§ I grandi valori per battere la mafia

Possiamo ancora sperare




Nicolò Amato
Direttore, Istituti di Prevenzione e Pena



La sentenza del giudice di Catania in tema di tangenti alla mafia è certamente il segno di una crisi drammatica. Ma pure, io credo, rendendo esplicita a ciascuno questa crisi, costringe ciascuno a riflettere con gravissima preoccupazione ed in ciascuno inevitabilmente suscita o rafforza la volontà di ribellarsi, di lottare contro l'oscena e sanguinaria idra mafiosa dalle mille teste. Perché nessuno - nessuno che abbia una responsabilità nella società o anche o sola responsabilità di far parte della società, nessuno che non voglia calpestare la propria dignità - nessuno può rassegnarsi, nessuno può accettare anche solo l'idea che lo Stato si arrenda alla mafia, tollerando financo che essa condizioni e sfrutti le industrie e i commerci con le protezioni, le tangenti, i ricatti, o tollerando che gli industriali e i commercianti, per fare il loro lavoro, debbano chiedere o subire l'"amicizia" dei mafiosi.
Se dunque questo è tempo di crisi, allora è anche tempo di uscire, e di uscire subito, dalla crisi. E se la magistratura italiana, abbandonate le tentazioni e le suggestioni politiche che non le competono, e superate le distinzioni e le contrapposizioni interne che non hanno senso e la delegittimano, recupera le ragioni ideali unitarie e del suo impegno nella lotta contro la criminalità, che le acquisirono, anche col prezzo di molti tributi di sangue, grandi meriti e successi nella lotta contro il terrorismo politico e contro l'eversione mafiosa, allora possiamo ancora sperare.
Se il garantismo, fondamento non discutibile del nostro Stato di diritto, significa non soltanto rispetto e tutela dei diritti di chi è sospettato o accusato del delitto, ma anche rispetto e tutela di chi il delitto ha subìto e della società che ne è oltraggiata, allora possiamo ancora sperare.
Se l'oralità, la pubblicità, il contraddittorio, non contestabili regole di civiltà giuridica del nostro nuovo codice di procedura penale, consentono di acquisire non soltanto le prove dell'innocenza dell'imputato, se ci sono, ma anche, se ci sono, le prove della sua colpevolezza, allora possiamo ancora sperare.
Se l'attuale sistema penitenziario italiano, indubitabilmente uno dei più avanzati del mondo, recupera i detenuti alla società, ma non vanifica la certezza della pena e non offende le attese di giustizia nate dal crimine, allora possiamo ancora sperare.
Se l'impegno, gli sforzi, la lotta, generosi e meritori, delle nostre forze dell'ordine contro la criminalità e in difesa delle istituzioni e della civile convivenza raccolgono, com'è giusto, sempre più consenso e collaborazione da parte della società tutta e non vengono, com'è inammissibile, frustrati e mortificati da formalismi distratti o esasperati o da intollerabili clemenze, allora possiamo ancora sperare.
Se questo Paese ritrova la fede nei valori ideali che hanno ispirato la guerra di liberazione e la Carta costituzionale - magari adeguandoli ai bisogni di oggi - e ritrova la sua unità, la sua forza, la comune volontà e il gusto di battersi per la libertà, la democrazia, la giustizia, il progresso sociale, allora certamente esso sconfiggerà la criminalità mafiosa, così come ha sconfitto prima la dittatura e dopo il terrorismo politico.
Se dunque questo è tempo di crisi, allora non è tempo di rassegnata consolazione, ma è tempo di speranza e di lotta.

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