§ Inchiesta / Le nuove frontiere

Salento imprenditoriale (4)




Umberta Calella Tommasi, Roberta Pappadą



Abbiamo iniziato il nostro lavoro sostenendo che presentarsi all'appuntamento del 1993 come soggetti protagonisti significa ritrovarsi, sentirsi, ridefinire i lineamenti di un'identità, conoscere i propri limiti, le proprie possibilità. Tentare di leggere la realtà salentina è stato anche per noi come rinnovarsi attingendo alle nostre radici. Ci siamo liberate di qualche pregiudizio in più, di alcuni luoghi comuni, di residui campanilistici pro e contro.
"Ogni popolo ha la classe politica che si merita". Forse è vero, forse no. E' certo che la classe politica è nei migliori dei casi la grande assente. Il divario con il Nord si percepisce, a livello di servizi e di infrastrutture, quasi come un disagio fisico. Muoversi tra una città e l'altra in treno, lasciare incustodita solo per qualche ora la propria automobile, prendere un taxi, chiedere un'informazione può significare tempi infiniti, incertezze, danni pesanti, scortesie. Malumore, ansia, fatica.
Di coscienza imprenditoriale profonda e diffusa non si può parlare, ma nel tessuto economico da noi visitato alcuni imprenditori e alcune esperienze produttive sono di grande valenza culturale e di forte competitività.
Il divario con il Nord c'è e si sente, ma anche dal nostro lavoro si avverte che, sia per le singole città sia per le imprese, avere una vocazione europea significa non aver smarrito i riferimenti essenziali della propria origine, della propria storia, della propria realtà per saper cogliere i "brandelli comuni" alla realtà di tutti gli uomini.
La Casa Editrice Laterza, della quale abbiamo intervistato il Presidente, è un esempio felice di quanta forza si può trarre dalla rivendicazione della propria individualità, e come da un'identità riconfermata possa scaturire una progettualità internazionale che riqualifica l'azienda e il territorio in cui materialmente opera. Non omologarsi, ma accomunare le differenze, per valorizzarsi e aprirsi a mercati sempre più ampi e lontani.
"Si può essere europei stando a Bari", ha detto Laterza. Sono le scelte che contano. Questo vale anche per Tecnopolis, un'altra realtà presente
nel capoluogo pugliese, che già da tempo si è aperta al mondo con i suoi rapporti internazionali e che ha come obiettivo strategico principale la ricaduta sul territorio dei risultati di una ricerca in cui è centrale la sperimentazione dell'innovazione all'interno e all'esterno delle imprese.
Riteniamo, infine, l'intervista al Presidente della Federazione Regionale degli Industriali della Puglia idonea, per una coincidenza di opinioni, ad essere da noi proposta come sintesi aperta di ciò che oggi si muove nella realtà imprenditoriale salentina. Noi aggiungiamo solo che l'accrescersi della micro e macro criminalità non ci sembra allarmi quanto dovrebbe la stessa classe imprenditoriale. Tra le ombre che minacciano il farsi Europa dell'economia salentina, l'insicurezza sociale come conseguenza della criminalità diffusa, oltre alla non occupazione, è indubbiamente quella più oscura e pericolosa.


GIUS. LATERZA E FIGLI S.p.A.

Paolo Laterza - Presidente del Consiglio di Amministrazione Paolo Laterza vive a Bari, dove è nato. Ha 61 anni, è sposato ed ha tre figli. E' Presidente della "Gius. Laterza e figli" da 18 anni. E' avvocato, svolge l'attività forense nel settore dell'assistenza alle banche. E' componente del Consiglio Superiore della Banca d'Italia.
La Casa editrice Laterza nasce nel 1901 ad opera di Giovanni Laterza, che si orienta subito verso una produzione editoriale civilmente impegnata. Contatta possibili autori e collaboratori, tra cui Benedetto Croce, che diventa l'ispiratore di tutta la produzione della Laterza. Oggi, la "Gius. Laterza e figli" S.p.A. è ancora di proprietà della famiglia. Vi lavorano quasi duecento persone, tra dirigenti, impiegati e operai.

La sede principale della Laterza è Bari?
Sì. Abbiamo la sede legale a Roma e una redazione romana, diretta da mio fratello, Vito. La sede operativa invece è a Bari. Noi sostanzialmente, qui a Bari, nello Stabilimento di Arti Grafiche, facciamo tutto: la parte della composizione, la parte tipografica, fino alla spedizione.
"Non fatela passare come una vittoria personale, ha vinto la cultura, hanno vinto gli uomini di cultura ... ": è un'affermazione di Vito Laterza, alla conclusione della ben nota vicenda che voleva il trasferimento della vostra Casa editrice a Milano...
Quando Vito ha detto questo intendeva dire che non è stata soltanto un'operazione finanziaria, come può essere stata quella di Berlusconi e di De Benedetti, e cioè una lotta a colpi di interventi, di occupazioni di zone e di spazi per poter esercitare un certo potere. La nostra non è stata soltanto una battaglia finanziaria: noi abbiamo avuto un conforto che è partito esattamente da un'opinione pubblica che non è quella delle istituzioni, che sono state, anche nella nostra circostanza, del tutto assenti.
Ciascuno si è aspettato di essere portatore di qualche bandiera: quando hanno capito che non c'era possibilità di strumentalizzare dal punto di vista politico un fatto di questo genere, perché nessuno di noi si è mai qualificato a favore di uno o a favore dell'altro, allora c'è stata un po' di freddezza. Noi apparteniamo all'area laica per la nostra tradizione crociana, non siamo iscritti ad alcun partito.
Quando è scoppiato il caso Laterza. per la prima volta in Italia tutte le forze politiche della Regione, Provincia, Comune si sono riunite in assemblea unica e hanno fatto una manifestazione in nostro favore. lo alla fine del mio discorso di ringraziamento ho fatto notare che la bella cerimonia andava bene, ma che nel giro di venti giorni io avrei dovuto trovare 20 miliardi per non rischiare di vendere a Berlusconi o a De Benedetti, o non so cosa altro.
Non volevamo contributi o finanziamenti; noi volevamo e vogliamo da parte delle istituzioni un affiancamento di programma, di investimenti da fare sulla cultura, insieme. Invece l'assessore regionale alla cultura, signor Pugliese, con il quale avremmo dovuto fare un lavoro su Canosa, ci comunica di aver affidato, per ragioni di opportunità, tutto alla Marsilio di Padova, perché naturalmente la Marsilio significa i fratelli De Michelis. Quando Vita dice "gli uomini di cultura" si riferisce alla gente che non la cultura perché conosce sei lingue, ma perché sente che la cultura è importante. Il padrone della Barcaccia, per esempio, mi ha telefonato dicendomi: "Io non so bene neppure di cosa si tratta, ma so soltanto che la cultura è una bella cosa e bisogna appoggiarla. Vuole 200 milioni?". La Barcaccia, che è un ristorante con la baracca a mare, che io neanche conosco...
Bari o Milano non è una questione di collocazione, è una scelta...
Esatto. E' come se Milano ad un certo momento vendesse il Duomo, oppure bari San Nicola. La gente qui è con noi perché la Casa editrice Laterza è un suo patrimonio.
Allora con le istituzioni, con i politici, proprio nessun rapporto?
Noi abbiamo una fondazione, Giovanni Laterza, deliberato dalla Regione Puglia, che non si riesce a fare forse perché non prevede posti di comando. Inoltre, i politici, pur avendo una Università, una Casa editrice e altre possibilità, non si rivolgono mai a nessuno. Sarebbe logico ci fossero delle collaborazioni intelligenti. Abbiamo avuto dei riconoscimenti recenti da parte di banche e di enti del Nord, che si fregiano di poter mettere, per la stima che hanno nei nostri confronti, il nome Laterza come garanzia di serietà. Qui non esiste colloquio, non esiste dialogo.
Eppure oggi è indispensabile che le informazioni e le idee circolino...
Ma questo è il dover essere, non è l'essere. Oggi è così. Associazioni importanti come quelle dei commercianti o degli industriali potrebbero benissimo essere un anello di congiunzione.
Il problema qui è che la politica che si la è la politica dell'incultura, qui una classe politica diversa potrebbe veramente dare una spinta, perché la gente è desiderosa di sapere come fare. Però se la spinta non parte dal privato, il pubblico non si muove, sta aspettando il risultato per poi presentarsi. Questa è la realtà; noi avvertiamo questo in tutti i settori.
Allora rispetto all'Europa, che ormai è una realtà ... ?
Quando si deve conquistare un mercato, essere pronti significa una cosa soltanto: accomunarsi, perché il discorso europeo non si fa da soli. Qui il fatto è questo: dell'Europa del '92, del '93, i politici non hanno idea di niente, né hanno fatto niente. Le associazioni possono fare, se sono programmate. Per quanto so, l'Associazione Industriali recentemente, per alcune cose, si sta muovendo. Ho sentito tutti gli industriali, uno per uno, e devo dire che sono rimasto molto ammirato perché ho visto che tutti quanti sono bravi, sono bravi veramente. Divella è una realtà internazionale già esistente, arriva su tutti i mercati, può produrre di tutto.
Quali sono i progetti Laterza?
E' partito il progetto "Fare l'Europa". Abbiamo iniziato due o tre anni fa i primi colloqui. in realtà, già da prima noi avevamo cominciato un'esperienza che poi si è rivelata fruttifera e ha ispirato queste altre iniziative: abbiamo cominciato a cercare autori direttamente anche all'estero, abbiamo fatto dei contratti con autori francesi, ritenendo i diritti e rivendendoli sia in Francia sia in altri Paesi. Fatte queste prime esperienze, che sono motto interessanti, gratificanti, sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista dell'immagine, è partita questa iniziativa, "Fare l'Europa", che è una specie di Consorzio tra editori, che concordano un programma di collana comune. Le case editrici impegnate sono cinque.
Da che cosa è stata determinata questa scelta?
E' una delle possibili strade che si possono percorrere. Siamo partiti dal fatto di farlo noi direttamente, poi abbiamo visto che per questioni organizzative e finanziarie era molto più utile associarsi ad altri, fare un lavoro comune. Ciò ha una grande forza, anche perché significa presentarsi ad autori di grandissimo prestigio, proponendo loro di fare un libro che sarà pubblicato, in contemporanea quasi, in cinque Paesi diversi. Anche il personaggio più smaliziato e avverso al rapporto con le case editrici una cosa del genere l'avverte come un fatto estremamente importante. Ed è una delle maniere di proporsi in Europa.
L'altra maniera è, appunto, cosa che noi stiamo continuando a fare con una certa regolarità, quella di costruire dei progetti europei, nel senso che ci sono autori di tutti i Paesi.
Ad esempio?
A settembre sono usciti i primi due volumi di una "Storia delle donne", curata da Duby, dove ci sono autori prevalentemente francesi e americani, perché nello specifico campo della storia delle donne la scuola storiografica più importante è in Francia e in America; ci sono poi anche italiani, olandesi, tedeschi.
E questa è una iniziativa nostra, costruita integralmente da noi. Poi ci sono tante altre combinazioni che si possono fare, e che noi stiamo attuando. Per esempio, edizioni di singole opere con un interlocutore, lavorando in combinazione con un editore o con due editori, che possono essere francesi o inglesi. Effettivamente, ci si può associare e combinare in maniera diversa. il che, per altro, è indispensabile perché ci sono delle proposte editoriali che possono funzionare bene in Inghilterra e in Italia e meno bene in Francia: quindi a seconda delle opportunità e delle necessità ci si collega.
Questa è una delle strade maestre che è necessario seguire e che dovrebbe rappresentare anche una risposta al famoso '93. Noi abbiamo sempre avuto una vasta gamma di libri anche in traduzione, non abbiamo mai avuto un catalogo rigorosamente legato ad autori italiani. Così come noi abbiamo interesse a portare i nostri autori, i nostri titoli, all'estero, così ugualmente siamo interessati all'acquisizione. Una delle maniere di acquisire è non solo quella di presentarsi al collega straniero e chiedere cosa ha fatto, ma anche vedere di proiettarsi in prima persona, o in combinazione con editori locali combinare il progetto. Devo dire che c'è grande disponibilità. Rischiamo di sottovalutarci: uno si aspetterebbe che l'iniziativa fosse presa dagli americani, invece la verità è che nessuno si era ancora mosso.
Questa storia, diciamo un po' vecchia, a mano a mano che ci si avvicinava alla fatidica scadenza ha assunto un significato ancora maggiore. Ultimamente, alla Fiera del libro di Torino, abbiamo avuto un incontro con questi amici editori, proprio per sostenere che una delle strade da perseguire, un po' in generale in tutti i settori imprenditoriali, è appunto quella della cooperazione, dell'associazione. Non è necessario ragionare esclusivamente in termini di concentrazioni.
Voi rimarrete comunque un'impresa di medie dimensioni...
La nostra aspirazione non è quella di diventare grandi, nel senso di essere grandi in dimensioni pari a quelle dei grossi gruppi editoriali. Noi cercheremo di essere grandi insieme con altri gruppi come il nostro, per poter realizzare un programma che soltanto in quella dimensione puoi fare. il lavoro di qualità, se entri in una dimensione diversa, non lo fai più, come non lo attuano quelle case editrici che pur facendo una produzione meravigliosa si rivolgono ad un pubblico del tutto diverso e certamente non lasciano il segno. Raggiunte certe dimensioni, l'indipendenza non può esistere.
Se noi perdessimo questa nostra dimensione perderemmo la nostra identità. Non è solo un fatto sentimentale, è un discorso anche di convenienza, ho il mio pubblico e su quello arrivo, se faccio la mia tiratura la esaurisco, non vado col magazzino a distruzione, come mi disse una volta Oreste Del Buono: "Sai, alla Rizzoli abbiamo ristampato un libro e non sapevamo che l'avevamo in magazzino".
il problema dell'editoria è il problema delle rimanenze: se uno presta attenzione alle rimanenze ce la fa. La cultura non si fa a grosse cifre. Abbiamo un catalogo europeo unico dal punto di vista della specializzazione.
Laterza è un grande punto di riferimento. L'opinione pubblica, la gente, ha sperato che non ve ne andaste: lo avete avvertito questo?
Moltissimo ed è stato un grande conforto. Dobbiamo dire anche grazie, da questo punto vista, alla stampa. In quel momento, benché molta stampa sia controllata, i giornalisti non se la sentivano di ubbidire ai comandi, anche perché non era ancora scoppiato il caso Mondadori.
Io preferisco farmi i conti ogni fine mese con i bilancini periodici per vedere come sto, piuttosto che leggere, come oggi ho letto, dei 3.000 miliardi di debito di Berlusconi, che mi fanno paura, come gli altrettanti debiti che ha Mondadori. Perché, per fare questi grossi investimenti o questi grossi sconvolgimenti di pacchetti azionari, devi coinvolgere il mondo finanziario e ti devi fare accompagnare. Il giorno in cui Craxi decide che non gli è più molto simpatico Berlusconi, come sta avvenendo, noi vediamo un fatto soltanto: che a Berlusconi pubblicano i 3.000 miliardi di debito. Non glielo avevano mai detto.


TECNOPOLIS CSATA NOVUS ORTUS

Tecnopolis CSATA Novus Ortus è un'organizzazione per la ricerca, lo sviluppo e il trasferimento delle Nuove Tecnologie dell'Informazione, in funzione dell'innovazione del sistema economicoproduttivo. E' un consorzio fra imprese, Università ed Enti pubblici, operante sul mercato attraverso contratti e convenzioni con soggetti pubblici e privati nazionali ed internazionali. Complessivamente, operano nel consorzio 200 unità di personale.
Il volume d'affari previsto per il 1990 è di circa 51 miliardi. I campi di attività sono:
- Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione.
- Tecnologie per l'Automazione della Fabbrica.
- Tecnologie della Microelettronica.
- Nuove Tecnologie connesse all'uso industriale dello Spazio.
Efisio Marras - Direttore delle relazioni industriali. Vive a Taranto, dove è nato. Ha 36 anni. E' sposato. Ha due figli. E' laureato in Giurisprudenza. Ha un "Master" in relazioni industriali. Ha lavorato a Milano per quattro anni in una società di Telecomunicazioni e per un anno in una società di consulenza. Da tre anni lavora a Tecnopolis.

Qual è la caratteristica più qualificante di Tecnopolis?
E' l'attenzione al fattore umano gestito e organizzato all'interno del Consorzio. La continua dinamico imposta dalle tecnologie, dal mercato, dal sistema economico, dai cambiamenti sociali esige una nuova modalità organizzativa della vicenda imprenditoriale e grossi sforzi di innovazione del prodotto e del processo dal punto di vista organizzativo e gestionale. Noi stiamo sperimentando una nuova modalità di interpretare i centri di innovazione come questi.
E' una modalità tipica del pensiero di Dioguardi, una modalità che di fatto organizza uomini, tecnologie e mercato secondo una logica fortemente imprenditoriale. Questo modello organizzativo è strutturato su un livello generale strategico che definisce, organizza e incrementa le strategie e un livello multipolare che ha la facoltà di fornire prodotti e servizi all'interno e anche all'esterno di questa organizzazione. In questo livello, si aggregano la gestione delle tecnologie, la gestione dei flussi finanziari, la gestione del fattore marketing e la gestione operativa.
Ci può fare un esempio?
Il polo tecnologico cura e gestisce gli investimenti in tecnologie affinché vengano prodotti servizi all'interno della nostra organizzazione, e si sta strutturando per fornire prodotti e servizi anche all'esterno, alla Regione, ad altre imprese...
I nostri incontri con gli imprenditori salentini ci rimandano l'immagine di una Tecnopolis importante ma astratta, un po' malata di illuminismo: una struttura, cioè, che manca il suo obiettivo principale, quello di creare un rapporto reale, concreto, con i soggetti imprenditoriali presenti sul territorio in cui voi appunto intendete operare.
Con l'avvento di Dioguardi c'è stata una mutazione della presenza Tecnopolis, che da monolito è diventata una specie di contado. Questa sua intenzione di far vivere Tecnopolis nella realtà del Mezzogiorno, e viceversa, ha dato un nuovo impulso ai programmi di diffusione tecnologica e ora siamo presenti su quasi tutta l'area pugliese.
Hanno lamentato scarsa attenzione da parte di Tecnopolis soprattutto le piccole e medie aziende salentine.
I nostri partners sono sicuramente soggetti che appartengono alla grande impresa, con i quali condividiamo programmi di ricerca industriale, ma noi ci rivolgiamo anche a soggetti della piccola e media industria locale e del Mezzogiorno, con i quali condividiamo programmi di diffusione delle tecnologie.
Sappiamo che state lavorando con Casarano...
Da un paio d'anni, dall'avvento di Dioguardi, stiamo sviluppando i programmi di diffusione delle tecnologie di cui parlavo prima, i cui risultati si cominciano a percepire. Tra l'altro, Dioguardi ha avuto una splendida intuizione, quella di realizzare l'Osservatorio della domando e dell'offerta di ricerca applicata all'industria.
E a Casarano, nel Basso Salento, cosa succede?
Proprio nel settore calzaturiero stiamo sviluppando un processo di diffusione tecnologica. Dei nostri dipendenti stanno mettendo a punto dei processi di innovazione dentro l'azienda, per renderla competitiva non solo dal punto di vista tecnologico, ma anche dal punto di vista organizzativo e gestionale.
Tecnopolis, insieme con il Consorzio A.A.S.T.E.R., è impegnata in Puglia nel Progetto Vitesse. Di cosa si tratta?
"Vitesse" è una modalità, una metodologia, un sistema per diffondere le tecnologie. E' un processo che vede prima una fase di animazione tecnologica, in cui avviene una sorta di censimento di quelli che sono i bisogni di innovazione, e poi una fase in cui si cerca di soddisfare eventuali bisogni emergenti.
L'Osservatorio della domanda e dell'offerta di ricerca applicata all'industria, secondo una definizione di Dioguardi, ha come finalità una nuova gestione dei problemi dello sviluppo, "per evitare che, dopo le cattedrali dell'industria, sorgano le cattedrali del terziario".
Tecnopolis è il primo parco scientifico in Italia, avviato su mandato governativo, in cui si sta sviluppando una controtendenza del mercato del lavoro. Da una nostra ricerca risulta che i nostri neolaureati sono sicuramente quelli che hanno una maggiore attitudine a sviluppare ricerca applicata, e che i ragazzi meridionali che vanno a studiare al Nord ritornerebbero se esistesse una proposta di lavoro come quella che offre Tecnopolis. Abbiamo avuto conferma dell'appeal che ha Tecnopolis in un momento di selezione e di ricerca di personale. Abbiamo intenzione di sviluppare i nostri organici in relazione agli obiettivi strategici che ci siamo dati. Abbiamo emesso un bando, che è uscito due volte su "Repubblica", al quale hanno risposto circa 700 responsabili di progetto, quindi gente che è già impegnata in attività di ricerca nelle più grosse realtà imprenditoriali italiane.
Ciò vuol dire che la domanda che comincia a svilupparsi in Tecnopolis è una domanda interessante dal punto di vista della professionalità, della qualità della vita, della qualità del lavoro e dei processi di sviluppo della professionalità che noi qui abbiamo pensato, studiato e applicato. Il dato forte è quello relativo ai soggetti che io ho definito i settentrionali doc, che raggiungono circa il 25-30% di tutte le domande, cioè soggetti nati al Nord, che hanno studiato in università del Nord e che vogliono venire a lavorare da noi. Questo è un segnale, anche se debole, di controtendenza del mercato del lavoro in Italia.
Quindi ci sono delle speranze, c'è un Sud che ha delle potenzialità, e delle capacità che però non vengono organizzate. Da una parte crescono queste cose, dall'altra assistiamo ad un degrado che fuori di qui è veramente grave. Si spera che ci sia un ritorno di cultura. Una crescita in questo senso diventa anche una crescita di gusto.
Un raffronto tra organizzazione, modalità di fare impresa ed estetica è uno dei temi affascinanti con i quali in qualche maniera il Sud in prima persona deve confrontarsi. Estetica e, se vuole, anche morale. Questo per dire che il Sud ha sicuramente una potenzialità: gli uomini. A torto o a ragione, c'è un processo di alimentazione delle industrie settentrionali da parte dell'intelligenza di pregio che il Meridione produce. Esiste quindi un fattore importante, quello umano, da non sottovalutare in quanto a potenzialità. Esiste sicuramente un fattore di potenzialità dal punto di vista imprenditoriale, anche se non c'è una cultura. Esiste una forma spontanea e vivace di imprenditoria nell'area di Barletta e di Casarano e nell'area Sud barese.
E Taranto, invece?
A Taranto stiamo lavorando, stiamo sviluppando questa fase di animazione.
Con quali soggetti?
Noi lavoriamo con i soggetti sociali, la Confindustria, l'Ass. Industriali, il terziario avanzato. A Taranto esiste un fatto negativo da considerare, cioè questa trita e ritrita vicenda della cultura dell'acciaio. Per questo parlo di estetica e morale, e qui, forse, c'è anche un'accusa. nel senso che l'imprenditore locale ha approfittato del periodo delle vacche grasse, ricevendo commesse in termini di puro assistenzialismo, di pura speculazione e non di crescita imprenditoriale. Laddove, per vicende globali, mondiali, l'acciaio non ha più tenuto, questi signori non avevano la capacitò, la forza, la cultura di sviluppare impresa. Hanno praticamente vissuto di una sottocultura della commessa.
Se potesse fare un confronto tra Brindisi, Taranto e Lecce...
Una realtà vivace, molto vivace con cui noi stiamo interagendo è quella del Salento, dove esiste effettivamente un terziario molto attrezzato dal punto di vista culturale, esiste una vicenda artigianale, che sta evolvendo verso l'industria, molto ricca, molto effervescente. Credo che sia la realtà con cui stiamo lavorando meglio, e il fatto che noi lavoriamo meglio vuol dire che esiste un terreno fertile su cui lavorare. Le realtà sono quelle salentina e barlettana e poi complessivamente quella barese. Con Taranto stiamo cominciando, con Brindisi credo inizieremo presto.
Voi lavorate anche con la Fiat. La cultura del lavoro che caratterizza la Fiat non è però uscita dallo Stabilimento...
Ci vuole questa cultura imprenditoriale, poi ci' vuole il modello di Dioguardi: il modello di rete che coinvolge il territorio, lo educa. lo accultura in modo che poi si parli la stessa lingua.
Voi avete questo rapporto diretto con la Puglia, non lavorate anche con questa realtà?
La nostra è una missione legata al Mezzogiorno.
Quindi, i punti di questa rete...
I punti di questa rete sono legati al Consorzio IATIN, che è il Consorzio di secondo livello di cui fanno parte i Centri Innovazione di Palermo, di Cosenza, di Napoli. Noi in qualche maniera viviamo una sorta di leadership. Esiste sicuramente una rete formata da questi soggetti.
Come vive economicamente Tecnopolis?
Tecnopolis vive del lavoro che produce. Noi sviluppiamo programmi di ricerca con le aziende e per le aziende. Per far questo abbiamo un riferimento europeo, la CEE, quindi quelle che sono le agevolazioni in Comunità. Abbiamo poi un riferimento italiano. cioè quelle che sono le agevolazioni alla ricerca che può dare il sistema economico italiano. La nostra vicenda economico-finanziaria si avvale delle agevolazioni, ma i prodotti e i servizi che poi noi sviluppiamo trovano un'applicazione concreta nelle aziende.
lavorate anche con gli enti pubblici?
Sì. Per conto della Regione Puglia, ad esempio, noi sviluppiamo delle applicazioni e quindi la Regione ci paga. Per conto delle aziende sviluppiamo programmi di ricerca comune, quindi i ritorni sono un po' più differiti. Il nostro tema-problema è finanziario, siamo costretti in qualche maniera ad investire e i ritorni vengono dopo, perché possono essere sotto forma di royalties, quindi di licenze, sotto forma di vendita complessiva del prodotto. Noi sostanzialmente viviamo del lavoro che riusciamo a produrre; in effetti è una gestione fortunatamente no profit e questo ci toglie l'ansia della ridistribuzione degli utili: possiamo anche non fare utili, l'importante è che si chiuda in pareggio.
Con i sindacati di categoria ci sono delle collaborazioni?
Abbiamo un grossissimo rapporto, perché uno dei temi forti che abbiamo voluto sviluppare è stato quello di una visione nuova delle relazioni industriali. Abbiamo sempre spinto per una visione di tipo progettuale, quindi abbiamo chiamato le organizzazioni sindacali a definire con noi questo tema delle relazioni industriali sotto forma del progetto, dove ognuno poi si assumeva le proprie responsabilità e i propri compiti. E' un processo di investimento, è sempre lo stesso concetto che viene vissuto con il sindacato, con le grandi e piccole aziende, con le istituzioni: il concetto imprenditoriale, investire per ottenere dei risultati in termini di lavoro, di gestione del conflitto.
E nel campo della formazione?
La nostra è anche una vicenda formativa; i nostri tre grossi filoni di attività sono la ricerca, lo sviluppo e trasferimento della tecnologia, la diffusione di tecnologie e la formazione.
Un giudizio sulle infrastrutture in Puglia.
E' chiaro che non è paragonabile alla infrastruttura che lega Milano a Torino, però è sicuramente il polo messo meno peggio dal punto di vista di infrastruttura hard. Dal punto di vista di infrastruttura soft, noi stessi siamo collegati con innumerevoli banche dati, con una serie di reti telematiche che collegano i centri di ricerca italiani ed europei; poi da alcuni nodi riusciamo a collegarci in tutto il mondo. La SIP sta investendo in quella che si definisce "isola ottica" e che coglie, appunto, la realtà Bari, Taranto, Lecce. C'è un minimo di fermento che lascia ben sperare.


FEDERAZIONE REGIONALEDEGLI INDUSTRIALI DELLA PUGLIA

La Federazione regionale degli Industriali della Puglia - costituita dalle Associazioni degli Industriali delle Province di Bari, Brindisi, Foggia, Lecce e Taranto - mira a favorire un costante, intenso e utile confronto con l'istituto regionale in tema di sviluppo industriale e, tout court, economico.
Oltre che con la Regione, la Federazione ha peraltro sviluppato proficui rapporti di collaborazione con i diversi Enti ed Organizzazioni operanti in campo economico sul territorio regionale ed in particolare con il sistema delle Camere di Commercio pugliesi e con il Centro regionale per il Commercio Estero.
Presidente dal 1986, Antonio Argento. Antonio Argento è nato a Gioia del Colle, vive a Taranto. Ha 60 anni. E' geometra e Gr. Uff. al merito della Repubblica. E' sposato e ha quattro figli. Dal 1982 è Presidente della Camera di Commercio di Taranto. E' imprenditore dal 1956. Ha un'attività imprenditoriale diversificata; la sua azienda più importante è la SIIATEK PROFILATI SUD S.R.L. (Società Italiana impianti alta tecnologia), con sede a Lizzano (Ta), con 220 addetti.

Che cosa vuoi dire per la Puglia il 1993?
Le imprese pugliesi e l'intero apparato produttivo regionale, giù da diversi anni a questa parte, hanno dovuto misurarsi con la concorrenza non solo europea. ma anche mondiale. Per un verso, gli sforzi delle imprese tesi a ridisegnare il proprio modo di essere (in termini di dimensioni, di struttura giuridica, di capitalizzazione, di alleanze, di mercato) e, per l'altro, i programmi delle istituzioni ai vari livelli (in termini di ammodernamento del sistema di sviluppo delle infrastrutture fisiche e tecnologiche, di supporto dell'apparato produttivo) diventano fondamentali per salire sul treno del Mercato Unico Europeo.
Quali le opportunità e quali i rischi?
Le opportunità scaturiscono dalla forza trainante di un mercato di oltre 300 milioni di consumatori, sicuramente il più ricco e dinamico dell'intero scenario mondiale. Certo, esse sono legate alla capacità delle singole imprese, e del sistema nel suo complesso, di attrezzarsi adeguatamente per coglierle al meglio.
Vi sono comunque dei campi specifici, in cui il Mercato Unico Europeo dovrebbe determinare positivi effetti sulle imprese: credito, investimenti e cooperazione fra imprese sono fra questi.
Lo sviluppo dei merchant banking, necessario a supportare le imprese nei loro programmi di capitalizzazione e di investimento, e la creazione di condizioni "europee" di accesso al credito d'esercizio sicuramente riceveranno un impulso decisivo dall'avvento del Mercato Unico Europeo, stimolando in tal senso anche l'attenzione del sistema bancario regionale.
Inoltre, la riscoperta delle economie di scala o la ricerca delle sinergie, imposta dalla dimensione europea del mercato, a loro volta accelereranno il processo di cooperazione fra imprese sia all'interno della regione sia all'estero. I rischi, invece, sono connessi da un lato alle caratteristiche del sistema produttivo - o, più in generale, economico - della regione, e dall'altro ai deficit infrastrutturali ed alle carenze e ai ritardi dell'azione dei soggetti istituzionali.
Le dimensioni delle imprese, generalmente ridotte e scarsamente integrate nel mercato internazionale, nonché le dimensioni e le esigenze del sistema bancario regionale rendono ormai problematico la possibilità di cogliere a pieno il significato e la portata della creazione del Mercato Unico Europeo, soprattutto in considerazione dei limitati tempi a disposizione. Ciò vale altresì per gli interventi di competenza delle istituzioni pubbliche chiamate a colmare dei gravissimi gaps.
E' il caso di aggiungere che i rischi di un mancato approccio all'Europa sono gravissimi: l'intero sistema Puglia - dalle imprese alle banche, alle Istituzioni - potrebbe ritrovarsi emarginato.
Qual è il livello di coscienza imprenditoriale a livello regionale e nelle singole province?
L'imprenditoria pugliese, come evidenziato anche da recenti indagini sul campo, esprime una forte capacità autopropulsiva. Essa si caratterizza, infatti, per un solido radicamento sul territorio. A differenza di altre realtà del Mezzogiorno, l'apparato produttivo, infatti, elabora al proprio interno le strategie di crescita e di gestione, senza dipendere da volontà o direzioni esterne. Pertanto, l'imprenditoria pugliese assicura un importante contributo di dinamismo, capacità e soprattutto di iniziativa all'immagine di una Puglia operosa ed affidabile.
Ci sono dei tentativi di internazionalizzazione creando ad esempio delle filiali all'estero, facendo delle acquisizioni?
La Puglia esprime un movimento di import-export attestato sui 3.000 miliardi annui, con un saldo attivo che si aggira intorno ai 1.000 miliardi annui. Non si tratta tuttavia di cifre rilevanti, soprattutto ove si consideri la dimensione del sistema economico regionale. Infatti esse esprimono un grado di apertura di quest'ultimo all'estero (rapporto percentuale tra somma delle importazioni e delle esportazioni su valore aggiunto) assai modesto, intorno al 12- 13%, contro valori dell'Italia oscillanti intorno al 45%.
Vi è, tuttavia, da notare che grandi progressi sono stati realizzati a partire dall'ultima parte degli anni '70 e soprattutto nella seconda metà degli anni '80.
Realtà dinamiche, presenti con filiali o con joint-ventures sui mercati esteri, dagli USA agli altri Paesi europei, esistono certamente in Puglia e svolgono un ruolo di grande prestigio per l'intera economia regionale. Si tratta, tuttavia, di fenomeni ancora isolati, che non conferiscono al sistema produttivo, nel suo complesso, un significato di scelta strategica. Molto rimane da fare in questa direzione, sia per le singole imprese sia per quegli Enti ed Organismi preposti o interessati allo sviluppo della dimensione internazionale del sistema Puglia.
Quali interventi possono permettere alla Puglia di non essere marginale rispetto all'Europa? E su quali settori puntare?
L'industria pugliese è piuttosto giovane, almeno per ciò che concerne il manifatturiero. La sua affermazione in termini quantitativamente e qualitativamente rilevanti ha preso consistenza a partire essenzialmente dagli anni '70.
Si è trattato, generalmente, di un tessuto di piccole e medie imprese, che hanno colto con intelligenza e tempestività l'evoluzione del mercato sia interno sia internazionale, utilizzando a pieno alcuni fattori d'area che hanno assicurato per un verso il necessario know-how e per l'altro la flessibilità e l'elasticità indispensabili per affermarsi. Esse devono ricercare impostazioni manageriali e finanziarie, societarie e strategiche adeguate a reggere la competizione sul mercato. Ma ciò non è sufficiente. E' indispensabile anche creare intorno alle imprese condizioni favorevoli di crescita e di sviluppo. L'infrastrutturazione del territorio, l'integrazione di questo nel contesto nazionale ed internazionale, la sua dotazione di servizi altamente innovativi non internalizzabili dall'azienda (Formazione Professionale, Ricerca innovazione Tecnologica, ecc.) rappresentano in questo senso obiettivi irrinunciabili.
I settori particolarmente suscettibili di ulteriore consolidamento e sviluppo vanno peraltro individuati in quelli già tradizionalmente presenti sul territorio: dal settore tessile-abbigliamento e delle calzature al settore meccanico e metalmeccanico, dal settore agro-alimentare a quello del legno-mobilio-arredamento, da quello dei marmi a quello della lavorazione dei minerali non metalliferi.
Va tuttavia evidenziato come una particolare attenzione vada posta all'esigenza di elevare il livello qualitativo dei prodotti e tecnologico dei processi, ma altresì di espandere il tessuto in direzione di settori a tecnologia più avanzata, al momento scarsamente rappresentante in Puglia. In questo senso l'azione di alcune realtà, come Tecnopolis e il C.N.R.S.M. di Mesagne, potranno sicuramente svolgere un ruolo importante.
Lecce, Brindisi, Taranto: quali sono gli elementi di omogeneità e gli elementi di differenziazione?
La storia degli ultimi decenni ha introdotto degli elementi di profonda differenziazione nella realtà economico-produttiva dei tre centri salentini.
L'atterraggio a Taranto e a Brindisi, sin dagli anni '60, della grande industria, rispettivamente siderurgica e petrolchimica, ha determinato una divaricazione del modello di sviluppo nell'area salentina. Mentre a Brindisi e a Taranto si registrava una trasformazione trainata da grandi insediamenti, che per un verso favorivano la creazione di un tessuto indotto sufficientemente ampio, ma determinavano per l'altro una impostazione monocolturale intrinsecamente debole, a Lecce si assisteva ad una evoluzione assai più lenta, però più diversificata e maggiormente radicata sul territorio. Non a caso furono i settori manifatturieri tradizionali, dal tessile-abbigliamento alle calzature e all'agro-alimentare, a imporsi quali realtà dinamiche a partire dalla seconda metà degli anni '70, e, non a caso, le stesse si presentarono distribuite sul territorio provinciale, dando vita altresì a dei localismi di particolare valenza, come quello di Casarano per le calzature.
Negli anni più recenti, le conseguenze dei processi. di ristrutturazione della Montedison a Brindisi e dell'Ilva a Taranto hanno provocato in queste realtà situazioni di gravi crisi e fenomeni addirittura di deindustrializzazione, mentre Lecce si è trovata al riparo dagli stessi, pur subendo anch'essa situazioni di difficoltà, peraltro di natura diversa e di carattere comunque fisiologico.
Al momento si può affermare che, dopo le crisi acute vissute nel Salento fra gli anni '85-'88, vi e una inversione di tendenza. Tale inversione è peraltro strettamente connessa alla capacità della categoria imprenditoriale di proporsi quale elemento dinamico, soggetto protagonista di un nuovo modello di sviluppo e di un rinnovato periodo di crescita.
Tra l'altro, può essere individuato proprio nella crescita degli imprenditori in termini quanti-qualitativamente significativi l'elemento di omogeneità che accomuna le tre realtà (ma direi l'intera realtà regionale). E' su questo elemento che stanno crescendo i progetti di diversificazione produttiva e di consolidamento aziendale, che lasciano intravedere positive prospettive sia per la reindustrializzazione dell'area brindisina e tarantina sia di espansione dell'area leccese.
Come vede l'economia leccese in un reticolo regionale?
L'economia leccese è sicuramente quella maggiormente articolata nel contesto regionale, e quella capace, potenzialmente, di perseguire un elevato grado d'integrazione settoriale.
La presenza di un'agricoltura che è andata rinnovandosi notevolmente negli ultimi due decenni e l'affermazione di un settore industriale di sicura valenza, inconsistente ancora negli anni '60, ampiamente diversificato e ben distribuito sul territorio, si legano ad una vocazione turistica fra le più spiccate - anche se non altrettanto adeguatamente sviluppata - in tutto il contesto nazionale. A buon diritto quindi il sistema economico leccese può guardare con sufficiente ottimismo al proprio futuro.
Esso tuttavia dovrò ricercare con crescente convinzione il dialogo e l'integrazione nel sistema regionale, in vista di un'espansione che appare indispensabile per assicurare allo stesso le dimensioni ottimali a garantire un adeguato impiego delle proprie risorse.
Insieme con Bari - pur se con dimensioni diverse -, Lecce rappresenta uno dei casi più significativi di sviluppo endogeno autocentrato. Tuttavia, è necessario che venga superata la logica del localismo - come peraltro evidenziano esperienze sempre più numerose di cooperazione - puntando per una scelta, la più ampia possibile, che deve partire da un pieno inserimento nel più ampio sistema regionale.
Un giudizio sul ruolo delle istituzioni a livello di intervento, di strategia e di programmazione.
Oggi più che mai, lo sviluppo del sistema industriale e delle singole aziende (ma anche, più in generale, del sistema economico) dipende dalla formazione di un contesto esterno favorevole alle stesse. Un'adeguata infrastrutturazione del territorio, un'efficiente organizzazione delle funzioni urbane, una significativa dotazione di servizi innovativi, appaiono indispensabili per innescare o alimentare processi di sviluppo sul territorio.
E' chiaro che tutto questo è direttamente collegato all'azione dei soggetti pubblici istituzionalmente preposti ai vari livelli di intervento: da quello centrale (intervento straordinario e ordinario dello Stato) a quello periferico (attività di programmazione e di coordinamento della Regione, attività di intervento e di gestione degli Enti locali).
Si potrebbe subito dire che se fino ad oggi il gap con le regioni del Centro-Nord non è stato colmato, anzi si è accentuato, se la infrastrutturazione del territorio è assolutamente carente e deficitaria, se le nostre città arrancano e i servizi non funzionano, qualcosa non va a livello di Istituzione.
Relativamente all'intervento straordinario, va sottolineata la necessità che si volti definitivamente pagina. Lo stesso, nei termini sin qui sperimentati, non serve alle imprese né al sistema. E' auspicabile invece un efficace ed efficiente intervento ordinario, che elimini la difficoltà del "fare impresa" nel Sud rispetto al Nord.
Si tratta di far cessare il paradossale equivoco di finanziare con l'intervento straordinario opere altrove realizzate con finanziamenti molto ordinari (ultimo recente esempio: si finanziano in Puglia con la legge 64 le strade regionali n. 6 e n. 89, mentre si finanzia con fondi ordinari il raddoppio dell'Autostrada BolognaFirenze). La Regione, d'altro canto, deve recuperare una indispensabile capacità di coordinamento degli interventi di provenienza centrale comunitaria oltre che interna, nell'attuazione di quegli obiettivi programmatici di cui pure si è dotata e che, con il recente piano di sviluppo, ha riproposto in termini apprezzabili.
Ma deve maturare anche un'indispensabile capacità di gestione delle proprie risorse, che consentano una efficace azione sul territorio, sia sul versante dei servizi sia su quello della promozione del sistema e della programmazione dello sviluppo.
Gli Enti locali, infine, devono imboccare con decisione la strada dell'efficienza, ricercando a tale scopo la cooperazione con soggetti e risorse private, individuando, alla luce di una normativa vigente che pure lo consente, ambiti operativi e percorsi funzionali.
Ruolo di Tecnopolis e del Centro di Ricerche sui nuovi materiali di Mesagne nel futuro dell'economia pugliese.
La ricerca finalizzata all'applicazione industriale, la sperimentazione delle innovazioni tecnologiche e la diffusione delle stesse costituiscono, nell'attuale momento storico, condizioni strategiche basilari per sostenere la competitività di un sistema economico e per accelerarne lo sviluppo.
In Puglia esistono due realtà di grossa potenzialità e di formidabile impatto. Il C.N.R.S.M. di Mesagne e Tecnopolis con il suo parco tecnologico rappresentano, infatti, altrettante leve in grado di moltiplicare le possibilità di consolidamento e di espansione del sistema politico e produttivo pugliese. Vi è tuttavia da considerare che l'efficacia dell'azione di tali organismi è direttamente connessa al grado di integrazione con il territorio.
Alla fase del radicamento sin qui perseguito da Tecnopolis e dal C.N.R.S.M., è necessario quindi che segua con decisione ed immediatezza la fase dell'integrazione con il sistema produttivo, finalizzata per un verso a supportare gli sforzi e le strategie delle imprese e, per l'altro, a favorire un'espansione del sistema attraverso il processo di implementazione delle sue attività.

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