§ Favolerie

Canzone d'inverno




Antonio Errico



...tutti ripetevano
quello che lui aveva raccontato,
ognuno ci metteva
la sua parte di memoria
e le strorie crescevano
diventavano vive

Chiedete se v'accade di passare per le contrade che mi videro regina se qualcuno si ricorda di Isabella, se qualche labbro mormora il suo nome o se ogni memoria s'è perduta tra la polvere che il tempo quando passa fa come fanno mille cavalieri contro altri mille dentro la battaglia.
Quante stagioni da allora son passate, e quante lune ho guardato andare e ritornare e riportarmi un sogno che non è mai finito, che s'è fatto sempre più vivo, giorno dopo giorno?
Non vi racconterà nessuna storia. La storia corre - corre? dite! - per tutto il regno, se resiste il regno, o è diventata favola, leggenda che narra di peccati e di tornei e di passioni e di ripudi?
E' fioco, adesso, il ricordo del suo volto, ma ècome fosse, l'ho già detto, un sogno che la notte affida agli occhi per il giorno.
"E' lui il più bravo", dissi, quasi stessi parlando con me sola e non ci fosse nessuno intorno.
Il re si volse e chiese: "avete detto qualcosa? ripetete. Non ho inteso bene".
Aveva inteso e io in un istante sospettai quanto potesse essere crudele la vanità di un re.
"Nulla, signore, ho detto, sono state parole non pensate di cui ora alla vostra maestà chiedo perdono".
Per tre giorni si tennero i tornei ed ogni sera dei tre giorni a corte le danze s'alternarono ai banchetti.
Non so se fu per caso o se gli occhi si cercarono. Non so. Ma ci guardammo, più volte. Mi sorrise. Forse gli sorrisi.
La giovinezza è fuoco d'artificio, è alba luminosa, è stravaganza, è mare tempestoso, urlo verso il cielo, possibilità e potenza su ogni cosa.
E la bellezza è gloria luce specchio, un'armatura d'oro è la bellezza.
Ma poi accade che gioventù e bellezza si consumino come legna sopra il fuoco. Resta solo un bagliore, un qualche odore, la caligine, un rimpianto e forse un luogo nascosto in un punto del tuo cuore, dove puoi tornar così; quasi per gioco.
Corse la voce per la corte infìda e dame valletti paggi cavalieri accusarono sicuri la regina che aveva tradito il re col forestiero.
Da quel giorno vivo prigioniera, lontano da ogni passo di viandante, in questa torre sul mare, ed ho soltanto la mia ombra per compagna quando luce una luce che consente all'ombra di esistere. E mi chiedo, a volte, se non sia io stessa ombra di quell'ombra.
In questo luogo si è oscurata la mia vita, sono morti i desideri e cresciuta la mia vecchiezza. Mi sono finta pazza per resistere al silenzio, alla melanconia, ed ho scordato ogni anniversario, non ho mai più aspettato primavera e i suoi profumi e i suoi colori.
Vivo senza contare il tempo. Il tempo è solo il tremore delle mani.
Che la vita vi sia leggera, figli, figli che non vi vedo, quale scuro di notte ci separò, quale alba ci riunirò? Se potessi sentire la vostra voce un solo istante, figli che non vi ho detto neanche addio.
Contavamo i girasoli e il padre aveva tenerezze e vi prendeva i passeri dai nidi. Vi ricordate? Son passati secoli. Arriva il mio dolore al vostro cuore? e mi cercate, mi avete mai cercata? o chi cresce dimentica la madre?
E' finito un altro giorno. Altri giorni finiranno. Oh che profumo di mare che mi arriva.
Ho avuto giorni sfolgoranti, figli, e giorni ardenti come brace viva, ed altri ancora puri come neve e come neve sciolti tra le dita, perduti appena l'alba si affacciava e il sonno mi fuggiva via dagli occhi, ma rinnegarli, questo no. figli, slegarli dalla mia vita non ho mai saputo.
Giorni dai cento volti ho avuto, figli, un volto per giurare ed uno per scordare, uno per fuggire e uno per tornare e gli altri di vanità e di albagia o angosciosi e di lagrime bagnati.
E per ogni volto io cercai ragioni perché non lo perdessi mai del tutto e così ogni mio giorno diventava deserto roccia cielo chiaro sogno tempesta aurora mormorìo nel cuore che mi diceva passerà l'inverno.
Passò l'inverno ma poi tornò ogni volta sempre più in fretta, sempre più feroce, impallidiva le ore, gelava le mie vene, faceva tutto inconsistente, senza peso.
L'inverno, figli, è la stagione che ora vivo. A stento riconosco la donna che son stata. Sono apparenza, ormai, non più di questo, sembianza senza voce e svanisco, mi perdo nella follia a cui domando solo attimi di pietà.
Ma non era questo che volevo dirvi. Volevo. invece, raccontarvi come scambiai la vita per la sua figura.
Come successe che vanificai il mio tempo intrecciando pensieri intorno al filo che la memoria mi scioglieva avanti. Pensieri vuoti, ma fascinasi, figli, leggeri come piuma, colorati, ombre senza corpo o corpo senza sangue, pensieri che volevo diventassero coltelli per difendermi dal buio che m'assediava. Ma vinse il buio, l'oscurità, il niente dentro cui io cercavo disperata il senso del mio esistere.
Il vizio vinse, figli, di cercare, per ogni cosa un pensiero solo che di quella cosa l'essenza racchiudesse, perché l'essenza mi si negava, sempre. E fu penombra, sempre, mai una luce, fu sonno senza sogno, sguardo spento, agua de nieve, espina, viento, cuento dolorido d'una tierra che non è questa ma a questa rassomiglia, che ogni notte mi ripeto dulcemente a ojos entreabiertos corno pregharia.
Vi amo figli. Questo solamente di vero posso dirvi.
Il resto non è che una parola, palabra que se pierde, maraviglia, sonido, mentira. Yo vos amo. Questo solo di vero posso dirvi.
E basta poi, basta, que el recuerdo quema.

Sono lontana ormai da questa vita
lontana da ogni fortuna, da ogni pena
dalla necessità, dalla ragione.
E' stanca giù la barca e affonda
affonda.

Adesso vorrei chiedere perdono, però non so a chi, non so per cosa.
A quei pensieri, per queste parole. forse. che scrivo per voi, che voi non leggerete. Oppure ai sensi, ai sogni, al turbinìo delle visioni, ai visi che ho scordato, che sto scordando, a tutti i visi inesistenti.
Piano. Non lasciatemi tutti insieme. Piano. Scolorite. Sfiorite come alta, come lianza, iridescenza. voglia, come debole rintocco di campana, luce al tramonto, lumera lontana, sorriso che si secca come piaga.
Piano. Piano. Rimanete. Il fiore secco ha avuto primavera, la ruga triste ricorda la bellezza, l'eternità è nei grani della sabbia che scivola nelle ampolle di clessidra.
Non so più, non ricordo più che cosa sia accaduto, se qualcosa sia accaduto veramente, se tutto fu soltanto fantasia, fola che mi racconto, pensiero sradicato, uno dei tanti miei pensieri che sapete.
Non distinguo più se quei che io ricordo abbia avuto un tempo e un luogo o se il tempo e il luogo siano stati solo l'immobile presente di questa torre.
Invecchiando mi allontano dalla mia mente. Da un'immagine che mi torna a un'altra, passa un tempo che non riesco a misurare.
La nebbia si fa sempre più fitto, si spande su tutto quello che mi apparteneva.
Il re s'è pentito e viene a consolarmi, a chiedermi perdono. nella notte. Ma non ha mantello, ma non ha corona. I soldati son fuggiti, dice.
Gli dico torna come quando ritornavi. E lui ritorna come quando ritornava.
Io contavo i suoi passi, era sempre a quell'ora il ritorno, nell'ora che la luce del giorno ha il colore del miele, poi prendeva un ricordo da stendere sopra la sera, e inseguiva pensieri per distanti, perduti sentieri. E diceva della luna splendente sulle spade e gli scudi, e la fortuna, diceva, vale più di ogni ardente preghiera, non conosco preghiera più povera degli occhi di un uomo che ti guarda quando stai per strappargli la vita dagli occhi.
Le mie parole forse v'inganneranno, figli dei figli, perché la vita inganna. Sempre. Tutti.
Nessuno riconosce il suo passato.
Ritrovarsi, rivedersi, riconoscersi, ricordare non è mai possibile, non è giusto, mai.
Lascio questa scrittura a testimonio che son vissuta. Che della voce mia diventi voce, e l'eco passi l'orizzonte e il mare, voli per valli, per deserti e piani. Che questa scrittura mia sia la mia vita, che della mia storia diventi ricordanza che duri per cento e cento anni.
Addio. Il sole s'è scurito.


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