Lettere
dall'Italia peggiore: avida, sciacallesca. virulenta nell'aggressione
anonima, quanto vile nel mostrarsi. Sono centinaia le missive cariche
di insulti che il postino ha recapitato a San Luca, in Aspromonte. Gli
sconosciuti mittenti, nascosti dietro una cortina di righe fittissime
di turpitudini, sparano le loro invettive con una schietta volontà
di umiliare fino alla morte i cittadini di questo paese indicato come
la capitale dei sequestri. Mentalità da briganti, che fa di ogni
erba un fascio, che suscita odio, che sprizza razzismo da ogni poro
della pelle. Un'antologia della dissennata violenza, qual è riportata
nella prefazione in Lettere a San Luca, di Corrado Stajano, volume curato
da Diego Minuti e Filippo Veltri, per la memoria di chiunque voglia
capire che cos'è l'inciviltà rozza, e che cos'è
il pregiudizio infamante dell'Italia sgrammaticata e razzista.
"Vorrei che la vostra maledetta terra scomparisse dal mondo".
"Ai sub-umani degenerati abitanti di San Luca, simbolo di barbarie
e di vergogna". "La vostra razza dovrebbe essere estinta senza
misericordia". "Siete la vergogna d'Italia, siete la peste
bubbonica del nostro paese". "I cannibali erano meglio di
voi sicuramente". "Hitler ha sbagliato: invece di prendersela
con gli ebrei, doveva far fuori tutti i terroni, rovina d'Italia".
"Siete degni della sedia elettrica"; "Morte chiama morte
[ ... ]. L'avete voluto, ignobili criminali, esseri animaleschi, assassini
di guerra, animali violentatori di esseri umani".
"Brutti, sporchi, puzzolenti, non solo nel corpo, ma anche nell'anima".
"Si può almeno sperare che un provvidenziale terremoto copra
pietosamente i vostri corpi obesi e maleodoranti, i baffi arcigni delle
vostre donne, gli sguardi ferini e iniettati di odio ottuso dei vostri
occhi".
Dice Stajano: uomini e donne [ ... ] auspicano bombe atomiche, lanciafiamme,
il fuoco purificatore, il coprifuoco permanente: "A tappeto. Tutti
i vermi che saranno catturati saranno legati ai pali disposti nelle
piazze e saranno sputati da tutti i cittadini". Un genovese vorrebbe
indossare di nuovo la divisa delle SS che portò da giovane, organizzare
una spedizione in Calabria e non lasciar vivo nessuno; un ex partigiano
vorrebbe imbracciare il mitra anche lui "per estirpare la gramigna
del popolo calabrese"; gruppi di volontari avvertono di esser pronti
per lo sterminio di massa; da Rosà, Ludwig annuncia che sta per
cadere su San Luca "il fuoco vendicatore di Dio come per Sodoma
e Gomorra": il "giustiziere" usa una specie di scrittura
runica e appiccica alla busta anche un vecchio francobollo con la testa
di Hitler. Per l'Italia c'è una sola speranza: "Che l'Etna
e il Vesuvio esplodano simultaneamente senza preavviso". Tanto
è certo: tutto ciò che di non buono accade nel Nord "porta
la firma di qualche brutto, sporco, nero terrone (o comunque oriundo)",
perché nessuno riesce a mondarsi dall'infamante marchio iniziale
della nascita. Terroni, ma non solo, dunque. Anche "maledetti",
"bestie", "parassiti", "bastardi", "mantenuti
col lavoro che si fa da Firenze in su", "luride troie".
Una cartolina postale è stata spedita da RomaPrati "ai ragazzi
di San Luca": "Ora - c'è scritto in bella grafia e
con mano ferma - siete ragazzi. Tra poco sarete delinquenti e rapitori.
Che bel futuro!". Da Milano, a tutte le mamme di San Luca: "Avete
partorito tutti figli mostri. Siete solo bestie. Non siete neanche italiane.
Non siete donne, non siete niente, neanche merda". Da Bologna,
con una cartolina che raffigura la chiesa di San Luca, una donna si
dice certa "che San Luca si vergogna di aver dato il nome del paese.
Perché non vi chiamate Rapitoria?". Da Torino si è
sicuri che "il 101% di laggiù è di mafiosi e rapitori".
Da Verona sono ancora più certi: ci "vorrebbe il lanciafiamme"
per "estirpare tutto". Per farlo, qualcuno da Cavenago Brianza
annuncia la fondazione dell'Aivas (Associazione italiana volontari anti-sequestratori):
gente svelta e con idee chiare, che propone di intervenire "con
venti tonnellate di carburante" per "incendiare totalmente
l'Aspromonte in modo che non resti traccia di esso per secoli".
Da Torino, "un italiano" che indirizza: "San Luca di
Calabria (terra di Giuda e Caino)" è lapidario: "Cari
porci, sono a favore della caccia. ma a quella del calabrese specie
San Luca". Dalle Marche in tre cartelle si spiega perché
la Calabria, che "meglio sarebbe chiamare terronia", è"vergogna
dell'Italia e dell'Europa e andrebbe distrutta". Si inveisce: "Voi
siete dei bastardi, tra di voi gente onesta non ce n'è mai stata".
Tutto colpa di Garibaldi, il quale "ha portato in Italia i terroni".
Le lettere sono, dicevamo, anonime; o hanno firme false; oppure sono
siglate "Lega Lombarda", "Patrioti veneti", "Nordisti".
Sono giunte anche lettere di solidarietà, scritte da gente inorridita
per il linciaggio subito da un intero paese. Un bolognese afferma che
le lettere spedite a San Luca "sono un piccolo infame monumento
della perenne stupidità e volgarità, dei pregiudizi e
dei luoghi comuni di cui si nutre il razzismo nazionale". Scrive
anche: "Non lasciatevi intimidire dall'Italia sgrammaticata e ignorante.
Proclamate altissima e irriducibile la vostra dignità di cittadini
italiani, di esseri umani e di figli di Dio. Non permettete che si uccida
la vostra speranza di uomini onesti".
Ma i conti non quadrano lo stesso. Perché, da quando si è
compiuta l'unità d'Italia, questi sono gli anni di più
acuta separatezza. Questa miserabile storia di lettere anonime è
uno dei risultati ultimi di un'occasione storica scartata: quando, nell'Italia
liberata dalla dittatura, dal fascismo continuatore del centralismo
unitarista sabaudo, si poteva sperare fosse infine restituita ai popoli
italiani tutta la dignità del loro stare insieme, pur essendo
diversi, affratellati proprio in ragione dei patrimoni locali di specificità,
che avrebbero dovuto e potuto farli ricchi sfruttando al meglio le vocazioni
e l'ingegno di ogni singola comunità, si preferì continuare
sotto altre forme la vecchia pratica della gestione centralista. In
tutto il Sud si tollerò che poco per volta il potenziale d'iniziativa,
individuale e comunitaria, si incanalasse sui traffici illeciti, sul
contrabbando, sul taglieggiamento, e infine sui sequestri di persona
e sul traffico di droga.
Piuttosto che incoraggiare l'evoluzione delle forme più idonee
di imprenditorialità, di cooperazione, di sollecitazione collettiva
alla solidarietà, si operò secondo una logica "razionale"
fondata su modelli di sviluppo indifferenti alle particolarità
regionali. Il risultato è questo rovesciamento nella società
civile, dove dettano legge micro-e-macro-criminali, interessati a mantenere
le condizioni per cui il valore della comunità è degenerato
in spirito di cosca, la fedeltà alla propria cultura è
scaduta nell'omertà, mentre l'angoscia dello sradicamento è
canalizzata a trovare come unico sbocco l'aggressività, diretta
contro lo Stato, contro gli industriali del Nord, mentre i razzisti
settentrionali fungono da elementi catalizzatori di tutti i mali secolari
che continuano ad infierire sul Sud.
Inutilmente, ancora nel 1948, Luigi Sturzo aveva avvertito: "La
soluzione unitaria non poteva cancellare né cancellò mai
la regione italiana, come non cambiò l'indole e le caratteristiche
delle singole popolazioni, plasmate da secoli di civiltà con
varietà notevoli di fattori geografici e ambientali indistruttibili".
Il tentato appiattimento, la perseguita omologazione, l'indifferenza
riservata alla specificità delle culture regionali italiane,
è una colpa che si è pagata e si paga in termini di costi
umani elevatissimi. Un secolo prima del siciliano Sturzo, un altro grande
italiano, il dalmata Nicolò Tommaseo, si era mostrato altrettanto
conscio della complessità di un processo di unificazione, che
avrebbe potuto risolversi positivamente per tutte le culture italiane
solo entro un disegno di relazioni armoniche, nel riconoscere il giusto
peso alle tradizioni regionali, nel costruire un sistema di autonomie
"educatrici di sé", per una società ricca delle
sue varietà, antidoto contro le tentazioni macro-e-micro-nazionaliste,
liberata dai localismi di coloro che altro "non vogliono se non
quella porzioncella ov'egli abitano, e in quella stessa si sequestrano,
e fanno chiostro e carcere a sé di se stessi". I localismi
e le meschinerie di chi viene diseducato alla responsabilità
individuale e collettiva, che attende tutto dagli altri e lo sente come
un diritto, una sorta di risarcimento alle ingiustizie presenti e passate:
ingiustizie vissute sulla propria pelle, senz'altro; ma non per questo
da considerarsi perpetue nella memoria. Il Sud non ha bisogno di compassione
e tanto meno di istigazione allo scontro. Merita semmai di essere aiutato
a riflettere sulle sue vocazioni storiche e culturali, per indirizzare
il suo orgoglio di appartenenza sulle vie di uno sviluppo congeniale.
La Calabria è, come le altre del Mezzogiorno e del Nord, una
regione d'Europa, come la Westfalia o il Borinage o la Provenza, ma
non è uguale a loro. L'Europa unita o si farò nella pienezza
di riconoscimento delle particolarità di cui è costituita,
di quelle trecentotrenta culture regionali che ne formano il mosaico
unitario tra Atlantico ed Urali, o nascerà con gli stessi virus
incorporati nel processo di unificazione italiana, da cui verrà
una catena di malattie sociali, impossibili da guarire con la sola medicina
repressiva. Il tracollo culturale è ben più grave e difficile
da curare delle crisi economiche, che spesso ne sono la consequenza.
Richiede analisi pazienti, poco compatibili con le frettolosità
politiche o con le volgarità demagogiche, e soprattutto comporta
convalescenze lunghe, sulle quali incombe sempre la ricaduta. Le lettere
dei grafomani razzisti sono solo prodotti sterili di una sub-cultura
arcaica, civilmente sottosviluppata, ma conseguirebbero un loro torbido
risultato se venissero usate per alimentare altre strumentaIizzazioni,
magari politiche.
Sull'ingresso del comune di San Luca èriportata una frase di
Corrado Alvaro, che in questo paese ebbe i natali. Dice: "La disperazione
più grande che possa impadronirsi di un uomo è la convinzione
che vivere rettamente sia inutile". Non una sola lettera èpartita
da San Luca, è stata spedita dalla gente onesta di San Luca verso
i sindaci, i carabinieri, i parroci, gli uomini. le donne, i ragazzi
dei paesi d'origine dei sequestratori nordisti di Patrizia Tacchella.
Che lezione di comportamento!
Antimeridionalismo
e mass media
Col muro nel
cuore
"Giovanni
Re, mio nonno materno, venne spedito dal re Vittorio Emanuele, padre
della patria, in Calabria per la repressione del banditismo nel 1863.
Di lui, degli altri soldati piemontesi e di chi li mandava si disse
che non avevano capito il Mezzogiorno e usato la cura meno adatta
ai suoi mali, la forza militare": in un intervento di qualche
tempo fa su "Repubblica", Giorgio Bocca - analizzando quella
che in due parole definisce l'anomalia meridionale - osserva che,
nonostante i profondi rivolgimenti verificatisi in Italia da quando
il nonno andò a reprimere il banditismo ad oggi, il distacco
tra Nord e Sud, non solo non scompare ma aumenta, ed il "fiume
di miliardi" da anni dati al Sud non solo non produce ricchezza,
ma rinvigorisce la malavita.
Allora, a quale meridionalismo guardare con fiducia? "Al meridionalismo
da burletta - dice Bocca - che si diverte a costituire associazioni
e comitati che poi querelano le leghe lombarde o le famiglie piemontesi
come diffamatrici del Mezzogiorno"? Ovviamente, no. E ci sia
consentita a questo punto una piccola disgressione sulle leghe lombarde:
ben sette anni fa, mostrando quindi attenzione e sensibilità
particolari al problema, proprio Bocca aveva annotato sul suo taccuino
di viaggio nell'Italia antimeridionale: "Il volantino è
firmato da una Lega lombarda fin qui ignota ed è un decalogo
allucinante di antimeridionalismo: non parlare con il meridionale,
ti mente; non assumerlo, ti ruba dalla cassa; non riceverlo a casa,
dà informazioni ai rapitori di tuo figlio,. non concedergli
la residenza, nella sua valigia ci sono la Malia e la Camorra; non
fidarti della sua onestà, dietro c'è sempre un parente
delinquente".
Riprendendo il filo del discorso: il rilancio del Sud non potrebbe
essere avviato dal meridionalismo colto? "Ma non vale molto di
più il meridionalismo colto - sostiene sempre Bocca - ministeriale,
partitico, che dopo avere per decenni coltivato l'alibi del Nord capitalista
succhiatore del sangue meridionale ora contempla ammutolito il perdurante
e incancrenito problema del Mezzogiorno senza avere neppure il coraggio
di analizzarlo, di pesarlo, e di prevederne la metastasi". leggendo
tutto questo, affiora un senso di grande disagio.
Perché Bocca finge di non sapere che il massimo beneficiario
del "fiume di miliardi" è proprio il capitalismo
del Nord (pensiamo alla motorizzazione selvaggia imposta al Paese,
soprattutto alle aree metropolitane e al Sud) e che i proventi dei
traffici illeciti trovano la loro sede elettiva presso le grandi società
finanziarie del Nord Italia e d'Europa? Non ha mai sentito parlare
della "Milano-connection", e delle "Brescia e Torino
e Verona e Firenze connections"?
Le parole sono pietre, e forse andrebbero usate con maggior rigore.
Anzi, le parole sono "macigni", diceva Umberto Eco: "Non
ci siamo ancora resi conto del potere sociale della parola [ ... ],
di quanto le parole siano già fatti. Non gli unici fatti (ci
sono anche i terremoti, il petrolio, le bricolle dei finanzieri felloni),
ma certo, tra i fatti, i più pesanti, e quelli che danno sapore
e colore ai fatti allo stato brado [ ... ]. Si è partiti da
una discussione quasi magica del potere che ha la parola (della preghiera)
di mutare il corso del destino [ ... ] per arrivare a riconoscere,
con Ida Magli, il valore giuridico e fattivo del discorso che la moderna
filosofia del linguaggio chiama performativo".
Ecco allora il motivo del disagio: nel nostro Paese l'antimeridionalismo
ha radici profonde, lontane, forse nutrite proprio da parole come
quelle. Nell'odio montante contro il Sud, forse i mass media hanno
giocato un ruolo da non sottovalutare. Forse ancora troppo spesso,
parlando di Mezzogiorno, la comunicazione è stata marcata dal
segno negativo; e sempre forse da interventi di opinion-makers è
emerso troppo spesso un disprezzo che pian piano si èinsinuato
dentro di noi, fino a diventare convinzione diffusa, mentalità
comune, che a sua volta ha rappresentato il terreno fertile perché
attecchisse l'aggressività, perché si approfondisse
negli anni una vera e propria cultura della violenza.
Passiamo al "Corriere della Sera" e a Saverio Vertone. Il
quale indica quelle che, a suo giudizio, rappresentano le cause di
una vera e propria spaccatura tra il Nord e il Sud del Paese: "Il
dissesto economico e sociale del Mezzogiorno borbonico; l'arretratezza
politica e culturale della grande e media borghesia lombarda, l'unica
potenziale classe dirigente [ ... ] che non ha assolto il suo compito
perché, abituata a farsi fare lo Stato da altri, lo ha appaltato
alla piccola borghesia meridionale; il perverso clientelismo dei partiti
ed infine il massimalismo della sinistra settentrionale che [ ...
] negli anni Settanta si è incontrata con il lazzaronismo plebeo
del Sud, saldando violenza terroristica e camorra e dunque rivoluzione
e malavita sul lato della sensibilità popolare [ ... ]. La
società meridionale (o quel che ne resta) deve prendere atto
che l'uscita di tre regioni dalla legalità pubblica, i massacri
endemici, la sensazione (non arbitraria) di un'inesorabile risalita
della peste mafiosa, i sequestri continui, le ricorrenti spedizioni
di orecchie, l'inaudita franchigia criminale dell'Aspromonte generano
e genereranno contraccolpi sempre più gravi". L'economia
moderna si sta spostando a Sud, ma - dice Vertone - "Campania,
Calabria e Sicilia non godranno i frutti di questa migrazione [ ...
]. La ricchezza delle nazioni sta diventando nomade, come i cavalieri
di Gengis Khan. Ma non andrò a insediarsi nelle discariche
urbane e nei poligoni di tiro".
Il discorso di Bocca non è sovrapponibile a quello di Vertone.
Nel primo prevale, come di consueto, una visione colonialista del
problema meridionale: il Sud è ormai il cancro italiano inestirpato;
occorre una sorta d'intervento missionario. Non più i "cattivi"
piemontesi in divisa del 1863, ma i nuovi "angeli tecnocratici",
espressione di un capitalismo sano e cioè - ovviamente - "nordico":
questi angeli caleranno nella terra dei barbari per provvedere al
loro sviluppo, per tentare di rendere produttiva una realtà
stagnante, di inetti e di parassiti. Vertone, dal canto suo, lancia
un monito drammatico: meridionali italiani, fate attenzione; se continuerete
ad essere una gigantesca discarica e un poligono di tiro, resterete
tagliati fuori dall'economia moderna, dall'Europa, dallo sviluppo.
Tuttavia, c'è un filo che lega i ragionamenti di uno e dell'altro:
una visione "schizofrenica" dell'Italia, basata sulla convinzione
che questo Paese sia realmente spaccato in una parte buona, sana,
produttiva, e una cattiva, marcia, corrotta. Visione a sua volta basata
sull'idea del Sud come di un blocco omogeneo, in cui ogni differenza
è annullata: interno e coste, città e campagna, paesi
e metropoli o "megalopoli"; e così, vittime e oppressori,
uomini che lavorano e mafiosi, ricchi e poveri, assassini e onesti:
tutti insieme, appassionatamente, tutti indiscriminatamente l'altra
cultura. La cultura meridionale. Un'idea del Sud, e un disamore per
il Sud, che vengono da lontano.
Nell'84, tentando ancora una volta di spiegare il crescente diffondersi
in Italia dell'antimeridionalismo, Bocca scriveva: "Certo, il
mio amico Forattini ha sbagliato nettamente misura con la vignetta
della Sardegna a forma di orecchio mozzato, ma i sequestri feroci
di persone nella Toscana e nel Lazio li hanno portati i pastori sardi,
cioè una cultura barbaricina silvo-pastorale che in quarant'anni
la classe dirigente dell'isola non è riuscita evidentemente
a cambiare".
Poi, però, commentando l'assassinio a Verona (definito "stupido"
e "feroce") del sottufficiale dell'aeronautica di origine
meridionale, Bocca ritiene che non si tratti di un fatto di razzismo,
"che si fonda su pregiudizi biologici di presunte diversità
del sangue. del cervello, del sesso, che nei rapporti fra settentrionali
e meridionali sono inesistenti [ ... ]. Diciamo piuttosto che è
cresciuto in questi anni il sentimento regionale delle piccole patrie,
sostitutive di una grande patria sempre più evanescente, sempre
meno tenuta assieme dal nazionalismo e dal nemico esterno: e che queste
piccole patrie si vanno costruendo un loro patrimonio, che consiste
nel recupero della tradizione e della cultura locale e nella loro
imposizione ai forestieri".
Forse che, forzando non più di tanto questo discorso, dovremmo
ritenere che le tradizioni culturali venete esprimano anche il costume
d'ammazzare a pugni e a calci il forestiero, in questo caso il meridionale?
Che, quindi, si tratterebbe di una cultura barbaricina non meno di
quella "silvo-pastorale" del banditi sardi?
Nell'86, Vertone aveva definito Napoli la capitale della cultura della
furberia: "Un'antica parabola semitica certifica che il mondo
ha un suo fondamento nell'acqua, l'acqua nella sabbia, la sabbia nell'ippopotamo
chiamato ßahamut, Bahamut nella nebbia. La nube che sostiene
il castello delle incongruenze napoletane - e cioè il software
sopra l'ippopotamo chiamato camorra, la camorra sopra i disoccupati
organizzati, 150 mila immigrati di colore sopra i disoccupati, il
traffico impastato sopra la città e l'immondizia spalmata sopra
il traffico, città e camorra - è forse una nube di lacrime
[ ... ]. Si chiama cultura del cuore [ ... ], estratta con la stessa
facilità con cui i pistoIeros tirano fuori il revolver [ ...
]; esser napoletani non bastava più: bisognava fare i napoletani
[ ... ]. La politica come mediazione di mediazione [ ... ], il cuore
[ ... ]: sono stati e sono un incentivo e un avallo a questo cieco
istinto di conservazione che si nasconde sotto la corazza dei porci
comodi.
Sebbene De Filippo non possa più ascoltarci forse bisogna cominciare
a dire che è umano anche non eludere le proprie responsabilità,
non intascare i trenta denari e almeno qualche volta non piangerci
sopra".
Ma un Paese spaccato in due non può andare avanti in alcuna
delle sue parti; approvare - e farsene bandiera - la cultura della
separazione non servirà a nessuno, neanche al Nord. E scagliare
parole come queste - e tante altre -nel fondo delle nostre coscienze
crea soltanto lacerazioni e malanimo, che certo ci fanno regredire.
Tutti insieme.
L'idea di Cattaneo
Stati Uniti
d'Italia
Cattaneo aveva
un'idea preciso di quella che poteva essere la struttura politica
dello Stato italiano. E la suo idea era appunto quella federalista,
che vedeva realizzata, a suo parere, del tutto felicemente sia in
piccoli modelli (piccoli come ambito geografico, quale la Svizzera)
sia nei grandi (come gli Stati Uniti d'America). Quanto all'Italia,
il suo era un discorso decisamente anticipatore.
Il federalismo era per lui un modo di affermare che l'articolazione
politica istituzionale concreta, quotidiana, della libertà
deve essere molteplice, varia, plurima. L'ordinamento federalistico,
garantendo la presenza di più poteri sullo stesso territorio
- di più poteri diversi e autonomi, anche se ovviamente congiunti
e coordinati tra loro - era una dimostrazione vivente, un'applicazione
esemplare della sua noto frase, secondo la quale "la libertà
è una pianto di molte radici". Il federalismo è
uno degli aspetti per cui con la libertà, quando c'è,
affonda sempre molte rodici istituzionali e sociali nel terreno storico
in cui fiorisce.
Si è parlato, d'altra parte, di un "positivismo"
di Cattaneo, che sarebbe il presupposto e il riflesso del metodo e
del pensiero, ispirati a realismo e concretezza, che lo contraddistinguono
nella storia culturale italiano. Ma anche qui occorre precisare: non
"positivistico" è il metodo di Cattaneo, ma "positivo";
e questa è una precisazione che non va fatto solo sul piano
lessicale. E', infatti, una differenza di sostanza, in quanto il positivismo
è congiunto a dottrine logiche e perfino metafisiche lontane
dallo spirito di Cattaneo. Invece, la positività (e non il
positivismo) del suo metodo sta nel riferimento concreto al carattere
storico della realtà e alla possibilità di ricostruire,
con attente e appropriate indagini, la genesi sostanziale della realtà
stessa.
Per intendere Cattaneo è necessario del resto intendere Vico
e la grande idea dello stesso Vico, secondo cui l'essere delle cose
è il loro nascimento, la loro genesi, la loro storici. Questa
intuizione vichiana non è la sola nel pensiero di Cattaneo,
poiché si accompagno alla ripresa, in lui, di intuizioni di
altri grandi classici italiani ed europei; ma è, tuttavia,
quella che forse in un certo modo determina di più la suo ispirazione.
Su quell'intuizione vichiana, comunque, è poi fondato lo svolgimento
del metodo cattaneano in generale, che è appunto un metodo
di carattere storico. Beninteso, non storicistico: come non lo si
può definire positivistico, così non lo si può
definire storicistico in senso proprio. E' un metodo solo positivo
e storico. Oggi c'è tutto da imparare da una concezione che
vede nella realtà un processo, e un processo non univoco, monolitico,
indifferenziato, bensì molto ramificato, articolato, dialettico,
contraddittorio a volte; da una concezione che ritiene un processo
tanto più ricco di senso e di grandezza storica quanto più
di articolozioni istituzionali, sociali, umane, riesce a comprendere
in sé. Perciò Cattaneo dice, circa il rapporto tra politica
e società, che grande politica è quella che riesce a
dare soddisfazione al maggior numero di interessi e di forze sociali
presenti sul campo. Per [or questo, occorre operare mediazioni complesse,
bisogna conoscere la grande arte della politica non nel suo aspetto
di impostazione e di forza, bensì anche e soprattutto nel suo
aspetto di costruzione del consenso, delle convergenze, delle condizioni
morali e materiali, oggettive, del consenso e delle convergenze. E
questa è davvero una grande lezione.
La concezione federale del potere politico in grandi e piccoli spazi
dò poi, in particolare, a noi europei di oggi una sensazione
immediata di attualità di Cattaneo. Si tratto infatti di una
concezione che da un lato è espressa da fasi anteriori, lontane
nel tempo, ma non nei problemi, di quelle stesse vicende politiche
che oggi viviamo; e che si lega, d'altra parte, alla prospettiva che
da tali vicende deriva.
Va inoltre detto che l'attualità di Cattaneo si estende in
generale alle sue teorie economiche, sociologiche, storiografiche.
Esse presentano tutte aspetti e punti, sui quali sarebbe troppo lungo
intrattenersi in questa sede, ma che hanno già avuto influenza,
e ne potrebbero avere molta di più, in un tipo di cultura come
quella di oggi, che si vuole rifugiare, dalle proclamazioni di carattere
generale, nella concretezza di indicazioni specifiche e nella -almeno
presunto - sicurezza del particolare. E se si considera bene questa
influenza, si ha forse anche modo di rendersi conto che la "sfortuna"
di Cattaneo nella cultura italiana, di cui tanto si parlo, sussiste
per un verso. Ma per altro verso non ha impedito una sua reale e costante
- per quanto, magari, latente - azione sui settori più importanti
e creativi di circa un secolo e mezzo di vita culturale italiana.
Cattaneo
A sproposito
Coloro che in
vita avevano dedicato a Carlo Cattaneo odio tenace, una volta morto
lo vollero riportare in Italia, dall'esilio di Castagnola, presso
Lugano. E i milanesi che gli avevano voluto bene vennero lasciati
fuori dai cancelli del cimitero.
Per tutta la vita Cattaneo aveva bistrattato professori "ignoranti",
politici "bambini", diplomatici' "impossibili",
generali "incapaci", operai "inesperti", agricoltori
"patriarcali". Aveva avuto a che fare, ovunque, con "la
retorica che ci rode le ossa". Grande sconfitto del Risorgimento,
era del parere che la palestra migliore del cittadino fosse la scuola,
non il campo di battaglia. Una scuola che mirasse soprattutto a realizzare
"la connessione tra gli studi e la vita". Diceva: "Abbiamo
visto le scuole pubbliche italiane influire più presto a prostrare
il carattere nazionale che a formarlo, trattenendolo solo nelle soddisfazioni
indecise e nelle inquietudini morbose di una scienza di parole e di
date, di servili declamazioni o di ammirazioni codarde".
In un'Italia che contava due milioni di ragazzi su tre senza scuola
(in Lombardia un alunno su undici abitanti; in Sicilia uno su 108),
Cattaneo sosteneva: scuola per tutti. L'istruzione, diceva, "è
la più valida tutela della libertà". Mentre gli
altri dicevano "concordia", Cattaneo diceva "autonomia".
Diceva "regioni", mentre gli altri dicevano "unità".
Temeva che l'accentramento avrebbe portato ad anteporre la potenza
nazionale alla libertà personale, a rendere naturale la disposizione
alle guerre, a "militarizzare" la società.
Non era un uomo politico. "Non tiratemi in politica", raccomandava.
"Non voglio mescolarmi di politica attiva. Non sono nato agitatore".
Si sentiva destinato a "cose più alla mano e destinate
a friggere". Solo una volta venne meno al suo proposito. "Mi
vi tirò per i panni quel buttafuori di Cernuschi e mi mise
in punto di fare l'eroe per 48 ore". Fu quando si schierò
col popolo di Milano, dopo che aveva sperato nella trasformazione
dell'impero austriaco in un grande Stato federale. Tornato Radetzky,
andò a Parigi a chiedere aiuto alla seconda Repubblica e a
raccontare la verità su certe calunnie divulgate dagli agenti
piemontesi: che cioè i milanesi fossero tanto austriaci da
tirar fucilate alla schiena dei soldati dei Savoia.
Cattaneo morì quando l'Italia compiva otto anni, questa nuova
Italia che - diceva - "sulle cose vecchie ha dato una mano di
bianco". Lui si era battuto perché gli italiani' diventassero
"responsabili delle proprie sorti, sicché non possano
più lagnarsi che di se stessi". Magnanima illusione. Il
5 febbraio '69 nessuno si' ricordò che quel giorno cadeva il
centenario della sua morte. Adesso la sua ombra ritorna, trascinata
arbitrariamente in nome del federalismo sul carroccio dei leghisti.
Che gli tocchi ancora di fare l'eroe "per 48 ore", come
"durante il diavolezzo dei cinque giorni"?
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