
prolusione su Leopardi, il suo magistero universitario insegnando
nel romano ateneo de "La Sapienza" letteratura italiana
moderna e contemporanea. Comi, che abitava a Roma in via di villa
Emiliani, aveva avviato già da tempo (precisamente dal 1920)
(5), e poi consolidato, rapporti di frequentazione e di amicizia con
esponenti della cultura italiana residenti nella Capitale (Onofri,
Moscardelli, Buonaiuti, Papi, Evola, André de Bauvier, Aleramo
(6) per citarne solo alcuni) fra i quali un posto di rilievo occupava
Enrico Falqui, infaticabile critico letterario (7) e operatore culturale
di grande momento, pel tramite del quale si era accostato a Ungaretti.
Falqui fu poi tra i dodici dell'"Accademia" comiana, collaborò
attivamente ai periodici salentini degli anni Quaranta e Cinquanta
(da "Antico e Nuovo" (8) e "Libera Voce" a "L'Albero"),
pubblicò a Lucugnano, per le "Edizioni dell'Albero",
l'Antologia della rivista "900", antologizzò (9)
un nostro poeta guest (10), Carmelo Mele, magliese, oggi rimosso da
ogni memoria per via della sua oscura vicenda biografica che ne fece
un desaparecido nelle lontane Americhe (11).
Nel 1947 Ungaretti aveva ancor vive nell'animo le stimmate impresse
dal funebre acerbo del figlio Antonietto morto nel 1939 e pubblicava,
presso Mondadori, Il dolore in cui quell'evento prendeva forma poetica
(anche se alcune trances della raccolta mondadoriana erano apparse
in Vie d'un homme (12)).
Ungaretti era alle soglie della sua "ultima" stagione, quella
del ventennio '49-'70 di cui Il dolore, insieme con La terra promessa
(1949, ma l'edizione definitiva sarà quella del 1954), si fa
avamposto e preludio. E' il tempo in cui l'esperienza, sempre più
sofferta e catartica, della sofferenza individuale e storica lo farà
sentire antico (come egli stesso volle definirsi (13)) non nel senso
baconiano ma in quello, tragico eppure sereno, del carico esistenziale
che si sconta... vivendo. Erano gli anni in cui albeggiava nel poeta
la coscienza di una nuova stagione "luminosa e senescente",
come scrive Valli, per quel "senso della decadenza sia psichica
che cosmica, sia personale che universale" (14) sottesa alla
"fatale corruttibilità del tutto" (15) e che poi
avrebbe dato esito a Il taccuino del vecchio (1960).
Lecce, dunque, accolse Ungaretti con fervida e collettiva emozione.
Di questa accoglienza v'è l'eco in Ungaretti tra noi (16) di
Yorg (Pagano):
"Ci consoliamo
di vivere, quando vediamo che una cittadina come la nostra, di appena
50.000 anime, è capace di dare a un poeta un uditorio che s'accosta
al migliaio [ ... ]. Un poeta, nell'occasione, che per oltre due ore
parla di Leopardi per giustificare se stesso, ci dà una lezione
d'infinito contro un Dio teologicamente scaduto e fatto parte viva
dell'umana sofferenza".
Testimonianza,
direi sinottica, ci viene anche da Luciano De Rosa che alcuni anni
più tardi rievocava in un elzeviro (17) dal carattere memoriale
quell'aura fabulosa che, negli anni Trenta e Quaranta del Novecento,
avvolgeva i poeti da lui idoleggiati e visti da vicino. Fra questi
anche Ungaretti:
"Quando m'accadde
di pescare, in una libreria fiorentina, un'edizioncina dell'Allegria,
mi parve d'essere Angelo Mai [ ... ]. Poeti e narratori, allora, non
avevano una iconografia, ma proprio per questo erano personaggi misteriosi
e quasi favolosi come autori di messaggi nelle bottiglie [ ... ].
Con la fine della guerra, ogni cosa scese dal piedistallo, così
che scrittori e poeti si mescolarono alla gente, cominciarono a girare
per l'Italia. Fra i primi a venire quaggiù fu proprio Ungaretti,
e la sua voce ci tenne per due ore fermi sulla sedia [ ... ], parlava
di Leopardi, e alla fine andammo a stringergli la mano: si riposava
seduto in una stanza della casa dei mutilati e sorrideva" (18).
Ungaretti fu ospite
di Antonio D'Andrea (1906-1955) il grande scultore (19) leccese, la
cui officina, come scrive Elio Filippo Accrocca, "lievitava di
poesia, di letteratura" (20) sicché "amava circondarsi
soprattutto di scrittori e con essi parlava, li ascoltava, ne capiva
i chiaroscuri" (21). Fu D'Andrea, insieme con Pagano, il più
vicino di tutti a Ungaretti che "stimò molto la levigata
dolcezza" (22) delle sue sculture in ferro. E la casa dello scultore
si trasformò in notturno cenacolo allorché, dopo la
conferenza, il poeta consentì a Cesare Massa, a Giacinto Spagnoletti,
allo stesso D'Andrea e a Vittorio Pagano "di trascorrere insieme
la notte" (23), uno di loro "nel suo letto addirittura,
l'altro su dei cuscini per terra" (24). E non riuscivano "a
prendere sonno [ ... ] per udirlo parlare delle cose più futili
come delle più elevate; o ridere per un nonnulla, per il cognome
curioso di un poeta, per la forma di un mobile, per una parola qualsiasi"
(25) o ascoltarlo mentre leggeva "alcuni suoi versi [ ... ] con
voce di silenzio, partorendo le parole nell'assoluto" (26). Fra
i giudizi che espresse Ungaretti risaltano quelli relativi a Leopardi
("Leopardi è un uomo per cui i morti sono morti, e i vivi
son quelli che portano sulle spalle il peso dei secoli che i morti
non hanno vissuto" (27): ecco chiarito il senso esistenziale
e, in questo caso, anche baconiano del concetto-categoria antico (28)),
al barocco leccese ("Ma questo barocco è un vestito, un
magnifico vestito. Capitemi. Il barocco invece è le membra,
le membra slogate. Eppure qui esiste come un vestito, non è
che un vestito" (29), sotto il quale egli coglieva, sopita ma
non morta, un'anima magnogreca, poi romana, poi normanna) a Manzoni
("E' un decadente, anzi è uno dei maledetti, un perverso
complicato e torbido, che riesce a descrivere la peste e a tratteggiare
i personaggi più odiosi e crudeli. Frate Cristoforo, questa
banale e stupida figura, infatti è un fallimento. Così
il Borromeo" (30); il lettore tragga le conclusioni che più
gli aggradano da questo giudizio così eterodosso e provocatorio)
ai lecci del giardino pubblico leccese ("più belli d'una
cattedrale") (31), a Santa Croce i cui bianchi capitelli dell'interno
definì "vivi, umani... osceni" (32).
Agli amici leccesi che si riunivano intorno a "Libera Voce",
Ungaretti volle consegnare per la rivista liberalsocialista una sua
prosa, Elea o la Primavera, mentre a Taranto aveva affidato alle stampe,
a ricordo del suo breve soggiorno, Ragioni di una poesia (33). Elea
è una prosa odeporica, datata Salerno, aprile 1932, un perfetto
esemplare di travel literature se non di sentimental Journey in cui
vibrano trapunte risonanze goethiano-leopardiane prodotte dal compianto
della trascorsa grandezza di Elea, reso ancor più acuto dai
primaverili effluvi di ginestre e d'asfodeli ("Arrivato giù,
m'accorgo che sul pendio ci sono in fiore anche le ginestre e gli
asfodeli (34). Potevano mancare, fra rovine?") e dalla rievocazione
commossa di classiche memorie.
Così gli appare la città di Senofane e di Parmenide:
"[ ... ]
S'alza il sipario, ci viene incontro la Valle dell'Alento. Appare
Elea. E' dunque questa, Elea, città fondata da fuggiaschi,
è dunque questa, Velia, verso cui Cicerone fuggiva quando fu
ucciso? [ ... ]. O tu, Senofane rapsodo, che qui approdavi dalla lonia
invasa [ ... ]. Ma quanto eri amaro, uomo che a lungo eri stato sul
mare, scoprendo che solo il pensiero è immortale [ ... ] e
per primo nel mondo occidentale, in questa terra d'Italia, toglievi,
o poeta crudele, alle immagini la divinità [ ... ]. Con te
il tuo discepolo Parmenide. Guarderà, come me, da questa altura,
e vedrà [ ... ] il cielo senza orizzonte confondersi col mare
nello stesso grigio infinito, e avrà nuova prova che l'infinito
è un'illusione. [ ... ] E di te, città disperata, e
di voi [ ... ] o Eleati, non è rimasto forse se non un po'
di polvere [ ... ] ma la vostra voce io sento in questo silenzio".
E allo stesso
numero di "Libera Voce", Mario Marti affidava, da Roma,
un suo contributo "ungarettiano": un articolo in cui con
tocchi icastici e vibranti tracciava a tuttotondo il ritratto fisico,
speculare all'interna tensione ideale, di Ungaretti professore (35).
Eccone alcuni luoghi:
"[ ... ]
con le spalle leggermente ricurve e la testa insensibilmente reclinata,
mentre gli occhi si riducono ad una linea e le sopracciglia si acuiscono,
anche allora egli parla con difficoltosa ricerca, quasi l'interno
freno, l'assidua auto-disciplina gli precludano le superficiali e
fortunate levità. [ ... ] La sua voce è alta e metallica
[ ... ], il suo sguardo fermo e penetrante come lama, le sue mani
[ ... ] adunche e nervose [ ... ] e tutto il corpo assume una posa
instabile, energica, scattante, fissa e pur vigorosa di movimento.
Allora il maestro guarda lontano: le sue parole traggono echi vasti
e profondi [ ... ]. Ungaretti assurge all'altezza di simbolo e di
bandiera".
Con Marti, Ungaretti
ebbe poi rapporti di frequentazione e di amicizia, mentre con Pagano
e con Comi (ed anche con Macrì) istituì un rapporto
epistolare di cui sopravvivono nel Salento alcune tracce: una lettera
a Pagano, pubblicata su "L'Albero" (36) e qui prodotta in
appendice e una lettera inedita a Comi. Entrambe attengono a un intervento
ungarettiano in ordine a Gérard de Nerval cui la rivista comiana
dedicava una sezione nel numero Luglio-Settembre 1955, costituita
da contributi di Vittorio Pagano (Antologia poetica nervaliana), Diego
Valeri (Altre poesie di Nerval), Oreste Macrì (I dati della
poesia nervaliana), Mario Luzi (Un appunto), Renato Mucci (Nerval
e le Chimere), Alessandro Parronchi (Nota su Nerval e Baudelaire),
Girolamo Comi (Poesia e Follia) e, appunto, Ungaretti (Una lettera).
Nella lettera a Comi (37), datata 11 febbraio 1955, Ungaretti promette
"di fare qualcosa per ricordare Nerval", esprime un giudizio
molto favorevole nei riguardi della rivista lucugnanese, si congratula
col Salentino per il premio "Chianciano" conferitogli nel
'54 (38). Ecco il testo con il quale si chiude questa nostra spigolatura:
Carissimo Comi,
cercherò di fare qualcosa per ricordare Gerard de Nerval. Sono
purtroppo sovraccarico di lavoro. Ti seguo. Leggo "L'ALBERO"
con attenzione, ed èuno sforzo lodevolissimo. Mi rallegro per
il riconoscimento dato finalmente all'ottima Tua poesia.
Ricordami a Pagano. Un abbraccio dal Tuo
Ungaretti Roma, l'11/12/1955 Piazza Remuria, 3
Appendice
Lettera a Vittorio
Pagano (39)
Carissimo Pagano,
appena ricevuta la telefonata da Lucugnano mi sono messo al lavoro.
Ho ripreso i libri di Nerval, mi sono messo a segnare osservazioni,
e poi mi sono accorto ch'era cosa da non potersi scrivere così
da un momento all'altro. Ho provato anche a scriverla, non ne veniva
fuori nulla, ma scarabocchi. Come fare? Sarà stanchezza? Sarà
la difficoltà che presenta quell'uomo e quell'opera? il suo
amare le virago come fossero Ofelie? Il suo Oriente che era ancora
tale e quale quand'ero bimbo e vivevo laggiù, e che è
ancora così, ma sotto una crosta per ora orrenda? O il suo
sentire la minacciata fine del Cristo nell'umano mondo come la fine
d'ogni bene? O il suo sentire in Iside la Vergine Madre annunziata?
O quel dire, quando lo ricoverarono nella casa di cura del dottor
Emile Blanche, il 27 agosto 1854: "Capii, vedendomi tra i matti,
che tutto non era stato altro per me, sino a quel momento, se non
illusione"? O la sua morte impiccato a una finestra... morte
simile a quella dell'ultimo dei Condé, per amore della virago
apparsa a Gérard bimbo come sogno incarnato, e che gli servì
a misurare lo scorrere del tempo nelle donne successive cui dava le
fattezze sognate di lei ?
Vede, sono molte cose, e altre, e a metterle insieme con ordine non
mi ci vorrebbe meno di sei mesi. E dovrei trascurare il fatto che
Baudelaire lo mettesse accanto a Poe, nel trattare d'arte romantica?
Non è certo per incuria verso l'Albero, del quale anzi seguo
il lavoro con gratitudine. Dica a Comi che gli voglio bene, e che
di Nerval avrò occasione di parlare in un prossimo numero della
rivista, nel modo che richiede un argomento tanto delicato.
Un abbraccio dal suo
UNGARETTI
** Le lettere
di Eugenio Montale a Comi. Un aneddoto inedito.
Delle tre lettere
(40) di Montale che qui si pubblicano, due attengono a uno scherzo
"goliardico" di cui furono fatti oggetto i due poeti, la
terza, assai breve, contiene, invece, un cenno di ringraziamento a
Comi per l'invio di alcuni estratti de "L'Albero". Le diamo
al lettore nella loro nudità, convinti (almeno finora) che
siano il solo segno che unisca Montale al Salento e alla cultura salentina
i cui rapporti con quella nazionale costituiscono il filo conduttore
della nostra ricerca.
Montale fu anche amico ed estimatore di Pagano, il "caro Vittorio"
(così egli si rivolge, tramite Comi, nella lettera dell'11/XI/1954)
cui il poeta genovese aveva inviato alcune epistole delle quali purtroppo
si è persa ogni traccia (41). Dalle lettere che qui si esaminano
emerge un chiaro segno di familiarità (l'uso del tu) dietro
il quale può scorgersi una sommersa rete di precedenti contatti.
Nelle prime due, l'episodio di goliardia. Proviamo a ricostruirne
la trama e la preistoria.
Uno sconosciuto, spirito bizzarro, aveva inviato a Comi, in Lucugnano,
un telegramma, con firma apocrifa di Montale, col quale il poeta degli
Ossi annunciava al Salentino una sua visita e lo pregava di accoglierlo
alla stazione di Lecce (dove sarebbe giunto con la sua segretaria)
perché poi insieme potessero raggiungere Lucugnano. Comi, lusingato
dall'"autoinvito" di Montale, ingenuamente e generosamente,
com'era nel suo carattere (42), credette che l'illustre amico fosse
in viaggio per il Salento e si recò a Lecce, alla stazione,
ove, ahimé, attese invano.
Deluso, ne scrisse a Montale, lamentando il mancato appuntamento con
lui e con la segretaria (Comi, si sa, era particolarmente sensibile
alla bellezza femminile). Montale cadendo dalle nuvole così
rispose a Comi:
Lettera del 7
ottobre 1954 (43)
Caro Comi,
sarei molto lieto di accettare la tua ospitalità se io te l'avessi
chiesta: ma il fatto è che io non ti ho telegrafato nulla,
non pensavo minimamente a scender verso Lucugnano e ignoravo, anzi,
questo tuo indirizzo. Aggiungi poi che non ho segretarie e che se
ne avessi una non la porterei in casa di amici. Penso si debba trattare
di uno scherzo, fatto non so se a me o a te o probabilmente a tutti
e due. Da chi? Lo ignoro. Per orientare le ipotesi dovresti dirmi
da che città partiva il telegramma.
In attesa, ti ringrazio di aver accolto l'inesistente autoinvito con
tanta buona grazia: e mi congratulo con te per il premio avuto a Chianciano.
Auguri di buon lavoro e affettuosi saluti dal
tuo
Eugenio Montale
Ma la vicenda
non finisce qui. Lo sconosciuto pseudoMontale si rifà vivo.
Invia da Napoli tre telegrammi a Comi in uno dei quali, oltre ad altri
argomenti che dal testo della lettera montaliana dell'11 nov. 1954
non traspaiono, si annuncia (con firma apocrifa) una prossima visita
di Montale a Lucugnano: appuntamento presso la stazione di Lecce.
Comi, pur insospettito, raggiunge il capoluogo salentino e nuovamente
attende senza frutto l'amico poeta. Nuova lettera di Comi a Montale
cui comunica di aver ricevuto i tre telegrammi e Montale, perentorio,
lucido e disincantato, gli risponde così:
Lettera dell'11
nov. 1954 (44)
Caro Comi
nessuno dei 3 telegrammi mi appartiene; manco da Napoli da mesi; non
mi sono mai sognato di chiedere smentite; e solo mi stupisce che tu
sia andato alla stazione, dato che il 2° tel. difficilmente poteva
sembrarti mio. Conosco appena il nominato [...] e non riesco a capire
perché possa interessarsi di noi.
D'ora in poi cestina tutti i telegrammi firmati Montale; se dovessi
venire a Lucugnano arriverei in incognito e senza preavviso. Ma sarà
difficile.
A te e al caro Vittorio Pagano i più affettuosi saluti da
Eugenio Montale
La terza lettera,
scritta a distanza di sette anni dall'ultima, non contiene ormai alcun
riferimento all'episodio ma solo un cenno di riscontro in ordine a
"L'Albero".
Eccone il testo:
Milano via Bigli
11 (45) 5/1/1981
Caro Comi,
ho avuto gli estratti de "L'Albero", e ti ringrazio di cuore.
Anche la rivista mi èpervenuta. Ti faccio, in ritardo, tutti
i migliori auguri. (46)
Il tuo sempre
aff. mo
Eugenio Montale
* * * Scheda per
un aggiornamento della bibliografia critica su Comi.
Il lettore che
vorrà compiutamente documentarsi sulla fortuna critica di Comi
potrà consultare i già doviziosi repertori bibliografici
di Donato Valli (47) e di Franco Latino (48). Ci sembra opportuno,
tuttavia, segnalare in questa sede alcuni titoli che non compaiono
nelle sopra citate rassegne rispetto alle quali essi risultano in
gran parte seriori. Ciò al fine di offrire un panorama aggiornato
della bibliografia critica e, comunque, il più possibile completo.
1) BO CARLO, La
nuova poesia, in AA.VV., Storia della letteratura italiana, IX, il
Novecento, dir. EMILIO CECCHI - NATALINO SAPEGNO, Milano, Garzanti,
1969, pp. 396-397.
2) BONORA ETTORE, Dizionario della letteratura italiana, Milano, Rizzoli,
s.v.
3) CAMILLUCCI MARIO, Un cantore d'Iddio: Girolamo Comi, in "L'Osservatore
romano" del 18 aprile 1968.
4) CANTELMO MARINELLA, Girolamo Comi prosatore. Dalle fonti intertestuali
alle "lingue" interdiscorsive, Cavallino di Lecce, Capone,
1990.
5) CARDUCCI NICOLA, L'umanità possibile. Girolamo Comi e Luigi
Corvaglia nel Novecento letterario salentino, in "Quotidiano"
del 4 ottobre 1989.
6) CIARDO VINCENZO, Solitudine di Comi, in "Il Corriere di Napoli"
del 18 novembre 1962, p. 3.
7) CONTARINO ROSARIO, Il mezzogiorno e la Sicilia, in AA.VV., LETTERATURA
ITALIANA storia e geografia, III, L'età contemporanea, dir.
ALBERTO ASOR ROSA, Torino, Einaudi, 1989, p. 766.
8) DE ROSA LUCIANO, Spirito d'Armonia, in "L'Esperienza poetica",
n. 5-6, gennaio-giugno 1955, pp. 53-56. -, Presenza di Comi, in "La
Gazzetta del Mezzogiorno" del 5 aprile 1968, p. 3.
9) DURANTE RINA, Poeta di fede, in "Quotidiano" del 9 febbraio
1989.
10) FUSCHINI FRANCESCO, Mandorle salate [Comi-Evola], in "Il
Carroccio", dicembre 1937.
11) GENNARINI EDOARDO, Cenacoli e mecenati del nostro tempo, in "Il
Mattino" del 26 novembre 1955, p. 3.
12) INDINO CARMELO - MINERVA ENRICO (a cura di), Comi uomo di ogni
giorno, prefazione di GINO PISANO', Gallipoli, "Nuovi Orientamenti
oggi", 1990.
13) LALA FRANCESCO, Profilo di Girolamo Comi, in "Studi salentini",
fasc. LI-LII, marzo-dicembre 1977, pp. 153-156.
14) M.S., "L'Albero" fiorisce d'inverno, in "La fiera
letteraria" del 27 dicembre 1953, p. 5.
15) MARTI MARIO, Comi poeta: notizie e problemi di un'edizione, in
"Studi e problemi di critica testuale", n. 15, 1977, pp.
236-242, ora in ID., Dalla Regione per la Nazione, Napoli, Morano,
1987, pp. 277-282.
16) MORCIANO MARIA ANTONIETTA, L'epistolario inedito tra Girolamo
Comi e Tina Lambrini, in "Siamo la Chiesa", XVI, 5, 1988,
pp. 54-61
17) PIERRI MICHELE, Omaggio a Girolamo Comi, in "L'Albero",
n. 67, giugno 1982, pp. 135-142.
18) PISANO' GINO, Girolamo Comi e Luigi Corvaglia fra teologia e misticismo,
in "Nuovi Orientamenti oggi", XIX, 1988, pp. 21-44. -,Sibilla
Aleramo: tre lettere inedite in margine a Comi, in "Nuovi Orientamenti
oggi", XXI, n. 118, gennaio-febbraio 1990, pp. 3-10. Asterischi
comiani (I). Lettere inedite di G. Caproni a G. Comi, in "Sudpuglia",
XVII, 1, marzo 1991, pp. 121-131. -, Asterischi comiani (II). L'Accademia
Salentina attraverso inediti, in "Sudpuglia", XVII, 2, giugno
1991, pp. 109-123.
19) RAELI SALVATORE, Un poeta credente: Girolamo Comi, in "La
Gazzetta del Mezzogiorno" del 4 gennaio 1935, p. 3.
20) SCRIMIERI GIANFRANCO, Incontro col poeta Girolamo Comi, in "Il
Quotidiano di Roma" del 7 novembre 1963, ed. per la Puglia.
21) DONATO VALLI (a cura di), Dieci lettere di G. Comi a se stesso,
in "L'Albero", n. 45, fase. XIV, pp, 131-141. -, Datario
Comiano, in "Leucadia", 1, 1986, pp. 169-188.
-, Un messaggio di coerenza morale, di equilibrio spirituale, di operante
cristianità, in "Siamo la Chiesa", XVI, 5, 1988,
pp. 62-65. -, Civiltà letteraria in Puglia: il sodalizio Comi-Fallacara,
in ID., Assaggi di poetica contemporanea, Cavallino di Lecce, Capone,
1990, pp. 81-101.
22) VIOLA CESARE GIULIO, Col naso nel calamaio (quattro lettere a
Girolamo Comi), introduzione e note di LUIGI SCORRANO, Taranto, Scorpione,
1991,
23) DE AMICIS GIUSEPPE, "Poesia" di Girolamo Comi, in "Vedetta
Mediterranea" del 27.7.1942, p. 3.
NOTE
1) Cfr. "Libera Voce" (d'ora in poi LV) del 24 maggio 1947,
V, n. 16, p. 4.
2) Che sia pseudonimo di Vittorio Pagano non ho dubbi, sia per i timbri
stilistici che connotano tutti gli articoli apparsi a firma di YORG
su LV e su "L'Albero" (d'ora in poi AL) e che rimandano
a Pagano, sia soprattutto per la conferma che mi viene dalla moglie
del poeta, Sig.ra Marcella Romano che ringrazio. Sull'argomento si
veda anche il mio Lettere inedite di G. Caproni a G. Comi, in "Sudpuglia",
marzo 1991, XVII, p. 131, nota 51.
3) A questa ipotesi mi induce una serie di contatti epistolari e telefonici
che ho avuto con Macrì, Marti, Bonea, De Rosa, Lala ai quali
va il mio ringraziamento.
4) E' un'icastica espressione di Oreste Macrì.
5) Cfr. DONATO VALLI, Datario comiano, in "Leucadia", 1,
1986, "Società di Storia patria per la Puglia" sez.
di Tricase, p. 174.
6) Cfr. GINO PISANO', Sibilla Aleramo: tre lettere inedite (in margine
a Comi), in "Nuovi Orientamenti oggi", Gallipoli, XXI, 118,
Gen. - Feb. 1990, pp. 3-10.
7) Della sua vastissima produzione è utile segnalare: ENRICO
FALQUI, Tra romanzi e racconti del Novecento, Messina, D'Anna, 1950;
ID., Prosatori e narratori del Novecento italiano, Torino, Einaudi,
1950; ID., Per una cronistoria dei "Canti orfici", Firenze,
Vallecchi, 1960; Novecento letterario, voll. 10, Firenze, Vallecchi,
1954-1969.
8) Sulla rivista galatinese si veda il recente contributo di MARIO
MARTI, Su "Antico e Nuovo": lettera al non obliato direttore
Enzo Esposito, in AA.VV., Per le nozze di corallo 1955-1990 di Enzo
Esposito e Citty Mauro, Ravenna, Longo, pp. 5-11.
9) Cfr. ENRICO FALQUI, La giovane poesia. Saggio e repertorio, Roma,
Colombo, 1956.
10) Il termine, che propriamente significa ospite, estraneo, è
usato nell'ambito dell'esperienza "modernista" angloamericana
per designare quanti, negli anni Venti del Novecento, intrapresero
un viaggio che si caratterizzava come ricerca di una alternativa esistenziale,
come exodus e fuga dal luogo storico-anagrafico, al quale erano estranei,
verso una realtà altra e lontana. A quest'area semantico-esistenziale
vanno ascritti alcuni tentativi odeporici (reali o figurati) che connotano,
ad esempio, poeti come Rimbaud e Campana, scrittori come Joyce, Lawrence,
V. Woolf o fantasmi poetici come Aldonzo (don Chisciotte), emieponimo
e protagonista del dramma di LUIGI CORVAGLIA, S. Teresa e Aldonzo,
Bologna, Cappelli, 1931.
11) Devo la notizia al prof. Macrì.
12) Parigi, Gallimard, 1939.
13) Si colga anche un utile riferimento in ORESTE MACRI', L'incognita
sacrale nella poesia di Michele Pierri, in AL., XXXIX, n. 73-74, 1985
(n.s.), p. 64.
14) Cfr. DONATO VALLI, La "Terra promessa" e il mito della
decadenza, in ID., Saggi sul Novecento poetico italiano, Lecce, Milella,
1967, p. 230.
15) Ibidem.
16) Cfr, nota l.
17) Cfr. LUCIANO DE ROSA, Scrittori da vicino, in "La Gazzetta
del Mezzogiorno", 19 giugno 1963, p. 3.
18) Ibidem,
19) Si vedano i contributi di GIULIO CARLO ARGAN, ALDO CALO', SALVATORE
COMES, MANLIO GERMOZZI, ORESTE MACRI', NANNI MASI, MARIO SANSONE,
GIACINTO SPAGNOLETTI apparsi in ELIO FILIPPO ACCROCCA, Antonio D'Andrea,
Roma, De Luca, 1972.
20) Cfr. ELIO FILIPPO ACCROCCA, La "bottega" di Antonio
D'Andrea: ricamò nel ferro l'anima di Lecce, in "La Gazzetta
del Mezzogiorno", 11 aprile 1972, p. 3.
21) Ibidem.
22) Ibidem.
23) YORG, art. cit.
24) Ibidem.
25) Ibidem.
26) Ibidem.
27) Ibidem.
28) Occorre, tuttavia, precisare che il concetto ("gli antichi
siamo noi") risale, prima ancora che a Francesco Bacone, a Giordano
Bruno e viene ripreso anche da Galilei. Vi è però una
differenza fra costoro e Leopardi: mentre i filosofi così intesero
esaltare la superiorità dell'età moderna rispetto all'antica,
in Leopardi il processo evolutivo delle stagioni umane ha una valenza
negativa e perciò distopica. Nel Recanatese (come in Ungaretti)
i moderni sono "antichi" per l'esperienza del dolore. Su
questo tema si veda l'impareggiabile saggio di EMANUELE SEVERINO,
Il nulla e la poesia. Alla fine dell'età della tecnica: Leopardi,
Milano, Rizzoli, 1990.
29) YORG, Ibidem,
30) Ibidem.
31) Ibidem.
32) Ibidem.
33) Cfr. "Voce del Popolo", a. 64, n. 20, Taranto, 16 maggio
1947. La prosa "tarentina" non va confusa con quella dallo
stesso titolo apparsa in "Inventario", Milano, a. II, n.
1, 1949, pp. 16-19, rifluita col titolo Sentimento di Dio in G. SAVIO
- T. GREGORY (a cura di), Il problema di Dio, Roma, Ed. universale,
1949, pp. 327-348 e, infine, in Quelques réflexions suggérées
à l'auteur par sa poesie, in G.U., Les Cinq Livres, Les Editions
de Minuit, 1953, pp. 9-45. L'articolo apparso su "Voce del Popolo",
invece, fu ripubblicato col titolo Indefinibile aspirazione, in "La
Fiera letteraria", Roma, a. X, n, 51 del 18 novembre 1955, p
3. Elea apparve, oltreché in LV del 24 maggio 1947, in Il deserto
e dopo (Vita d'un uomo 11/Prose di viaggio e saggi), Milano, Mondadori,
1961, accanto a scritti odeporici riguardanti l'Egitto, la Corsica,
la Campania, la valle del Po, le Fiandre, l'Olanda e la Puglia. Le
prose "pugliesi" sono: Foggia - Fontane e Chiese (in "Gazzetta
del Popolo", d'ora in poi GP, Torino, 20 febbraio 1934 e in "Il
Gazzettino" di Foggia dei 24 febbraio dello stesso anno); Il
Gargano favoloso, ovvero la giovane maternità (in GP del 6
marzo s.a.); Pasqua in Capitanata - L'angelo della caverna (in GP
del I° aprile s. a.) che ha come oggetto del discorso il santuario
si S. Michele in Monte S. Angelo; Lucera, città di Santa Maria
(in GP del 15 maggio s.a.); Lucera dei Saraceni (in GP dei 5 giugno
s.a.); Luglio pugliese (in "Circoli", Roma, n. 4, luglio-agosto
s.a., pp. 9-10); Appunti per la poesia d'un viaggio da Foggia a Venosa
(in GP del 22 agosto s.a); Alle sorgenti dell'acquedotto pugliese
(in GP del 9 settembre s.a.).
34) Ricordiamo al lettore che gli asfodeli, nel mondo greco antico,
erano i fiori dei morti e assurgevano a simbolo del mondo ctonio e
dei Mani.
35) Cfr. MARIO MARTI, Ungaretti professore, in LV del 24 maggio 1947,
p. 4.
36) Cfr. AL, n. 23-25, luglio-settembre 1955, pp. 44-45.
37) La lettera è inviata a Lucugnano, dove ora è custodita
nell'Archivio di "Casa Comi".
38) La giuria, presieduta da Goffredo Bellonci, era costituita da
Bontempelli, Villaroel (segretario), Falqui, Curci, Marchesi, Fiorentino,
Folgore, Gigli, Giusso, Lazzeroni, Longo, Lucioli, Lusini, Maier,
Muscetta, Terron, Vernieri. Fra i concorrenti, Alfonso Gatto, Maria
Luisa Spaziani, Filippo De Pisis, Vittore Fiore segnalato insieme
con Visconti e Gurovich.
39) Cfr. nota 36.
40) Le lettere sono custodite nell'Archivio di "Casa Comi"
a Lucugnano.
41) Devo la notizia alla sig.ra Marcella Romano Pagano.
42) Sulla ingenuità di Comi, sulla sua generosità e
su altri aspetti del suo carattere di uomo, fanno luce le testimonianze
raccolte da CARMELO INDINO - ENRICO MINERVA (a cura di), Comi uomo
di ogni giorno, Gallipoli, "Nuovi Orientamenti oggi", 1990.
43) La lettera, inviata da Milano a Lucugnano, è dattiloscritta
su carta intestata a Il nuovo Corriere della Sera, La firma (tuo Eugenio
Montale) è manoscritta.
44) La lettera è manoscritta su carta intestata a Il nuovo
Corriere della Sera. Anch'essa, come le altre due, proviene da Milano.
45) Manoscritta su foglio non intestato.
46) il pensiero augurale "tardivo" è forse da riferire
al compleanno di Comi (il 23 novembre).
47) Cfr. GIROLAMO COMI, Opera poetica, a cura di DONATO VALLI, Ravenna,
Longo, 1977, pp. 465-470.
48) FRANCO LATINO, L'ansia dei raccordi e i tempi d'una voce interiore,
in "Uomini e libri", XXVI, Milano, Novembre-Dicembre 1990,
pp. 33-35.