§ Un'analisi dell'"Economist"

Intollerabile peso del Sud




Napoleone Colajanni



L'Economist ha dedicato all'Italia uno dei suoi soliti inserti, che costituiscono non solo una fonte di documentazione, ma un materiale di base per la formazione del senso comune internazionale in materia di economia. Vale la pena di notare che il punto di partenza del ragionamento è la disomogeneità dell'Italia; sotto un'apparenza esattamente contraria, di questa disomogeneità il Sud è naturalmente componente essenziale e la cosa non sfugge ad un giornale che si è sempre piccato di riferire come stanno davvero le cose, fuori dagli ideologismi.
Così, per l'Economist, il Sud è una delle due remore che pesano sull'avvenire dell'Italia; l'altra è lo Stato, la condizione dei servizi, l'inefficienza della pubblica amministrazione, il disavanzo pubblico. Le cifre della disomogeneità sono quelle che ben conosciamo, anche se di alcune di esse ci si rende conto solo ora. Ce n'è voluto di tempo perché si cominciasse a dire, non dico a capire, come stanno davvero le cose in materia di disoccupazione: 7,78% al Nord, 21% al Sud. E così per i servizi, con buona pace della lega lombarda, dove secondo la Cee il Sud ha una dotazione che è circa la metà di quella del Nord.
Economicamente, il Sud è un peso per il resto del Paese. lo è per il carico che rappresenta per il bilancio dello Stato, che sarebbe tollerabile soltanto se le somme fossero ben impiegate. Ma lo squilibrio va a costituire un peso per il Paese non solo in termini di trasferimento e di finanza pubblica. Le importazioni nette dall'estero rappresentano il 21,48% del prodotto lordo del Sud, lo 0,38% per l'Italia in complesso. Mettendo da parte il Sud, l'Italia avrebbe un rassicurante avanzo con l'estero. Il conto del divario diventa ancora più rilevante nelle cifre del reddito. il prodotto lordo pro capite nel Sud è il 68% di quello del Nord, ma i consumi pro capite sono l'83%, mentre la produttività complessiva è solo il 56% di quella del Nord. il Sud vive quindi di trasferimenti, che non bastano a riportarlo al livello del Nord. E così lo Stato è attaccato da due lati, dal Nord che ritiene che i trasferimenti siano inutili dato che il divario permane, e dal Sud perché non sono sufficienti a ristabilire l'equilibrio. Paradossalmente, hanno ragione tutti e due, e sta in questo il limite di fondo di quarant'anni di politica meridionale del governi italiani.
Gli incentivi non sono quindi serviti a far decollare il Sud. L'Economist cita il caso della "Texas lnstruments", che ha rinunciato ad investire nel Sud, malgrado incentivi che raggiungevano la cifra di un miliardo per addetto. Sia detto per inciso, la cifra è tale da meritare un controllo, perché sembra davvero poco credibile, anche per gli standard correnti in materia di incentivi. Le ragioni per cui gli investitori stranieri rifuggono dall'investimento nel Sud sono due: la prima è data dalle incertezze che rivestono anche gli impegni più ufficiali; l'altra è la criminalità.
Sul primo punto si è a lungo discusso, perché essa coinvolge problemi di organizzazione dello Stato, di organizzazione di procedure, ma che restano intrinsecamente legati alla natura della classe dirigente meridionale. Sul secondo fattore che scoraggia gli investimenti - la criminalità - vale la pena di fare qualche considerazione che probabilmente mostra un legame tra sviluppo economico e crimine organizzato.
L'Economist divide le regioni italiane in cinque gruppi, in base al reddito pro capite. Facendo uguale a 100 la media italiana, la Lombardia è130, Marche e Umbria tra 90 e 110, tutte le altre regioni del Centro-Nord sono tra 110 e 130. Nelle regioni meridionali c'è una differenza assai netta. Abruzzo, Molise, Puglia, Sardegna sono tra il 70 e il 90% della media italiana, mentre Sicilia, Calabria, Campania e Basilicata sono sotto il 70%. Per le regioni adriatiche si accenna una spiegazione francamente cervellotica, che qui l'influenza veneziana supererebbe quella romana, ma è inutile prenderselo: quando si parla dell'Italia, anche nei giornali più seri deve esserci per forza qualche sciocchezza.
La domanda che vale la pena di porre è se il fatto che le regioni che più si attardano economicamente sono (con l'eccezione della Basilicata, che peraltro è assai vicina al limite di reddito pro capite delle regioni meridionali più progredite) quelle in cui il crimine organizzato è più forte, e se questa sia solo una coincidenza. Non mi pare assurdo ritenere che un qualche legame tra le due cose ci sia. Non è molto utile andare a discettare se è lo sviluppo che limita il crimine, o è l'esistenza della criminalità organizzata che impedisce lo sviluppo. La conclusione che si può trarre è che lotta alla criminalità e politica di sviluppo sono intrecciate tra loro. Una politica di spesa pubblica senza rigore nella lotta alla criminalità finisce per impinguare le casse della mafia, scoraggiando gli investimenti produttivi. E' l'ennesima conferma del punto di forza del meridionalismo autentico: la connessione che deve esistere tra ordinamento dello Stato, protezione del cittadino e politica economica.
L'Economist si pone due domande e dà una risposta. Il problema del Sud conta davvero per il Paese? L'Italia può continuare ad andare avanti anche con questo fardello? La risposta è affermativa a tutte e due le domande: l'Italia è ricca abbastanza per sopportare il peso del Sud, ma questo peso è grave e potrebbe crescere nel tempo. La conclusione mi pare corretta, a patto che si vada oltre quel tanto di economicistico che ci può essere in questo discorso. Non si tratta solo o non si tratta tanto del fatto che in questo modo, per prospera e democratica che sia, l'Italia lo sarebbe assai meno di quanto potrebbe essere.

E' vero che il livello assoluto del reddito rende sopportabile anche nel Sud la disoccupazione e che il tempo delle jacqueries e delle sommosse per il pane è ormai tramontato; ma l'ingovernabilità ha un prezzo che si paga nei tempi lunghi. Il Sud è di nuovo un nodo per il Paese, anche se economicamente si può sopportare, perché in relazione al Sud lo Stato manifesta in modo più palese la sua inefficienza, nell'economia come nell'ordine pubblico. E ciò si potrebbe pagare in termini di coesione nazionale assai prima di quanto si pensi.


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