§ Sfide e prospettive dell'industria europea

Un mercato senza frontiere




Gianni Agnelli



Nel prendere in considerazione i grandi mutamenti che in pochi anni hanno cambiato profondamente la geografia politica del mondo, cercheremo di capire quali potranno essere le loro conseguenze in questo ultimo decennio del XX secolo. Sono scomparsi dallo scenario punti di riferimento certi e consolidati e nuovi equilibri si vanno formando, nell'incertezza e nella confusione.
La fine della guerra fredda ha aperto nuove speranze di pace. E, tuttavia, noi vediamo che queste speranze sono fortemente scosse dalle guerre, come quella in Medio Oriente, dagli scontri nazionalistici, come quelli interni all'Unione Sovietica, da conflitti, come quelli che avvengono in Africa.
La capacità produttiva raggiunta dal mondo industrializzato alimenta speranze di vigoroso sviluppo. E tuttavia noi vediamo che questo sviluppo è reso problematico dagli squilibri tra le diverse aree del mondo, dall'instabilità dei mercati finanziari, dalle tensioni del nuovo protezionismo. Considerata da questo punto di vista, la via verso il prossimo secolo ci si presenta come un insieme di problemi da affrontare, a cui soltanto un forte impulso alla collaborazione internazionale può dare una soluzione definitiva. Su questo quadro di fondo si collocano gli interrogativi che noi ci poniamo sulle prospettive dell'industria europea. Abbiamo in Europa problemi non diversi da quelli che si presentano a tutte le imprese industriali del mondo. Sono i problemi che derivano da una competizione che si muove verso la dimensione globale, da uno sviluppo tecnologico sempre più accelerato, da una profonda trasformazione del comportamento dei mercati, dalla crescente pressione delle esigenze ambientali.
Ma altre, in aggiunta a queste, sono le sfide che si pongono in particolare all'industria europea. Noi stiamo attraversando il passaggio da un mercato diviso per territori nazionali a un unico grande mercato continentale. E' inevitabile che questo comporti un forte mutamento delle posizioni di forza relative fra le imprese all'interno della Comunità. E' inevitabile che si rafforzi su questo grande mercato l'attacco da parte della concorrenza extra-europea.
Alcuni anni fa, quando più concreta si fece la prospettiva dell'abolizione delle barriere interne, si parlò di un'Europa chiusa a fortezza contro la competizione mondiale. Era un'ipotesi priva di reale fondamento, e certo essa non rientra nelle convinzioni degli industriali europei. I quali condividono l'opinione che l'isolamento commerciale dal resto del mondo si risolverebbe comunque in un arretramento sulla strada dello sviluppo.
Ma, su questo terreno, occorre essere fortemente pragmatici. In questo momento di transizione, gli interessi dell'industria europea vanno difesi anche attraverso la gradualità nella riduzione delle barriere verso l'esterno e attraverso la contrattazione di reali condizioni di parità e reciprocità nell'accesso agli altri mercati sviluppati.
Ci sono settori-chiave del nostro sistema industriale che noi non possiamo consegnare ad altri, se non vogliamo rinunciare alla nostra identità, alla nostra cultura, alla nostra tradizione di quella che è stata, nella storia, la prima area industrializzata del mondo. In ogni caso, tuttavia, il protezionismo non può essere un'alternativa valida a quella di confrontarsi con l'industria mondiale con le armi che sono proprie della libera competizione. E' questa la ragione per cui oggi si impone alle imprese europee l'impegno di accelerare i loro processi di rinnovamento, di accrescere la loro flessibilità, di adeguare rapidamente la qualità dei prodotti e dei processi. E tutto ciò comporta profondi cambiamenti nelle logiche organizzative e nei criteri della conduzione aziendale. Comporta l'intensificazione della ricerca di economia di sistema - più che di economia di scala - attraverso accordi, collegamenti, concentrazioni fra imprese complementari per tecnologie, per mercato, per aree di prodotto. Comporta un intenso sforzo nello sviluppo e nella valorizzazione del capitale umano, risorsa chiave in una competizione dove il comportamento degli uomini in azienda ha un ruolo determinante. Lungo questa strada, d'altra parte, le imprese europee si stanno muovendo ormai da molto tempo. Certamente, nel corso degli anni Novanta la selezione competitiva sarà intensa: alcune imprese diventeranno più grandi e più forti, altre scompariranno dal mercato. Questa è una prospettiva che noi non possiamo fare a meno di affrontare, se vogliamo che l'industria europea possa confrontarsi da pari a pari con gli altri grandi sistemi economici del mondo.
Ma, in questo momento particolare, un'altra grande sfida si delinea per le nostre imprese, ed è quella che proviene dai cambiamenti politici avvenuti nei Paesi dell'Europa centro-orientale. Abbiamo di fronte a noi una prospettiva di mercato di oltre 350 milioni di potenziali consumatori e di grandi opportunità per nuovi insediamenti produttivi. Si tratta certamente, oggi, di una prospettiva confusa e diversificata. C'è una Germania dell'Est che ha ritrovato la sua naturale collocazione nell'unificazione della nazione tedesca e ha creato così i presupposti per una ripresa certa e affidabile del suo sviluppo economico. Ci sono i Paesi di antica tradizione industriale che hanno potenzialità a lungo represse, ma non annullate, come l'Ungheria, la Cecoslovacchia e, in parte, la Polonia. C'è l'Unione Sovietica, un Paese che è rimasto bloccato da oltre settant'anni di economia di Stato e che a tutt'oggi sta ricercando, faticosamente, la via per istituire ex novo un'economia di mercato. Le attuali tensioni politiche interne di questo Paese stanno attenuando molti degli entusiasmi suscitati dalla perestrojka e stanno creando gravi preoccupazioni di involuzione del processo di democratizzazione. Ma non ci possono essere dubbi sulla opportunità per le imprese di puntare su questa realtà in formazione e in movimento, in modo da essere fra i primi a cogliere il momento del suo decollo.
Certamente, non possiamo aspettarci prospettive di ritorno immediate in termini economici e in termini di sviluppo: in questo, è necessario un forte atto di fiducia nel futuro. Tuttavia, questa nuova dimensione economica è un'occasione da non perdere, nell'interesse dell'industria europea, ma anche dell'Europa nel suo insieme. Noi constatiamo, infatti, come in questo particolare momento storico le logiche dell'economia siano legate strettamente alle logiche della politica. E anche per ciò che riguarda le economie dell'Est, sono fondamentalmente politici i presupposti da cui dipende il loro rilancio e in qualche caso la loro ricostruzione. Sono scelte politiche indubbiamente difficili, quelle che devono creare, soprattutto in Unione Sovietica, le condizioni giuridiche, amministrative e culturali necessarie allo sviluppo di un'economia di mercato. Sono scelte politiche quelle che devono realizzare le infrastrutture indispensabili alla vita di un sistema industriale e accelerare i processi di liberalizzazione finanziaria e monetaria. Ma sono scelte politiche anche quelle che deve compiere l'Europa occidentale per favorire e sostenere questa transizione. Una questione di fondo, su questo piano, è quella degli aiuti economici, per far fronte alle necessità elementari di sopravvivenza che si manifestano nella generalità dei Paesi dell'Est, e che possono mettere a grave rischio l'evoluzione verso la democrazia e la libertà di mercato. Si parla della necessità di risorse notevoli, ma ciò che conta non è soltanto il loro volume, ma la razionalità e la coerenza con cui devono venire erogate.
Ma, accanto a questa esigenza primaria, è necessario porre in atto interventi coerenti in ambito comunitario, per stimolare gli insediamenti ad Est delle imprese occidentali. Occorre un'azione adeguata di copertura di rischi, che vanno al di là degli ordinari rischi d'impresa; occorrono sostegni al finanziamento delle diverse iniziative. Nuove ragioni, quindi, premono per l'accelerazione dei processi di unificazione della Comunità: il completamento rapido del mercato interno e la realizzazione dell'unificazione monetaria. La moneta unica, in particolare, è condizione indispensabile per la piena efficienza del mercato interno comunitario, ma anche condizione per creare un riferimento valutario forte e certo per le nascenti democrazie industriali dell'Est. E comunque l'obiettivo finale è l'unificazione politica: perché questa è la condizione essenziale per dare all'Europa occidentale una voce unitaria e credibile nel confronto economico e politico mondiale. Costruire nella pace sarà una ragione di più per lavorare intensamente a realizzare la prospettiva di un'Europa più grande, un'Europa che oggi è solo un disegno confuso e che potrebbe divenire realtà verso la fine di questo secolo. Un'Europa che raccolga le diverse nazionalità ad Ovest e ad Est intorno a comuni valori storici e culturali. Un'Europa che, insieme con le altre grandi aree sviluppate del mondo, sia in grado di dare il suo contributo determinante alla soluzione dei problemi della povertà, della sicurezza, della qualità della vita a cui con sempre maggiore ansia guardiamo nell'approssimarsi del nuovo millennio.

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