Abbiamo
iniziato il nostro lavoro sostenendo che presentarsi all'appuntamento
del 1993 come soggetti protagonisti significa ritrovarsi, sentirsi,
ridefinire i lineamenti di un'identità, conoscere i propri limiti,
le proprie possibilità. Tentare di leggere la realtà salentina
è stato anche per noi come rinnovarsi attingendo alle nostre
radici. Ci siamo liberate di qualche pregiudizio in più, di alcuni
luoghi comuni, di residui campanilistici pro e contro.
"Ogni popolo ha la classe politica che si merita". Forse è
vero, forse no. E' certo che la classe politica è nei migliori
dei casi la grande assente. Il divario con il Nord si percepisce, a
livello di servizi e di infrastrutture, quasi come un disagio fisico.
Muoversi tra una città e l'altra in treno, lasciare incustodita
solo per qualche ora la propria automobile, prendere un taxi, chiedere
un'informazione può significare tempi infiniti, incertezze, danni
pesanti, scortesie. Malumore, ansia, fatica.
Di coscienza imprenditoriale profonda e diffusa non si può parlare,
ma nel tessuto economico da noi visitato alcuni imprenditori e alcune
esperienze produttive sono di grande valenza culturale e di forte competitività.
Il divario con il Nord c'è e si sente, ma anche dal nostro lavoro
si avverte che, sia per le singole città sia per le imprese,
avere una vocazione europea significa non aver smarrito i riferimenti
essenziali della propria origine, della propria storia, della propria
realtà per saper cogliere i "brandelli comuni" alla
realtà di tutti gli uomini.
La Casa Editrice Laterza, della quale abbiamo intervistato il Presidente,
è un esempio felice di quanta forza si può trarre dalla
rivendicazione della propria individualità, e come da un'identità
riconfermata possa scaturire una progettualità internazionale
che riqualifica l'azienda e il territorio in cui materialmente opera.
Non omologarsi, ma accomunare le differenze, per valorizzarsi e aprirsi
a mercati sempre più ampi e lontani.
"Si può essere europei stando a Bari", ha detto Laterza.
Sono le scelte che contano. Questo vale anche per Tecnopolis, un'altra
realtà presente
nel capoluogo pugliese, che già da tempo si è aperta al
mondo con i suoi rapporti internazionali e che ha come obiettivo strategico
principale la ricaduta sul territorio dei risultati di una ricerca in
cui è centrale la sperimentazione dell'innovazione all'interno
e all'esterno delle imprese.
Riteniamo, infine, l'intervista al Presidente della Federazione Regionale
degli Industriali della Puglia idonea, per una coincidenza di opinioni,
ad essere da noi proposta come sintesi aperta di ciò che oggi
si muove nella realtà imprenditoriale salentina. Noi aggiungiamo
solo che l'accrescersi della micro e macro criminalità non ci
sembra allarmi quanto dovrebbe la stessa classe imprenditoriale. Tra
le ombre che minacciano il farsi Europa dell'economia salentina, l'insicurezza
sociale come conseguenza della criminalità diffusa, oltre alla
non occupazione, è indubbiamente quella più oscura e pericolosa.
GIUS. LATERZA E FIGLI S.p.A.
Paolo Laterza
- Presidente del Consiglio di Amministrazione Paolo Laterza vive a
Bari, dove è nato. Ha 61 anni, è sposato ed ha tre figli.
E' Presidente della "Gius. Laterza e figli" da 18 anni.
E' avvocato, svolge l'attività forense nel settore dell'assistenza
alle banche. E' componente del Consiglio Superiore della Banca d'Italia.
La Casa editrice Laterza nasce nel 1901 ad opera di Giovanni Laterza,
che si orienta subito verso una produzione editoriale civilmente impegnata.
Contatta possibili autori e collaboratori, tra cui Benedetto Croce,
che diventa l'ispiratore di tutta la produzione della Laterza. Oggi,
la "Gius. Laterza e figli" S.p.A. è ancora di proprietà
della famiglia. Vi lavorano quasi duecento persone, tra dirigenti,
impiegati e operai.
La sede principale
della Laterza è Bari?
Sì. Abbiamo la sede legale a Roma e una redazione romana, diretta
da mio fratello, Vito. La sede operativa invece è a Bari. Noi
sostanzialmente, qui a Bari, nello Stabilimento di Arti Grafiche,
facciamo tutto: la parte della composizione, la parte tipografica,
fino alla spedizione.
"Non fatela passare come una vittoria personale, ha vinto la
cultura, hanno vinto gli uomini di cultura ... ": è un'affermazione
di Vito Laterza, alla conclusione della ben nota vicenda che voleva
il trasferimento della vostra Casa editrice a Milano...
Quando Vito ha detto questo intendeva dire che non è stata
soltanto un'operazione finanziaria, come può essere stata quella
di Berlusconi e di De Benedetti, e cioè una lotta a colpi di
interventi, di occupazioni di zone e di spazi per poter esercitare
un certo potere. La nostra non è stata soltanto una battaglia
finanziaria: noi abbiamo avuto un conforto che è partito esattamente
da un'opinione pubblica che non è quella delle istituzioni,
che sono state, anche nella nostra circostanza, del tutto assenti.
Ciascuno si è aspettato di essere portatore di qualche bandiera:
quando hanno capito che non c'era possibilità di strumentalizzare
dal punto di vista politico un fatto di questo genere, perché
nessuno di noi si è mai qualificato a favore di uno o a favore
dell'altro, allora c'è stata un po' di freddezza. Noi apparteniamo
all'area laica per la nostra tradizione crociana, non siamo iscritti
ad alcun partito.
Quando è scoppiato il caso Laterza. per la prima volta in Italia
tutte le forze politiche della Regione, Provincia, Comune si sono
riunite in assemblea unica e hanno fatto una manifestazione in nostro
favore. lo alla fine del mio discorso di ringraziamento ho fatto notare
che la bella cerimonia andava bene, ma che nel giro di venti giorni
io avrei dovuto trovare 20 miliardi per non rischiare di vendere a
Berlusconi o a De Benedetti, o non so cosa altro.
Non volevamo contributi o finanziamenti; noi volevamo e vogliamo da
parte delle istituzioni un affiancamento di programma, di investimenti
da fare sulla cultura, insieme. Invece l'assessore regionale alla
cultura, signor Pugliese, con il quale avremmo dovuto fare un lavoro
su Canosa, ci comunica di aver affidato, per ragioni di opportunità,
tutto alla Marsilio di Padova, perché naturalmente la Marsilio
significa i fratelli De Michelis. Quando Vita dice "gli uomini
di cultura" si riferisce alla gente che non la cultura perché
conosce sei lingue, ma perché sente che la cultura è
importante. Il padrone della Barcaccia, per esempio, mi ha telefonato
dicendomi: "Io non so bene neppure di cosa si tratta, ma so soltanto
che la cultura è una bella cosa e bisogna appoggiarla. Vuole
200 milioni?". La Barcaccia, che è un ristorante con la
baracca a mare, che io neanche conosco...
Bari o Milano non è una questione di collocazione, è
una scelta...
Esatto. E' come se Milano ad un certo momento vendesse il Duomo, oppure
bari San Nicola. La gente qui è con noi perché la Casa
editrice Laterza è un suo patrimonio.
Allora con le istituzioni, con i politici, proprio nessun rapporto?
Noi abbiamo una fondazione, Giovanni Laterza, deliberato dalla Regione
Puglia, che non si riesce a fare forse perché non prevede posti
di comando. Inoltre, i politici, pur avendo una Università,
una Casa editrice e altre possibilità, non si rivolgono mai
a nessuno. Sarebbe logico ci fossero delle collaborazioni intelligenti.
Abbiamo avuto dei riconoscimenti recenti da parte di banche e di enti
del Nord, che si fregiano di poter mettere, per la stima che hanno
nei nostri confronti, il nome Laterza come garanzia di serietà.
Qui non esiste colloquio, non esiste dialogo.
Eppure oggi è indispensabile che le informazioni e le idee
circolino...
Ma questo è il dover essere, non è l'essere. Oggi è
così. Associazioni importanti come quelle dei commercianti
o degli industriali potrebbero benissimo essere un anello di congiunzione.
Il problema qui è che la politica che si la è la politica
dell'incultura, qui una classe politica diversa potrebbe veramente
dare una spinta, perché la gente è desiderosa di sapere
come fare. Però se la spinta non parte dal privato, il pubblico
non si muove, sta aspettando il risultato per poi presentarsi. Questa
è la realtà; noi avvertiamo questo in tutti i settori.
Allora rispetto all'Europa, che ormai è una realtà ...
?
Quando si deve conquistare un mercato, essere pronti significa una
cosa soltanto: accomunarsi, perché il discorso europeo non
si fa da soli. Qui il fatto è questo: dell'Europa del '92,
del '93, i politici non hanno idea di niente, né hanno fatto
niente. Le associazioni possono fare, se sono programmate. Per quanto
so, l'Associazione Industriali recentemente, per alcune cose, si sta
muovendo. Ho sentito tutti gli industriali, uno per uno, e devo dire
che sono rimasto molto ammirato perché ho visto che tutti quanti
sono bravi, sono bravi veramente. Divella è una realtà
internazionale già esistente, arriva su tutti i mercati, può
produrre di tutto.
Quali sono i progetti Laterza?
E' partito il progetto "Fare l'Europa". Abbiamo iniziato
due o tre anni fa i primi colloqui. in realtà, già da
prima noi avevamo cominciato un'esperienza che poi si è rivelata
fruttifera e ha ispirato queste altre iniziative: abbiamo cominciato
a cercare autori direttamente anche all'estero, abbiamo fatto dei
contratti con autori francesi, ritenendo i diritti e rivendendoli
sia in Francia sia in altri Paesi. Fatte queste prime esperienze,
che sono motto interessanti, gratificanti, sia dal punto di vista
economico sia dal punto di vista dell'immagine, è partita questa
iniziativa, "Fare l'Europa", che è una specie di
Consorzio tra editori, che concordano un programma di collana comune.
Le case editrici impegnate sono cinque.
Da che cosa è stata determinata questa scelta?
E' una delle possibili strade che si possono percorrere. Siamo partiti
dal fatto di farlo noi direttamente, poi abbiamo visto che per questioni
organizzative e finanziarie era molto più utile associarsi
ad altri, fare un lavoro comune. Ciò ha una grande forza, anche
perché significa presentarsi ad autori di grandissimo prestigio,
proponendo loro di fare un libro che sarà pubblicato, in contemporanea
quasi, in cinque Paesi diversi. Anche il personaggio più smaliziato
e avverso al rapporto con le case editrici una cosa del genere l'avverte
come un fatto estremamente importante. Ed è una delle maniere
di proporsi in Europa.
L'altra maniera è, appunto, cosa che noi stiamo continuando
a fare con una certa regolarità, quella di costruire dei progetti
europei, nel senso che ci sono autori di tutti i Paesi.
Ad esempio?
A settembre sono usciti i primi due volumi di una "Storia delle
donne", curata da Duby, dove ci sono autori prevalentemente francesi
e americani, perché nello specifico campo della storia delle
donne la scuola storiografica più importante è in Francia
e in America; ci sono poi anche italiani, olandesi, tedeschi.
E questa è una iniziativa nostra, costruita integralmente da
noi. Poi ci sono tante altre combinazioni che si possono fare, e che
noi stiamo attuando. Per esempio, edizioni di singole opere con un
interlocutore, lavorando in combinazione con un editore o con due
editori, che possono essere francesi o inglesi. Effettivamente, ci
si può associare e combinare in maniera diversa. il che, per
altro, è indispensabile perché ci sono delle proposte
editoriali che possono funzionare bene in Inghilterra e in Italia
e meno bene in Francia: quindi a seconda delle opportunità
e delle necessità ci si collega.
Questa è una delle strade maestre che è necessario seguire
e che dovrebbe rappresentare anche una risposta al famoso '93. Noi
abbiamo sempre avuto una vasta gamma di libri anche in traduzione,
non abbiamo mai avuto un catalogo rigorosamente legato ad autori italiani.
Così come noi abbiamo interesse a portare i nostri autori,
i nostri titoli, all'estero, così ugualmente siamo interessati
all'acquisizione. Una delle maniere di acquisire è non solo
quella di presentarsi al collega straniero e chiedere cosa ha fatto,
ma anche vedere di proiettarsi in prima persona, o in combinazione
con editori locali combinare il progetto. Devo dire che c'è
grande disponibilità. Rischiamo di sottovalutarci: uno si aspetterebbe
che l'iniziativa fosse presa dagli americani, invece la verità
è che nessuno si era ancora mosso.
Questa storia, diciamo un po' vecchia, a mano a mano che ci si avvicinava
alla fatidica scadenza ha assunto un significato ancora maggiore.
Ultimamente, alla Fiera del libro di Torino, abbiamo avuto un incontro
con questi amici editori, proprio per sostenere che una delle strade
da perseguire, un po' in generale in tutti i settori imprenditoriali,
è appunto quella della cooperazione, dell'associazione. Non
è necessario ragionare esclusivamente in termini di concentrazioni.
Voi rimarrete comunque un'impresa di medie dimensioni...
La nostra aspirazione non è quella di diventare grandi, nel
senso di essere grandi in dimensioni pari a quelle dei grossi gruppi
editoriali. Noi cercheremo di essere grandi insieme con altri gruppi
come il nostro, per poter realizzare un programma che soltanto in
quella dimensione puoi fare. il lavoro di qualità, se entri
in una dimensione diversa, non lo fai più, come non lo attuano
quelle case editrici che pur facendo una produzione meravigliosa si
rivolgono ad un pubblico del tutto diverso e certamente non lasciano
il segno. Raggiunte certe dimensioni, l'indipendenza non può
esistere.
Se noi perdessimo questa nostra dimensione perderemmo la nostra identità.
Non è solo un fatto sentimentale, è un discorso anche
di convenienza, ho il mio pubblico e su quello arrivo, se faccio la
mia tiratura la esaurisco, non vado col magazzino a distruzione, come
mi disse una volta Oreste Del Buono: "Sai, alla Rizzoli abbiamo
ristampato un libro e non sapevamo che l'avevamo in magazzino".
il problema dell'editoria è il problema delle rimanenze: se
uno presta attenzione alle rimanenze ce la fa. La cultura non si fa
a grosse cifre. Abbiamo un catalogo europeo unico dal punto di vista
della specializzazione.
Laterza è un grande punto di riferimento. L'opinione pubblica,
la gente, ha sperato che non ve ne andaste: lo avete avvertito questo?
Moltissimo ed è stato un grande conforto. Dobbiamo dire anche
grazie, da questo punto vista, alla stampa. In quel momento, benché
molta stampa sia controllata, i giornalisti non se la sentivano di
ubbidire ai comandi, anche perché non era ancora scoppiato
il caso Mondadori.
Io preferisco farmi i conti ogni fine mese con i bilancini periodici
per vedere come sto, piuttosto che leggere, come oggi ho letto, dei
3.000 miliardi di debito di Berlusconi, che mi fanno paura, come gli
altrettanti debiti che ha Mondadori. Perché, per fare questi
grossi investimenti o questi grossi sconvolgimenti di pacchetti azionari,
devi coinvolgere il mondo finanziario e ti devi fare accompagnare.
Il giorno in cui Craxi decide che non gli è più molto
simpatico Berlusconi, come sta avvenendo, noi vediamo un fatto soltanto:
che a Berlusconi pubblicano i 3.000 miliardi di debito. Non glielo
avevano mai detto.
TECNOPOLIS CSATA NOVUS ORTUS
Tecnopolis CSATA
Novus Ortus è un'organizzazione per la ricerca, lo sviluppo
e il trasferimento delle Nuove Tecnologie dell'Informazione, in funzione
dell'innovazione del sistema economicoproduttivo. E' un consorzio
fra imprese, Università ed Enti pubblici, operante sul mercato
attraverso contratti e convenzioni con soggetti pubblici e privati
nazionali ed internazionali. Complessivamente, operano nel consorzio
200 unità di personale.
Il volume d'affari previsto per il 1990 è di circa 51 miliardi.
I campi di attività sono:
- Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione.
- Tecnologie per l'Automazione della Fabbrica.
- Tecnologie della Microelettronica.
- Nuove Tecnologie connesse all'uso industriale dello Spazio.
Efisio Marras - Direttore delle relazioni industriali. Vive a Taranto,
dove è nato. Ha 36 anni. E' sposato. Ha due figli. E' laureato
in Giurisprudenza. Ha un "Master" in relazioni industriali.
Ha lavorato a Milano per quattro anni in una società di Telecomunicazioni
e per un anno in una società di consulenza. Da tre anni lavora
a Tecnopolis.
Qual è
la caratteristica più qualificante di Tecnopolis?
E' l'attenzione al fattore umano gestito e organizzato all'interno
del Consorzio. La continua dinamico imposta dalle tecnologie, dal
mercato, dal sistema economico, dai cambiamenti sociali esige una
nuova modalità organizzativa della vicenda imprenditoriale
e grossi sforzi di innovazione del prodotto e del processo dal punto
di vista organizzativo e gestionale. Noi stiamo sperimentando una
nuova modalità di interpretare i centri di innovazione come
questi.
E' una modalità tipica del pensiero di Dioguardi, una modalità
che di fatto organizza uomini, tecnologie e mercato secondo una logica
fortemente imprenditoriale. Questo modello organizzativo è
strutturato su un livello generale strategico che definisce, organizza
e incrementa le strategie e un livello multipolare che ha la facoltà
di fornire prodotti e servizi all'interno e anche all'esterno di questa
organizzazione. In questo livello, si aggregano la gestione delle
tecnologie, la gestione dei flussi finanziari, la gestione del fattore
marketing e la gestione operativa.
Ci può fare un esempio?
Il polo tecnologico cura e gestisce gli investimenti in tecnologie
affinché vengano prodotti servizi all'interno della nostra
organizzazione, e si sta strutturando per fornire prodotti e servizi
anche all'esterno, alla Regione, ad altre imprese...
I nostri incontri con gli imprenditori salentini ci rimandano l'immagine
di una Tecnopolis importante ma astratta, un po' malata di illuminismo:
una struttura, cioè, che manca il suo obiettivo principale,
quello di creare un rapporto reale, concreto, con i soggetti imprenditoriali
presenti sul territorio in cui voi appunto intendete operare.
Con l'avvento di Dioguardi c'è stata una mutazione della presenza
Tecnopolis, che da monolito è diventata una specie di contado.
Questa sua intenzione di far vivere Tecnopolis nella realtà
del Mezzogiorno, e viceversa, ha dato un nuovo impulso ai programmi
di diffusione tecnologica e ora siamo presenti su quasi tutta l'area
pugliese.
Hanno lamentato scarsa attenzione da parte di Tecnopolis soprattutto
le piccole e medie aziende salentine.
I nostri partners sono sicuramente soggetti che appartengono alla
grande impresa, con i quali condividiamo programmi di ricerca industriale,
ma noi ci rivolgiamo anche a soggetti della piccola e media industria
locale e del Mezzogiorno, con i quali condividiamo programmi di diffusione
delle tecnologie.
Sappiamo che state lavorando con Casarano...
Da un paio d'anni, dall'avvento di Dioguardi, stiamo sviluppando i
programmi di diffusione delle tecnologie di cui parlavo prima, i cui
risultati si cominciano a percepire. Tra l'altro, Dioguardi ha avuto
una splendida intuizione, quella di realizzare l'Osservatorio della
domando e dell'offerta di ricerca applicata all'industria.
E a Casarano, nel Basso Salento, cosa succede?
Proprio nel settore calzaturiero stiamo sviluppando un processo di
diffusione tecnologica. Dei nostri dipendenti stanno mettendo a punto
dei processi di innovazione dentro l'azienda, per renderla competitiva
non solo dal punto di vista tecnologico, ma anche dal punto di vista
organizzativo e gestionale.
Tecnopolis, insieme con il Consorzio A.A.S.T.E.R., è impegnata
in Puglia nel Progetto Vitesse. Di cosa si tratta?
"Vitesse" è una modalità, una metodologia,
un sistema per diffondere le tecnologie. E' un processo che vede prima
una fase di animazione tecnologica, in cui avviene una sorta di censimento
di quelli che sono i bisogni di innovazione, e poi una fase in cui
si cerca di soddisfare eventuali bisogni emergenti.
L'Osservatorio della domanda e dell'offerta di ricerca applicata all'industria,
secondo una definizione di Dioguardi, ha come finalità una
nuova gestione dei problemi dello sviluppo, "per evitare che,
dopo le cattedrali dell'industria, sorgano le cattedrali del terziario".
Tecnopolis è il primo parco scientifico in Italia, avviato
su mandato governativo, in cui si sta sviluppando una controtendenza
del mercato del lavoro. Da una nostra ricerca risulta che i nostri
neolaureati sono sicuramente quelli che hanno una maggiore attitudine
a sviluppare ricerca applicata, e che i ragazzi meridionali che vanno
a studiare al Nord ritornerebbero se esistesse una proposta di lavoro
come quella che offre Tecnopolis. Abbiamo avuto conferma dell'appeal
che ha Tecnopolis in un momento di selezione e di ricerca di personale.
Abbiamo intenzione di sviluppare i nostri organici in relazione agli
obiettivi strategici che ci siamo dati. Abbiamo emesso un bando, che
è uscito due volte su "Repubblica", al quale hanno
risposto circa 700 responsabili di progetto, quindi gente che è
già impegnata in attività di ricerca nelle più
grosse realtà imprenditoriali italiane.
Ciò vuol dire che la domanda che comincia a svilupparsi in
Tecnopolis è una domanda interessante dal punto di vista della
professionalità, della qualità della vita, della qualità
del lavoro e dei processi di sviluppo della professionalità
che noi qui abbiamo pensato, studiato e applicato. Il dato forte è
quello relativo ai soggetti che io ho definito i settentrionali doc,
che raggiungono circa il 25-30% di tutte le domande, cioè soggetti
nati al Nord, che hanno studiato in università del Nord e che
vogliono venire a lavorare da noi. Questo è un segnale, anche
se debole, di controtendenza del mercato del lavoro in Italia.
Quindi ci sono delle speranze, c'è un Sud che ha delle potenzialità,
e delle capacità che però non vengono organizzate. Da
una parte crescono queste cose, dall'altra assistiamo ad un degrado
che fuori di qui è veramente grave. Si spera che ci sia un
ritorno di cultura. Una crescita in questo senso diventa anche una
crescita di gusto.
Un raffronto tra organizzazione, modalità di fare impresa ed
estetica è uno dei temi affascinanti con i quali in qualche
maniera il Sud in prima persona deve confrontarsi. Estetica e, se
vuole, anche morale. Questo per dire che il Sud ha sicuramente una
potenzialità: gli uomini. A torto o a ragione, c'è un
processo di alimentazione delle industrie settentrionali da parte
dell'intelligenza di pregio che il Meridione produce. Esiste quindi
un fattore importante, quello umano, da non sottovalutare in quanto
a potenzialità. Esiste sicuramente un fattore di potenzialità
dal punto di vista imprenditoriale, anche se non c'è una cultura.
Esiste una forma spontanea e vivace di imprenditoria nell'area di
Barletta e di Casarano e nell'area Sud barese.
E Taranto, invece?
A Taranto stiamo lavorando, stiamo sviluppando questa fase di animazione.
Con quali soggetti?
Noi lavoriamo con i soggetti sociali, la Confindustria, l'Ass. Industriali,
il terziario avanzato. A Taranto esiste un fatto negativo da considerare,
cioè questa trita e ritrita vicenda della cultura dell'acciaio.
Per questo parlo di estetica e morale, e qui, forse, c'è anche
un'accusa. nel senso che l'imprenditore locale ha approfittato del
periodo delle vacche grasse, ricevendo commesse in termini di puro
assistenzialismo, di pura speculazione e non di crescita imprenditoriale.
Laddove, per vicende globali, mondiali, l'acciaio non ha più
tenuto, questi signori non avevano la capacitò, la forza, la
cultura di sviluppare impresa. Hanno praticamente vissuto di una sottocultura
della commessa.
Se potesse fare un confronto tra Brindisi, Taranto e Lecce...
Una realtà vivace, molto vivace con cui noi stiamo interagendo
è quella del Salento, dove esiste effettivamente un terziario
molto attrezzato dal punto di vista culturale, esiste una vicenda
artigianale, che sta evolvendo verso l'industria, molto ricca, molto
effervescente. Credo che sia la realtà con cui stiamo lavorando
meglio, e il fatto che noi lavoriamo meglio vuol dire che esiste un
terreno fertile su cui lavorare. Le realtà sono quelle salentina
e barlettana e poi complessivamente quella barese. Con Taranto stiamo
cominciando, con Brindisi credo inizieremo presto.
Voi lavorate anche con la Fiat. La cultura del lavoro che caratterizza
la Fiat non è però uscita dallo Stabilimento...
Ci vuole questa cultura imprenditoriale, poi ci' vuole il modello
di Dioguardi: il modello di rete che coinvolge il territorio, lo educa.
lo accultura in modo che poi si parli la stessa lingua.
Voi avete questo rapporto diretto con la Puglia, non lavorate anche
con questa realtà?
La nostra è una missione legata al Mezzogiorno.
Quindi, i punti di questa rete...
I punti di questa rete sono legati al Consorzio IATIN, che è
il Consorzio di secondo livello di cui fanno parte i Centri Innovazione
di Palermo, di Cosenza, di Napoli. Noi in qualche maniera viviamo
una sorta di leadership. Esiste sicuramente una rete formata da questi
soggetti.
Come vive economicamente Tecnopolis?
Tecnopolis vive del lavoro che produce. Noi sviluppiamo programmi
di ricerca con le aziende e per le aziende. Per far questo abbiamo
un riferimento europeo, la CEE, quindi quelle che sono le agevolazioni
in Comunità. Abbiamo poi un riferimento italiano. cioè
quelle che sono le agevolazioni alla ricerca che può dare il
sistema economico italiano. La nostra vicenda economico-finanziaria
si avvale delle agevolazioni, ma i prodotti e i servizi che poi noi
sviluppiamo trovano un'applicazione concreta nelle aziende.
lavorate anche con gli enti pubblici?
Sì. Per conto della Regione Puglia, ad esempio, noi sviluppiamo
delle applicazioni e quindi la Regione ci paga. Per conto delle aziende
sviluppiamo programmi di ricerca comune, quindi i ritorni sono un
po' più differiti. Il nostro tema-problema è finanziario,
siamo costretti in qualche maniera ad investire e i ritorni vengono
dopo, perché possono essere sotto forma di royalties, quindi
di licenze, sotto forma di vendita complessiva del prodotto. Noi sostanzialmente
viviamo del lavoro che riusciamo a produrre; in effetti è una
gestione fortunatamente no profit e questo ci toglie l'ansia della
ridistribuzione degli utili: possiamo anche non fare utili, l'importante
è che si chiuda in pareggio.
Con i sindacati di categoria ci sono delle collaborazioni?
Abbiamo un grossissimo rapporto, perché uno dei temi forti
che abbiamo voluto sviluppare è stato quello di una visione
nuova delle relazioni industriali. Abbiamo sempre spinto per una visione
di tipo progettuale, quindi abbiamo chiamato le organizzazioni sindacali
a definire con noi questo tema delle relazioni industriali sotto forma
del progetto, dove ognuno poi si assumeva le proprie responsabilità
e i propri compiti. E' un processo di investimento, è sempre
lo stesso concetto che viene vissuto con il sindacato, con le grandi
e piccole aziende, con le istituzioni: il concetto imprenditoriale,
investire per ottenere dei risultati in termini di lavoro, di gestione
del conflitto.
E nel campo della formazione?
La nostra è anche una vicenda formativa; i nostri tre grossi
filoni di attività sono la ricerca, lo sviluppo e trasferimento
della tecnologia, la diffusione di tecnologie e la formazione.
Un giudizio sulle infrastrutture in Puglia.
E' chiaro che non è paragonabile alla infrastruttura che lega
Milano a Torino, però è sicuramente il polo messo meno
peggio dal punto di vista di infrastruttura hard. Dal punto di vista
di infrastruttura soft, noi stessi siamo collegati con innumerevoli
banche dati, con una serie di reti telematiche che collegano i centri
di ricerca italiani ed europei; poi da alcuni nodi riusciamo a collegarci
in tutto il mondo. La SIP sta investendo in quella che si definisce
"isola ottica" e che coglie, appunto, la realtà Bari,
Taranto, Lecce. C'è un minimo di fermento che lascia ben sperare.
FEDERAZIONE REGIONALEDEGLI INDUSTRIALI DELLA PUGLIA
La Federazione
regionale degli Industriali della Puglia - costituita dalle Associazioni
degli Industriali delle Province di Bari, Brindisi, Foggia, Lecce
e Taranto - mira a favorire un costante, intenso e utile confronto
con l'istituto regionale in tema di sviluppo industriale e, tout court,
economico.
Oltre che con la Regione, la Federazione ha peraltro sviluppato proficui
rapporti di collaborazione con i diversi Enti ed Organizzazioni operanti
in campo economico sul territorio regionale ed in particolare con
il sistema delle Camere di Commercio pugliesi e con il Centro regionale
per il Commercio Estero.
Presidente dal 1986, Antonio Argento. Antonio Argento è nato
a Gioia del Colle, vive a Taranto. Ha 60 anni. E' geometra e Gr. Uff.
al merito della Repubblica. E' sposato e ha quattro figli. Dal 1982
è Presidente della Camera di Commercio di Taranto. E' imprenditore
dal 1956. Ha un'attività imprenditoriale diversificata; la
sua azienda più importante è la SIIATEK PROFILATI SUD
S.R.L. (Società Italiana impianti alta tecnologia), con sede
a Lizzano (Ta), con 220 addetti.
Che cosa vuoi
dire per la Puglia il 1993?
Le imprese pugliesi e l'intero apparato produttivo regionale, giù
da diversi anni a questa parte, hanno dovuto misurarsi con la concorrenza
non solo europea. ma anche mondiale. Per un verso, gli sforzi delle
imprese tesi a ridisegnare il proprio modo di essere (in termini di
dimensioni, di struttura giuridica, di capitalizzazione, di alleanze,
di mercato) e, per l'altro, i programmi delle istituzioni ai vari
livelli (in termini di ammodernamento del sistema di sviluppo delle
infrastrutture fisiche e tecnologiche, di supporto dell'apparato produttivo)
diventano fondamentali per salire sul treno del Mercato Unico Europeo.
Quali le opportunità e quali i rischi?
Le opportunità scaturiscono dalla forza trainante di un mercato
di oltre 300 milioni di consumatori, sicuramente il più ricco
e dinamico dell'intero scenario mondiale. Certo, esse sono legate
alla capacità delle singole imprese, e del sistema nel suo
complesso, di attrezzarsi adeguatamente per coglierle al meglio.
Vi sono comunque dei campi specifici, in cui il Mercato Unico Europeo
dovrebbe determinare positivi effetti sulle imprese: credito, investimenti
e cooperazione fra imprese sono fra questi.
Lo sviluppo dei merchant banking, necessario a supportare le imprese
nei loro programmi di capitalizzazione e di investimento, e la creazione
di condizioni "europee" di accesso al credito d'esercizio
sicuramente riceveranno un impulso decisivo dall'avvento del Mercato
Unico Europeo, stimolando in tal senso anche l'attenzione del sistema
bancario regionale.
Inoltre, la riscoperta delle economie di scala o la ricerca delle
sinergie, imposta dalla dimensione europea del mercato, a loro volta
accelereranno il processo di cooperazione fra imprese sia all'interno
della regione sia all'estero. I rischi, invece, sono connessi da un
lato alle caratteristiche del sistema produttivo - o, più in
generale, economico - della regione, e dall'altro ai deficit infrastrutturali
ed alle carenze e ai ritardi dell'azione dei soggetti istituzionali.
Le dimensioni delle imprese, generalmente ridotte e scarsamente integrate
nel mercato internazionale, nonché le dimensioni e le esigenze
del sistema bancario regionale rendono ormai problematico la possibilità
di cogliere a pieno il significato e la portata della creazione del
Mercato Unico Europeo, soprattutto in considerazione dei limitati
tempi a disposizione. Ciò vale altresì per gli interventi
di competenza delle istituzioni pubbliche chiamate a colmare dei gravissimi
gaps.
E' il caso di aggiungere che i rischi di un mancato approccio all'Europa
sono gravissimi: l'intero sistema Puglia - dalle imprese alle banche,
alle Istituzioni - potrebbe ritrovarsi emarginato.
Qual è il livello di coscienza imprenditoriale a livello regionale
e nelle singole province?
L'imprenditoria pugliese, come evidenziato anche da recenti indagini
sul campo, esprime una forte capacità autopropulsiva. Essa
si caratterizza, infatti, per un solido radicamento sul territorio.
A differenza di altre realtà del Mezzogiorno, l'apparato produttivo,
infatti, elabora al proprio interno le strategie di crescita e di
gestione, senza dipendere da volontà o direzioni esterne. Pertanto,
l'imprenditoria pugliese assicura un importante contributo di dinamismo,
capacità e soprattutto di iniziativa all'immagine di una Puglia
operosa ed affidabile.
Ci sono dei tentativi di internazionalizzazione creando ad esempio
delle filiali all'estero, facendo delle acquisizioni?
La Puglia esprime un movimento di import-export attestato sui 3.000
miliardi annui, con un saldo attivo che si aggira intorno ai 1.000
miliardi annui. Non si tratta tuttavia di cifre rilevanti, soprattutto
ove si consideri la dimensione del sistema economico regionale. Infatti
esse esprimono un grado di apertura di quest'ultimo all'estero (rapporto
percentuale tra somma delle importazioni e delle esportazioni su valore
aggiunto) assai modesto, intorno al 12- 13%, contro valori dell'Italia
oscillanti intorno al 45%.
Vi è, tuttavia, da notare che grandi progressi sono stati realizzati
a partire dall'ultima parte degli anni '70 e soprattutto nella seconda
metà degli anni '80.
Realtà dinamiche, presenti con filiali o con joint-ventures
sui mercati esteri, dagli USA agli altri Paesi europei, esistono certamente
in Puglia e svolgono un ruolo di grande prestigio per l'intera economia
regionale. Si tratta, tuttavia, di fenomeni ancora isolati, che non
conferiscono al sistema produttivo, nel suo complesso, un significato
di scelta strategica. Molto rimane da fare in questa direzione, sia
per le singole imprese sia per quegli Enti ed Organismi preposti o
interessati allo sviluppo della dimensione internazionale del sistema
Puglia.
Quali interventi possono permettere alla Puglia di non essere marginale
rispetto all'Europa? E su quali settori puntare?
L'industria pugliese è piuttosto giovane, almeno per ciò
che concerne il manifatturiero. La sua affermazione in termini quantitativamente
e qualitativamente rilevanti ha preso consistenza a partire essenzialmente
dagli anni '70.
Si è trattato, generalmente, di un tessuto di piccole e medie
imprese, che hanno colto con intelligenza e tempestività l'evoluzione
del mercato sia interno sia internazionale, utilizzando a pieno alcuni
fattori d'area che hanno assicurato per un verso il necessario know-how
e per l'altro la flessibilità e l'elasticità indispensabili
per affermarsi. Esse devono ricercare impostazioni manageriali e finanziarie,
societarie e strategiche adeguate a reggere la competizione sul mercato.
Ma ciò non è sufficiente. E' indispensabile anche creare
intorno alle imprese condizioni favorevoli di crescita e di sviluppo.
L'infrastrutturazione del territorio, l'integrazione di questo nel
contesto nazionale ed internazionale, la sua dotazione di servizi
altamente innovativi non internalizzabili dall'azienda (Formazione
Professionale, Ricerca innovazione Tecnologica, ecc.) rappresentano
in questo senso obiettivi irrinunciabili.
I settori particolarmente suscettibili di ulteriore consolidamento
e sviluppo vanno peraltro individuati in quelli già tradizionalmente
presenti sul territorio: dal settore tessile-abbigliamento e delle
calzature al settore meccanico e metalmeccanico, dal settore agro-alimentare
a quello del legno-mobilio-arredamento, da quello dei marmi a quello
della lavorazione dei minerali non metalliferi.
Va tuttavia evidenziato come una particolare attenzione vada posta
all'esigenza di elevare il livello qualitativo dei prodotti e tecnologico
dei processi, ma altresì di espandere il tessuto in direzione
di settori a tecnologia più avanzata, al momento scarsamente
rappresentante in Puglia. In questo senso l'azione di alcune realtà,
come Tecnopolis e il C.N.R.S.M. di Mesagne, potranno sicuramente svolgere
un ruolo importante.
Lecce, Brindisi, Taranto: quali sono gli elementi di omogeneità
e gli elementi di differenziazione?
La storia degli ultimi decenni ha introdotto degli elementi di profonda
differenziazione nella realtà economico-produttiva dei tre
centri salentini.
L'atterraggio a Taranto e a Brindisi, sin dagli anni '60, della grande
industria, rispettivamente siderurgica e petrolchimica, ha determinato
una divaricazione del modello di sviluppo nell'area salentina. Mentre
a Brindisi e a Taranto si registrava una trasformazione trainata da
grandi insediamenti, che per un verso favorivano la creazione di un
tessuto indotto sufficientemente ampio, ma determinavano per l'altro
una impostazione monocolturale intrinsecamente debole, a Lecce si
assisteva ad una evoluzione assai più lenta, però più
diversificata e maggiormente radicata sul territorio. Non a caso furono
i settori manifatturieri tradizionali, dal tessile-abbigliamento alle
calzature e all'agro-alimentare, a imporsi quali realtà dinamiche
a partire dalla seconda metà degli anni '70, e, non a caso,
le stesse si presentarono distribuite sul territorio provinciale,
dando vita altresì a dei localismi di particolare valenza,
come quello di Casarano per le calzature.
Negli anni più recenti, le conseguenze dei processi. di ristrutturazione
della Montedison a Brindisi e dell'Ilva a Taranto hanno provocato
in queste realtà situazioni di gravi crisi e fenomeni addirittura
di deindustrializzazione, mentre Lecce si è trovata al riparo
dagli stessi, pur subendo anch'essa situazioni di difficoltà,
peraltro di natura diversa e di carattere comunque fisiologico.
Al momento si può affermare che, dopo le crisi acute vissute
nel Salento fra gli anni '85-'88, vi e una inversione di tendenza.
Tale inversione è peraltro strettamente connessa alla capacità
della categoria imprenditoriale di proporsi quale elemento dinamico,
soggetto protagonista di un nuovo modello di sviluppo e di un rinnovato
periodo di crescita.
Tra l'altro, può essere individuato proprio nella crescita
degli imprenditori in termini quanti-qualitativamente significativi
l'elemento di omogeneità che accomuna le tre realtà
(ma direi l'intera realtà regionale). E' su questo elemento
che stanno crescendo i progetti di diversificazione produttiva e di
consolidamento aziendale, che lasciano intravedere positive prospettive
sia per la reindustrializzazione dell'area brindisina e tarantina
sia di espansione dell'area leccese.
Come vede l'economia leccese in un reticolo regionale?
L'economia leccese è sicuramente quella maggiormente articolata
nel contesto regionale, e quella capace, potenzialmente, di perseguire
un elevato grado d'integrazione settoriale.
La presenza di un'agricoltura che è andata rinnovandosi notevolmente
negli ultimi due decenni e l'affermazione di un settore industriale
di sicura valenza, inconsistente ancora negli anni '60, ampiamente
diversificato e ben distribuito sul territorio, si legano ad una vocazione
turistica fra le più spiccate - anche se non altrettanto adeguatamente
sviluppata - in tutto il contesto nazionale. A buon diritto quindi
il sistema economico leccese può guardare con sufficiente ottimismo
al proprio futuro.
Esso tuttavia dovrò ricercare con crescente convinzione il
dialogo e l'integrazione nel sistema regionale, in vista di un'espansione
che appare indispensabile per assicurare allo stesso le dimensioni
ottimali a garantire un adeguato impiego delle proprie risorse.
Insieme con Bari - pur se con dimensioni diverse -, Lecce rappresenta
uno dei casi più significativi di sviluppo endogeno autocentrato.
Tuttavia, è necessario che venga superata la logica del localismo
- come peraltro evidenziano esperienze sempre più numerose
di cooperazione - puntando per una scelta, la più ampia possibile,
che deve partire da un pieno inserimento nel più ampio sistema
regionale.
Un giudizio sul ruolo delle istituzioni a livello di intervento, di
strategia e di programmazione.
Oggi più che mai, lo sviluppo del sistema industriale e delle
singole aziende (ma anche, più in generale, del sistema economico)
dipende dalla formazione di un contesto esterno favorevole alle stesse.
Un'adeguata infrastrutturazione del territorio, un'efficiente organizzazione
delle funzioni urbane, una significativa dotazione di servizi innovativi,
appaiono indispensabili per innescare o alimentare processi di sviluppo
sul territorio.
E' chiaro che tutto questo è direttamente collegato all'azione
dei soggetti pubblici istituzionalmente preposti ai vari livelli di
intervento: da quello centrale (intervento straordinario e ordinario
dello Stato) a quello periferico (attività di programmazione
e di coordinamento della Regione, attività di intervento e
di gestione degli Enti locali).
Si potrebbe subito dire che se fino ad oggi il gap con le regioni
del Centro-Nord non è stato colmato, anzi si è accentuato,
se la infrastrutturazione del territorio è assolutamente carente
e deficitaria, se le nostre città arrancano e i servizi non
funzionano, qualcosa non va a livello di Istituzione.
Relativamente all'intervento straordinario, va sottolineata la necessità
che si volti definitivamente pagina. Lo stesso, nei termini sin qui
sperimentati, non serve alle imprese né al sistema. E' auspicabile
invece un efficace ed efficiente intervento ordinario, che elimini
la difficoltà del "fare impresa" nel Sud rispetto
al Nord.
Si tratta di far cessare il paradossale equivoco di finanziare con
l'intervento straordinario opere altrove realizzate con finanziamenti
molto ordinari (ultimo recente esempio: si finanziano in Puglia con
la legge 64 le strade regionali n. 6 e n. 89, mentre si finanzia con
fondi ordinari il raddoppio dell'Autostrada BolognaFirenze). La Regione,
d'altro canto, deve recuperare una indispensabile capacità
di coordinamento degli interventi di provenienza centrale comunitaria
oltre che interna, nell'attuazione di quegli obiettivi programmatici
di cui pure si è dotata e che, con il recente piano di sviluppo,
ha riproposto in termini apprezzabili.
Ma deve maturare anche un'indispensabile capacità di gestione
delle proprie risorse, che consentano una efficace azione sul territorio,
sia sul versante dei servizi sia su quello della promozione del sistema
e della programmazione dello sviluppo.
Gli Enti locali, infine, devono imboccare con decisione la strada
dell'efficienza, ricercando a tale scopo la cooperazione con soggetti
e risorse private, individuando, alla luce di una normativa vigente
che pure lo consente, ambiti operativi e percorsi funzionali.
Ruolo di Tecnopolis e del Centro di Ricerche sui nuovi materiali di
Mesagne nel futuro dell'economia pugliese.
La ricerca finalizzata all'applicazione industriale, la sperimentazione
delle innovazioni tecnologiche e la diffusione delle stesse costituiscono,
nell'attuale momento storico, condizioni strategiche basilari per
sostenere la competitività di un sistema economico e per accelerarne
lo sviluppo.
In Puglia esistono due realtà di grossa potenzialità
e di formidabile impatto. Il C.N.R.S.M. di Mesagne e Tecnopolis con
il suo parco tecnologico rappresentano, infatti, altrettante leve
in grado di moltiplicare le possibilità di consolidamento e
di espansione del sistema politico e produttivo pugliese. Vi è
tuttavia da considerare che l'efficacia dell'azione di tali organismi
è direttamente connessa al grado di integrazione con il territorio.
Alla fase del radicamento sin qui perseguito da Tecnopolis e dal C.N.R.S.M.,
è necessario quindi che segua con decisione ed immediatezza
la fase dell'integrazione con il sistema produttivo, finalizzata per
un verso a supportare gli sforzi e le strategie delle imprese e, per
l'altro, a favorire un'espansione del sistema attraverso il processo
di implementazione delle sue attività.
(4 - fine)
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