FRANCESCO
SPADA
Da Lecce (lettera ms.) 1981 Per la redazione di Caffè Greco
Cari amici,
Con immenso rammarico, ho avuto occasione di vedere l'ultimo numero
di Caffè Greco.
Credevo di aver fatto cosa gradita, nel progettare a mie spese la
nuova testata e copertina, e ancora, avervi autorizzato a pubblicare
alcune mie foto su Ezechiele Leandro, una di queste inedita.
Ma a quanto pare, almeno a giudicare da quel che avete fatto non mi
sembra che tutto questo, sia stato ricambiato nella giusta misura.
Credevo di aiutare dei compagni, i quali si sforzano a fare del lavoro
culturale militante, ma dalla militanza culturale, a fare i sarti
c'è una bella differenza.
Allora cari amici decidete che mestiere fare, perché non io
non vi ho autorizzato a tagliare e ritagliare in quel barbaro modo
le mie immagini.
E vi rammento che il rispetto per il lavoro altrui almeno per me è
una regola di vita e vi risparmio, di informarvi su cosa si intende
per lavoro culturale.
Francesco Spada
FRANCESCO SPERA
Da Torino (lettera ms., carta intestata: Università degli Studi)
12. 4. 1986
Caro Verri,
la ringrazio con un po' di ritardo per avermi inviato il suo Fabbricante,
che ho letto con interesse e apprezzato per l'intelligenza del progetto
letterario e la complessità della costruzione strutturale.
Anche da un punto di vista linguistico c'è una varietà
di stili davvero abile e affascinante. le scrivo in ritardo poiché
in questi mesi ho avuto un laborioso trasloco e inoltre ho dovuto
occuparmi del mio prossimo trasferimento universitario: ho vinto un
concorso e avrà la cattedra a Catania. Ancora congratulazioni
e grazie. Sarà lieto di seguire i suoi prossimi lavori. Con
i più cordiali saluti
Francesco Spera
SERGIO SPERTI
Da Lecce (lettera datt.) 23 giugno 1988
Caro Antonio.
E' sera mentre ti scrivo. Sono esattamente le ventuno e dieci. Mi
sono seduto alla scrivania, ho messo il foglio nella macchina da scrivere,
ho battuto "Caro Antonio", mi sono fermato, ho acceso il
sigaro ed ho cominciato a riflettere sull'invito da te rivoltomi a
parlare del mio "concezionismo". E, mentre mi soffermavo
su questa mia concezione cosmica dell'arte e su ciò che avrei
dovuto scrivere per trasmetterla, ho fatto alcune considerazioni.
La geometria della ragione umana è composta da strane piramidi.
Al contrario di quelle irrazionali o empiriche, queste sono composte
da "ideali-blocchi" di cui quello successivo, più
grande, pur non escludendolo, prescinde il precedente, più
piccolo, del quale è la risultante. Esse non sono costruite
o definite, ma vissute in ragione del loro vertice: la "verità
vera". Lì - al vertice, dico - vi è la pietra più
grossa, il "grande monolito": questo è così
grande, immenso, che la base di partenza, nei suoi confronti, appare
tanto piccola da sembrare un vertice, anzi un infinitesimale. Dall'infinitesimale
nasce quindi questa immensa piramide: essa è tanto più
stabile quanto più è piccola la sua base e grande il
suo vertice. la proiezione razionalgeometrica dell'apotema di uno
dei suoi infiniti lati, su un piano passante per l'infinitesimale
e parallelo al suo vertice, dà come risultante una linea che
si prolunga nell'infinito, a cui tutto tende, fin dove l'altro estremo
dell'apotema coincide con la sua proiezione. E' come dire che se noi
iniziassimo una scalata lungo l'apotema per raggiungere la sommità
della piramide, il "grande monolito", alla fine di essa
ci ritroveremmo sul piano di partenza passante per l'infinitesimale;
ma ciò, certamente, non renderebbe vana la nostra impresa.
Insolito? Ma non impossibile!
Anzi, il fatto che rende più interessante tale strana piramide
della ragione è che, fatte le dovute considerazioni, ci rendiamo
conto che la sua base è il suo vertice e viceversa, essendo
l'uno la proiezione dell'altro. Sempre più insolito? Ma sempre
meno impossibile!
Se ci troviamo alla base infinitesimale di questa piramide razionale,
la nostra natura di esseri dotati di "ragione potenziale speculativa"
ci spinge a compiere la scalata per raggiungere il "grande monolito".
Durante il tragitto, ci potremmo rendere conto che, nonostante il
nostro procedere, il "grande monolito", ovvero la "verità
vera", sardi sempre davanti a noi, nel futuro, pur essendo dietro
di noi, nel passato, e viceversa. Ma neppure questa constatazione
renderebbe vana la nostra impresa. Né ci farebbe desistere
il possibile fallimento, la lotta contro la quasi certezza dell'irraggiungibilità
di quella meta, contro quel vile pensiero che ci spinge alla resa:
tutto sommato, così com'è strutturato l'universo, e
la ragione umana, non siamo venuti al mondo per essere felici ma per
lottare - contro la luce, le tenebre, il fuoco, il vento, la tempesta,
la catastrofe, la guerra, il destino, la vita, il sogno, la morte,
l'ignoto, i dualismi... - anche contro la ragione e il polimorfismo
e le polivalenze di polarità interconnesse. Quindi, se non
è vano compiere questa impresa, partiamo pure dall'infinitesimale
alla conquista del "grande monolito", nella chiara consapevolezza
che la "verità vera" potrà trovarsi sempre
davanti a noi, ripeto, e dietro di noi, che avvicinandoci ad essa
ce ne allontaniamo e allontanandocene ci avviciniamo.
Una tautologia? Il termine non mi dispiace se l'intendiamo nel suo
significato strettamente etimologico: tautò, lo stesso, e lògos,
discorso. D'altronde, non sono sempre lo "stesso discorso"
i giorni, le stagioni, il ciclo continuo e senza meta della natura,
la vita umana? Ma ritorniamo al nostro "infinitesimale",
alla base della nostra piramide razionale, e iniziamo il nostro viaggio-indagine.
Partendo dall'infinitesimale, il nostro scopo sarà quello di
tentare una ipotesi razionale votata a chiarire il processo che va
dall'origine dell'universo fino alla formazione della "sostanza
pensante", alla "ragione potenziale speculativa", ovvero
fino all'uomo e alla sua "coscienza autodeterminante", per
comprendere il suo divenire e il senso del suo bisogno spiritual-biologico
di fare arte. Spiritual-biologico è sinonimo di "ragione".
A dimostrare la fondatezza della citata "tautologia", e
che l'esistenza dell'universo è una continua proiezione al
divenire fondata proprio su quel sempre "stesso discorso",
ti citerò il "paradosso dei l'astronauta ". Una navicella
spaziale ed il suo pilota si trovano nello spazio. L'astronauta, dal
suo punto di osservazione, non vede nessun corpo celeste: in pratica,
non ha punti di riferimento; neppure noi ne avremmo se considerassimo
la nostra intera galassia una navicella spaziale. Prima di partire,
il pilota si guarda intorno e, trovandovi l'infinito in tutte le direzioni,
suppone di trovarsi probabilmente al centro dell'universo. E parte;
la sua velocità è di poco inferiore a quella della luce.
Supponiamo ora di disporre noi di un potentissimo radar in grado di
registrare lo spostamento dell'astronave. Infatti, puntualmente il
monitor segnala il suo effettivo velocissimo spostamento nello spazio.
Dopo dieci anni, più di mille per noi che ci siamo succeduti
di generazione in generazione all'osservazione dei monitor, il pilota
decide di fermarsi per verificare la sua posizione nello spazio e,
riguardandosi intorno, ritrova sempre l'infinito in tutte le direzioni.
Deduce Che, essendo quella la stessa posizione di prima, non essendosi
mai spostato, la sua astronave sia rimasta immobile. Egli ha ragione
da vendere; ma anche noi, che l'abbiamo visto muoversi ininterrottamente
per mille lunghi anni. Unendo le due esperienze, possiamo dire che
l'astronave pur muovendosi è rimasta ferma, e viceversa. Infatti,
nello spazio in cui l'astronauta agisce tutte le grandezze - spazio,
tempo, velocità - hanno un rapporto con l'infinito pari ad
un infinitesimale. Mi riferisco non al nostro universo limitato e
curvo, costituito dalla galassia delle galassie, ma a quello "spazio
primario" dentro il quale l'universo continua ad espandersi.
Inoltre se potessimo osservare lo spazio intorno a noi collocandoci
su ciascuna delle galassie faremmo la stessa esperienza dell'astronauta:
da ciascuna di esse ci troveremmo l'infinito davanti in tutte le direzioni,
deducendo paradossalmente che tutte le galassie occupano lo stesso
punto, ovvero il centro, nello spazio pur essendo inconfutabile la
distanza che intercorre tra esse.
Ora, non esistendo nell'universo nessun corpo allo stato di quiescenza
essendo la dinamicità - spazio, tempo, velocità - la
condizione essenziale del divenire, ovvero del persistere ad essere,
dobbiamo concludere che in esso, pur movendosi tutto, tutto è
fermo, e, pur essendo tutto fermo, tutto si muove. Mio buon amico,
dobbiamo quindi rivedere il nostro concetto di spazio-tempo, non dimenticando
che l'arte, in ogni sua specie, si esprime in forma sensibile attraverso
queste grandezze. Non possiamo razionalmente stabilire un concetto
dualistico - ritornando al suddetto "infinifesimale" - tra
passato e presente o tra presente e futuro; possiamo invece porre
questa polarità tra passato e futuro, cioè tra ciò
che costituisce il nostro vissuto e ciò che dovrà essere
vissuto, tra la conoscenza e l'ignoto, la certezza e l'incertezza.
Se volessimo indicare il "presente" proprio nell'attimo
in cui esiste come tale, ciò non è né passato
né futuro, dovremmo riferirci ad una quantità di spazio
e di tempo pari ad un infinitesimale (1/¥). Esso non rappresenta
ancora il "divenire" ma soltanto l'"essere", lo
"zero assoluto" (Oa): questo non è sinonimo di nulla,
ma la base fondamentale e il punto di partenza per una numerazione
lunga fino all'infinito. Prima di esso o senza di esso è il
nulla; ciò che esiste dopo lo "Oa" non è altro
che il divenire del medesimo, considerato come il suo passato, il
suo vissuto. Per chiarire: la quantità "uno" ed il
suo opposto, "meno uno", rappresentano il divenire dello
zero, in termini matematici.
Quindi, Antonio, se l'essere è 1/¥ senza passato né
futuro, possiamo certamente sostenere che la "dualità"
non è una proprietà dell'"essere" ma una risultante
o una variabile dipendente del "divenire": nell'"essere"
come essenza primaria questa conflittualità non esiste: esso
è un "ente infinitesimale", è l'"essenza
assoluta", l'"immoto assoluto", il "presente quiescente".
Se l'"essere" è il "presente quiescente",
è chiaro che il "divenire" è il prodotto dell'"essere"
(E) per la velocità per il tempo: E = 1/¥; D (divenire)
= 1/¥vt = Evt = Oa vt.
Ne deriva che è proprio nella uguaglianza D = 1/¥vt che
vi è il trascorrere del tempo e dello spazio, il divenire del
presente quiescente, ovvero dell'essere, dell'esistenza, dell'universo,
della natura e dell'uomo. La quintessenza dell'uomo non va cercata
infatti nel puro essere ma nel divenire come dualità e nel
significato profondo di tale realtà. Cercare la "verità
vera" significa indagare criticamente e scoprire le ragioni profonde
e vitali del divenire dell'esistente, che ha le sue origini nella
relazione D = 1/¥vt e la sua ragione nella concezione dualistica.
Se la relazione spazio-tempo rappresenta il divenire (D) dell'essere
(E), e quindi dell'uomo, possiamo ben comprendere come tale relazione
rappresenti per la vita umana l'acquisizione della "coscienza
d'esistere" della "coscienza determinante" (la logica),
della "coscienza autodeterminante" (la ragione). Con l'acquisizione
di tale "coscienza d'esistere" da parte della materia s'instaura
anche il "concetto dualistico"; ovvero, perché si
acquisti tale coscienza è necessario che la materia sia una
sostanza in grado di produrre pensiero, e quindi il concetto dualistico.
Caro Antonio, qui potremmo fermarci se quello "stesso discorso"
non c'imponesse di fare una considerazione su quella piramide la cui
base coincide con la proiezione del suo vertice. Infatti, possiamo
dimostrare che il concetto di "essere" o "presente
quiescente" o "immoto assoluto" definisce anche il
concetto di velocità infinita: in pratica, se il nostro divenire
- o "cronos biologico" - procedesse ad una velocità
indefinibile o infinita ritornerebbe al "presente quiescente",
al puro "E". Supponiamo un infinitesimale tanto veloce da
trovarsi in ogni punto dello spazio contemporaneamente, cioè
infinitamente veloce: occupando ogni punto dello spazio risulta essere
onnipresente - ma anche immenso - e perciò immoto. Ne deriva
che: primo, l'infinitesimale immoto è equivalente dell'infinitesimale
veloce; secondo, l'infinitesimale infinitamente veloce definisce il
concetto d'infinito. In pratica, la citata uguaglianza D = 1/¥vt
rappresenta, come abbiamo detto, il divenire della materia ad una
data velocità e a un dato tempo: se noi imprimiamo al divenire
una velocità indefinibile, con il tempo conseguentemente ridotto
ad 1/¥, si ha quanto segue: se E = 1/¥ e D = 1/¥.v.t,
per v = ¥ e t = 1/¥ avremo D = 1/¥.¥.1/¥ = 1.
¥/(¥)² = 1/¥ (un infinitesimale) quindi D = 1/¥.
Oppure, per v = 1/¥ e t = ¥ avremo D = 1/¥.1/¥.¥
= 1.¥/( ¥)² - 1/¥ (un infinitesimale) quindi seguire
D = 1/¥, ovvero "D" = "E". Perciò D
= 1/¥. v.t; v.t = cronos biologico = A.B.n X n; D = 1/¥. A.B.n.
X n. v.t.
Quanto detto dimostra sostanzialmente che il "divenire"
(D) dell'"essere" (E) può derivare tanto dall'accelerazione
dell'infinitesimale immoto, quanto dalla decelerazione dell'infinitesimale
dalla sua velocità indefinibile, successivamente stabilizzatosi
ad un particolare rapporto di spazio-tempo che noi abbiamo già
definito "cronos biologico". Ciò significa che nell'infinitesimale
è contenuto interamente il suo divenire, esattamente come lo
zero contiene in sé l'infinito concetto dei numeri. Tale processo,
quindi, abbisogna di due eventi fondamentali: primo, il passaggio
dallo stato di quiescenza, o dallo stato di velocità indefinibile,
alla condizione espressa dal concetto D = 1/¥vt, attraverso una
accelerazione o una decelerazione dell'infinitesimale; secondo, la
perdita del l'accelerazione o della decelerazione iniziali e lo stabilizzarsi
ad una velocità costante, ovvero ad un rapporto costante spazio-tempo.
Perdendo l'accelerazione o la decelerazione iniziali la velocità
assume un valore costante e immutabile: l'infinitesimale si espande
per il continuo fluire del tempo e dello spazio, senza soluzione di
continuità, dando origine ad un gigantesco sistema inerziale
(il nostro universo, limitato e curvo, costituito dalla galassia delle
galassie) regolato dalla "velocità universale di espansione",
dal rapporto costante dello spazio e del tempo universali, dal "principio
universale dell'autodeterminazione" (velocità, tempo e
spazio relativi a sistemi inerziali più semplici che agiscono
all'interno del grande sistema inerziale universale). Mancando forze
acceleratrici o ritardatrici si stabilisce un "equilibrio universale",
dove lo spazio universale è l'estensione del tempo universale,
e viceversa, non essendovi tempo senza spazio e spazio senza tempo.
Dal "presente quiescente" si è pervenuti, quindi,
al "divenire" per effetto di quella relazione vt=s che dobbiamo
considerare fondamentale per l'origine della materia esistente in
tutto l'universo; spazio e tempo sono indissolubilmente legati alla
materia, senza i quali essa non potrebbe persistere ad esistere. Certamente,
ogni ulteriore trasformazione radicale dell'universo è impedita
dal valore costante di vt=s universale.
E, come tutta la materia esistente, anche l'uomo, la sua intelligenza,
il suo pensiero, sono la risultante dinamica del rapporto spazio-tempo.
Ora, Antonio, ritornando alla nostra conversazione di sabato scorso,
ribadisco che le "idee", i "concetti", hanno una
estensione spazio-temporale senza la quale non potrebbero esistere
o divenire: perciò essi sono materia reale, e come tutte le
realtà, riconducibili alla nostra memoria; perciò essi
sono osservati e analizzati come ogni realtà. In pratica, come
potremmo noi ricordare un concetto mai pensato? Ma se noi l'abbiamo
pensato, ovvero esiste come materia, possiamo ricondurlo alla nostra
memoria. Anzi, per dimostrarti che il pensiero è una particolare
sostanza facente parte integrante della materia universale, ti dirà
che tutto l'esistente non potrebbe essere definito come tale se non
fosse pensato come tale: l'infinito, l'universo, se non fossero pensati
non esisterebbero per nessuno, forse non esisterebbero affatto. Ecco,
molti pensano che il pensiero, la ragione, siano qualcosa di soggettivo,
finalizzati solo all'agire dell'uomo, e non si rendono conto che questi
potrebbero compromettere l'intera esistenza dell'universo. Quanto
detto non deve indurci a pensare erroneamente che tutto l'esistente
esiste in quanto è pensato dalla mente umana, come se fosse
addirittura una creazione dell'uomo: diciamo semplicemente che la
sua esistenza non sarebbe giustificata senza la coesistenza di una
sostanza pensante in grado di definirla e finalizzarla. Te lo sapresti
immaginare il nostro pianeta - con le sue montagne, i suoi oceani,
i suoi boschi, i suoi venti, le sue tempeste, le sue stagioni, i suoi
tramonti... -senza l'uomo? Che senso avrebbe la sua esistenza? Anche
i deserti pianeti del nostro sistema solare hanno un senso per l'uomo!
Ora, se l'universo 1 non potrebbe essere definito come tale se non
fosse pensato dall'uomo, se potrebbe non esistere se non fosse pensiero,
vuoi dire che sussiste un inscindibile rapporto tra realtà
e pensiero, tra pensiero come realtà e realtà come pensiero.
Riferendoci all'uomo possiamo dire: la realtà esiste in quanto
è pensata, ed è pensata in quanto esiste. La prima parte
della mia affermazione ha un valore assoluto; la seconda, ha un valore
relativo, pone un limite all'uomo, il quale non potrebbe pensare la
realtà se questa già non esistesse. Esclusa, quindi,
l'ipotesi dell'uomo-creatore, ovvero del pensiero umano come creatore
di tutto l'esistente e di sé stesso, riconsideriamo il valore
assoluto della prima parte della mia affermazione: da essa facilmente
si deduce che tutto l'esistente perché esista deve essere pensato,
prima che esso venga pensato e contemplato dall'uomo. Quindi dobbiamo
necessariamente ammettere una idea a priori, un pensiero, che è
all'origine dell'universo: essa, per il suo primato, è l'"idea
generante" ma anche l'"intelligenza programmatrice"
di tutto l'esistente. Ciò, ma non solamente ciò, c'impedisce
di pensare al "caos" o al "caso", insomma ad una
combinazione casuale di elementi preesistenti (?) che hanno poi dato
origine alla materia così come noi oggi la conosciamo. Se tale
"casualità" fosse nella nostra mente sarebbe segno
di grave ingenuità. Lo stesso concetto di "idea",
ovvero di pensiero logico, ordinato, esclude ogni "casualità",
poiché essa è "generante" un esistente matematicamente
ordinato. Infatti, se noi osserviamo tutta la materia esistente, dall'universo
all'atomo, ci rendiamo facilmente conto che essa diviene obbedendo
a delle leggi ben precise, a delle regole universali fuori dalle quali
non potrebbe esistere; parte di tali leggi noi abbiamo già
quantificato in termini matematici. La presenza di tale "intelligenza"
nella materia ci conferma l'ipotesi dell'esistenza di una "intelligenza
programmatrice". D'altronde se noi osserviamo la complessa struttura
di una centrale atomica -che è ben poca cosa nei confronti
della complessa struttura universale - non pensiamo certo ad un asino
ma all'intelligenza umana e alla sua capacità indagatrice e
programmatrice; né ci salterebbe mai in mente di attribuire
tutto ciò al caso o al caos. Da quanto detto è facile
dedurre che in verità il caso e il caos non appartennero mai
al nostro universo né sono mai esistiti; l'attuale sistema
universale, sin dalla sua origine, fu programmato dall'"idea
generante" per essere un sistema funzionale, finalizzato, matematicamente
ordinato, così com'è matematicamente ordinata la complessa
architettura del nostro organismo.
Quale ingenuo, dopo una valutazione attenta e serena, potrebbe attribuire
al caso tutto ciò che esiste? Altrimenti dovremmo supporre
che la mancata realizzazione di un qualche casuale processo avrebbe
potuto compromettere la nostra esistenza; ma l'ipotesi è troppo
ingenua e i conti non tornano. Invece, guarda il caso, tutto si è
evoluto secondo una ragione, una logica, un ordine, una regola, così
puntuali e precisi che solo l'ingenua intuizione dell'uomo può
pensare al caso. Quando noi abitualmente, riferendoci all'uomo, parliamo
di logica, di ragione, di ordine, di regola, è evidente che
il soggetto è un essere intelligente in grado di contenere
tali qualità; perché, allora, quando parliamo, riferendoci
all'universo, di ragione, di logica, di ordine e di regola universali
il soggetto deve essere il caso invece che una "intelligenza
programmatrice" o una "idea generante" in grado di
esprimere tali universali qualità? Si tratta sempre della solita
ingenua intuizione. In verità, la scienza è votata,
dal punto di vista eziologico, alla conoscenza profonda della materia
considerata solo nel suo ciclo continuo, ovvero nel suo processo;
ma dal punto di vista teleologico essa ignora o trascura gravemente
l'evento per il quale la materia esiste, le sue finalità, le
finalità dell'uomo "essere pensante" e del suo agire
e indagare la realtà. Tale conoscenza scientifica fine a sé
stessa non cambia difatto la condizione dell'uomo, la sua umanità.
Qui s'innesta la mia indagine filosofica "concezionista"
e "protometafisica" razionale.
La conoscenza scientifica dell'esistente è l'espressione evidente
del progresso e del desiderio di conoscenza assoluta che ha nell'"idea
generante" il suo vertice; per cui ogni revisione cambiamento,
ogni nuova conoscenza scientifica e ogni nuova visione dell'universo
non ci devono mortificare né disorientare: il progresso ci
appartiene, è continuo fluire dello spazio e del tempo, è
vita ed evoluzione necessaria per l'uomo. Le nuove conoscenze scientifiche
possono destabilizzare solo gli assiomi - anche morali e teologici
- che risultano essere arbitrari e perciò relativi, di cui
la nostra cultura e la nostra visione del mondo e la metafisica tradizionali
sono pervase. Infatti, molti filosofi e umanisti della storia del
pensiero, analizzando quanto di segreto, di oscuro e d'incerto si
agitava nei meandri della coscienza umana, concretarono assiomi morali
che servirono agli uomini per far momentaneamente luce su tali complesse
problematiche interiori: questi assiomi morali erano così radicati
e comprensivi che subito gli uomini s'identificarono in essi.
Ma, in verità, un'analisi attenta, anche dal punto di vista
psicologico, ci rivela che alcuni princìpi fondamentali dell'etica
e il loro solido fondamento derivano dalla lenta stratificazione delle
reazioni emotive e spirituali e dalla tendenza personale e collettiva
a sfuggire ogni concezione grande-dualistica della vita, e quindi
il dolore e la morte.
Il vero filosofo, colui che ama profondamente la verità vera,
ha la mente e lo spirito aperti ad ogni possibile soluzione del problema
umanistico-cosmico; se dovesse scoprire che il destino dell'uomo è
quello di avere un'"idea generante" alla sua origine - ma
tu, Antonio caro, credo che stia già pensando a Dio, come "idea
generante" e "intelligenza programmatrice" di tutto
l'esistente - considererebbe ciò una grande conquista, un grosso
traguardo; egli non segue mode o capricci né modelli intellettuali,
ma solo la via della verità.
Ora, mio buon amico, il concetto di Dio è bellissimo e importantissimo,
coincide con la nostra idea di libertà', è frutto di
una mente umana libera, disinibita, matura, è l'esatto contrario
di oscuro e limitante, non ha niente da spartire con rituali e processioni
paesane, è il nostro sangue caldo e l'incredibile pulsare continuo
del cuore, è il nostro cervello e la capacità creativo-investigatrice
della nostra "ragione potenziale speculativa", è
la nostra memoria, la nostra coscienza, la nostra volontà,
il nostro dramma cosmico.
Dio è scienza, Antonio, null'altro che scienza. E l'arte è
veramente tale solo quando diventa partecipe, s'integra, s'armonizza
col "dramma cosmico". Se gettiamo via questa "chiave"
tutte le porte della conoscenza vera ci sono precluse, e non ci resta
che un posto all'osteria dove pseudo-artisti intellettualoidi fanno
l'arte tra una spaghettata e l'altra, o dietro qualche scrivania a
cercare invano di rendere verosimile e coerente la nostra inverosimile
incoerenza.
La scienza non potrà mai smentire o contraddire ma soltanto
confermare l'esistenza dell'"idea generante": solo l'ingenua
intuizione può stabilire l'incompatibilità tra Dio e
scienza. L'intelligenza Programmatrice è ragione e scienza,
perciò Essa può essere conosciuta attraverso la ragione
e la scienza. la Sua esistenza non deve assolutamente accettarsi a
priori, poiché sarebbe una labile convinzione fondata sul nulla;
anzi mi chiedo come si possa credere in un Dio che non si conosce.
Si è sempre detto: "Dio, o si accetta o non si accetta";
niente di più falso: che convinzione sarebbe mai quella di
un credo fondato sul l'accettazione supina, scriteriata, di un Dio
che non può essere dimostrato! Ciò che non può
essere dimostrato non esiste. Infatti, la somma di tutte le leggi
fisiche, chimiche, matematiche, biologiche, ecc., non sono altro che
la prova scientifica dell'esistenza di Dio: certamente, della Sua
totale esistenza e non della nostra Sua totale conoscenza.
L'"idea generante", come "intelligenza programmatrice",
esclude quindi l'ipotesi di caos e di ogni casualità: l'infinitesimale
si è evoluto secondo le regole di un disegno ben preciso, i
canoni di una architettura universale finalizzata all'esistenza dell'essere
pensante. Le condizioni spazio-temporali programmate dall'Idea Generante
e relative al nostro sistema inerziale - forse sarebbe bastata una
quantità piccolissima di spazio-tempo in più o in meno
per compromettere la vita - permisero alla materia di acquistare le
proprietà di una particolare sostanza organica in grado di
produrre pensiero.
La sostanza così ottenuta, ovvero l'uomo, rende finalizzata
l'esistenza dell'universo e dell'"idea generante", la quale
non esiste più solo per se stessa ma è conosciuta, cercata
e amata dalla sostanza pensante.
Ora - resta chiaro, Antonio, che nella sintesi del discorso cerco
di suggerirti dei concetti laconici, non ampiamente motivati, che
devi sottoporre alla tua riflessione - se tutto l'esistente è
finalizzato da una sostanza pensante che può contemplarlo come
tale, altrimenti non esisterebbe per nessuno o non esisterebbe affatto,
dobbiamo necessariamente concludere che nel nostro universo, su sconosciute
galassie, esistono altri esseri pensanti che ne rendono finalizzata
l'esistenza. Quindi, sappiamo con certezza della esistenza di galassie
tanto lontane che il nostro cielo notturno non contiene e i nostri
occhi non possono vedere; ma sappiamo anche dell'esistenza di sconosciuti
pianeti che vivono intorno alle stelle della nostra galassia; e sappiamo
infine che se dovessimo ammettere per certa la nostra solitudine,
se dovessimo credere che sia tutto l'universo una enorme dimensione
spazio-temporale senza vita di cui noi siamo l'unico, piccolo, impercettibile
cuore che pulsa, significherebbe che in essa c'è qualcosa di
troppo. A che servirebbero le lontane galassie, questi lontani mondi,
senza esseri coscienti che ne renderebbero finalizzata l'esistenza?
E come conciliare, contrariamente a quanto c'insegna la nostra esperienza,
il concetto di "intelligenza programmatrice", che finalizza
l'esistente all'esistenza dell'essere pensante, con la creazione di
complesse galassie e complicati sistemi solari incredibilmente superflui
e non finalizzati? In verità, la nostra osservazione sull'esistente
ci conferma che nulla è di troppo, nulla è superfluo.
Allora sarebbero proprio le sconosciute galassie e i pianeti non identificati
della nostra il "grande superfluo" della creazione, magari
sfuggito al controllo dell'Idea Generante a causa di una sua distrazione?
Si tratta sempre della classica ingenua intuizione: essa suppone che
noi siamo gli unici abitanti dell'universo, rispolverando l'obsoleto
fantasma della teoria geocentrica che poneva l'uomo al centro di esso.
Ma la nostra ragione ci dice che le galassie non sono altro che immensi
embrioni vaganti nello spazio contenenti la vita di tanti mondi, di
tanti altri mondi diversi dal nostro, abitati da esseri pensanti come
noi.
Certamente non sono passati molti secoli da quando ancora si credeva
che il nostro pianeta fosse limitato alle sole terre conosciute: poi
le grandi scoperte geografiche del XV secolo, quindi le nuove terre,
i nuovi orizzonti, i nuovi popoli, le nuove civiltà, le nuove
colture, i nuovi linguaggi, le nuove esperienze. E la nostra visione
del mondo diventò diversa, più grande. Oggi noi abbiamo
le stesse credenze di allora, quando si pensava che gli unici abitatori
della terra fossero i popoli fino a quel momento conosciuti; ma altri
popoli, altre civiltà ci toccherà scoprire, non sul
nostro pianeta oramai. la stella più vicina a noi, l'Alpha
Centauri, dista dalla terra circa 4,3 anni luce - la distanza terra-sole
è pari a circa 0,00000016 anni luce - ed i pianeti che possono
costituire insieme ad essa un sistema solare simile al nostro sarebbero
troppo piccoli e troppo poco luminosi per essere osservati ad una
simile distanza. Eppure, nonostante queste difficoltà, sembra
opinabile che esistano altri sistemi solari simili al nostro abitati
da esseri pensanti, poiché processi simili alla nascita del
nostro sistema solare, e quindi della vita cosciente, si sono verificati
in incommensurabili punti dell'universo. Infatti, se supponiamo vera
l'ipotesi esposta precedentemente sull'infinitesimale e la sua evoluzione,
dobbiamo ritenere che tutta la materia esistente nella galassia delle
galassie sia costituita dagli stessi elementi; ma anche Che, essendo
stati universali i programmi e le leggi dettate alla materia e necessari
per la sua esistenza, in ogni punto dello spazio universale essa si
sia formata alla stessa maniera e con le stesse caratteristiche atomiche
e molecolari, non esistendo nell'universo condizioni esterne alla
materia, e quindi oggettive, in grado di modificare gravemente la
sua formazione. A parte le differenze non radicali che possono sussistere
tra un pianeta e un altro, tra una galassia e un'altra, è opinabile,
sempre in ragione di quelle leggi universali che costituiscono una
caratteristica costante nella materia, che se si è formata
la vita su un altro mondo non possono che essersi combinati gli stessi
elementi che generarono la vita sul nostro pianeta. Se la nostra ipotesi
razionale sulla vita nell'universo e sulla esistenza di altri esseri
pensanti è esatta, possiamo tentare di stabilire un "criterio
universale di essere cosciente". Resta chiaro che non mi riferisco
al fatto che questi sconosciuti esseri debbano avere necessariamente
le caratteristiche fisiche dei terrestri - arti, mani, stomaco, bocca,
ecc. ecc. - ma a quelle peculiari proprietà che ci permettono
di definirli comunque, nonostante differenze che dobbiamo ritenere
non sostanziali, esseri viventi e coscienti come noi ci riteniamo
di essere. Il mio "criterio universale di essere cosciente"
si basa, quindi, sulla necessità di possedere cinque proprietà:
tre secondarie e due primarie. le tre secondarie sono: a) capacità
di poter osservare il mondo e l'universo intorno; b) capacità
di poter ascoltare i propri simili; c) capacità di poter comunicare
con i propri simili. Le due proprietà primarie sono: 1) intelligenza;
2) coscienza, "determinante" e "autodeterminante",
ovvero la capacità di produrre ed elaborare pensiero. Se questi
ipotetici esseri, indipendentemente dal loro aspetto esteriore, hanno
queste qualità universali possiamo certamente supporre che
anche loro, di fronte al cosmo e all'universo, si siano posto il problema
della loro mutabilità, della loro esistenza e, filosoficamente,
il problema dell'intelligenza Programmatrice o dell'Idea Generante,
e quindi di Dio.
Ecco - tu penserai, Antonio - arrivati a Dio abbiamo raggiunto il
"grande monolito". In verità, non è Dio il
vertice della nostra piramide razionale: l'esistenza dell'Intelligenza
Programmatrice è tanto scontata quanto è scontata e
inconfutabile la nostra esistenza. Noi non siamo l'idea a priori,
ma ne costituiamo la forma, il pensato. E' talmente evidente l'esistenza
dell'Idea Generante, il fatto che non possiamo aver pensato l'universo
e noi stessi, che identificare Dio con il "grande monolito"
sarebbe gravemente riduttivo per la nostra ragione speculativa. L'uomo
è un ricercatore del più alto grado di verità;
ma ciò che egli cerca non è Dio, nella cui idea agisce
ed esiste, ma il vertice, il grande vertice della piramide razionale.
Dio è la nostra esistenza, il nostro cammino, la nostra incredibile
scalata verso quel vertice.
Ho detto prima che se noi ci troviamo alla base della piramide la
ragione ci spinge a compiere ogni tentativo per raggiungere il vertice,
che nonostante il nostro procedere esso si troverà sempre davanti
a noi, che se mai lo raggiungessimo ci troveremmo al punto di partenza
e che tutto ciò non sarebbe vano a compiersi. Allora chi è,
cosa rappresenta, quale mistero avvolge o si nasconde nel "grande
monolito"? Poiché è certo: lì è l'arcano
senso del nostro persistere ad essere, della nostra continua proiezione
al divenire, la vera giustificazione di ciò che non rende vano
ogni tentativo di raggiungerlo; lì è il segreto significato
del nostro bisogno di conoscenza, dell'arte, del progresso, dello
spazio e del tempo, della vita e della morte. lì è riposta
la verità sulla necessità del dubbio, dell'incertezza,
dell'illusione costante di aver quasi toccato con mano e raggiunto
il grande vertice.
Ecco, mio buon amico, la grande pietra è sempre davanti a me;
eppure se mi volgo indietro vedo la sua immagine speculare riflessa
nel mio passato, come una esistenza vissuta in ragione di essa. Il
"grande monolito", però, non è un ente pieno
di sé, beato nella sua pienezza: esso è, come noi, la
risultante dinamica del rapporto dualistico tra prossimo e lontanissimo,
passato e futuro esprimibile e inesprimibile, alto e basso, fisica
e protometafisica, conoscenza e ignoto. No, Antonio, Dio non è
il grande vertice! Dio è la nostra felicità; il "grande
monolito" è il nostro "dramma cosmico", la nostra
sofferenza spirituale, la nostra inquietudine, la nostra ragione e,
infine, il nostro vivere la vita attraverso il bisogno di ritornare
allo "stato primitivo", ovvero a quella dimensione spazio-temporale
infinitesimale da cui deriviamo (la nostra perfezione?), a quell'Idea
Generante della quale ci sentiamo, nonostante tutto, pure estranei
in ragione della nostra mutabilità. Il "grande monolito"
e la sua proiezione, il vertice e la base, il nostro procedere che
ci porta all'infinito al punto di partenza, la grande tautologia universale,
non sono altro che la legge della vita. Infatti, l'uomo insegue una
strana e indeterminata memoria personale e ancestrale, la memoria
originale, secondo la quale esiste per certo uno stato di massima
compiutezza o perfezione, e si comporta come se avesse avuto conoscenza
o esperienza (e difatto ce l'ha?) di quello stato, e lo insegue -
attraverso ogni forma di progresso - cercando di riportarsi a ciò
che possiamo considerare il suo "stato primitivo". Questo
bisogno sublime dell'uomo che lo spinge all'"azione interiore",
al progresso, alla ricerca di sempre più alti livelli dello
spirito, alla conquista del "grande monolito", si traduce
nel tentativo di ricondurre l'uomo, la materia, all'idea pura che
l'hanno generati, indagando in una dimensione "protometafisica"
di cui egli non ha nessuna esperienza fisica, sensibile, ma conoscibile
a posteriori solo attraverso il "concetto puro" ("concezionismo"):
le ragioni della sua origine permettono all'uomo di risalire all'Idea
Generante. Ma per compiere tale ricerca l'uomo deve proiettarsi in
avanti, sempre più avanti, per ritornare indietro, sempre più
indietro: egli, cioè, insegue nel futuro il suo passato, la
sua origine. Infatti, nel futuro dell'uomo vi è il passato
dell'uomo. In pratica, per chiarire: se lo zero contiene in sé
l'infinito concetto dei numeri, all'infinito di essi vi è lo
zero che li contiene tutti; quindi all'infinito vi è origine,
poi ancora l'infinito e poi l'origine... e così di seguito
senza soluzione di continuità, poiché l'infinito è
l'origine e l'origine è l'infinito. Qui è la chiave
del divenire dell'esistente, in una semplice quanto incomprensibile
tautologia. Rifletti, Antonio: potremmo noi progettare il nostro futuro
con ciò che penseremo e che vivremo? Impossibile! Possiamo
invece progettare il nostro futuro sulla base della nostra esperienza,
ovvero del già pensato e del già vissuto: il progetto
ipotizzato è un prodotto del passato e come tale appartiene
ad esso, dovrebbe appartenere soltanto ad esso; eppure, quel prodotto
del passato, che è passato, l'inseguiamo nel futuro. Cosa vi
è dunque in quel futuro se non il passato. la morte stessa
dell'uomo nasce con l'origine della vita; eppur appartenendo al suo
passato la vede nel suo futuro.
Quando noi ci soffermiamo sul divenire dell'esistente ci troviamo
sempre di fronte a polarità interconnesse di cui non riusciamo
facilmente a stabilire i termini esatti, a precisarne gli aspetti,
poiché esse risultano non come ben definiti rapporti dualistici
ma come dualità connesse, interconnesse, polimorfiche e polivalenti;
eppur non possiamo negare che tali dualità costituiscono il
divenire dell'essere, l'equilibrio universale; non possiamo neppure
negare la loro esistenza. Per quanto possa sembrare strano, il persistere
ad esistere si basa proprio su questa "indefinibilità"
del divenire dualistico, ovvero sulla indefinibilità delle
certezze, e sulla citata tautologia.
Riflettiamo: se il divenire fosse "definibile" cesserebbe
di essere divenire, cioè perderebbe il suo "essere continuità",
la sua durata. L'indefinibilità. della vita è alla base
del dubbio che alimenta le nostre certezze. L'indefinibilità
è la vita, ma anche sinonimo d'infinito. Quindi, esistere significa:
moto-immoto, futuro-passato, avantiindietro, vita-morte, reale-immaginario,
dubbio-certezza, ecc. ecc..
Per quanto assurde possano apparire le mie parole non è difficile
comprendere che al massimo della nostra conoscenza sull'esistente
esiste l'origine dell'esistente; come dire che al massimo della nostra
civiltà esiste la nostra origine.
Allora, ti chiederai, sia pur andando avanti per tornare indietro,
prima o poi a qualcosa approderemo? Ricordi il paradosso dell'astronauta?
Egli certamente si è mosso, tuttavia occupa lo stesso punto
nello spazio; il tempo certamente è trascorso, poiché
è invecchiato di dieci anni, e pur avendo acquisito una nuova
esperienza ciò non ha cambiato difatto la sua condizione. La
tautologia avanti-indietro non è anche sinonimo di moto-immoto?
E non potrebbe essere proprio questo criterio la continuità
del divenire? Il nostro universo è in espansione continua -
si dice da dieci miliardi di anni - e dove è pervenuto?
Al massimo della sua espansione può esservi soltanto la sua
origine: l'infinitesimole. Il concetto di "infinitesimale"
non deve suscitare meraviglia, poiché ogni qualsiasi grandezza
ha un rapporto infinitesimale con l'infinito: un corpo esteso cento
anni luce ed uno esteso solo pochi centimetri hanno entrambi un rapporto
con l'infinito pari ad un infinitesimale (1/¥). Non tragga in
inganno la paradossale differenza esistente tra i due corpi considerati
tra loro.
Quindi, anche l'infinitesimale, nonostante la sua espansione, non
cambia difatto la sua condizione di essere infinitesimale. In pratica
il nostro universo è un infinitesimale nei confronti dell'infinito
spazio primario nel quale diviene. Allora, era un infinitesimale e
resta tale nonostante la sua sempre nuova grandezza: tutto si muove
perché tutto viva nello spazio e nel tempo, tutto è
immoto perché ciò non cessi di vivere. In questa contraddizione,
in questo rapporto dualistico vi è, come risultante, il divenire
dell'esistente.
Il divenire dell'essere (1/¥vt) è un complicato sistema
di rapporti dualistici, di polarità interconnesse, dai quali
non è escluso il pensiero umano, la sua attività razionale.
Questa eccezionale proprietà dell'uomo - la capacità
di produrre pensiero e quindi la coscienza di esistere - tremendamente
meravigliosa e affascinante, consente di ricercare e determinare con
la ragione speculativa il sistema grande-dualistico che è alla
base della vita e del pensiero umani, ma anche di conoscere e indagare
tutto ciò che è invisibile, fuori dalla esperienza sensibile
o fisica, ma possibile (protometafisica). L'indagine metafisica -
quando è dettata da un atto puro della volontà, quando
è sospinta da una forza creativa vera, ben lontana dalle fantasticherie
dell'immaginazione - è strumento indispensabile ed insostituibile
per la conoscenza della verità vera, del significato teleologico
dell'esistente, ovvero dell'universale concreto e del suo significato
trascendente. Certamente, non intendo riferirmi a talune speculazioni
della metafisica tradizionalmente intesa -spesso sospinta più
dalle fantasticherie del l'immaginazione che non da un reale desiderio
di verità, legata più alle artificiose costruzioni della
logica che non alla ragione e alla verità dei contenuti, più
all'io-filosofico che non all'io-verità - ma il mio riferimento
è rivolto ad una nuova metafisica pura, costituita da concetti
puri e concezione pura di immagini, che affonda le sue origini nella
creazione della sostanza pensante: la "protometafisica".
Sono certo, mio caro Antonio, che l'indagine protometafisica può
condurci a certi livelli della "coscienza autodeterminante"
dove ogni rapporto dualistico assume il suo più alto significato,
la più profonda giustificazione, la vera motivazione del suo
esistere come forze dinamiche e contrapposte. E' a quei livelli che
l'uomo ha una percezione profonda dei dualismi dinamici, e non una
non percezione dei medesimi. Non percepire la grave importanza della
contraddizione significa annullamento del divenire dell'essere, che
di tali dualità èla risultante.
Tale coscienza, solo tale coscienza, ci può consentire di vivere
autenticamente la vita, il nostro dramma cosmico, proiettandoci nell'armonia
suprema dell'ordine universale, integrando e integrati in tale ordine,
superando la visione della morte come peccato, persuadendoci che vivere
il nostro dramma cosmico nell'armonia universale significa esistere
come forza dualistica contro le forze occulte della natura e del cosmo
e accettare tale lotta come estrema felicità dell'uomo. Se
egli esiste, nell'ordine cosmico, con tutti i suoi limiti per lottare
contro questi limiti, allora è in questa lotta - purificata
da ogni illusione - che deve cercare la sua Felicità e la verità
del vero io e del vero essere della natura umana.
L'uomo è un essere intelligente, anzi è l'intelligenza
per antonomasia. Ma altri esseri sono dotati d'intelligenza in natura,
anche se in misura minore: essi però non hanno coscienza di
esistere, non sono in grado di porsi una domanda, un problema. Ciò
ci fa supporre che se è vero e inconfutabile che non può
esservi coscienza di esistere senza intelligenza, è altrettanto
vero che l'intelligenza non è la coscienza. Nell'uomo, la loro
differenza consiste come tra porsi una domanda e porsi un problema:
una domanda esige una risposta, un problema riflette uno stato di
perplessità, di disagio, e postula non una risposta ma una
soluzione. Abbiamo detto che quando la materia acquista le proprietà
di una speciale sostanza in grado di produrre pensiero si ha la "coscienza
di esistere"; ma la "coscienza di essere coscienti"
ci pone fuori dalla nostra intelligenza, in senso critico, analitico,
e ne riconosciamo l'utilità per dare una soluzione ai nostri
problemi. Quindi, la coscienza si serve dell'intelligenza per dare
una soluzione ai propri problemi, mentre l'intelligenza si serve della
coscienza determinante per dare una risposta alle proprie domande.
Il loro legame è ineluttabilmente e inconfutabilmente irreversibile,
ma non sono la stessa cosa; né possiamo ipotizzare che ciò
sia dovuto ad uno stadio avanzato dell'intelligenza. Essa, diventando
sempre più ampia, può contenere una memoria sempre più
vasta, ovvero un numero d'informazioni sempre più alto; ma
ciò che da un senso, un significato, a tali informazioni è
la ragione, la quale soltanto può riflettere criticamente sul
proprio pensato. Quando noi affermiamo "questo è il mio
corpo", "questa è la mia intelligenza, la mia memoria",
"questa è la mia coscienza", ecc. ecc., ammettiamo
inconsapevolmente che una parte di noi è fuori di noi perché
siano logiche tali affermazioni, che sembrano essere pronunciate da
un osservatore esterno. la possibilità che l'uomo ha di porsi
dall'esterno criticamente nei confronti di sé stesso gli proviene
proprio dalla "coscienza di essere cosciente", che noi definiamo
"coscienza autodeterminante": essa si distingue dalla "coscienza
di esistere", o "coscienza determinante", e pone l'uomo
in rapporto armonico col "principio universale del'autodeterminazione":
egli, pur sapendo di essere parte del complesso sistema universale,
si considera come un essere indipendente, anche da sé stesso.
L'estrema sintesi del mio discorso mi obbliga a fare una breve digressione:
il "principio universale dell'autodeterminazione" afferma
che nell'universo tutti i corpi celesti si muovono con proprie caratteristiche
di spazio, di tempo e di velocità, le quali coesistono affatto
con lo spazio, il tempo e la velocità universali di espansione.
In pratica: la terra si muove con proprie dimensioni spazio-temporali
dentro il sistema solare, il quale si muove con proprie dimensioni
spazio-temporali dentro la galassia, la quale si muove con proprie
dimensioni spaziotemporali nella galassia delle galassie, la quale
si muove con proprie caratteristiche spazio-temporali nell'universo,
il quale - e ci fermiamo qui - si espande con proprie caratteristiche
spazio-temporali, le quali potrebbero essere le risultanti finali,
ovvero le risultanti delle estreme risultanti, di tutte le dimensioni
spazio-temporali dei sistemi citati. Abbiamo eccessivamente semplificato
la nostra digressione, poiché saremmo dovuti partire non dalla
terra ma dall'atomo e dai suoi costituenti per giungere poi allo spazio
e al tempo universali.
Ma ritorniamo al nostro precedente discorso. Nonostante la distinzione
tra coscienza determinante e autodeterminante, le due non possono
essere assolutamente separate o considerate indipendenti: il loro
rapporto è fluttuante, pur consistendo in due differenti qualità
del pensiero; esse sono legate indissolubilmente all'intelligenza,
attraverso la quale si esprimono, si manifestano. Nell'espressione
"Io sono un essere mutabile. Per la mia mutabilità non
posso esistere da solo", l'intelligenza, seguendo i dettami della
coscienza, costruisce la frase e seleziona i termini secondo il loro
significato alla coscienza determinante appartiene la prima parte
dell'espressione - io sono un essere mutabile; alla coscienza autodeterminante,
la seconda parte. Intelligenza e coscienza rappresentano, quindi,
tre differenti fattori, AB n * n di un unico monomio: il pensiero.
Cosa differenzia A da B n e questo da X n in tale monomio del pensiero?
"A", ovvero l'intelligenza, rappresenta la materia già
esistente o una particolare sostanza di essa: per la sua natura, l'intelligenza
non può esprimersi da sola, poiché a nessun aspetto
della materia è data la possibilità di esprimersi da
sé o di autodefinirsi. "B n", ovvero la coscienza
determinante, rappresenta la "logica" del pensiero che si
esprime attraverso l'intelligenza, ed è elemento di passaggio
tra "A" e "X n". Il terzo fattore, "X n",
ovvero la coscienza autodeterminante, rappresenta la "ragione
potenziale speculativa", la quale può portare all'evoluzione
del pensiero, ad altissimi livelli dello spirito col quale, in definitiva,
s'identifica: essa è la più comprensiva, potendo contenere
gli altri due fattori, e si esprime attraverso la "logica"
e l'intelligenza. "A" è una quantità definibile,
"Bn" è una qualità indefinita, "X n"
è una proprietà indefinibile. "AB n" è
un processo; "X n", un evento. E' il fattore "X n"
che fa di "AB n" una "intelligenza illuminata":
esso per esprimersi, ripeto, ha rigorosamente bisogno dell'intelligenza
e della logica, quindi di tutto ciò che può considerarsi
il prodotto della loro attività intellettiva, come ogni scienza
ed ogni esperienza. la ragione, lo spirito, quindi, s'identificano,
poiché la ricchezza spirituale non è altro che l'insieme
dei concetti puri della ragione; la coscienza autodeterminante rappresenta
allora la componente spirituale dell'uomo: essa è perfettibile
attraverso altri eventi, ovvero le verità rivelate attraverso
l'indagine razionale: certamente non perfettibile nella sua natura,
ma nel suo grado, nella sua ampiezza, fino alla "santità"
intesa come totale integrazione e partecipazione non trasgressiva
nell'ordine cosmico. In realtà il "peccato" non è
altro che la trasgressione delle leggi dettate all'uomo e alla materia
per la loro esistenza; esso è anche negazione e ignoranza della
validità morale della ragione sulle azioni degli uomini. Ma,
mentre "AB n" - intelligenza e coscienza determinante -
definisce un essere umano la cui attività intellettiva è
specificatamente votata alla continua determinazione logica dell'esistente,
"ABn Xn" - nel suo prodotto armonico - definisce un essere
umano la cui intelligenza, la cui logica, la cui attività intellettuale,
sono illuminate dalla profondità critica della ragione speculativa:
solo tale prodotto può generare concetti puri, rivelare il
sistema grande-dualistico dell'esistenza, cercare la via della verità
vera, il fine ultimo dell'esistenza, il vero io ed il vero essere
della natura umana, proiettarsi nella ricerca protometafisica dell'invisibile
ma possibile, nella dimensione del significato e dell'arte. Soltanto
"ABn Xn" può vivere autenticamente il dramma cosmico;
egli ha scopi sublimi: l'amore, la scienza al servizio dell'uomo,
la verità, l'arte. "AB n", invece, ha come unico
scopo la misura della sua stessa intelligenza: fino ad oggi il suo
massimo "capolavoro" sono le armi nucleari.
Ogni prodotto della ragione speculativa che cambia difatto la conoscenza
e la condizione dell'uomo noi indichiamo come ragione effettiva: ogni
indirizzo d'indagine della ragione costituisce, quindi, una ragione
effettiva, la quale è la risultante dinamica di un complesso
sistema dualistico di cui fanno parte integrante tutte le polarità
interagenti in ogni ragione effettiva relativamente differente e valutate
in rapporto col particolare sistema di riferimento considerato. Tutte
le ragioni effettive, tutte le polarità e gli estremi di esse,
interagiscono tra loro con un rapporto di reciproca peculiarità
e appartenenza - proprio in ragione della comune matrice "ABn
Xn" e della sua particolare combinazione - dando luogo ad un
dinamico e indefinibile divenire di dualità connesse-interconnesse-
polimorfiche-polivalenti: per cui, ogni tentativo di estrapolare una
ragione effettiva o un estremo di essa, al fine di una precisa classificazione
in distinte categorie, è errato, vano e illusorio. Quanto detto
deriva dal fatto che ogni pensiero pensato è la risultante
dinamica della somma delle risultanti del pensieri precedentemente
pensati in ogni indirizzo d'indagine; il pensiero che sarà
pensato costituisce una variabile dipendente dei valori delle risultanti
precedentemente determinatisi, tale che risulta Pn = Fr (Pn-1). Ogni
variabile che si voglia estrapolare dal contesto del sistema grande-dualistico
assegnandole un valore arbitrario si dice indipendente o assurda (:
"io sono un essere mutabile, quindi esisto da solo").
Credo, Antonio, che la mia piramide razionale, inizialmente descritta,
cominci ad apparirti meno improbabile nella sua struttura composta
da ideali-blocchi di cui quello successivo, più grande, è
la risultante del precedente, più piccolo.
Ogni volta che la ragione speculativa si pone una problematico se
la pone in termini dualistici: tale dualità oltre a caratterizzare
la sua risultante rappresenta anche - abbiamo detto - la somma dei
concetti fino a quel momento pensati: è proprio tale sistema
di reciproca peculiarità che impedisce una assoluta definizione
di tale prodotto dei pensiero, per cui ogni stadio è provvisorio
e il concetto di verità deve intendersi come un continuo divenire
delle conoscenze umane. Quindi, nulla di ciò che appartiene
alla mente umana è estraneo all'estremo prodotto di essa. Tutte
le polarità che agiscono all'interno di ogni ragione effettiva
ricadono sulla stessa: il vero e il falso sono un concetto dualistico
che ha come risultante una ragione effettiva, la filosofia, che cerca
di determinare il vero e il falso; ma essa stessa può essere
vera e falsa.
Per chiarire il concetto delle polarità interconnesse-polimorfiche-polivalenti
mi occorrerebbe molto più spazio e molto più tempo:
citerò un breve esempio lasciando a te, Antonio, di fare ulteriori
deduzioni. Prendiamo in considerazione l'estetica, la ragione effettiva
che ricerca e determina l'essenza del bello e quindi del brutto: dal
rapporto dualistico bello-brutto, si ha che il bello può essere
vero e falso, bene e male, reale e immaginario, utile e dannoso, alto
e basso (tutte le polarità che cito originano ciascuna una
ragione effettiva: filosofia, morale, ecc.), bello e brutto - non
escluso - ecc. ecc. lo stesso dicasi per il brutto. Ma il bello falso
può essere a sua volta bello e brutto, reale e immaginario,
utile e dannoso, ecc. ecc.
Io stesso vale per il brutto falso, per il bello bene, il bello-male,
il bello reale, il bello-immaginario, il belloutile, il bello-dannoso,
il brutto-male, il brutto-bene, il brutto-reale, il brutto immaginario,
il brutto-utile, il brutto-dannoso, ecc. ecc. E ancora possiamo considerare
il bello-vero-bene, come reale e immaginario, utile e dannoso, ecc.
ecc.; lo stesso possiamo dire per il bello-vero-male, il bello-veroreale,
il bello-vero-immaginario, il bello-vero-utile, il bello-vero-dannoso,
il bello-falso-bene, il bello-falso-male, il bello-falso-utile, il
bello-falso-dannoso, ecc.; ma anche per il brutto-faIso- bene, il
brutto-vero-bene, ecc. ecc. E ancora per il bello-vero-bene-reale-utile-a
lto, il brutto-falso-male-immaginario-dannoso-basso, ecc. ecc. fino
all'indefinibile. Gli ultimi due gruppi citati devono essere considerati
ciascuno come una polarità in sé stesso complessa sulla
quale agiscono rapporti dualistici altrettanto complessi o meno complessi
e la quale agisce a sua volta come forza dualistica su altri sistemi
più o meno complessi. I gruppi citati - sia gli ultimi che
i precedenti devono essere considerati come singole polarità
- ancora assai poco complessi, ci possono comunque dare un'idea di
ciò che può essere una polarità interconnessa-polimorfica-polivalente.
Tutto ciò avviene proprio in ragione della complessa evoluzione
della ragione speculativa dovuta all'assommarsi dei concetti derivanti
dai valori attribuiti alle risultanti di sempre più complesse
polarità. Ma tale sistema del pensiero risulta indefinibilmente
complesso nel momento in cui noi cerchiamo di definire l'intima struttura
per decifrarne i contenuti. In realtà, la ragione, durante
la sua evoluzione, compie l'operazione inversa svolgendo sempre un
lavoro di sintesi, riunendo e unificando varie complesse polorità
interconnesse in un'unica risultante finale: andare a cercare le fonti
di questa è assai arduo, poiché oltre a ricostruire
le caratteristiche delle forze dualistiche agenti, bisogna anche rendersi
conto del valore attribuito alle risultanti di cui è la risultante,
o, come abbiamo precedentemente detto, la variabile dipendente.
Meccanismi perversi del pensiero (anche patologici) possono essere
generati non dal polimorfismo e dalla polivalenza - in realtà
assai indispensabili ai fini dell'evoluzione del pensiero - delle
polarità, ma da un'errata * incompleta valutazione - magari
soltanto sensoriale e non anche razionale - di alcune risultanti,
le quali, a loro volta, o generano nuove distorte soluzioni o interrompono
più o meno gravemente la delicatissima trama del sistema razionale.
Tutto ciò che in tale sistema viene prima dell'ultima risultante
costituisce la memoria.
Solo se poi riuscissimo a costruire un computer in grado di dare dei
valori soggettivi alle esperienze, alle percezioni sensibili, alle
emozioni, alle deduzioni, ai concetti, allora avremmo creato l'impossibile:
una macchina simile all'uomo.
L'evoluzione del pensiero umano, quindi, parte da "una unità
semplice" per giungere ad "una unità complessa",
ma pur sempre ad "una unità": come dire che tutti
i corpi celesti, i sistemi ai quali essi appartengono e i sistemi
a cui appartengono i loro sistemi... fino alla galassia delle galassie,
costituiscono "una unità complessa": l'equilibrio
universale. Ora, se noi consideriamo tutti i rapporti dualistici come
un sistema di più forze angolari aventi un'unica origine in
ABn Xn e orientate in tutte le direzioni su 3600, procedendo in termini
matematici alla ricerca delle risultanti e delle successive risultanti
delle risultanti... ecc. ecc. col metodo delle successive composizioni,
si passa da un iniziale sistema sferico-eccentrico - ovvero col centro
spostato rispetto all'origine considerata - ad un sistema grand'ellittico-eccentrico
che ha come suo massimo vertice la grande risultante finale. A cosa
miri questa grande risultante Finale del pensiero umano lo abbiamo
già detto: alla determinazione razionale di tutto l'esistente,
al vertice della piramide razionale, al "grande monolito",
all'intelligenza Programmatrice dell'universo. Il nostro pensiero,
infine, ha una sola origine ed un solo punto d'arrivo all'infinito:
la grande risultante contiene entrambi; essa infatti passa dall'origine
dell'uomo e si prolunga, in una continua proiezione al divenire, verso
il grande vertice (sul nostro grafico si presenta come una grande
retta passante per i due punti estremi). Ma la tua traccia coincide
con quella di un'altra grande risultante che, partendo dall'infinitesimale,
si dirige anch'essa verso l'estremo vertice.
Da quanto detto, non è difficile comprendere che soltanto il
"concetto puro" può portarci sulla tangente che porta
all'infinito, farci distinguere e scoprire le predisposizioni autentiche
e non autentiche, le manifestazioni genuine e non genuine della vita
più profonda; esso è puro perché libero da ogni
illusione, fantasticheria, moda, capriccio, assioma arbitrario, convenzione
sociale e falsità. Solo la ragione, lo spirito, può
condurci, attraverso il "concetto puro", alla verità
teleologica dell'esistente, poiché esso è la sintesi
di tutte le possibilità intellettuali e spirituali dell'uomo,
è la fusione dell'intelligenza con lo spirito. Il "concetto
puro" ha analogia con la legittimità totale e col trascendente;
esso è l'evento che insegue il futuro, non il processo che
insegue l'origine, il passato. La nostra ricchezza spirituale e la
nostra autenticità sono il prodotto dell'insieme dei "concetti
puri" della ragione.
Abbiamo detto che tutto l'esistente se non fosse pensato come tale
forse non esisterebbe affatto; ma esso assume il suo più alto
significato solo nel concetto puro, il quale è rivelazione
dell'universale concreto e del suo significato trascendente, è
unico e insostituibile strumento d'indagine per la conoscenza dell'esistente.
Essere cosciente, presente, integrato nell'ordine cosmico, autentico,
partecipe, creatore, significa osservare e valutare il divenire cosmico
attraverso la mera verità, "nuda e cruda", tremenda
e meravigliosa, vitale e mortale, comprensibile e ineluttabile, universale
e impreteribile, derivante dai concetti puri della ragione, e vivere
da titani la più alta e genuina espressione del nostro dramma
cosmico, del nostro essere nell'universo come forza cosmica, forza
dualistica, in perenne lotta contro ogni limite. Se è vero
che nulla può acquistare grandezza nei confronti dell'infinito,
è altrettanto vero che la nostra spiritual-ragione sfugge a
tale limite, essendo l'infinito un concetto puro della ragione: essa
è fuori della tautologia universale, dal processo, ovvero dal
ciclo continuo e senza meta della natura. Mentre l'universo è
una struttura semplice, fisica, l'uomo è una struttura complessa,
fisica e spirituale. L'universo si può indagare e descrivere
attraverso la scienza; l'uomo, con la sua vita interiore, sfugge anche
alla più profonda delle indagini: una totale penetrazione dell'uomo
non è né possibile né auspicabile.
L'indagine razionale votata a determinare per mezzo di concetti puri
la verità dell'uomo, la verità teleologica dell'esistente,
è un'azione interiore che ha come scopo la ricerca del "significato",
e si svolge in uno spazio della vita interiore dove l'uomo vive autenticamente
la sua esistenza: tale "dimensione del significato", costituita
da concezioni pure d'immagini e dove non trovano collocazione le illusioni,
le fantasticherie e gli inganni, è la dimensione spazio-temporale
"protometafisica", dell'invisibile ma possibile, del sistema
grande-dualistico. Tutto quanto ti ho illustrato, caro Antonio, e
tutto quanto non ti ho potuto illustrare per ragioni di sintesi, "forma"
il substrato, il complesso di presupposti determinanti, la sostanza
nel suo valore originario, il senso dell'umano bisogno spiritual-biologico
di fare arte. Da qui nasce il mio concezionismo; la mia concezione
pura d'immagini, la "protometafisica", il mio "dramma
cosmico", la mia arte.
In pratica: la concezione grande-dualistica e le forze occulte della
natura e del cosmo provocano nell'uomo cosciente un dramma cosmico,
un'angoscia continua, una sofferenza spirituale, che lo spingono all'"azione".
L'"azione" è attività della spiritual-ragione,
dinamismo interiore. Essa non è una peculiarità, ma
l'essenza stessa dei divenire dell'essere: è ciò che
è umano nell'essere umano. Il fine supremo dell'azione e quindi
del pensiero è la ricerca del "significato". Così
come l'uomo occupa una posizione nello spazio fisico, viene ad acquisire
uno status nella "dimensione del significato". Ed è
in questa dimensione interiore che si svolge la sua esistenza più
autentica, poiché egli è interamente la dov'è
il pensiero che pensa: esso è la sua posizione individuale,
la sua situazione, lo spazio della vita interiore. Ma il continuo
divenire delle aspirazioni del pensiero dell'uomo crea un perenne
squilibrio con i risultati raggiunti. Perciò egli non è
mai soddisfatto di tali risultati e la sua volontà, che tende
all'estremo vertice del sistema grande-dualistico, all'infinito, lo
spingono verso mete sempre più alte. Questa tendenza verso
la conquista del "grande monolito", all'infinito, è
immanente nell'uomo, che non trova il suo appagamento né nella
scienza né nell'estendersi dell'azione alla vita sociale.
Dal dualismo tra le suddette forze, che con tutte le infinite risultanti
costituisce il divenire dell'uomo, dall'angoscia, dalle insoddisfazioni
e dalla sofferenza spirituale sgorga l'arte come esigenza della natura
stessa dell'uomo. Tutto ciò che nell'uomo è creativo
deriva dal seme di una infinita insoddisfazione. L'autosoddisfazione
genera l'anneghittirsi della spiritual-ragione, inutilità,
nullità e disperazione.
Coscienza (rivelazione dell'universale; consapevolezza dell'essere-divenire,
del sistema grande-dualistico, dell'ordine cosmico), angoscia (rivelazione
dell'autenticità della vita intesa come forma dualistica nell'ordine
cosmico; integrazione cosmica; dramma cosmico), azione (ricerca e
rivelazione del significato supremo, della verità, del concetto
puro, della concezione pura d'immagini, dell'arte; protometafisica),
insoddisfazione (rivelazione della tendenza della spiritual-ragione
verso un continuo spiegamento della propria essenza; squilibrio tra
le aspirazioni del pensiero e i risultati raggiunti; ricerca di mete
sempre più alte), rappresentano la spiritualità dell'artista,
l'essenza stessa del concetto puro.
L'arte "concezionista" è l'estrinsecazione della
intima situazione dell'artista, espressa in forma sensibile attraverso
contemplazione, visione, rappresentazione e concezione pura d'immagini:
lo scopo è la comunicazione di questo suo intimo sentire.
Il concetto puro, quindi, è lo stato dell'anima, la dimensione
del significato; è dramma e spirituale catarsi, dramma cosmico
e forza creatrice e rigeneratrice; è infinito e libertà
da ogni limite; è dualità infinita, spazio e tempo senza
fine; è pensiero, verità, azione, tensione interiore,
immagine pura, espressione, evento, arte. Esso è creazione
geniale e quindi arte solo attraverso la sua espressione in forma
sensibile con un linguaggio cosmico-semantico universalmente leggibile
e valutabile. Infatti, essendo il concetto unico ed insostituibile
strumento per la conoscenza dell'universale, ed avendo il concetto
puro - ovvero la concezione pura d'immagini - analogia con la legittimità
totale e col trascendente, l'arte, che è ricerca della verità
vera, non può che essere concetto puro, non può che
essere generata da una concezione pura d'immagini. Solo l'intelletto
veramente libero da ogni illusione e menzogna, l'intelligenza illuminata
dalla spiritual-ragione, può generare una concezione pura d'immagini,
della quale l'arte non può che considerarsi un prodotto. Tale
prodotto è espressione dello spirito, definizione dello stesso,
profonda testimonianza delle sue capacità creative. Esiste
un preciso punto dello spirito, che noi abbiamo già definito
dimensione del significato, "protometafisica" razionale,
in cui l'uomo raggiunge altissimi livelli della propria coscienza,
s'integra con l'ordine cosmico, supera la paura della morte, rinnega
i valori illusori, i falsi bisogni, gli assiomi morali arbitrari,
si pone come forza dualistica contro le forze occulte della natura
e del cosmo, afferma l'autonomia della propria coscienza autodeterminante,
si pone in accordo con la sua idea di libertà e vive autenticamente
il suo dramma cosmico accettando la lotta come ricerca del vero io
e del vero essere della natura umana ed estrema felicità dell'uomo.
A quel punto, a quella dimensione "protometafisica", mira
l'artista concezionista.
Se rinnegare la materia è un'illusione, se ritenere l'assoluta
indipendenza dello spirito e la sua immobilità è un'illusione,
se pensare di eludere o ottundere la lotta dualistica del nostro essere-divenire
cosmico è un'illusione, se pensare di poter sfuggire alle leggi
dell'ordine cosmico èun'illusione, se astrarsi dal divenire
dell'esistente è un'illusione, se cercare uno stato di massima
compiutezza e di felicità ai margini o nella immobilità
del divenire dualistico è un'illusione, se pensare di essere
venuti al mondo non per lottare ma per essere felici è un'illusione,
se credere nella quiete e nella pace interiori è un'illusione,
se credere nelle "verità assolute" è un'illusione,
se credere di non essere testimoni è un'illusione, se credere
di potersi confondere con la moltitudine è un'illusione, se
essere convinti che la scienza e la tecnologia possano risolvere totalmente
la felicità dell'uomo è un'illusione, se credere in
una conoscenza fatta di certezze è un'illusione, se credere
di poter sconfiggere il dubbio è un'illusione, se credere che
l'Arte possa essere regolata da un processo è un'illusione,
se credere che le illusioni possano rendere felice l'uomo liberandolo
dal destino dell'atroce divenire del tempo e dello spazio è
un'illusione, allora solo il concetto puro può restituire all'uomo
l'esistenza più autentica e l'unicità e la genuinità
della vita vissuta come dramma cosmico, dare ricchezza spirituale
all'uomo e all'arte moderni, proiettare l'uomo come forza dualistica
nell'ordine universale e considerare tale lotta come massima presenza,
realizzazione, ed estrema felicità dell'uomo.
Attraverso, quindi, il concetto puro l'artista concezionista vive
autenticamente il proprio dramma cosmico; attraverso la concezione
pura d'immagini, l'arte concezionista n'è l'immagine trasfigurata.
La Poetica Concezionista è l'insieme dei concetti cosmici,
dei problemi cosmici, che riguardano l'uomo e l'arte; essa perciò
è di tipo universale, quindi non definita né restrittiva,
né legata a spazio o a tempo, a mode o capricci. Né
è una convenzione. le problematiche, gli interrogativi, che
si pone l'artista concezionista hanno un carattere universale, ovvero
più che personale: coinvolgono profondamente sé stesso
poiché riguardano la condizione di ogni cittadino del cosmo:
in definitiva, egli vive appunto un "dramma cosmico". Attraverso
la traduzione in forma sensibile della pura concezione d'immagini
egli compie una ermeneusi, interpretazioneannuncio, con la quale comunica
il suo intimo sentire. la poetica come stereotipo è già
una valutazione e quindi un limite e rende l'arte facilmente prevedibile,
proprio come un processo: sono del parere che l'Arte è un evento
imprevedibile e impreteribile, che bisogna vivere e non definire.
Siamo passati da una concezione cosmica della vita, vissuta come dramma
cosmico, dramma grande-dualistico, alla ricerca razionale del significato
di essa nella dimensione "protometafisica", nella quale
soltanto il pensiero raggiunge la massima purezza dei suoi concetti,
dalla quale ci provengono i concetti puri della ragione, la concezione
pura d'immagini e l'arte. Ora, non è difficile comprendere
il passaggio dalla concezione pura d'immagini, al concetto di santità
dell'arte. Abbiamo giù accennato precedentemente al concetto
di "santità", inteso come integrazione armonica e
cosciente partecipazione dualistica non trasgressiva con l'ordine
cosmico ("vivere il dramma cosmico"). Essa rappresenta,
quindi, in arte lo stato di massima purezza e di massima estensione
dello spirito, del rapporto universale con il mistero al di là
di tutte le cose; ma anche la tendenza dello spirito verso un continuo
spiegamento della propria essenza, verso una vita autentica e più
profonda, la ricerca di un superiore accordo tra l'espressione d'arte
e la propria idea di libertà, della sintesi del libero e felice
incontro tra la realtà sensibile e la spiritual-ragione.
Nella dimensione "protometafisica" lo spazio, il tempo e
ogni realtà, non esistono nelle loro concezioni reali ma come
rievocazione concettuale di essi: il reale in genere non è
visto nella sua icasticità, ma come rievocazione ed elaborazione
spiritual-razionale di particolarità di esso, influenzando
lo stesso parte della "forma" protometafisica: cioè,
il ricordo della esperienza del reale influenza tale "forma"
sicché parte di essa, dei suoi elementi espressivi, risulta
"la forma del ricordo di ciò ch'è rimasto registrato
e maggiormente inciso nel nostro spirito. Tali ricordi della realtà
assumono così aspetti, situazioni e funzioni possibili solo
nella dimensione "protometafisica" del significato e non
riscontrabili o riconducibili fedelmente nel reale. Senza tale ricordo
del reale non si può rappresentare l'arte in forma sensibile,
essendo esso il vocabolario di elementi, l'alfabeto del linguaggio
artistico, concettualmente trasfigurato. Perciò essi assumono
il loro valore universale, poiché vengono visti, analizzati
e compresi dalla spiritual-ragione nella loro vera essenza. L'elemento
di riferimento alla realtà nella "protometafisica"
è quindi il "ricordo delle esperienze tangibili e del
valore loro attribuito dalla ragione indagatrice; ma il "risultato
finale" dell'espressione in forma sensibile della concezione
pura d'immagini, ovvero l'arte, è lontanissimo dalla dimensione
reale per il valore che le cose rappresentate hanno assunto nella
"protometafisica", ovvero nella concezione pura di esse:
tanto lontano dal reale da rituffarsi profondamente in esso come "nuova
percezione", "nuova esperienza", "nuova emozione",
tradotte in atto espressivo ed intese nel loro significato più
ampio.
In pratica, si passa dall'emozione e dai sentimenti che il mondo suscita
sull'uomo, alla visione razionale di essi e, infine, alla trasfigurazione
nella purezza della loro essenza, della loro verità. E, indipendentemente
se tale verità è la più felice o la più
atroce, tale purezza d'immagini permette all'arte, ad ogni sua espressione,
di acquisire una fondamentale proprietà: essere "santa".
Se santità dell'uomo significa massima e armonica integrazione
con l'ordine cosmico, santità dell'arte significa, oltre a
ciò, ricondurre tutto l'esistente, tutta l'esperienza e la
conoscenza umane, ad un ordine cosmico, puro, ad una verità
universale, pura, ad una legge suprema, in cui si possa percepire
una visione santa dei reale nella sua immagine trasfigurata.
Caro Antonio, mi fermo qui.
Certamente, molte affermazioni fatte avrebbero voluto più ampie
delucidazioni; ma lo scopo di questa lettera era quello di raccontarti,
in estrema sintesi, tutto il mio "concezionismo", o meglio
dieci anni di mie meditazioni filosofiche. Mi auguro che le frasi
scelte e i concetti esposti in questa lettera - in verità molto
laconici - possano chiarire a fondo - ma ho fede nella tua buona intuizione
-l'intera problematica, la questione nella sua globalità. Ritienimi
disponibile per ogni ulteriore chiarimento.
Concludo dicendoti: molte cose che qui non sono state trattate, non
prese assolutamente in considerazione, ma che comunque costituiscono
dei punti salienti della mia teoria, le potrai leggere sul "manifesto
fondazione dei Concezionismo". Affettuosamente.
tuo Sergio Sperti
CORRADO STAJANO
Da Milano (lettera ms.) 28. X. 1988 (timbro post.)
Caro Nocera,
con un po' di ritardo di cui mi scuso (dovuto a mesi di faticoso lavoro)
ti ringrazio per avermi mandato "Toma".
Che mi è piaciuto, se così si può dire, e mi
ha interessato molto. E mi ha provocato molta curiosità.
Perché sono molto ignorante - non sapevo chi fosse Toma, non
conosco le sue poesie, non so della sua vita e della sua morte. E
adesso mi piacerebbe sapere. Completare i tasselli di quelle storie
raccontate a metà nei fogli, insomma.
Caro Nocera, mi hai mandato la straordinaria testimonianza di un'Italia
esclusa, amara, ricca di energie e di giusti risentimenti. Te ne sono
molto grato e ti saluto affettuosamente
tuo
Corrodo Stajano
LINO PAOLO SUPPRESSA
Da Lecce (cartolina ill., ms., riproducente un suo disegno acquerellato)
agosto 1982
Cari amici,
ho ricevuto il foglio che per la finezza grafica e presenza qualificata
danno a sperare in un buongiorno senza incertezza di mattino. Auguri
e cordialità P.S. A F. Spada, saluti particolari.
Lino P. Suppressa
Da Lecce (lettera ms.) 3.2.1984
Caro Amico,
ho ricevuto le due opere edite da "Pensionante de' Saraceni"
che all'occhio appaiono squisitamente curate, il che in tempi di sciatteria,
superficialità e stupidità è già tanto.
In merito al contenuto la premessa non sardi certamente smentita;
lo appurerà non appena troverà il tempo giusto per dedicarmici,
incuriosito anche da quel: ci sei dentro dell'autografo della prima
pagina, dal momento che la mia stagione è giù quella
dell'uscita.
Auguri di buon lavoro, ringraziamenti e saluti,
Lino P. Suppressa
[In altra corrispondenza spedisce un suo disegno del '6 7 per cambio
con
"Pensionante"]
FABIO TOLLEDI
Da Lecce (lettera ms.) (luglio 1988)
Antonio,
è come fare una lista della spesa per ore e poi, arrivati al
negozio, dimenticarsi tutto e finire con l'acquistare tutt'altro.
Due anni sono passati dall'uscita di "Altri luoghi" e mille
lavori e mille situazioni creano ancora oggi mille altre suggestioni
ed ipotesi.
Il libro raccoglieva la morte (o meglio il tentato omicidio) di una
scrittura che si negava, di un vecchio e ormai per me insufficiente
discorso sulla polisemia e sull'oralità.
Due sono le linee di lavoro e di ricerca che da allora sono nate,
una è quella che ha portato a "Corpo Sonoro", spettacolo
dì ricerca sonora fatto con Mauro in più parti d'Italia
sui miei testi derivati dall'esperienza del seminario autogestito
con i compagni prigionieri (allora) nel carcere speciale di Ascoli
Piceno.
Testi, suoni e azioni sceniche molto forti, il filo rosso è
il deserto, la maceria, le dilatazioni del suono e del verbo.
L'altra linea è la ricerca del rapporto tra suono e significato
inserito in una teofania fantastica, lo scavo del rapporto dio-lettera
e suono-magia. Quest'estate con Mauro e Raffaella lavoreremo sulla
realizzazione scenico-sonora di questo, che continua a raccogliere
nuovi testi (o meglio nuovi movimenti).
Per il teatro sto continuando a lavorare silenziosamente alla traduzione
e riduzione dell'Ubu roi di Jarry, è l'unica possibilità
di teatro - oggi - specificatamente teatrale molto divertente; soprattutto
tra tanti profeti della ricerca del proprio vuoto, ottimi organizzatori
o bottegai del botteghino o della pubblica sovvenzione, ma di spettacoli
neanche l'ombra.
Il mio tradurre (inevitabile) continua a giocare con le poesie di
Artaud. Lì c'è il sangue ed ho vero godimento mettere
le mani e il naso tra quelle parole, tra quei suoni.
Lo studio vero e proprio (che è la cosa che più ti fa
invidia, un'invidia soave e straniosa) è frammentato tra la
necessità dell'Accademia e il vero e proprio rigore intellettuale.
Da un lato dunque lo studio meticoloso, attento e tutto sommato molto
noioso dei classici della sociologia (sino ad arrivare ad Habermas),
dall'altro la promozione di dibattito incredibilmente teso, teso e
frustrante per la ben nota mancanza di soldi e di spazi.
In questa seconda direzione di studio si inserisce il progetto di
cui già a voce ti ho accennato: " 1790-1820".
Ho chiamato le persone in cui credo a confrontarsi su un tema tanto
pretestuoso come solo può essere un periodo cronologico. la
sfida non è mai innocente, appena aperti gli occhi, se ne sono
balzati via: Holderlin, Goethe, Novalis, Kant, Hegel, Keats, Coleridge...
potrei scriverti decine di nomi incredibilmente fondamentali presenti
in quei trentanni.
le persone chiamate alla discussione ad esame del fatti brutali del
tempo sono Antonio Borruto (il discorso contro- rivoIuzionario), Felice
C. Patruno (esotismo e oriente), Luca Carbone (Frankestein o la costruzione
negativa), Giuseppe Paiano (la festa rivoluzionaria), Antonio Palmisano
(rappresentazione e autorappresentazione agli inizi del secolo), Raffaella
Cerfeda (la legge e la morte: nascita del cimiteri) ed infine il sottoscritto
(la costituzione dell'alfabeto cinematografico: le macchine meravigliose
e la tecnologia). In questo senso si inserisce la mia ricerca più
ampia, che abbraccia l'Ottocento intero, su spettacoli di massa, esposizioni
universali, tableaux vivents, "pre-cinema".
Il percorso è quel qualcosa fondamentale, è il vero
ed unico senso della ricerca. Il tentativo è proprio lo scrivere
il percorso e non per delimitarlo ma per farlo esplodere ulteriormente,
in mille altri percorsi, gammazioni multiple, rizomi.
Il resto, che è molto, sta tutto nella voce, in quella voce
che presto (spero) ci farà arrivare -finalmente - ad una rivista
sonora.
Ti abbraccio
Fabio
ANTONIO TOMA
Da 's-Hertogenbosch (Olanda) (lettera datt.) 17-1-1987
Caro Antonio,
mi ha fatto molto piacere ricevere la tua lettera. Anch'io dispongo
di poco tempo - per motivi meno nobili ma non meno necessari - sono
il cuoco/cameriere/infermiere/consigliere/economo della tribù
Toma: l'olandese lo studio di notte.
Ti scrivo a macchina per non infastidirti a decifrare la mia pessima
calligrafia.
Sono tante le cose che mi piacerebbe scriverti per iniziare un dialogo
- sia pure epistolare - con te, ma mi è difficile dare un ordine
ai miei pensieri: te li scriverà un po' alla rinfusa. Anche
perché benché sia un buon lettore, molte sono le incertezze
mie nell'affidare un senso alla parola scritta: ho sempre paura di
essere frainteso o comunque di non saper trasporre sul foglio gli
indispensabili chiaro/scuri mimici/tonali di accentazione che non
solo sono possibili nel dialogo parlato, ma che si possono controllare
ed adeguare con maggiore malleabilità alla comprensione dell'altro.
Senza dimenticare, poi, che per noi gente del Sud, la gestualità
è un altro vero e proprio linguaggio. Infine sappiamo tutti
come la parola, una volta scritta, vive autonomamente e comunque più
che esprimere un senso univoco e comprensibile a tutti, diviene equivoca
e si compiace di civettare con la cultura e le ossessioni del lettore,
adeguandosi più a questo e sganciandosi definitivamente dal
senso che lo scrivente le aveva - ingenuamente - affidato. Se così
non fosse cosa farebbero tutti i dottori sottili, gli avvocati, i
censori, i critici, i possessori della VERITA'? Nessuno ne avrebbe
più bisogno: basterebbe leggere per capire/sapere... d'altronde
i vecchi saggi preferirono lasciare un segno delle loro emozioni/convinzioni
intime - in quanto tali incomunicabili altrimenti - tramite simboli:
plurisignificanti, certo, ma non equivoci come la parola. Eccezione
aurea a tanto: la parola come segno/veicolo di Poesia, ma ... ma qui
mi fermo. Al limitare del labirinto, che tu hai dovuto / potuto varcare
... per me vale il: "perdete ogni speranza voi che entrate"...
e me ne sto saggia mente/astutamente alla larga ...
Ti voglio parlare un po' del paese che mi ospita: l'Olanda, strana
splendida terra che merita di essere conosciuta.
La città in cui vivo è il capoluogo di Brabante, la
provincia più a sud. E' la città di un grande pittore/alchimista
che amo molto: J. Bosch. E' una città molto bella, dove il
rapporto uomo/ambiente/natura è il più stimolante possibile
e dove (a mia conoscenza) gli ingegneri e gli architetti hanno saputo
esprimersi al massimo mai dimenticando la dimensione a misura d'uomo
nelle loro realizzazioni: che poi questo discorso vale per tutta l'Olanda.
Questo strano paese dove la Regina non conta un cazzo nelle decisioni
politiche, ma è la più ricca famiglia reale del mondo:
sono di proprietà personale, per fare un esempio, oltre il
50% delle azioni della "Royal Schell"; si parla molto sui
giornali della/sulla regina, ma di quello che pensa non se ne preoccupa
nessuno. E' un vero e proprio simbolo vivente. In questo paese, dove,
come in Germania, si "Vive per lavorare" - noi latini al
massimo lavoriamo per vivere - esiste nonostante tutto la migliore
assistenza per i non abbienti e per coloro che non vogliono/possono
lavorare: casa (bella) gratis, ed un milione al mese - senza contare
i servizi, es. quello ospedaliero veramente all'avanguardia - più
che necessari per sopravvivere bene.
Può darsi che sia un marchingegno del capitalismo avanzato
- gestito dalla socialdemocrazia - per ottenere consenso: però
funziona...
Grazie a questi dispositivi, presto mi assegneranno una casetta bastante
alle mie esigenze e, nel caso dovessi qui restare, capace di contenere
anche i miei libri ed i miei dischi. Quando ciò accadrà
mi sarà possibile ospitare un po' di amici: quanto a te ritieniti
già invitato.
Per ora abitiamo in un abbaino tanto piccolo che ogni privacy ci è
vietata... poi si vedrà.
Quanto a me mi sono iscritto all'ufficio di collocamento per un lavoro
qualsiasi: autista, guardiano di notte, ecc. Ho già ricevuto
una convocazione, anche questo si vedrò... Altri problemi:
economici (e non solo) è meglio tacerli, hai abbastanza immaginazione...
Per il resto è divertente alla mia età cominciare tutto
d'accapo: iscriversi all'ufficio di collocamento quando altri miei
coetanei hanno già diritto alla pensione...
Non so dirti se sto bene o male, ma si può stare bene/male
insieme, non trovi? Comunque mi sento VIVO e tento di sopravvivere
(in tutti e due i sensi). D'altronde non ho mai desiderato altro dalla
vita se non di vivere/viverla. Anche se a volte mi trovo spiazzato
in un mondo di gente produttiva ad esibire la mia leggera incoscienza...
il mio vivere alla giornata: nel bene e nel male. Ed a volte invidio
chi si sente chiamato a compiti particolari e riesce a riempir la
propria vita di SENSO... eppure non sono mai rimasto con le mani in
mano ad essere spettatore di avvenimenti: ho fatto sempre qualcosa,
mi sono sempre (volente/ nolente) trovato da una qualche parte della
barricata... mi sono sempre cercato abbastanza guai: anche questa
è una maniera di divertirsi: non mi sono mai annoiato.
E' tempo di parlare un po' di te e delle tue cose: attendo con particolare
impazienza ed interesse la pubblicazione dei tuoi nuovi lavori, per
ora abbiti i miei auguri.
Mi ha fatto piacere sapere che il laboratorio di Poesia" ha richiesto
la tua collaborazione, credo non sia molto importante sapere quanto
durerà e come andrà a finire... penso che se troverai
il tempo di interessartene sarà senz'altro una esperienza positiva.
E' sempre utile confrontarsi/incontrarsi con il saper cosiddetto "Accademico"
anche se non pochi problemi ti/vi porrà la tua personalità
così poco incline ai compromessi...
L'idea di chiamare l'eventuale giornale il "Caffé dei
Nobili" dato l'ambiente universitario in cui nasce è di
una divertente irriverenza... Anche se il chiamarlo "Corriere
Internazionale" è più pertinente se nel programma
di lavoro si vuole insistere nel tentativo di sprovincializzare la
ricerca e /o comunque confrontarla in/con esperienze geograficamente
ma non culturalmente lontane. Se non fosse che è divenuto banale,
l'unico nome possibile per questo genere di pubblicazioni sarebbe
"Il Don Chisciotte"... ma forse sono condizionato dal fatto
di trovarmi nel paese dei mulini a vento... Comunque il nome in sé,
forse, è poca cosa, sebbene...
Nella tua lettera mi chiedi se ho qualche idea da esporti su questo
probabile foglio/giornale/corriere. Ma è possibile avere ancora
idee nuove sul progetto di un giornale? 0 comunque, nuove per te che
già da tanti anni ti cimenti in queste ardue (spesso malpaganti)
imprese? Posso solo spronarti a continuare nel tentativo di fare/proporre
un foglio che sia occasione di vivace dibattito culturale, utilizzando
formule/parole/concetti semplici ma non semplicistici: non avendo
timore di usare linguaggi complessi quando ciò risulta indispensabile,
ma evitare nella maniera più assoluta che questo costruendo
foglio diventi luogo di narcisistica esibizione di dotti accademici
che con i loro sproloqui/vaniloqui cosiddetti specialistici tentano
di contrabbandare come autentico/sottile sapere la propria erudita
ignoranza...
Posso, ancora, rammentarti di non dimenticare di coinvolgere in un
qualsivoglia progetto culturale, oltre l'università, l'Accademia
di B.A. e il Conservatorio musicale: che sono due grosse - e come
temo - ma poco conosciute realtà nella nostra terra. Ed ancora,
penso, che bisognerà coinvolgere in questo progetto studiosi
che apparentemente nulla hanno a che fare con la parola/poesia, ma
che si occupano di linguaggi ad essa pertinenti: per fare qualche
nome Gaggia, Savarese, ecc. Non si può andare sempre per Valli/Luperini/BoneeEE
(con tutto il rispetto per il loro lavoro).
Un'ultima raccomandazione: non sottovalutare l'importanza del finanziamento
poiché questo fa parte del progetto (diceva sempre il folle
Lapassade e non a torto). A questo proposito debbo dirti che personalmente
mi sono da tempo convinto che è meno vincolante un finanziamento
privato (vi sono ormai tante grandi aziende nel sud), una sponsorizzazione,
in quanto chiaramente espressa può meglio essere controllata
e quindi delimitata, consentendo finalmente una necessaria continuità
di un qualsiasi foglio che intenda occuparsi di cultura in modo continuativo
e non sporadico ed occasionale. Non so qual è il tuo pensiero
in proposito. A Colombo lo espressi ma ne rimase scandalizzato. Non
trovi che il finanziamento pubblico, in quanto mediato dal potere
partitico, sia più perfidamente/sottilmente condizionante?
Per ora mi fermo qui. Spero di riuscire a trovare, in seguito, la
tranquillità e il tempo necessario a scriverti ancora, se la
cosa non ti annoierà.
Ti abbraccio e ti rinnovo gli auguri per l'ottantasette e per tutto.
Ciao
Antonio
Da 's-Hertogenbosch (lettera datt.) 17-1-1987
Caro Antonio,
poco fa ho imbucato una mia lettera per te.
Rientrando a casa, per strada, ha cominciato ad evidenziarsi con forza
- e sempre di più - un numero nella mia testa: 17. Anzi, pensandoci
su, mi è stato sempre più chiaro che in effetti il n.
17 aveva preso forza in me da quando ho ricevuto la tua lettera: IO,
TU, il 17... Strane concordanze/coincidenze tra me/te ed il 17...
ed ora voglio esportele, a costo di darti l'impressione che "io
stia dando i numeri" (la qual cosa potrebbe essere probabile!):
1) Il 17 ottobre scorso ti telefonai per invitarti a pranzo per il
giorno successivo; 2) Il timbro postale della tua lettera prova che
tu l'hai spedita il giorno 17 dicembre; 3) Lo stesso 17 dicembre contemporaneamente
ti ho spedito una cartolina di auguri; 4) Hai affrancato la tua lettera
in maniera alquanto strana: due francobolli da L 600, uno da L. 350
ed uno di L 150, il tutto fa 1700 (rieccolo il 17). Ma ripeto, l'affrancatura
è strana, poiché l'espresso costa oltre L 2.000, la
lettera normale solo L 500... ed allora quale strana cabala ti ha
influenzato in questa originale affrancatura? 5) la tua lettera, a
causa degli scioperi, ha impiegato (guarda caso) 17 giorni per giungermi
a destinazione; 6) 17 sono le carte della memoria da te usate per
titolare i capitoli della tua "Betissa"; 7) 17 sono i capitoli
della "Betissa". 8) Infine oggi è il 17 gennaio:
poco fa ti ho spedito la mia lettera.
Ed allora... IO, TU ed il 17... ammettiamo per un attimo che nulla
accade per caso nella vita e/o che il cosiddetto caso sia meno causale
di quanto la nostra griglia logica abitualmente consente.
Mettiamo da parte la valenza negativa che - i napoletani - conferiscono
al n. 17. Questo atteggiamento dobbiamo assumerlo assieme; ora; e
vado a consultare i 22 Tarocchi Maggiori (carte cariche di significati
simbolici per gli alchimisti):
- il n. 1 = IL MAGO: filosofo occulto, segno del Principio, dell'Uomo
e del Padre;
- il n. 7 = IL CARRO: Vittoria e Trionfo;
- il n. 8 = (1 + 7) = LA GIUSTIZIA: segno dell'Equilibrio Universale
e della Giustizia;
- il n. 17 = LE STELLE: La forza della Natura e della Fecondità;
- il n. 6 = (1+7+8+17) = 33 = 3+3 = 6 = L'AMOROSO: La Libertà,
la Creazione, le Due strade dell'Amore.
Sono segni talmente/chiaramente positivi che qualunque tipo di interpretazione
non può altro che conferire loro il significato di forza +
capacità + amore + libertà + equilibrio ed il tutto
costellato dal segno della vittoria. Questo numero guida (nostro)
ci suggerisce una collaborazione che sarebbe senz'altro coronata dal
successo... Ciò nonostante non vedo proprio come io possa (con
tutti i guai che mi ritrovo) impegnarmi/collaborare con te in un progetto
divertente... comunque sia, per ora mi fa piacere trovata confermata,
anche dai Tarocchi, la nostra reciproca simpatia... grazie anche a
quello strano numero guida: il 17 che ha "cortocircuitato"
(W la cacofonia) la mia fantasia.
Ti riabbraccio
Antonio
SALVATORE TOMA
Da Maglie (lettera ms.) 15. 9. 1984 (t.p.)
Lettera a se stesso
Caro Toma. Sei un grande poeta. E, giusto perché sei grande,
sei un fallito. Cerchi le tue ultime carte, riviste, nobili e meno
nobili. Ma ti sei mai chiesto che cosa veramente vuoi? Non certo la
gloria. Tu vuoi la felicità. La stai inseguendo da appena nato,
ma te ne sei accorto solo pochi mesi fa. Hai tentato con la poesia
che ti è nell'animo e nel corpo. Ma non ci sei riuscito. Ma
una cosa è certa, ora sai dov'è il tuo vero io. Il tuo
vero io è nella verità più assoluta, più
crudele. E qual è questa verità più crudele?
La verità più crudele è la vita che avresti voluto
vivere. E qual è la vita che avresti voluto vivere? La vita
che avresti voluto vivere, caro Toma, sta nell'assoluta mancanza di
rimorsi, nel totale perdono, nel vivere senza competersi.
Ma come si fa? Dio mio, come si fa? Dimmelo tu, caro Verri, a cui
mi sto, ti stai accostando. Credimi, non sono belle parole, anzi,
anzi più anzi. C'è una strana presenza di Dio a cui
credo e non credo. Se il dubbio è già certezza = ce
l'ho fatta, ce l'abbiamo fatta.
Ciao
Salvatore Toma
Da Maglie (lettera ms.) 5.11.1984 (t.p.)
Ti mando le poesie
comandate. Ce l'hai fatta eh? Sporco ricattatore. Voglio assolutamente
vedere le bozze, quindi quando me le porti, riportami le poesie che
non ti sono piaciute. Le darà a chi ha più immaginazione
di te. Me la paghi.
Ciao
Salvatore
Da Maglie (lettera ms.) 17.11.1984 (t.p.)
Caro Antonio,
come al solito non hai capito un cazzo. Ti ho chiesto di restituirmi
le poesie che non hai capito. Fallo urgentemente, anche lasciandole
in biblioteca. Sforzati. Riguardo la pubblicazione - scambio Salento
- Argentina, scegli quello che ti pare. Da me non avrai più
inediti che tu non sia obbligato a pubblicare. I ricatti non mi sono
mai piaciuti. Credo che non piacciano nemmeno a te. Stai diventando
un po' arrogante. E' la vecchiaia o sono i morti?
Salvatore Toma
Da Maglie (su pagina da calendario, ms.) 4. 7. 1985
Caro Verri,
ti mando la poesia per il numero 2 del pensionante in rivista. Il
titolo, dico titolo a non dedica è A ANNA MARIA CENERINI (senza
AD o PER) mi raccomando: solo A ANNA MARIA CENERINI. Spero ti piacerà
perché è primaverile, ariosa, filosofica e innamorata.
Faremo crepare tutte quelle troie leccesi a cui Toma non ha acceso
un verso. In rosso ci sono ovviamente, come al nostro solito, titolo
e maiuscole.
Spero, cernia come sei, avrai capito. La telefonata mi è costata
5600 lire, POI ME LE RIMBORSI.
Il titolo mettilo bello grosso col caratteri che hai usato nel numero
1 per me (E' UN UOMO).
Mi raccomando che dopo a tuo fratello regalo un leone.
Salvatore
Da Maglie (biglietto ms.) s.d.
L'immaginazione
è una rivista definita dal sommo "al soldo del migliore
morente", considerando gli ultimi numeri... SOMMO: leggi Salvatore
Toma!!!
Da Maglie (lettera ms.) 20.7.1985 (t.p.)
Caro Verri,
ti mando fotocopia della lettera di Macrí su Accademia.
Le poesie che non piacevano né a te né a quei cornutoni
di Cucchi e Raboni. Che ne diciTe le preparo le
poesie per il prossimo pensionante?Come farai senza di me? Ciao
S. Toma
Firenze, 15 luglio 1985
Caro Salvatore,
vivamente ti ringrazio della rivista, nella quale ho letto con piacere
ed emozione la tua poesia La pittura della voce, ispirata al tuo fabuloso
immaginario di emigrante; ritrovo le tue delicatezze creaturali d'uccelli,
pesci, fiere, d'un continente arcaico e immune, che per caso là
chiami e si chiama "America"; in effetti, è la proiezione
d'un tuo intimo eden archetipico. Ma quei che conta poeticamente è
l'alalà splendida malinconica figurazione fonoritmica, con
cui il principio paradisiaco è interamente oggettivato. Sii
saggio anche nella vita.
Auguri e cordialità anche da mia moglie e a tutti i tuoi familiari.
Che di te apprenda buone notizie.
Oreste Macrí
Da Maglie (lettera ms.) s.d.
Caro Antonio,
tu, da un po' di tempo in qua, hai un difetto, grosso, che poi non
è un difetto: succede. lo sono morto da un bel po', perciò
riesco a scrivere poesie meravigliose, che a te, morto sul serio,
sfuggono. Ti sei accostato a un altro morto. Ti capisco. Due morti
sono il massimo. Come fanno a capirmi? Fai come vuoi. Ti amo lo stesso.
Tuo Salv. Toma
Da Maglie (lettera ms.) 4.9.1985 (t.p.)
Caro Verri,
ti mando gli adesivi per la mostra, nelle 5 varietà. Se non
li esponi ti taglio le palle.
Sto giocando con l'avv. Pellegrino. Senz'altro te ne parlerò.
Poi tu mi dici.
Ciao
Salvatore Con qualcuno devo pur giocare, no?
Da Maglie (lettera ms. con autoritratto) s.d.
Caro Verri,
appena esce il giornale mandane una copia alla mia lei. è un
ordine. Da bravo che poi ti disegno un altro libro tutto a tinta unita!
RICORDATI. Ricordati di mandarla anche a quel Pacus. Anzi di questo
Cuius, dammi l'indirizzo. Leggiti la lettera sull'ultimo numero del
Piero, non ti parrà vero che ero niero miero pistolero veliero
ovvero...
Come vedi Augeri insegna. Comincio a rincoglionirmi anch'io.
Ciao
Salvatore Toma
Da Maglie (lettera ms.) 24.3.1986 (t.p.)
Caro Verri,
queste poesie sono troppo belle per essere pubblicate da quella rivista
del Sud-Africa, di cui mi parlavi ieri. Ti prego, si fa per dire,
pubblicale sul prossimo pensionante. Togli la dedica "per gli
Indiani d'America" e mettici "a Vittorio Pagano" o
semplicemente "a Vittorio". Questa ultima la trovo più
onesta. E poi, mica a Vittorio dispiacevano gli indiani? non credi?
Pensa alle poesie che sono belle e pensa a come sardi contento Vittorio.
Non farmi errori di stampa, se no ti stacco le palle. Ma ce le hai?
Ciao
Salvatore Toma
D'altra parte chi sospetterò che le poesie erano dedicate agli
indiani, dato che parlano di indiani? Più dedicate di così!
E poi chi non è indiano nella vita?...
amen
Da Maglie (cartolina) 14.8.1986 (t.p.)
Verri,
col "Forse ci siamo" hai toccato il cielo, ma dopo il tuo
calo psico-fisico si è sempre più accentuato.
Non conosco altra cura per te che pubblicare il mio ultimo lavoro.
Che ne dici? Di che colore te lo sei preso il salvagente?
Salvatore Toma
Da Maglie (cartolina) s.d.
Caro Virgo,
pubblica pure le poesie che vuoi sulla rivista che vuoi. Tanto per
scaricarmi. Tanto il capo sei tu. Stai attento però che i capi
fanno tutti una brutta fine. Pensa ai capi di bestiame, come te. Fammi
sapere i santoni di questa rivista che hanno deciso.
Ciao
a great poet
(FICCATELO IN TESTA)
Da Maglie (cartolina) 20.8.1986 (t.p.)
Verri,
quando mi devi scrivere una lettera, fammi sapere che cosa vuoi dirmi,
così te la preparo io. Tanto siamo amici no? mica ti offendi.
Ultimamente quando scrivi mi assomigli a C.A. Augieri o a uno dei
suoi intervistati...
Salvatore Toma
Da Maglie (lettera
ms.) 6.11.1986 (t.p.)
Caro Verri,
ti mando le foto richieste 2 - II - due per me la migliore è
la seconda. Comunque scegli tu. Ti aggiungo i dati richiesti: Salvatore
Toma - sesso maschile - nato a Maglie l'11-12 maggio 1951 e incredibilmente
ivi residente in via Ospedale 58 morto il momento in cui è
nato.
Salvatore Toma
Ciao bolgia
(allegato: una fotografia e una minuta di lettera)
Gentili Lions,
mi chiamo Salvatore Toma e sono un poeta. Vi scrivo perché
voglio far parte del vostro gruppo.
Riconosco di non possedere una mercedes, una bmw, un autista, la villa
al mare', o una moglie sempre sorridente, riconosco soprattutto di
non avere, a prima vista, un aspetto rassicurante, ma vi prometto
che, accettandomi tra voi, tutti voi sarete difesi come Lancillotto
del Lago difese Ginevra.
Non dimenticate che so scrivere in maniera chiara e infallibile.
Prendendomi con voi io diventerei l'eccezione che conferma la regola;
la vostra regola, la regola indiscutibile che voi siete dei leoni,
dei veri leoni.
Saluti cari e affettuosi
Salvatore Toma
Da Maglie (lettera ms.) s.d.
Verri,
fammi 2 favori: vai al Circolo Cittadino di Lecce e spiega loro chi
è Salvatore Toma. Se lo sanno già, poi me lo dici.
Poi vai al laboratorio di poesia (università -?-) e tira un
calcione nei coglioni a tutti quelli che pretendono di fare poesia
in provetta e bollicine. Se tra loro c'è qualche femmina imbavagliala
e sbattila sul primo treno per Maglie. Ho due cani in calore.
Ciao
sssalvatoretomasss
Salvatore Toma
(e parla bene di me a Sud Puglia)
Da Maglie (lettera ms.) gennaio 1987
Caro verri,
Belloooo! il tuo Corriere (levriere) internazionale! Anche se lo vedrebbe
un cieco che manca QUALCOSA le traduzioni da lingue straniere sono
così chiareche io l'ho letto tutto in 6 minuti e 40 secondi!
Complimenti!
Bella Susanna Degoy accanto a Tina Pica, e bello anche Astalos (che
mazzuru) accanto a Peppino De Filippo.
Scherzi a parte, dì a Franceschino Gelli, Massari, ecc. che
io le prese per culo ho smesso di farle nel 1973. Te ne allego 2.
Tutto sommato sono belle; solo che nella vita bisogna, anzi si ha
il dovere di crescere.
Ciao pistolero
the highest
Salvatore Toma
Da Maglie (lettera ms.)
Caro Verri,
quando ti domando-chiedo degli indirizzi, sei pregato di farmeli avere.
Specialmente se, quando te li domando-chiedo, ti ringrazio in anticipo.
Pensa che Salvatore Toma non ringrazia mai. Ma dato che tu sei quello
che mi ha lanciato, lanciandoti con me, pensavo ormai di essere marito
e moglie, non credi? Poi c'è un'altra cosa: io sono un colossale
ubriacone, come puoi fidarti che io mi ricordi delle tue parole? scrivimele
no?
A questo punto mi dirai che sono in stato confusionale, così
vado al sodo e ti allego IL. 1000 per lettera francobollo e indirizzi.
Lo so, lo so che sei sempre al verde, anzi, anzi siamo VERDI. Verri,
gli indirizzi...
un bacio sulla schiena
Salvatore Toma
[Toma era così: una polveriera di angoscia e di sarcasmo; pensiamo
sia quasi impossibile recuperare le sue lettere e cartoline - sberleffo,
scritte un po' a tutta la letteratura nazionale. Non è difficile
però recuperare le lettere da Bologna o da Maglie, alla moglie,
ecc., o una sua stupenda lettera da Bari, su di una presunto crisi
religiosa all'indomani di una disintossicazione da alcool; o, perché
no, la lettera ad un nostro familiare (a cui aveva donato un cane)
sull'eleganza e le caratteristiche del cane pastore dal pelo cangiante...
Toma immenso, divorato dalla poesia]