§ Frammenti di memoria

Esalano gli aneti sapore di miele




Domenico Paravati



Gerace, ovvero la Spoleto della Calabria
C'è chi la chiama la Spoleto della Calabria e chi, addirittura, "paradiso d'Europa". Gerace è in ogni caso una scoperta perché non ancora ampiamente pubblicizzata, perché il Sud è il Sud; e più che di arte è d'obbligo, con il Meridione, parlare di malavita, mafia, 'ndrangheta, camorra. E, del resto, come dire che una tale associazione mentale sia da condannare? In più Gerace è incastonata nell'Aspromonte, che richiama alla memoria, ahinoi, ben tristi episodi di ordinaria delinquenza organizzata.
Il segreto è: non fare di ogni erba un fascio. il Sud è bello, stupendo, anche se l'uomo meridionale ha fatto di tutto per rovinarlo (è vero, verissimo, specialmente per quanto riguarda la Calabria). E Gerace è un autentico gioiello; un'autentica, inesplorata Spoleto del Meridione. Incominciamo con il dire che una volta c'erano qui più di cento chiese. E questo la dice lunga sui rapporti di questa città - sparviero (Jerax) con i monaci dalla lunga barba (i basiliani) che nei dintorni avevano decine di romitori, conventi, laure. E' qui poi che trovate la chiesa più grande, più imponente della Calabria. Merito dei Normanni che, legati com'erano a Roma e impegnatissimi nello scalzare i Bizantini, volevano lasciare un ricordo della loro presenza e dei loro legami con il Papato. Nella cattedrale normanna dunque i ricordi della presenza, del passaggio, spesso violento, anzi sempre violento, dei biondi cavalieri scesi dalla Francia, dei figli del conte d'Altavilla, impegnati a conquistare un regno nuovo di zecca. Nella cattedrale, ricordi ancora più antichi, con le colonne che reggono il tempio del secolo undicesimo ma ben più vecchie perché provenienti nientemeno che dall'antica Locri Epizefirii, la Locri della poetessa Nosside, dell'eroe Eutimo, forse immortalato nei Bronzi di Riace; la Locri del matriarcato, dei Dioscuri a cavallo, dei "pinakes", delle tavolette di bronzo.
Gerace, dunque, nata da Locri. E il municipio di questa splendida città, tutta da vedere e da amare, è ricco di testimonianze del periodo classico. Ma è ancora più ricca di forme belle, di giardini pensili, di balconcini ricamati con il ferro battuto, di viuzze che vanno magari a portarvi sotto le Bifore Catalane, un piccolo mistero architettonico in una città bizantina.
Il monumento principe, diciamo più evidente, è il castello, irrealisticamente inchiodato (oh, miracolo dei maestri antichi ... ) su uno strapiombo, strapiombo da tutti i lati, nido d'aquila inaccessibile, eppure preso dai Normanni di Roberto il Guiscardo dopo un assedio, che poteva sembrare assurdo, contro gli altri Normanni, quelli di Ruggero. Un castello che aveva un unico momento di legame: il ponte levatoio. Rimanete stupiti a guardarlo e a sognare quella battaglia che portò il Guiscardo ad impadronirsi di Gerace. E forse un pensiero va alla povera Melita, che venne impalata sotto gli occhi del marito Basilio, rimasto legato al conte Ruggero. Ma la città ha bisogno di essere conosciuta in ogni angolo e con molta pazienza, perché il gioiellino emerge quando meno ve lo aspettate, così come spesso rimbalza agli occhi il fantastico paesaggio verso il mare.
Da non perdere la chiesa di S. Francesco (XIII secolo), con un prezioso altare a tarsie policrome del 1664; i palazzi patrizi del SeiSettecento, con balconate aperte su piazzette linde e ben disegnate; ma soprattutto il San Giovannello, la Nunziatella, Santa Maria del Mastro, begli esempi di arte bizantina. Una descrizione della città l'ha lasciata, fra gli altri, quel giramondo di Edward Lear, a metà Ottocento: "Ogni roccia, santuario o palazzo - scriveva - sembrano sistemati e colorati apposta per gli artisti. E l'unione delle linee realizzate dalla natura e dall'arte èsemplicemente deliziosa".

Quell'amplesso con Venere Ericina
Dalla Calabria alla Sicilia occidentale, in cerca del tempio di Venere Ericina. Erice ha in comune con Gerace le cento e più chiese, quasi un'ossessione nelle viuzze ricamate da pavimenti-gioielli. Anche qui chiese ormai sconsacrate ma, a differenza di quelle di Gerace, ancora al servizio di qualcosa: per esempio, concerti, conferenze, eccetera. Sulla collina di Erice, che guarda le Egadi, le saline di Trapani, e il mare di Marsala con la sua Mozia legata debolissimamente alla terraferma da un piccolo cordone ombelicale, sulla collina di Erice giungevano affannati i marinai fenici (ma la cosa durò anche oltre) per sacrificare alla dea della bellezza nel sacro recinto dove le prostitute concedevano ristoro dei sensi e certezza di santità all'amplesso. Ma Erice è famosa anche per le mura megalitiche, le mura degli Elimi (Elimi o Emìli, il mistero non è stato ancora risolto), questo popolo antico trovato qui da Greci e Fenici. Ed è famosa per i palazzi sontuosi, il profumo dei limoni, i dolci alla frutta.
Siete inoltre al capolinea di una serie di itinerari nella Sicilia classica (per esempio, il tempio di Segesta, dalle mura corrose e dal futuro incerto) o nella Sicilia risorgimentale (Marsala, dove l'Eroe dei Due mondi prese terra dopo Quarto; o Calatafimi, dove ci fu il primo scontro, violento, con le truppe del Borbone), o ancora nella Sicilia turistica (San Vita Lo Capo) o nella Sicilia-natura (il parco di recente costituzione, dove regna la palma nana).


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