§ Quale Sud - Quanti Sud

Terre di pane e di fango




L. M., B. S.



Un mare di cifre che, al primo impatto, stupisce per la limpidezza degli orizzonti che traccia. Orizzonti non nuovi, ma, appunto, molto netti: disegnano l'Italia delle contraddizioni e delle ingiustizie, una penisola vistosamente divisa nei fatti e lacerata da una iniqua spartizione del benessere. L'Italia vicina alla Svizzera è ricca di conti in banca, di automobili, di industrie: quella che è a Sud della linea Gotica è ricca di malavita, di figli, di disoccupazione. L'Istat ha così disegnato il ritratto di un Paese che è incapace di saldare i propri conti con la storia.
Una cifra per tutte: la divisione dei bilanci familiari. Fotografa l'angosciante "diversità" delle due Italie. Ogni famiglia spende in un anno 28,1 milioni per campare. Al Nord i milioni salgono a 30,6, al Sud scendono a 23,1. Se resta omogenea la spesa alimentare (la media di 6 milioni può definirsi davvero "nazionale"), il baratro si approfondisce a mano a mano che si scende nelle aree dei bisogni. In Basilicata i milioni annui sono appena 20,6 e ne restano solo 15,2 per i consumi non alimentari. A poche centinaia di chilometri, in Emilia Romagna, i milioni a disposizione sono 33,4 e 27 coprono le voci del non alimentare. Sportelli bancari: al Sud 1,7 sportelli ogni 10.000 abitanti, al Nord 3,2; in Trentino sono 7, in Sardegna e in Campania solo 1,2.
Se si passa all'occupazione, il quadro assume i contorni di una spaventosa sconfitta per i mille progetti di omologazione economica e sociale. Le "forze lavoro", gli abitanti occupati ogni cento unità, in media sono in Italia 42. Al Nord raggiungono quota 44, al Sud calano a 38,6. E se in Val d'Aosta sono 46,5, in Sicilia si giunge ad un vergognoso 37,1. Dunque, ha ragione De Rita quando spiega: "La vera rottura italiana sta nella divaricazione tra chi è appagato e chi ha ancora voglia di crescere, tra chi è contento di quanto ha e chi non lo è". I figli e la salute. Cominciamo dai bambini morti nel primo anno di vita, un segnale universalmente riconosciuto come sintomo di civiltà. Nell'88 al Nord sono stati 2.408, al Sud 2.745. Il capitolo "Sanità" è tra i più crudeli: al Nord si può contare su 6,2 posti letto negli ospedali pubblici, al Sud su appena 4,6. Certamente, si deve ammettere che in un paio di generazioni l'Italia ha visto scomparire la poliomielite (4.000 casi l'anno, tra il '51 e il '60), la meningite meningococcica, la difterite. Ma questa vittoria non annulla quelle sconfitte né il rischio-Sud, dove nascono più figli che al Nord: 12,4 ogni mille abitanti, contro una media nazionale del 9,7 (1989): col Nord ormai a livello di crescita zero.
E se la popolazione (col rapporto nascite-morti) aumenta in Campania, in Puglia, in Sicilia, cala sensibilmente in Piemonte, in Emilia Romagna, in Toscana, dove in media la popolazione è ovviamente più vecchia. Al Nord, alla fine dell'89, "mancavano" 70.723 italiani, mentre al Sud ne erano arrivati altri 100.449. Nonostante i problemi e le angosce, a Sud ci si suicida assai meno che al Nord (4,1 casi ogni 100.000 abitanti; al Nord, 7,5 casi). E poi si pagano meno canoni alla Rai, ed esistono poche strade (il 65% dell'intera rete nazionale è al Nord). Per il resto, tutti mangiano più zucchero e più carne (con le debite differenze tra le due Italie). E lasciano prosperare rapine e omicidi. Ma questo appartiene al capitolo della criminalità che coinvolge ormai l'intero Paese.
Appena arrivati nella Comunità europea, i Länder dell'ex Germania Orientale sono diventati concorrenti terribili delle regioni povere della Cee: la loro capacità di attrarre investimenti è infinitamente superiore. Per questo i politici europei hanno messo subito in chiaro che la Germania dell'Est non sarebbe stata trattata come gli altri Sud dell'Europa, che hanno un reddito pro-capite del 25% inferiore alla media comunitaria, e che la Comunità considera parte dell'obiettivo primario nell'assegnazione dei fondi strutturali per lo sviluppo.
Quali sono le "aree depresse", cioè i Sud dell'Europa comunitaria? L'intero Portogallo; il 75% della Spagna, con Galizia, Asturie, Castiglia, Estremadura, Valencia, Andalusia, Murcia, Ceuta e Melilla, Isole Canarie; il Midi francese e la Corsica; lo Schleswig-Holstein tedesco ex federale, con l'intera ex Ddr; il Borinage belga; piccole aree dell'Olanda; l'intero Mezzogiorno italiano. Con l'unificazione tedesca, il mercato unico europeo, che non è un'integrazione pacifica, ha aggiunto concorrenza a concorrenza: la libertà di movimento di persone e di denaro significa che le risorse si fermano dove è più conveniente. I governi nazionali che hanno investito migliaia di miliardi nei loro Sud arretrati e la Comunità europea sono dunque chiamati a cambiare radicalmente le rispettive politiche di sviluppo. Anche perché in passato le aree povere si sono spesso difese con svalutazioni frequenti della moneta. Con l'unità monetaria europea questo non sarà più possibile. Si sta aprendo l'epoca degli aiuti regionali vincolati ai progetti. La Cee è ormai orientata su una strada del genere, anche se le resistenze dei governi nazionali restano forti. La riforma dei fondi strutturali, lanciata alla fine degli anni 180, sta prendendo forma. Gli Stati membri, per ottenere i fondi, ora devono presentare piani mirati: i cosiddetti quadri comunitari di sostegno.
A decidere quali regioni diventeranno più povere e quali più ricche, in questa Europa così diversa da quella di prima della caduta del muro di Berlino, saranno dunque fattori diversi. Quello che succederà dipende da noi: se si faranno le scelte giuste, alla fine potrebbero esserci anche solo vincitori. Se si faranno errori, le aree deboli soffriranno più delle altre, molto di più. Aiutare i Paesi dell'Est europeo e integrare le loro economie in quelle dell'Occidente è la chiave per la stabilità. Ma per far questo, si pensa allo smantellamento del PAC, il piano della Politica Agricola Comunitaria. Il PAC costa tra 1,5 e 2,5% del prodotto interno lordo comunitario (in termini di sussidi diretti e prezzi più alti pagati dai consumatori per i prodotti agricoli): esso, secondo gli esperti Cee, blocca la crescita dell'agricoltura dei Paesi dell'Est europeo, e dunque anche dell'ex Germania Orientale, che oggi è a tutti gli effetti Europa comunitaria: un settore decisivo, in questa fase. Ma l'agricoltura fornisce quote notevoli di Pil dei Sud della Cee: visto che le imprese industriali non vi arrivano e che il terziario avanzato stenta a decollare, che fare? Verso quali Sud orientare gli investimenti e i fondi di sviluppo? E che fine farà il nostro Mezzogiorno, fra tutti i Sud d'Europa? Chi "riprogetterà", e in che termini, lo sviluppo del Mezzogiorno d'Italia, in una penisola dilaniata dalle spinte localistiche? Chi, in un'Europa che attrae capitali sempre più nelle aree del Nord? In una sola domanda: il Sud d'Italia ha perso la battaglia, prima ancora di cominciarla?

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