§ Economia americana e crisi del credito

Mille banche a rischio




James Tobin
Premio Nobel per l'economia



L'opinione pubblica americana ha ormai preso atto del fallimento del settore delle Casse di Risparmio e del debito dell'ordine di centinaia di miliardi di dollari che il governo federale è costretto ad accollarsi per far fronte alle garanzie dei correntisti assicurati. L'attenzione è attualmente concentrata sui fallimenti delle banche commerciali che potrebbero richiedere una volta di più l'intervento del ministro del Tesoro. I problemi relativi, che per quanto seri non si configurano in un disastro pari a quello delle Casse di Risparmio, costituiranno l'agenda principale del Congresso per l'anno in corso. L'amministrazione Bush intende infatti presentare una riforma articolata volta a rendere più solide sia le banche commerciali sia le assicurazioni sui depositi.
Le 13.500 banche commerciali attive negli Usa, le quali gestiscono ben 60.000 sportelli bancari, hanno attività e passività per un totale rispettivo di 3 mila miliardi di dollari, vale a dire tre volte tanto quello delle Casse di Risparmio. Di queste, 4.500 sono "banche nazionali", costituite a livello federale, mentre le restanti 9.500 sono banche costituite a livello di Stato. La quasi totalità gode di un'assicurazione federale, mentre tutte sono tenute a soddisfare le disposizioni federali in materia di riserve contro depositi e tutte possono rivolgersi alla Fed per ottenere prestiti. L'attività di regolamento e vigilanza spetta alle autorità competenti, tra cui la Federal Reserve e la Federal Deposit Insurance Corporation.
Nel 1933, prima della festività nazionale voluta da Roosevelt, furono 9.000 gli istituti bancari ad essere travolti dalla Grande Depressione. La corsa, dettata dal panico, a convertire indiscriminatamente i depositi in valuta spazzò via sia i solventi sia gli insolventi.
Da allora, l'assicurazione sui depositi federali, stabilita per legge nel 1935, impedì il verificarsi di corse dagli esiti così infausti. Oggi, quindi, la responsabilità del recente aumento dei fallimenti, che coinvolgono circa 200 banche all'anno con depositi pari a 40 miliardi di dollari a fronte delle 84 banche e degli undici miliardi di depositi per l'intero decennio 1971-1980, ricade sulle insolvenze. Nella lista delle banche "a rischio" della Federal Deposit compaiono attualmente 1.000 istituti con depositi per 400 miliardi di dollari.
Il rischio in questione è rappresentato dai prestiti inesigibili. E' noto ormai come, a partire dagli anni '70, le banche abbiano peccato di eccessivo ottimismo per quanto riguarda petrolio americano, America Latina, fusioni e acquisizioni, nonché proprietà immobiliari adibite ad uso commerciale. Sulla scia delle recessioni regionali in atto, le banche del Texas e quelle del Nord-Est, e in particolare del New England, sono le più vulnerabili.
Nelle banche, il rapporto d'indebitamento èpesante. Basti dire che, in media, solo il 6% delle attività rappresenta i fondi degli azionisti; che molte banche sono al di sotto del 3%, vale a dire il livello minimo prescritto; che alcune hanno un patrimonio netto negativo e che anche altre lo avrebbero solo che le attività fossero realisticamente valutate.
Il settore registra un utile medio al netto della tassazione pari al 7% del capitale. Sono molte tuttavia le banche, e tra queste le colossali "Banche che gestiscono fondi comuni", che segnalano perdite. I valori di mercato delle azioni bancarie sono depressi e le banche non sono in grado di attirare nuovo capitale né di aumentarlo attingendo agli utili non distribuiti. Volendo soddisfare le disposizioni relative al capitale, esse dovrebbero contrarre depositi e attività.
Nei venti anni trascorsi, le banche commerciali si sono trovate di fronte ad un aumento della concorrenza per quanto riguarda sia depositi sia attività. I fondi comuni d'investimento mobiliare -redimibili su richiesta e anche traibili, ma non assicurati - costituiscono un'alternativa allettante ai depositi bancari agli occhi di quanti hanno soldi da investire. Tanto più che i loro tassi d'interesse sono più vicini a quelli praticati sul mercato libero di quanto non lo siano quelli che le banche sono in grado di versare ai rispettivi correntisti.
In materia di attività bancarie tradizionali, c'è poi la concorrenza degli intermediari finanziari esterni alle banche. Le ipoteche sulle abitazioni, che è ormai consuetudine convertire in titoli, attirano sia i fondi di pensionamento sia le società di assicurazione. Lo stesso dicasi per i debiti contratti dal consumatore per l'acquisto di automobili o di altri beni durevoli. Le aziende che godono di un buon nome trovano spesso più vantaggioso vendere titoli di credito a breve sul libero mercato che non ricorrere a prestiti bancari.


Nel 1979, le banche commerciali fornirono il 32% dei fondi anticipati sui mercati del credito ai settori non finanziari dell'economia americana. Nel 1990 questa quota è scesa al 23%, malgrado esse abbiano rilevato una parte delle attività in precedenza gestite dalle Casse di Risparmio.
Al momento, gli Stati non sono in grado di impedire l'invasione di banche con sede in altri Stati. L'amministrazione, in ossequio alla teoria che vuole che le grandi banche siano più efficienti e competitive, propone di consentirne l'apertura di filiali a livello nazionale. Gli istituti bancari commerciali sarebbero inoltre liberi di vendere assicurazioni e sottoscrivere titoli e di operare altre attività d'investimento. Si ritiene, infatti, ma è una teoria da verificare, che se le banche non possono ricavare utili adeguati dall'attività che è loro propria, non è detto che non possano avere successo diversificando quest'ultima. La speranza è che gli utili provenienti dalle attività ausiliarie possano consolidare la situazione patrimoniale delle banche. Considerato, tuttavia, che le nuove attività saranno gestite da affiliate giuridicamente indipendenti, risulta difficile capire in che modo gli utili di quest'ultime, ammesso che ci siano, possano adeguatamente contribuire alla solvibilità delle operazioni bancarie.
L'assicurazione sui depositi continua ad essere un problema cruciale in attesa di soluzione. I fondi a disposizione della Federal Deposit scarseggiano, mentre si registra l'aumento delle banche tenute a versare premi. Queste, che hanno già il loro da fare per realizzare utili, contestano i conti aggiuntivi (esse chiedono anzi che la Fed si decida a pagar loro l'interesse sui bilanci di riserva). E' probabile che, alla fine, il Tesoro dovrà riscattare i fondi della Federal Deposit, ma è fuor di dubbio che il costo di questa operazione sarà di gran lunga inferiore a quello del salvataggio delle Casse di Risparmio.
Nel lungo periodo, l'unica soluzione praticabile sarà quella di disporre che i depositi assicurati vengano investiti esclusivamente in attività sicure, soprattutto in titoli di Stato. In tal caso, non sarebbe necessario imporre dei limiti all'entità dei depositi assicurati. I risparmiatori, e in particolare quelli che hanno mezzi modesti e poche pretese, disporrebbero così di conti correnti bancari e di depositi a risparmio convenienti e sicuri. Istituendo un servizio rigorosamente separato, la banca potrebbe accettare depositi non assicurati e investirli a sua discrezione, fermi restando i regolamenti e la vigilanza da parte delle autorità competenti. E' lecito ritenere che i depositi in questione renderebbero un interesse superiore a quello dei depositi assicurati, così che pur non escludendo i rischi per azionisti e correntisti, si eliminerebbero quelli di un coinvolgimento dei contribuenti.
Malgrado l'esistenza di segnali che lasciano intravedere un impegno in tal senso, l'Amministrazione per ora si limita a proporre una serie di riforme modeste in materia di assicurazione sui depositi. La responsabilità del governo per conti che eccedano il limite prescritto di 100 mila dollari sarà ridotta, e anche la prassi in base alla quale tutti i depositi devono essere liquidati sarà ridimensionata. La giustificazione che una banca è"una faccenda troppo grossa per consentirne il fallimento" ,sarà valida solo a seguito di una decisione della Federal Reserve.
Quest'anno, commentatori, responsabili politici e banchieri esprimono il timore che l'eccessiva prudenza con cui le banche concedono prestiti possa vanificare le misure di agevolazione del credito, accusandole in parole povere di "procedere autonomamente". La verità è, invece, che le banche utilizzano tutte le riserve messe a disposizione dalla Fed. Questa è ancora in grado di superare la recessione, ma non è escluso che per raggiungere l'obiettivo debba procedere a una riduzione dei tassi d'interesse maggiore del solito.


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