§ Ultima favoleria

La caccia




Antonio Errico



Lei sa sfuggire ad ogni appostamento, ad ogni fiuto di segugio, è scaltra, si nasconde, aspetta il tempo più buio, più sicuro.
Si rintana. Sente i cani intorno al suo rifugio che ansimano, che frugano, rabbiosi; e trema, ma sa che presto finirà la caccia, come ogni altra volta finirà.
Una traccia. Un'orma tra le foglie. E' sua - si urla - è sua. Poi forse un'ombra appare tra le fratte, un'ombra, forse, e ancora grida: spara, grida: spara spara spara spara spara.
Sfugge: all'urlo che ripete spara spara, alla canea aizzata, alla paura che il cuore non le regga, che le scoppi.
Ma sa che il bosco è suo; lei sa che il bosco la salverà anche stavolta. Basta solo che corra, si allontani dagli spiazzi, dai sentieri, e non si volti, non perda un solo istante a respirare.
Basta che sappia attendere il tramonto, quando la luce si fa stinta e il bosco ritorna misterioso.
Mai nessuno l'ha vista, viva, in faccia. Ne ha visto il corpo snello, il salto disperato, l'ha vista che spiava da un cespuglio, e poi sparire all'improvviso dentro il nulla, dentro il nulla nascosto dal cespuglio.
E' rossa, però il colore a volte si tramuta in un colore di foglia o di fango o di sasso, in un colore di macchia, d'erba secca, di tronco di castagno o di faggio.
Se la insegui la ami, o la odi. Ad un punto non sai più distinguere, non sai più capire perché torni a cercarla nel bosco ogni giorno, ogni giorno a cercare di sentirne il respiro, di vederne il colore degli occhi. E' un presagio. Si impiglia nei tuoi giorni e diventa la tua idea di delizia, diventa carezza e malizia, ieri e domani. Se la ami o la odi non fa differenza.
Lei ha il volto di un ricordo antico. Ha il calore di un corpo, il colore di un'alba incerta, sospesa tra la luna ed il sole.
Forse per questo la insegui.
Forse perché una voce ti ritorni e mani stringano le tue mani ancora o forse perché un dolore si lenisca e una tristezza si perda.
Lontano. Che torni ventura alle porte di casa.
Lei ha il volto di un desiderio spento, di stagione sfinita, sfiorita; è sgomento che ti assale improvviso di notte. Poi il tempo fa di lei un'ombra cieca e ti resta soltanto l'attesa. Non altro.
Si alzò che non era ancora giorno, sellò da sé il cavallo, passò il ponte, da solo, senza cani né stallieri.
Correvano le nubi di novembre a branchi.
So che mi cerchi, disse, lo so da sempre, anche se ho sempre finto di inseguirti. Invece cercavo solo di sfuggirti, di nascondermi. Ma adesso sono qui, dentro il tuo regno. Puoi prendermi ora che non siamo più preda e cacciatore e non abbiamo distanze che ci separano.
Ti conosco: non sei lupo né cinghiale né falcone, non sei aquila né cervo né gazzella. Ti conosco: sei l'ombra che si spande sopra gli occhi, l'onda impetuosa che trascina al fondo, sei la parola che mette fine a ogni racconto. E poi. E poi sei il destino controverso, nave che non ha porto, doglia senza conforto, Ti conosco.
Adesso sono qui. Non assalirmi. Fa' che tutto sia lieve lieve, un soffio, che sia rugiada su una foglia, oblìo, sfioro di vento, fresco di marina, sussulto che si quieta, nuovo tempo.
Fa' che non sia spavento, che non sia delirio, che non sia contesa, maleficio, buio.
Ci vuole arte, lo so, lo sai, ci vuole la stessa arte per cacciare e per scappare.
Ci vuole la stessa paura e la stessa baldanza, la stessa superbia e arroganza. Lo sai.
Lei tende l'agguato, la trappola, aspetta, tu non la vedi ma lei è lì che ti guarda, indugia, ha pazienza. Ti angoscia l'assenza, la sua assenza che si aggira nel bosco, inquietante.
Ghigna, è maligna, è mostruosa, è stupenda, seduce, ripugna, è ladra, bugiarda, si annida nel petto: è il ricordo. E sei vecchio.
Non hai mai pensato al tramonto, all'inverno che ad un tratto ti copre le spalle, che adesso ti gela il respiro.
Allora il gioco si fa accanito, violento, diventa una sfida al destino, alla vita.
Ma lei non invecchia. Lei no. Lei rimane la tua giovinezza, un tremore segreto, la corsa furiosa nei mattini nebbiosi, folata, frammento di sogno, gli ansiosi tuoi sogni che avevi una volta, prima che gli anni ti incrostassero il cuore.
Lei rimane il tepore d'aprile, un desiderio e un incanto, e ti guarda che cerchi nel bosco il suo sguardo, il suo sguardo sfrontato, impietoso, amoroso.
Adesso sono qui, disse. Ti aspetto. Ti riconoscerò dal passo. Però avevi altre sembianze una volta.
Anch'io avevo altre sembianze, una volta. Eri diversa, eravamo diversi.
Ora ci somigliamo, siamo, io e te, scampati alla caccia.
Sai dirmi se è stato meglio salvarsi o se meglio sarebbe stato lasciarsi colpire quando era il tempo di farsi colpire, nel vento di un mattino, con il cielo che si stringe tutto tutto dentro le pupille, quando non eravamo così come ora siamo, sfiancati dal lungo braccamento?
Eri diversa, eravamo diversi. Una volta sembrava che avesse un senso fuggire e inseguire, l'incessante fuggire e inseguire, che avesse un senso la caccia.
Sembrava.
Lei è quello che sembra, lei è sembianza diversa dal falso e dal vero, non ha volto, ma sembra: lei sembra ogni volto sbiadito, trascorso, travolto; è memoria e scordanza, allusione e sbiadenza.
Lei è tiri nome che s'anima. Nient'altro che questo. Un nome, parola che sfugge e che insegui, svolazzo bagliore enigma figura, è la luna, la luna immota e cangiante, luna di navigante e pellegrino, luna che è collura di filastrocca di bambino.
Lei è novella che dura, parabola, fiaba: sette cime di monte, sette verni di neve, sette sono i cavalli, sette sono i cavalieri, sette sono le dame che hanno lasciato, sette chiavi di cuore in ricordo hanno avuto.
E per sette corone di re sette chiavi vendettero a sette bugiardi indovini, sette fini ha la storia e sette storie ogni fine ma una sola è la volta che puoi raccontare.
Adesso sono qui, disse. Ti aspetto. Non so da quante ore o da quante vite. Non so se attendo per me solo o se attendo per tutti quelli che ti attesero, che ti attendono.
Io non ti conosco, io non so se esisti, e forse non mi importa di saperlo. Mi basta averti avuta nel pensiero, mi basta il tuo mistero che mi accerchia, la tua storia che cela cento trame.
Mi basta questo bosco silenzioso, il silenzio lungo del bosco.
Tra poco sarà tutto coperto di neve. Forse allora verrai. Allora. Tra poco.
E sarai neve che avvolge, che vela gli occhi e nasconde ogni traccia, ogni segno; sarai neve che vedo cadere da un vetro sui gerani al balcone, sarai colore di nube, sarai neve che cresce sulla soglia di casa, veste bianca che scivola nella penombra e accarezza un ritratto di uomo.
Per noi la caccia è finita.
Ora ti sento vicina, ogni memoria sfuggita mi torna, e ritorno innocente; ora mi riconosco, ora ti riconosco. Mi ero smarrito, ti avevo smarrita nel bosco.
Lei sceglie con cura la preda, l'attira, la chiama, promette passioni, promette. E' visione splendente, illusioni che schiara la scura stagione che vivi. Appare, scompare, riappare, scompare. Non torna.
Lei è colei che non torna, è lei che è passata, impaziente, superba, insolente, spavalda.
Lei passa. Declina, separa, recide, si sfibra, ma lascia una scia odorosa, un rumore che viene dal fondo del fiume nascosto nel bosco.
Lei passa. Si addentra in grovigli, salta i fossi, si sfrena in corse sugli argini, travolge barriere, sprofonda, s'impenna, attanaglia, incatena.
Lei è il vanto e il trofeo di ogni giorno ma solo se resta nel bosco, se resta selvaggia.
A volte poi accade che riesci a colpirla perché ti accanisci smanioso, o per caso, perché lei è stanca e si abbandona, rinuncia alla corsa e si accascia.
Allora puoi guardarla in faccia. Però non è più lei, allora.
Si fa rassomiglianza, si muta in forma vuota, si fa lontananza, maschera, rimbombo di un bramito, chiarore che s'intorbida, un idolo abbattuto.
Adesso sono qui, ti aspetto ancora, sospeso tra due sponde, due stagioni, incerto sui confini di due tra una memoria antica e un sogno nuovo.
Adesso tu verrai,, verrai tra poco, ti riconoscerò da una ferita, mi riconoscerai da una ferita che tu sai dove nascondo.
Ho lasciato sparse tracce anch'io nel bosco.
Seguile prima che la neve le cancelli, prima che gli altri giungano vocianti, a riprendermi, a riprenderci. Verranno i famigli appena sarà l'alba, i cani frugheranno dentro il bosco, verranno con gli schioppi spianati dal villaggio a stanarti, a punirti i miei vassalli. Udiremo di nuovo grida, spari, si apriranno varchi nella selva, attenderanno un fruscìo, i battitori scuoteranno ogni frasca.
La caccia riprenderà. Ma noi siamo salvi, noi siamo già lontani dalla furia, dalla loro vanità, da quella morte che li insidia, che un tempo ci insidiava.
La caccia per noi è finita: una partita, soltanto una partita, un solo giorno, un turbinìo di polvere è durata; un'esultanza, un abbaglio, un volo d'ape, una lucciola nel pugno disperata, un sapore di labbra, uno stupore, tanto per noi durò la caccia, amica.
Quanto la vita forse.
Ti ho aspettata. Ora so che vivemmo aspettandoci tu e io, per incontrarci al limite del bosco, al limite, al limite del bosco, in una dimora che io e te soltanto conosciamo.
Ci riconosceremo da uno sguardo. Tu sarai sparviero, io sarò ansioso, tu sarai regina, lo sarò prigioniero, tu radice e io foglia, tu il fuoco e io il gelo, tu femmina, carne, battaglia, tormenta, io maschio, disperso, brezza, riposo. E non sarà più nessun tempo e verrà tutto il tempo che a lungo attendemmo, che non è mai venuto. Tornerà tutto il tempo che abbiamo perduto.
Saremo belli come siamo stati, io e te, una volta, amica.
Sei passata.
Passò distante e furtiva mentre lui l'aspettava, se ne accorse alla fine e la inseguì, la chiamò.
Pensò che non fosse ormai troppo tardi, che non fosse ormai persa, che non poteva lasciarla fuggire così, proprio adesso, così, proprio ora che aveva capito davvero cos'era, così, non poteva.
La inseguiva e gridava ti lascio, se vuoi, il cavallo, il castello, tutto quello che ho, ti lascio i sogni che ho avuto, gli amori, anche gli occhi se vuoi ma tu ritorna soltanto una volta, soltanto una volta, anche solo a metà, anche solo un mattino, una sera. E la neve cresceva, cresceva.

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