§ L'Italia del Censis

Un Paese in lista d'attesa




Maria Rosaria Pascali



Un volto statico e attendista è ciò che emerge dall'ultima indagine del Censis sullo stato sociale del nostro Paese.
Rispetto alla fine degli anni '80, in cui l'opulenza si abbinava ad uno stato di crescente insoddisfazione, indice di uno sviluppo rapido quanto disordinato, l'immagine attuale è quella di un paese ormai assestatosi sulle posizioni acquisite, ancora insoddisfatto ma, al tempo stesso, timoroso di qualsiasi cambiamento che possa minare il livello di benessere raggiunto. All'incertezza insita nella quanto mai necessaria svolta si preferisce la certezza di una vita povera di contenuti, ipocrita e individualista, avida di apparenze e di compromessi. Nessuno fa la prima mossa. Non il singolo, che si nasconde dietro l'impotenza del suo essere, appunto, singolo; non le famiglie, che preferiscono vivere di rendita e sperare nei "piccoli" favori; non le imprese, che sembrano non amare più il rischio e che, prima di investire, aspettano di chiarirsi le idee sulle nuove tendenze e priorità; non lo Stato, sempre meno rappresentativo ed efficiente che, per tamponare l'uso malavitoso delle risorse pubbliche, sceglie la via più semplice, quella di non investire; infine, non la classe politica, che, di fronte a temi difficili e a smanie separatiste che esigono precise prese di posizione, preferisce trincerarsi anch'essa dietro la tecnica del vile rinvio.
Un quadro mediocre quello che viene dato del Paese e dei suoi abitanti, la cui protesta e insoddisfazione si manifesta in un'altrettanto mediocre e banale "cultura del no". No a tutto quanto viene proposto, senza alcun filo conduttore, senza alcuna coerenza che rispecchi un'ideabase: no alle leggi, no al nucleare, no al traffico, no ai referendum, no ai "diversi" - siano essi immigrati, nomadi, transessuali - no alla difesa dall'Aids, no alla caccia, all'inquinamento, alla chiusura delle discoteche e così via. Dei no che non hanno niente a che vedere con quelli che, in anni passati, hanno segnato pagine creative della nostra storia. Le proteste attuali hanno piuttosto l'effetto di conservare inalterato l'esistente, buono, ma più spesso marcio, che sia.
Il Censis, prendendo in esame le cause di questa degenerazione sociale e istituzionale, mette in primo piano una perdita dell'"intelligenza fluida", un impoverimento ideale cui si accompagna un processo di "destrutturazione", di crisi di identità dei soggetti collettivi, di delegittimazione dello Stato, ma anche una "destrutturazione esterna", legata alle tensioni internazionali, che non fa che aggravare il clima nazionale di pericolosa e vacillante attesa. Il risultato è il proliferare di un "sistema di simmetrie", in cui tutto sembra convivere grazie al meccanismo di pesi e contrappesi. Da qui il protrarsi e il moltiplicarsi delle contraddizioni, senza che nessuno abbia il coraggio di assumere il ruolo-guida per un'inversione di tendenza. La crisi di leadership è notevole. Evidente il risultato di generale ripiegamento: così l'impresa rivede i propri disegni strategici e li ridimensiona, puntando sul più sicuro business primario; i sindacati abbandonano i grandi temi rivendicativi e si adagiano su soluzioni di compromesso; così pure i partiti, oggi più svuotati che mai di contenuti e temi ideali.
Diagnosi grave quella del Censis e la cura non è certo indolore, visto che, per spezzare l'attendismo e il sistema delle simmetrie formali, occorre introdurre "una logica di tipo asimmetrico", con tutte le conseguenze in termini di rinuncia che esso comporta. E' necessario, cioè, tornare a fare delle scelte, con la consapevolezza di non poter conservare i vantaggi fino ad oggi assicurati dallo Stato clientelare se se ne vogliono eliminare gli svantaggi. E' inutile reclamare contro il disservizio pubblico se poi non si vuole eliminare l'assistenzialismo. E' inutile indignarsi davanti all'avanzata delle leghe, se continua ed è forte la paralisi politica e istituzionale. Soprattutto, dicono gli esperti del Censis, è inutile continuare a parlare. Servono fatti che conducano il Paese verso l'autoregolamentazione dello sviluppo raggiunto, mediante politiche responsabili che individuino e soddisfino i bisogni prioritari.

Casa
Il maggiore desiderio degli italiani sembra essere quello di avere una casa; il secondo, di averla ben arredata. Il 24% delle famiglie ha il video registratore, il 7,3% ascolta musica solo in compact-disk, il 12% possiede un computer. Cresce anche la spesa per l'acquisto di oggetti d'arte. Nel 1989 il volume complessivo delle vendite nel settore è aumentato del 35-40% rispetto al 1988.
Acquistare una casa oggi costa di più. Al centro di Milano, significa sborsare 12 milioni a metro quadrato, contro i 3,7 milioni in periferia. Discorso analogo per le altre città. Ma gli italiani non si spaventano.

Mezzi di comunicazione
Negli anni '80, i mezzi di comunicazione sono stati segnati da "trasformazioni radicali e irripetibili". E' il trionfo della Tv e dei giornali (che vedono raddoppiare i loro lettori). Arretrano, invece, i libri, il cinema, il teatro, la musica. Secondo il Censis, si tratta di un settore "cresciuto forse troppo in fretta per svolgere fino in fondo il suo ruolo di strumento di sviluppo culturale del Paese" e che, anzi, oggi vive uno "scollamento tra quantità di informazione e povertà dell'interpretazione". Sempre secondo il Censis, infatti, "i grandi protagonisti della comunicazione rivolgono la loro attenzione al consolidamento e alla difesa delle posizioni acquisite", trovandosi poi in "grande difficoltà ad affrontare i grandi eventi in chiave di analisi e di approfondimento". Questo è particolarmente vero per la Tv, la quale "parla soprattutto il linguaggio del divieto, della limitazione, prescrive quello che non si può realizzare più che dare indirizzi e strumenti alla crescita del sistema"; ma anche per i giornali il discorso non cambia ed è, anzi, aggravato da processi di concentrazione che implicano "rischi evidenti di omologazione dei prodotti, dei linguaggi e delle culture presenti all'interno dell'universo della comunicazione".

Denatalità
L'Italia si sta avvicinando alla "crescita zero". Negli ultimi sette anni, l'afflusso dei bambini alle Elementari si è ridotto di quasi un milione. Per contro, sono aumentate le iscrizioni nelle scuole superiori e nelle università.
Si trasforma la composizione per fasce d'età. Secondo le previsioni, nel 2018 saremo un paese sensibilmente invecchiato, con cinque milioni in meno di abitanti e un aumento nel numero di anziani. Le conseguenze sono prevedibili. Ai mutamenti del mondo del lavoro si accompagnerà un progressivo aumento delle spese sociali, che sarà pari al 16% nel 2020, al 25% nel 2040. E' la cosiddetta "emergenza grigia". I settori più toccati, già oggi in pesante deficit, saranno la sanità e la previdenza. Secondo il Censis, l'unico rimedio ad una crescita incontrollata della spesa è quello di "dar vita a forme di responsabilizzazione economica dei soggetti coinvolti".

Lavoro
Il capitolo più dolente dell'economia italiana resta quello del lavoro. Per il terzo anno consecutivo rimane invariata la percentuale di disoccupazione, pari al 12% della popolazione attiva. I più colpiti continuano ad essere i giovani, le donne e il Sud. Infatti, è nel Mezzogiorno che si concentra il 45,2% della disoccupazione giovanile, a fronte del 14,9% del Centro-Nord. Ed è sempre nel Sud che il tasso di disoccupazione, femminile supera il 52%, contro il 19,8% riscontrato nelle aree settentrionali.

Qualificazione professionale
E' sempre maggiore il numero di lavoratori muniti di una laurea o di un diploma. Continua peraltro a sussistere il divario tra una domanda di lavoro sempre più orientata verso figure professionali di formazione scientifica e un 'offerta di lavoro ancora in prevalenza di formazione classica. La presenza di letterati è, infatti, pari al 52%, contro il 28,8% di "scienziati" e il 19,1% di infermieri. Il fenomeno è particolarmente diffuso tra la forza lavoro femminile: dei 100 mila manager italiani, solo l'1,6% è rappresentato da donne.

Impiegati e operai
Più impiegati e liberi professionisti, meno operai. E' questa una tendenza che opera ormai da dieci anni e che riguarda indistintamente Nord e Sud del Paese. Il boom si è verificato soprattutto per gli impiegati di Stato, in particolare, nei settori scuola, università, ministeri, corpo militare, poste e aziende municipalizzate.
Inoltre, i dipendenti pubblici, anche se meno produttivi, sono più pagati di quelli privati. Ritenendo uguale a 100 la retribuzione reale per ogni unità lavorativa nella P.A., quella del settore industriale è pari a 82,2, mentre quella dell'agricoltura è di 55,5 e dei servizi di 81,2. Per quanto riguarda il rendimento, sempre facendo uguale a 100 la produttività per unità di lavoro nella P.A., nell'industria essa raggiunge il 185,8 e nei servizi destinabili alla vendita il 148,6. Osserva ancora il Censis che "anche per l'orario settimanale c'è un netto vantaggio per la P.A., dove le ore di lavoro risultano inferiori a quelle di tutti gli altri settori considerati".

Infortuni
Nonostante l'uso di tecnologie sempre più sofisticate, non accennano a diminuire gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Anzi. Per quanto riguarda gli infortuni, le cifre dell'89 denunciano 22 mila casi in più rispetto all'anno precedente. Gli incidenti mortali sono comunque diminuiti da 2.508 a 2.334.

Immigrati
Sono 1 milione 144 mila gli immigrati presenti in Italia. Di questi, 923 mila sono extracomunitari, di cui 400 mila provenienti dai Paesi in via di sviluppo. Solo l'Il% non possiede un titolo di studio; il 33,5% ha un diploma, il 13,4% una laurea; il 50% sa parlare l'italiano, oltre all'inglese e al francese. In genere, svolgono tutti quei lavori che gli italiani non sono disposti a fare. Oltre il quarto degli extracomunitari lavora come collaboratore domestico oppure nelle cave o nelle miniere. Soltanto in un settore, quello agricolo, entrano in contrasto con i lavoratori italiani, dando vita ad una vera e propria guerra tra poveri. Notevole gravità acquista il fenomeno nel Sud, dove i "mercanti di braccia" consentono al "caporalato" di perpetuare un iniquo sistema di rapporti.


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