§ Millenario e perenne Sud

Nuova Magna Grecia




Giuseppe Galasso



Protesta meridionalistica, interessi sociologici e antropologico-culturali, componenti politiche di vario ordine e tipo, riflessi del dibattito sulla civiltà contemporanea e sui suoi effetti negativi e alienanti fanno vedere il Mezzogiorno sotto una luce molto diversa, anche da quella nella quale era pur apparso nella letteratura di viaggio, nei testi meridionalistici e ad alcuni geografi. Tra Lenormant e Carlo Levi, tra Giustino Fortunato e Manlio Rossi Doria, tra Giuseppe Maranelli e Lucio Gambi, corre una differenza più o meno analoga, anche se di altro e più complesso senso, a quella tra sistemazione storica e ricerche in fieri.
Il testo principale di riferimento può e deve essere considerato il Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi. Si tratta, come è ben noto, di un Mezzogiorno millenario, non toccato nel suo profondo dai movimenti di civiltà che ne agganciano le coste, lo avviluppano da ogni parte e magari si distendono su di esso come una superficiale pellicola allogena ed eterogenea. Un Sud profondo, ancestrale, primitivo, sopravvive al di là delle vicende religiose, statali, economiche, da cui è investito. E' un Sud nel quale la preistoria è diventata metastoria. I suoi valori non sono perenni perché astorici, ma - al contrario - sono astorici perché perenni: è un Sud della lunga, lunghissima durata, che lo ha fissato in un modello umano e sociale inalterabile. La Magna Grecia, se Cristo si è fermato a Eboli, si è a sua volta fermata magari a Posidonia o a Metaponto: ai margini cioè del grande corpo storico-geografico formato dal Sud più vero.
Non occorre molto perché l'isolamento interiore e la perenne identità di quel Sud assumano altri significati. Il Sud più profondo diverrà il vergine deposito della civiltà contadina, saggezza essenziale e universale che si contrappone alla frenesia e all'alienazione della modernità. Essa affonda le sue radici al di là del Cristianesimo, degli Elleni, degli Etruschi, o di quanti altri vi siano approdati. Gli Stati possono politicamente sottomettere il Sud, e dai Greci e dai Fenici a Roma e a Bisanzio, dai Normanni ai Savoia è sempre accaduto. Ma i valori della civiltà contadina vivono ben più a lungo di questa efflorescenza politico-istituzionale.
Se questo è il quadro d'insieme, è vero, peraltro, che le variazioni sono notevoli. I valori del Sud si identificano di volta in volta, a seconda degli interessi di chi ne scrive, con quelli propri del Cristianesimo o delle presocratiche filosofie dell'essere eleatico e dei numeri e simboli pitagorici, con quelli di un Oriente dai corposi colori bizantini, con quelli di una mediterraneità di fondo sempre uguale a se stessa dai tempi preellenici a quelli islamici e cristiani o, più semplicemente, con quelli della civiltà preindustriale generalmente e genericamente considerata e spesso identificata col Mezzogiorno borbonico.
Queste variazioni - che sono, come è facile intendere - di grande importanza nelle loro singole fattispecie - non tolgono tuttavia che il disegno di fondo in cui esse si inseriscono resti quello che si è indicato: sapienza primordiale del Mezzogiorno, esteriorità e violenza senza definitivo trionfo di coloro che nel Mezzogiorno sopravvengono a dominare e a portarvi civiltà e valori, che non sono i suoi. In un certo senso, come è stato detto, il "Platone" di Cuoco più che l'"Italia" di Micali.
Così, la Magna Grecia resta al di fuori del nuovo quadro di identificazione antropologico-culturale del Sud, che largamente si afferma, anche se in alcune delineazioni di questo quadro entrano, in imprevedibili e improbabili aggregazioni di motivi, elementi di specifico riferimento magno-greco. La Magna Grecia, insomma, nei suoi tratti storici più autentici diventa sempre più una nozione di non ordinaria informazione culturale. Sarebbe interessante ricostruire come non solo nella cultura meridionale, ma in quella europea se ne èevoluto il profilo della letteratura di viaggio, dalla "poesia delle rovine" della seconda metà del secolo XVIII e della prima metà del XIX alla letteratura sociologica e antropologica e al reportage giornalistico della seconda metà del secolo XX, anzi fino alla delineazione dei cosiddetti itinerari turistico-culturali che esprimono e condizionano tanta parte del modo di vivere, di sentire e di pensare di questa epoca, con la più o meno concorde collaborazione di agenzie di viaggio e di uffici della pubblica amministrazione culturale.
E' sorprendente che si sia così ampliata la discrasia, già in essere da tempo, tra una ricerca storica, filologica, antiquaria, archeologica, sempre più raffinata e approfondita e una "communis opinio" sempre più dispersa e differenziata nei suoi elementi di giudizio e di informazione?
In realtà, non è sorprendente, almeno nel senso che si tratta di una discrasia che si ripete in innumerevoli altri casi della cultura e della vita della cosiddetta "civiltà di massa", "società affluente", "civiltà dell'immagine", "cultura dello spettacolo", e altre simili qualificazioni. Il problema è, sotto questo aspetto, degnissimo di attenzione e di studio, ma è generale, anzi generalissimo. Per la Magna Grecia può essere semmai di conforto che essa ritorni come ispirazione profonda, con una verità che non può non essere nuova, ma che non manca di prospettarne seducenti suggestioni, in scrittori e in poeti anche del XX secolo. Pensiamo - ad esempio - a Leonardo Sinisgalli e, su un diverso registro poetico, a Salvatore Quasimodo. E' di conforto che gli stessi libri di divulgazione sulla "civiltà della Magna Grecia" possano essere oggi scritti, e quindi letti, avendo a propria base certezze, se non proprio verità, storiche molto più complesse e numerose di quanto non accadesse anche solo mezzo secolo fa. E' di conforto - per non parlare di altro - che la nozione di Magna Grecia è entrata, sia nell'altra cultura che nella cultura corrente, a far parte integrante di un universo storico - Ellade, Roma, Classicismo, Mediterraneo, Europa - in cui sempre più si riconosce e si definisce una struttura centrale e portante in quella che alcuni continuano a definire "l'avventura dell'uomo".
Vuol dire che, anche negli studi di più alta ispirazione o nella generica formazione corrente, la Magna Grecia è tornata ad essere e rimane, anche per il Mezzogiorno della fine del secolo XX e del secondo millennio, un grande punto di riferimento storico e culturale, un elemento cospicuo della memoria civile dello stesso Mezzogiorno; e, di conseguenza, dei modi di definire l'identità e la fisionomia nel flusso inarrestabile della storia.

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