§ Quale Sud - Quanti Sud

Progetti per una societą civile




Enzo Giustino



Questa volta il progetto di rifinanziamento della legge (6,4) per l'intervento straordinario non ha suscitato le appassionate discussioni cui eravamo abituati negli anni d'oro dei meridionalismo. Non è stato nemmeno preceduto dai grandi appuntamenti di Napoli o di Bari che vedevano riuniti a convegno gli "addetti ai lavori" noti e meno noti, né ha promosso quel proliferare di iniziative fatte di conferenze. favole rotonde, dibattiti, ad opera di centrali culturali, partiti politici, associazioni imprenditoriali e sindacali. Proprio no. Questa volta tutto si è svolto in sordina, tra l'indifferenza generale, salvo naturalmente l'impegno di coloro che più direttamente hanno responsabilità in questo campo. Perché? A mio modesto avviso, semplicemente perché siamo ormai giunti ad una sorta di tramonto del meridionalismo. Almeno di quello che noi conosciamo. I profondi mutamenti che hanno caratterizzato l'ultimo ventennio, infatti, hanno sconvolto e travolto molti assetti, tra gli altri anche quello che era alla base della questione meridionale. I nuovi equilibri internazionali, il diverso modo di essere dell'economia, delle strutture produttive; questa nuova concorrenzialità che involge e coinvolge l'intero sistema; queste nuove dimensioni che va assumendo il mercato ed, infine, questa inderogabile esigenza di uniformità delle regole all'interno dell'Europa, hanno notevolmente mutato i termini della questione.

E' vero, pur essendo il Mezzogiorno profondamente cambiato, i suoi fondamentali problemi quale lo disoccupazione, la qualità della vita, l'amministrazione della cosa pubblica, la gestione del territorio, non sono stati risolti, non sono cambiati. La centralità del problema meridionale oggi non la si realizza più mediante la cosiddetto verifica di compatibilità delle misure di politica economica con la crescita meridionale. L'economia meridionale è oggi parte integrante dei sistema nazionale nella suo interlocuzione con l'Europa ed il mondo.
In questa visione, la disoccupazione giovanile, la gestione del territorio non dovrebbero essere più considerate dei problemi, Ma delle risorse, delle opportunità per il Paese intero; il che non dovrebbe richiedere necessariamente il perpetuarsi dell'intervento straordinario, almeno nei suoi termini tradizionali. Certamente, gli incentivi sono ancora necessari per indurre a nuovi investimenti industriali nel Sud. Ma non vi sono forse, nel nostro Paese e negli altri dell'Europa unita, analoghe forme di incentivi per gli stessi ed anche diversi obiettivi di politica industriale? E allora perché questa specializzazione per il Sud, e non una politica industriale unitaria in cui gli incentivi sono istituiti e gestiti per il perseguimento di obiettivi di politica industriale utili all'intera comunità nazionale? Certamente, i progetti strategici sono indispensabili, l'acqua per esempio, ma perché non concepirli alla stregua di come sono concepiti l'alta velocità o piuttosto il piano delle autostrade? Ben venga quindi il rifinanziamento della 64 se destinato, come misura di transizione, agli incentivi ed ai progetti strategici. Ma non si comprende che senso ha porsi ancora il problema dell'intervento straordinario per tutto il resto, se non in termini di razionalizzazione e non di sopravvivenza, facendo quindi una netto distinzione tra ciò che funziona da ciò che non funziona.
Il nodo del problema, comunque, non è questo. Nel nostro Paese siamo di fronte ad una modernizzazione zoppa, sia in senso verticale, Nord e Sud, che trasversale, aree di efficienza ed aree di disamministrazione e di spreco.
Per il Sud, quindi, l'obiettivo primario è la modernizzazione con il resto del Paese. Qualcuno ha scritto che la modernizzazione presume l'esistenza di una società civile. Quando con la 64 si determinò una sorta di rivoluzione all'interno dell'intervento straordinario con il trasferimento dei poteri alle regioni' ed agli enti locali, furono in molti, io tra quelli, a considerare opportuno quel cambiamento di rotta.
Si trattava di porre riparo alla inveterata abitudine delle istituzioni meridionali di chiedere al centro, comunque agli altri, di risolvere i propri problemi, alimentando così il fenomeno del clientelismo politico, e con esso altri tipi di fenomeni. Anche il modo di rappresentare le proprie esigenze e di prospettarne le soluzioni andava rivisto e cambiato. La nuova legge sulle autonomie locali sembrava fatta anche per questo. Molte speranze, ma pochi risultati, si obietterò. E' vero. Tuttavia non credo sia utile tornare indietro. Se è vero che gli ambiti regionali saranno gli interlocutori della nuova Europa e che le aree metropolitane saranno le nuove istituzioni che dovranno gestire e risolvere la congestione urbana, allora non si può che insistere sulla strada già intrapresa, di concorrere alla creazione di una più credibile e determinata società civile, cominciando dalle istituzioni. Se questo è vero, l'intervento straordinario, così come oggi lo si concepisce, dovrà necessariamente avviarsi verso il suo declino.
Ad una condizione, però: che si abbia ben presente, parafrasando una efficace proposizione, che se "la modernizzazione non è un processo interiorizzato, prima o poi sarà un processo subìto".


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