Un
volto statico e attendista è ciò che emerge dall'ultima
indagine del Censis sullo stato sociale del nostro Paese.
Rispetto alla fine degli anni '80, in cui l'opulenza si abbinava ad
uno stato di crescente insoddisfazione, indice di uno sviluppo rapido
quanto disordinato, l'immagine attuale è quella di un paese ormai
assestatosi sulle posizioni acquisite, ancora insoddisfatto ma, al tempo
stesso, timoroso di qualsiasi cambiamento che possa minare il livello
di benessere raggiunto. All'incertezza insita nella quanto mai necessaria
svolta si preferisce la certezza di una vita povera di contenuti, ipocrita
e individualista, avida di apparenze e di compromessi. Nessuno fa la
prima mossa. Non il singolo, che si nasconde dietro l'impotenza del
suo essere, appunto, singolo; non le famiglie, che preferiscono vivere
di rendita e sperare nei "piccoli" favori; non le imprese,
che sembrano non amare più il rischio e che, prima di investire,
aspettano di chiarirsi le idee sulle nuove tendenze e priorità;
non lo Stato, sempre meno rappresentativo ed efficiente che, per tamponare
l'uso malavitoso delle risorse pubbliche, sceglie la via più
semplice, quella di non investire; infine, non la classe politica, che,
di fronte a temi difficili e a smanie separatiste che esigono precise
prese di posizione, preferisce trincerarsi anch'essa dietro la tecnica
del vile rinvio.
Un quadro mediocre quello che viene dato del Paese e dei suoi abitanti,
la cui protesta e insoddisfazione si manifesta in un'altrettanto mediocre
e banale "cultura del no". No a tutto quanto viene proposto,
senza alcun filo conduttore, senza alcuna coerenza che rispecchi un'ideabase:
no alle leggi, no al nucleare, no al traffico, no ai referendum, no
ai "diversi" - siano essi immigrati, nomadi, transessuali
- no alla difesa dall'Aids, no alla caccia, all'inquinamento, alla chiusura
delle discoteche e così via. Dei no che non hanno niente a che
vedere con quelli che, in anni passati, hanno segnato pagine creative
della nostra storia. Le proteste attuali hanno piuttosto l'effetto di
conservare inalterato l'esistente, buono, ma più spesso marcio,
che sia.
Il Censis, prendendo in esame le cause di questa degenerazione sociale
e istituzionale, mette in primo piano una perdita dell'"intelligenza
fluida", un impoverimento ideale cui si accompagna un processo
di "destrutturazione", di crisi di identità dei soggetti
collettivi, di delegittimazione dello Stato, ma anche una "destrutturazione
esterna", legata alle tensioni internazionali, che non fa che aggravare
il clima nazionale di pericolosa e vacillante attesa. Il risultato è
il proliferare di un "sistema di simmetrie", in cui tutto
sembra convivere grazie al meccanismo di pesi e contrappesi. Da qui
il protrarsi e il moltiplicarsi delle contraddizioni, senza che nessuno
abbia il coraggio di assumere il ruolo-guida per un'inversione di tendenza.
La crisi di leadership è notevole. Evidente il risultato di generale
ripiegamento: così l'impresa rivede i propri disegni strategici
e li ridimensiona, puntando sul più sicuro business primario;
i sindacati abbandonano i grandi temi rivendicativi e si adagiano su
soluzioni di compromesso; così pure i partiti, oggi più
svuotati che mai di contenuti e temi ideali.
Diagnosi grave quella del Censis e la cura non è certo indolore,
visto che, per spezzare l'attendismo e il sistema delle simmetrie formali,
occorre introdurre "una logica di tipo asimmetrico", con tutte
le conseguenze in termini di rinuncia che esso comporta. E' necessario,
cioè, tornare a fare delle scelte, con la consapevolezza di non
poter conservare i vantaggi fino ad oggi assicurati dallo Stato clientelare
se se ne vogliono eliminare gli svantaggi. E' inutile reclamare contro
il disservizio pubblico se poi non si vuole eliminare l'assistenzialismo.
E' inutile indignarsi davanti all'avanzata delle leghe, se continua
ed è forte la paralisi politica e istituzionale. Soprattutto,
dicono gli esperti del Censis, è inutile continuare a parlare.
Servono fatti che conducano il Paese verso l'autoregolamentazione dello
sviluppo raggiunto, mediante politiche responsabili che individuino
e soddisfino i bisogni prioritari.
Casa
Il maggiore desiderio degli italiani sembra essere quello di avere
una casa; il secondo, di averla ben arredata. Il 24% delle famiglie
ha il video registratore, il 7,3% ascolta musica solo in compact-disk,
il 12% possiede un computer. Cresce anche la spesa per l'acquisto
di oggetti d'arte. Nel 1989 il volume complessivo delle vendite nel
settore è aumentato del 35-40% rispetto al 1988.
Acquistare una casa oggi costa di più. Al centro di Milano,
significa sborsare 12 milioni a metro quadrato, contro i 3,7 milioni
in periferia. Discorso analogo per le altre città. Ma gli italiani
non si spaventano.
Mezzi di comunicazione
Negli anni '80, i mezzi di comunicazione sono stati segnati da "trasformazioni
radicali e irripetibili". E' il trionfo della Tv e dei giornali
(che vedono raddoppiare i loro lettori). Arretrano, invece, i libri,
il cinema, il teatro, la musica. Secondo il Censis, si tratta di un
settore "cresciuto forse troppo in fretta per svolgere fino in
fondo il suo ruolo di strumento di sviluppo culturale del Paese"
e che, anzi, oggi vive uno "scollamento tra quantità di
informazione e povertà dell'interpretazione". Sempre secondo
il Censis, infatti, "i grandi protagonisti della comunicazione
rivolgono la loro attenzione al consolidamento e alla difesa delle
posizioni acquisite", trovandosi poi in "grande difficoltà
ad affrontare i grandi eventi in chiave di analisi e di approfondimento".
Questo è particolarmente vero per la Tv, la quale "parla
soprattutto il linguaggio del divieto, della limitazione, prescrive
quello che non si può realizzare più che dare indirizzi
e strumenti alla crescita del sistema"; ma anche per i giornali
il discorso non cambia ed è, anzi, aggravato da processi di
concentrazione che implicano "rischi evidenti di omologazione
dei prodotti, dei linguaggi e delle culture presenti all'interno dell'universo
della comunicazione".
Denatalità
L'Italia si sta avvicinando alla "crescita zero". Negli
ultimi sette anni, l'afflusso dei bambini alle Elementari si è
ridotto di quasi un milione. Per contro, sono aumentate le iscrizioni
nelle scuole superiori e nelle università.
Si trasforma la composizione per fasce d'età. Secondo le previsioni,
nel 2018 saremo un paese sensibilmente invecchiato, con cinque milioni
in meno di abitanti e un aumento nel numero di anziani. Le conseguenze
sono prevedibili. Ai mutamenti del mondo del lavoro si accompagnerà
un progressivo aumento delle spese sociali, che sarà pari al
16% nel 2020, al 25% nel 2040. E' la cosiddetta "emergenza grigia".
I settori più toccati, già oggi in pesante deficit,
saranno la sanità e la previdenza. Secondo il Censis, l'unico
rimedio ad una crescita incontrollata della spesa è quello
di "dar vita a forme di responsabilizzazione economica dei soggetti
coinvolti".
Lavoro
Il capitolo più dolente dell'economia italiana resta quello
del lavoro. Per il terzo anno consecutivo rimane invariata la percentuale
di disoccupazione, pari al 12% della popolazione attiva. I più
colpiti continuano ad essere i giovani, le donne e il Sud. Infatti,
è nel Mezzogiorno che si concentra il 45,2% della disoccupazione
giovanile, a fronte del 14,9% del Centro-Nord. Ed è sempre
nel Sud che il tasso di disoccupazione, femminile supera il 52%, contro
il 19,8% riscontrato nelle aree settentrionali.
Qualificazione
professionale
E' sempre maggiore il numero di lavoratori muniti di una laurea o
di un diploma. Continua peraltro a sussistere il divario tra una domanda
di lavoro sempre più orientata verso figure professionali di
formazione scientifica e un 'offerta di lavoro ancora in prevalenza
di formazione classica. La presenza di letterati è, infatti,
pari al 52%, contro il 28,8% di "scienziati" e il 19,1%
di infermieri. Il fenomeno è particolarmente diffuso tra la
forza lavoro femminile: dei 100 mila manager italiani, solo l'1,6%
è rappresentato da donne.
Impiegati e
operai
Più impiegati e liberi professionisti, meno operai. E' questa
una tendenza che opera ormai da dieci anni e che riguarda indistintamente
Nord e Sud del Paese. Il boom si è verificato soprattutto per
gli impiegati di Stato, in particolare, nei settori scuola, università,
ministeri, corpo militare, poste e aziende municipalizzate.
Inoltre, i dipendenti pubblici, anche se meno produttivi, sono più
pagati di quelli privati. Ritenendo uguale a 100 la retribuzione reale
per ogni unità lavorativa nella P.A., quella del settore industriale
è pari a 82,2, mentre quella dell'agricoltura è di 55,5
e dei servizi di 81,2. Per quanto riguarda il rendimento, sempre facendo
uguale a 100 la produttività per unità di lavoro nella
P.A., nell'industria essa raggiunge il 185,8 e nei servizi destinabili
alla vendita il 148,6. Osserva ancora il Censis che "anche per
l'orario settimanale c'è un netto vantaggio per la P.A., dove
le ore di lavoro risultano inferiori a quelle di tutti gli altri settori
considerati".
Infortuni
Nonostante l'uso di tecnologie sempre più sofisticate, non
accennano a diminuire gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
Anzi. Per quanto riguarda gli infortuni, le cifre dell'89 denunciano
22 mila casi in più rispetto all'anno precedente. Gli incidenti
mortali sono comunque diminuiti da 2.508 a 2.334.
Immigrati
Sono 1 milione 144 mila gli immigrati presenti in Italia. Di questi,
923 mila sono extracomunitari, di cui 400 mila provenienti dai Paesi
in via di sviluppo. Solo l'Il% non possiede un titolo di studio; il
33,5% ha un diploma, il 13,4% una laurea; il 50% sa parlare l'italiano,
oltre all'inglese e al francese. In genere, svolgono tutti quei lavori
che gli italiani non sono disposti a fare. Oltre il quarto degli extracomunitari
lavora come collaboratore domestico oppure nelle cave o nelle miniere.
Soltanto in un settore, quello agricolo, entrano in contrasto con
i lavoratori italiani, dando vita ad una vera e propria guerra tra
poveri. Notevole gravità acquista il fenomeno nel Sud, dove
i "mercanti di braccia" consentono al "caporalato"
di perpetuare un iniquo sistema di rapporti.
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