L'Europa col Carroccio e la Pantera




Francesco Alberoni



La storia dell'Occidente è sempre stata dominata dai movimenti. Quando tutto sembra immobile, bloccato, quando nessuno se lo aspetta, fa la sua comparsa, improvvisamente, un altro protagonista collettivo. Sembra materializzarsi dal nulla, cresce vertiginosamente, raccogliendo attorno a sé uomini, entusiasmi, sogni, speranze, progetti di trasformazione. E' in questo modo che sono sorti nuovi ordini monastici, sette, Chiese, partiti politici. E' sotto la spinta di queste potenze collettive che sono crollati i regimi comunisti dell'Est europeo.
Ma anche in Italia, nel corso degli ultimi mesi, ci sono stati due movimenti apparentemente senza alcun rapporto fra di loro. Il movimento degli studenti (la Pantera) e la Lega lombarda.
Il movimento studentesco è nato a Palermo. E' incominciato come rivolta contro il progetto di legge Ruberti che voleva dare autonomia alle università e ammettere, in certi casi, nel consiglio di amministrazione, dei privati. Gli studenti palermitani, seguiti da quelli di Napoli e di Roma, hanno avuto paura di venir abbandonati dallo Stato. I contributi delle industrie, dicevano, andranno al Nord. E noi? Il movimento studentesco del 1990 è stato contro le autonomie, contro la privatizzazione, a favore della centralità dello Stato.
La Lega lombarda ha il significato esattamente opposto. Nasce nelle città ai piedi delle Alpi: Varese, Como, Brescia, Bergamo; si diffonde in Lombardia e nel Nord Italia. E' contro lo Stato centralizzato, contro la burocrazia romana, a favore delle autonomie e dell'iniziativa privata.
Perché sono sorti questi due movimenti? Il fattore più importante mi sembra il processo di integrazione economico e politico europeo. C'è ormai, in Europa, una formidabile forza di attrazione che trascina tutti i popoli verso il suo centro. Non solo i Dodici della Comunità europea. ma anche la Germania Orientale, la Cecoslovacchia, l'Ungheria, la Polonia, le Repubbliche baltiche dell'Urss, la Jugoslavia. Ma il movimento è diverso da punto a punto. Alcuni corrono in modo accelerato, altri più lento, altri ancora, invece, cercano di opporsi esercitando una controspinta. In Jugoslavia, per esempio, la Slovenia tende a staccarsi dallo Stato centralizzato di Belgrado. La Serbia, al contrario, vuoi conservare il centralismo. In tutta Europa le regioni più sviluppate vogliono liberarsi degli impacci e dei costi dell'amministrazione statale centrale. Le regioni più povere, al contrario, fanno affidamento proprio sullo Stato per avere aiuti, sostegni, protezioni.
Questo è quanto avviene anche in Italia. Il Nord vorrebbe giocare la sua partita capitalistica più libero da Roma. Il Sud ne ha paura, si appoggia ai ministeri romani. Il vento del Nord è autonomista, il vento del Sud è centralista. E nella stessa direzione si sono espressi i due movimenti collettivi. Antiromana la Lega lombarda, filoromana la Pantera.
Questi esempi ci mostrano che i movimenti costituiscono il modo in cui si manifestano, vengono alla luce, le forze sociali sotterranee: in questo caso le tensioni provocate dal nuovo assetto dell'Europa. Se questa interpretazione è corretta, è incominciata la prima vera e seria frattura fra Nord e Sud dopo l'unità d'Italia. Non è un problema razziale e di ideologia razzista, ma di concezione dello Stato, dei suoi compiti, di cosa deve fare, di come deve funzionare la pubblica amministrazione. Col procedere del l'integrazione nella Comunità questi problemi diventeranno sempre più acuti e più coscienti.
Io credo che lo Stato-nazione italiano reggerà benissimo la prova. Però ci saranno delle forti tensioni e bisognerà fare non poca pulizia.

Confini & frontiere

Nuove regioni per il federalismo?

Secondo molti costituzionalisti è uno dei temi da affrontare nel corso degli anni 90. E da risolvere necessariamente in ogni ipotesi di riforma degli ordinamenti regionali. Si tratta della revisione territoriale delle regioni italiane, che, per gli esperti in materia, sono "tagliate" veramente male. Per esempio: che cosa ci fanno Novara nel Piemonte e Piacenza nell'Emilia-Romagna? Entrambe le province, che del resto da molti anni chiedono l'"annessione", fanno parte geograficamente della Lombardia. E' solo un esempio, sostiene Ettore Rotelli, docente alla facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Bologna e presidente dell'Isap, un istituto di area cattolica. E aggiunge: "Molti altri si potrebbero fare, in Italia. E in effetti uno dei problemi da risolvere al più presto è quello dell'assurdità di certe divisioni geografiche. Il Triveneto, ecco un altro esempio, è una regione sola, non tre regioni".
Ci sono insomma regioni che rischiano, dal punto di vista amministrativo, di scomparire da qui a qualche anno, sempre che i partiti politici decidano di accogliere le istanze locali e i suggerimenti del mondo accademico. Tra queste c'è l'Umbria, da accorpare all'area laziale o a quella toscano. Per non parlare della Basilicata, col cuore diviso tra Puglia e Campania. Qualche dubbio anche sulla sopravvivenza della Liguria, considerata geograficamente un'appendice di Piemonte e Lombardia. Il problema, ovviamente, non si pone per la Sardegna e per la Sicilia. Ma grottesca appare, ad alcuni', la situazione di Abruzzo e Molise: un'unica regione che tale doveva rimanere, anche secondo il dettato costituzionale, e che per motivi esclusivamente politici è stata smembrata, col grimaldello della creazione di una secondo provincia molisana, quella di Isernia. Altrettanto strambo la situazione della Volle d'Aosta: regione autonoma, e per motivi che potrebbero essere rivendicati da altre zone che, tutto sommato, si trovano nella stessa condizione di autonomia geografica, come la Valtellina.
E pensare che qualcuno, chissà perché, voleva addirittura staccare l'Emilio dalla Romagna! Sulla via del "federalismo", in ultima analisi, il primo intoppo è rappresentato proprio dall'eccessiva frammentazione delle regioni. Sarò comunque difficile che quest'idea, presa seriamente in considerazione dal mondo accademico e dai politologi, venga recepita dai partiti politici. Il motivo è fin troppo ovvio: la nascita delle regioni, autonome o a statuto ordinario, ha segnato anche la nascita di grandi apparati burocratici. Quelli che lo scrittore Pietro Zullino definisce "le grandi famiglie regionali", portando come esempio i 24 mila dipendenti (in massima parte burocrati) della regione Sicilia. Su queste famiglie i partiti politici esercitano un grande potere, al quale difficilmente sono disposti a rinunciare.


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