§ Economia in soffitta

La politica delle apparenze




Mario Arcelli



Il primato della politica sull'economia è una posizione che non trova generalmente opposizione: essa implica che alla classe politica che governa un Paese è demandata la scelta delle opzioni fondamentali dello sviluppo.
Diverso è il caso in cui la dialettica politica impedisca l'elaborazione di qualsiasi previsione economica e rendo molto difficile al settore privato dell'economia di compiere le proprie scelte all'interno dei quadro definito politicamente. Ciò è quanto sta accadendo in Italia, dove alle incertezze del dopo-Golfo si assommano i gravi' problemi della finanza pubblica che. se non risolti tempestivamente, pongono una pesante ipoteca sulla solidità della ripresa e sulle prospettive a medio termine del nostro Paese. Mentre altrove si elaborano strategie per ridare vigore all'economia, per consolidare il processo di integrazione tra economie rese omogenee dalla stabilità dei prezzi e da un sano andamento della finanza pubblica, da noi l'alchimia politica la passare in secondo piano i problemi dell'arretratezza dei servizi pubblici, della spesa dilagante, dei carico di interessi sul debito pubblico, del disavanzo che assorbe una massa crescente di risorse, rendendo inutile qualsiasi rincorsa delle imposte.
Mentre in Inghilterra, in Spagna e in Francia le autorità monetarie hanno potuto intraprendere una deciso azione di riduzione del costo denaro, da noi la situazione di crisi politica, un'inflazione non ancora discendente, Il peso di un finanziamento del deficit pubblico e dei rinnovo dei debito in scadenza che impongono emissioni mensili di circa 70 mila miliardi di titoli Pubblici, impediscono azioni di ampio respiro da parte dei Tesoro e della Banca Centrale, sempre più costretta a compiti di supplenza della politica economica.
E' bensì vero che senza cambiamenti istituzionali qualsiasi programma di risanamento economico rischia di essere scritto sulla sabbia, come l'esperienza insegna; ma si vorrebbe che nel dibattito attuale emergessero chiaramente, assieme alle opzioni politiche ed istituzionali, alcuni problemi economici e le vie prescelte per risolverli.
Tra i problemi indicherei almeno i seguenti, tutti altamente prioritari: come si pensa di fronteggiare lo sfondamento attuale del debito pubblico? Se la privatizzazione di parte del patrimonio dello Stato è considerata la soluzione di emergenza per fronteggiare questo ed altri squilibri della finanza pubblica, quali procedure d'urgenza s'intendono predisporre? Come attivare rapidamente gli investimenti in taluni settori delle Partecipazioni Statali - nelle comunicazioni e nei telefoni in primo luogo - e nell'Enel per favorire la ripresa e per preparare una politica strutturale delle moderne infrastrutture? Come si pensa di far compiere rapidamente un salto di qualità alla pubblica amministrazione per rendere più spediti gli interventi e gli iter realizzativi, sburocratizzandone i contenuti? Soprattutto, come tutelare il cittadino di fronte allo strapotere della pubblica amministrazione, avendo presenti i riflessi economici degli stati di incertezza e di discrezionalità delle decisioni? Quando si vorrà controllare con un piano di rapida attuazione la spesa previdenziale, essendo ormai chiaro da tempo il potenziale dirompente dell'evoluzione di tale componente della spesa pubblica ed essendo anche pronte da tempo le linee d'intervento?
Quando il settore sanitario, ci si scusi iI bisticcio di parole, sarà risonato? Non è opportuno dare più spazio al mercato e al settore privato per limitare la spesa pubblica e per accrescere rapidamente l'efficienza delle prestazioni?
Questo e moltissimi altri interrogativi possono essere legittimamente posti dai cittadini che da troppo tempo attendono pazientemente una risposta. Molti imprenditori responsabili affermano che se il contesto italiano non muterà rapidamente, diventerà consistente l'ipotesi di trasferire all'estero parte delle attività produttive.
Il tempo stringe e gioca contro un recupero di competitività della nostra industria che va vista sempre più in termini di logica di sistema. Occorrono -rapide decisioni. Tutto sembra invece essere immerso in una coltre sempre più fitta di scetticismo e di indifferenza che aumentano il qualunquismo, mentre da più parti affiora il dubbio che solo una crisi finanziaria possa scuotere finalmente l'immobilità politica. Ma è questo davvero il modo di prepararci all'unione monetaria europea?

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