§ I rotoli liturgici dell'Italia meridionale

Exultet a Mezzogiorno




Sergio Bello



Nel Mezzogiorno del Medio Evo latino, tra l'XI e il XII secolo, ci si imbatte in un fenomeno di grande interesse, quanto meno per il gran numero di àmbiti - letterario, artistico, musicale, anche teatrale, in certo senso - da questo toccati. Mi riferisco ai rotoli liturgici meridionali, i cosiddetti Exultet la cui produzione, appunto, è compresa nell'ambito di questi due secoli, ma le cui origini vanno cercate indietro nel tempo X secolo, dunque - e vede debitrice l'Italia meridionale, come era prevedibile, nei confronti dell'Oriente e più precisamente della liturgia bizantina.
Si tratta di un canto liturgico - Exultet è la prima parola del proemium paschale, l'"annuncio della Pasqua" - con cui il diacono annuncia alla comunità del clero e dei fedeli il Mistero Pasquale della Redenzione compiendo il rito dell'offerta del cero - la benedictio cerei acceso dal fuoco nuovo.
Tale cerimonia viene ricondotta al rito del Lucernario, praticato in ambito giudaico ed ereditato dalla Chiesa delle origini, via via solennizzato fino a farlo oggetto di una formula liturgica particolare, a partire dal IV secolo, per mezzo. appunto, della composizione della laus o benedictio cerei.
Nel Mezzogiorno, tra il X e il XIV secolo, questa formula liturgica venne fatta oggetto di un particolare processo: estratta dal Sacramentario, venne trascritta su rotoli formati da fogli di pergamena cuciti fra loro per mezzo di strisce papiracee; al testo veniva sovrapposta la melodia secondo la quale doveva essere modulato, ed i passi dell'Exultet venivano rappresentati visivamente per mezzo di immagini più o meno metaforiche dipinte al contrario rispetto a testo e melodia. Questa particolare "impaginazione" dei rotoli liturgici consentiva al diacono, posto sull'ambone, di cantare il testo svolgendo il valumen e lasciandolo lentamente cadere, permettendo così ai fedeli, ai quali le figure apparivano per il verso giusto, di assaporare meglio il contenuto testuale per mezzo del supporto visivo fornito loro in questo modo.
Sono giunti fino a noi trentuno rotoli liturgici, lunghi fino a nove metri, larghi dai tredici ai quarantasette centimetri, e quasi tutti vergati in scrittura beneventana, a riprova della stretta attinenza di questo fenomeno al territorio meridionale, essendo questa scrittura la minuscola tipica dell'Italia del Sud in quei secoli.
La composizione di questi rotoli viene ricondotta ai monasteri benedettini presenti al Sud o a località che risentivano dell'influsso dei monasteri stessi. le condizioni dei rotoli non sono sempre buone, alcune scene sono state ridipinte, così come alcune melodie raschiate e riscritte in notazioni più moderne.
Come ho accennato in precedenza. i rotoli liturgici si prestano ad analisi le più svariate: al di la dell'interesse strettamente paleografico ai fini dello studio della scrittura beneventana, l'analisi comparativa dei rotoli viene in soccorso agli storici delle liturgie, mettendo a nudo una doppia tradizione testuale, una beneventana e l'altra franco-romana; quest'ultima compare intorno al secolo XI e vi sono casi di rotoli, come quello dell'Exultet 2 della Cattedrale di Bari, il cui testo beneventano originale è stato eraso e sostituito da quello franco-romano: l'ipotesi più accreditata vuole i Normanni, responsabili della cacciata dei Bizantini dai territori meridionali, causa attiva della graduale sostituzione dei testi liturgici. La contemporanea sostituzione della notazione musicale originale con la notazione normanna non fa altro che confermare questa ipotesi.
Attraverso altri indizi testuali, poi, è possibile risalire alle fasi storiche attraverso cui i rotoli esaminati sono passati: ad esempio, l'ultima parte del testo dell'Exultet è dedicata alla celebrazione delle autorità spirituali e temporali che nel testo originale non venivano direttamente nominate, ma erano piuttosto indicate con Illo o più semplicemente con N, lasciando dunque al diacono il compito di ricordare e citare le personalità del tempo.
Spesso, però, per non incappare in errori, lo stesso diacono scriveva il nome dei personaggi da celebrare sopra o sotto Illo ed N; l'Exultet 1 della Cattedrale di Bari è l'esempio più evidente di tale prassi, e trovandoci in quell'XI secolo che vede la cacciata dei Bizantini ad opera dei Normanni, è evidente oltreché interessante notare come le note mnemoniche aggiunte dal diacono celebrino in un primo tempo gli imperatori bizantini, accostino in seguito previdentemente personalità normanne a quelle bizantine, ed infine, quando ormai i Bizantini, espulsi dalla Puglia, sono incalzati fin sulle coste orientali dell'Adriatico, raccomandino alla misericordia divina Roberto il Guiscardo e Papa Gregorio VII.
Altri elementi di carattere storico ce li forniscono i disegni: gli abiti dipinti dai disegnatori che hanno illustrato i rotoli liturgici, ad esempio, ritraggono fedelmente i modelli dell'epoca.
Fatto ben più importante, è che attraverso lo studio delle metafore rappresentative è possibile risalire agli influssi che hanno caratterizzato determinati ambiti territoriali o certe aree culturali. Nella maggior parte degli Exultet, ad esempio, le rappresentazioni delle api, simboleggianti la verginità della Madonna, sono grosso modo riconducibili a due filoni principali: il primo, di carattere decorativo e di sapore bizantino, riduce la rappresentazione a elementi simbolici essenziali; l'altro, di gusto narrativo e popolare, propone sciami che volano o contadini nell'atto di catturare le api e rinchiuderle negli alveari.
Allo stesso modo, la terra è ora trasfigurata in una maestosa figura di donna riccamente abbigliata e ornata con foglie e fiori, altrove èrappresentata sotto forma di busto muliebre nell'atto di allattare bestie - secondo uno stilema carolingio -; la si è voluta anche dipingere sotto forma di Cristo seduto in trono e circondato da animali e da alberi rigogliosi, o, più prosaicamente, sotto le spoglie di uomini affaccendati in lavori campestri.
Infine, la Mater Ecclesia la si trova nelle vesti di una donna riccamente vestita, intenta in orazioni, sotto forma di assemblea di fedeli attorno al Vescovo o, anche, in una crasi pittorica, quale donna intenta a sorreggere le pareti di una chiesa circondata dai fedeli e dal clero.
Questi non sono altro che esempi strappati quasi a forza dai molteplici esistenti: va detto infatti che non si desume un vero e proprio ciclo rappresentativo codificato nei rotoli liturgici: i passi rappresentati variano da rotolo a rotolo, come pure le raffigurazioni traggono spunto dal Nuovo come dall'Antico Testamento. Manca insomma omogeneità nelle figure rappresentative, il che rende oltremodo interessante ciascun rotolo - oltre che in rapporto agli altri - anche di per se stesso.
Ultimo ambito di analisi è quello musicale. Il passaggio dalla formula liturgica beneventana a quella franco-romana, come anticipato, è accompagnato dal trapasso dalla notazione neumatica, di incerta interpretazione ritmico-diatematica, a forme di notazione più avanzate e perciò di meno problematico intellegibilità. Il canto della liturgia beneventana, comunque, si può considerare perduto: il canto franco-romano che lo ha soppiantato ben poco conserva dell'antico canto liturgico dell'Italia meridionale. Quel che ci rimane, al momento, è un cumulo di incerte supposizioni ed ipotesi che non vale la pena prendere qui in esame; l'influsso bizantino, delle cui tracce si trova riscontro nei repertori più tardi, senz'altro avrà giocato un ruolo di primo piano nelle composizioni dei rotoli liturgici, ma questa facile deduzione non ci conforta dall'aver perso la continuità di una tradizione musicale di immenso interesse artistico.

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