Premessa
L'economista stilizza spesso il funzionamento del sistema economico
attraverso la contrapposizione di strutture analitiche, talora formalizzate
in modelli teorici: non potendo visualizzare la complessità dei
sistemi economici, è chiamato spesso a semplificazioni per enucleare
ed evidenziare le interrelazioni che giudica maggiormente rilevanti.
Così, nell'ambito delle relazioni tra sistema finanziario ed
ambiente economico locale, è possibile individuare due schemi
generali e contrapposti, cui riferire complessivamente le differenze
tra il Mezzogiorno d'Italia ed il resto del Paese:
1) credito - piccola impresa - Mezzogiorno,
2) finanza - grande impresa - Centro-Nord.
Credito - piccola impresa - Mezzogiorno rappresenta in sostanza uno
schema di riferimento, un modello di sviluppo orientato agli intermediari
finanziari, in particolare bancari, che si può ritenere - per
così dire, semplificando - alternativo rispetto a quello finanza
- grande impresa - Centro-Nord orientato al mercato.
Nel Sud il sistema degli intermediari e soprattutto le banche rappresentano
il punto di riferimento quasi obbligato per soddisfare le esigenze di
finanziamento dell'impresa locale di norma di dimensioni minori, laddove
al Nord la grande impresa si rivolge per lo più al mercato organizzato
dei capitali. Il fenomeno è interessante da due punti di vista:
a) la ristrutturazione finanziaria della grande impresa sul finire degli
anni Settanta e nella prima parte degli anni Ottanta, la ripresa del
ruolo del mercato finanziario e della borsa valori, il ritorno al profitto
ed all'autofinanziamento hanno portato ad un rapporto nuovo tra la banca
e la grande impresa, la quale è divenuta, più che cliente,
concorrente delle banche. Si pensi ad esempio alle esigenze ed alle
capacità della grande impresa nel settore dei servizi di pagamento
e nei rapporti con l'estero;
b) si è modificata la composizione del portafoglio prestiti delle
banche, che si è indirizzata verso il territorio classico delle
famiglie e delle piccole e medie imprese, la cui domanda si presenta
in forte espansione e può quindi consentire di ritrovare spazi
anche in un mercato bancario unico come quello che si prospetta per
il 1993.
Si è ovviamente consapevoli della arbitrarietà insita
in interpretazioni di tipo dualistico. Ragionare in termini di dualismo
Nord-Sud induce infatti a contrapposizioni analitiche di comodo che
forzano talora la realtà, in quanto assumono omogenee, sulla
base dell'appartenenza alla stessa area geografica, regioni profondamente
diverse negli assetti produttivi e nelle tipologie di comportamento.
A questa arbitrarietà di fondo, che si riverbera sulla bontà
della verifica empirica, si aggiunge un limite specifico del tema trattato,
che riguarda l'adeguatezza dell'analisi teorica.
La teoria
Sollecita infatti una più soddisfacente formulazione l'analisi
teorica dei nessi spaziali tra variabili finanziarie e reali e quindi
sia dei rapporti, a livello macro, tra credito e sviluppo economico
territoriale che, a livello micro, delle relazioni tra banche e imprese.
a) economia reale
Le teorie sull'evoluzione delle economie locali sono riconducibili
a due approcci tra loro contrapposti, di tipo competitivo, basato
sui fattori di domanda, e di tipo generativo, che enfatizza i fattori
di offerta (Richardson). Entrambi gli approcci sono concordi nel riconoscere
l'importanza degli investimenti, che agiscono sulla domanda aggregata
e determinano l'espansione della capacità produttiva.
Riconoscere l'importanza degli investimenti significa inoltre riconoscere
l'importanza delle decisioni di risparmio che tali investimenti finanziano,
ma anche e soprattutto, data la struttura dell'economia del Sud, la
centralità delle banche e delle piccole imprese; significa,
anche, riconoscere l'importanza di un processo innovativo di tipo
incrementale, per piccoli passi, piuttosto che per grandi salti: grossi
interventi trapiantati dall'esterno appaiono al momento poco probabili
e l'esperienza ha purtroppo dimostrato risolversi spesso in cattedrali
nel deserto. Nell'ambiente economico locale, una posizione strategica
assume l'artigianato, che vede il coinvolgimento diretto dell'imprenditore
e della famiglia nell'attività lavorativa ed è dunque
importante per la capacitò di creare nuovi posti di lavoro
e nuovi imprenditori. Qua] èil perché del prevalere
della piccola impresa nel Mezzogiorno? le ragioni sono essenzialmente
due:
- la scarsa presenza di strutture organizzative atte a supportare
dimensioni maggiori determina curve di offerta dei fattori rapidamente
crescenti; non ricorrono le economie di scala al pari della grande
impresa, nel senso che nella piccola impresa la curva dei costi medi
presenta il lato crescente in relazione a livelli dimensionali inferiori
che nella grande impresa (Dei Monte);
- l'incertezza sul mercato dei prodotti e l'instabilità della
domanda determinano un imperfetto funzionamento dei mercati e quindi
sollecitano organizzazioni altamente flessibili (Robinson).
L'enfasi viene posta sulla specializzazione flessibile tipica della
piccola impresa. In realtà, si assiste ad un recupero della
grande impresa sul terreno, quello della flessibilità, considerato
l'arma vincente della piccola impresa: la ristrutturazione tecnologica
favorisce quei processi di automazione che portano la grande impresa
a competere anche sui cicli corti di produzione (per una rassegna
della letteratura sulla piccola e media impresa nel Mezzogiorno si
rinvia a Salvio).
b) credito
Come si passa dall'economia reale al credito?
Nello schema credito - piccola impresa - Mezzogiorno risulta cruciale,
come si è detto, il ruolo della banche nel consentire di trasformare
le decisioni di risparmio in possibilità di investimento. A
chi sostiene che il nesso di causalità tra credito e sviluppo
rimane indeterminato, si contrappone chi invece considera il credito
una variabile strumentale, attiva, con funzione di locomotiva, o passiva,
a rimorchio dell'economia reale. Se Schumpeter assegna al credito
una funzione subordinata e considera l'imprenditore innovativo la
vera fonte dello sviluppo, si può osservare che anche la banca
può innovare. Occorre peraltro sottolineare i limiti di tale
approccio, che non considera aspetti importanti.
- le carenze nel Sud dei mercati organizzati dei capitali, quali canali
di trasformazione del risparmio in capitale di rischio;
- le carenze nell'attuazione delle politiche di programmazione e di
intervento pubblico anche a livello regionale (si pensi ai ritardi
nell'attuazione della legge 64 sull'intervento straordinario nel Mezzogiorno).
Aspetti questi che, pur esulando dal tema specifico della relazione
credito-piccola impresa, vanno tenuti presenti sia per non perdere
di vista il quadro complessivo, sia perché sono rilevanti,
sul piano delle politiche, per le azioni da intraprendere.
La verifica
empirica
Merita un approfondimento anche la verifica empirica, soprattutto
quando si assuma una nozione di Mezzogiorno non indistinta, ma articolata
in aree depresse e zone più evolute, riproponente al suo interno
ombre di Sud e luci di Nord. L'analisi dei fatti riguarda essenzialmente
tre problemi:
1) il perché del dualismo;
2) la condizione della piccola impresa, per valutare se "piccolo
è ancora bello";
3) il ruolo del credito nel soddisfare le esigenze delle imprese di
minore dimensione.
a) problema 1 - Le ragioni del dualismo
La Relazione della Banca d'Italia sul 1988 dedica un apposito capitolo
al sistema finanziario nel Mezzogiorno, partendo opportunamente dall'inquadramento
degli aspetti reali: si sottolineano gli squilibri territoriali, i
divari con il Centro-Nord, in termini di prodotto, occupazione, struttura
dell'economia (tab. 1).
Un primo risultato
scaturito dalla verifica empirica concerne il ruolo cruciale svolto
dalla produttività nella spiegazione del dualismo. Più
che da una più bassa intensità nell'accumulazione di
capitale fisso e quindi dalla quantità degli investimenti,
per cui il dualismo (DUAL) sarebbe funzione degli investimenti (INV),
DUAL = f (INV)
il dualismo sembra dipendere soprattutto da una più bassa produttività
del lavoro (tab. 2), misurata dal rapporto valore aggiunto per addetto
(VA/ADD),
DUAL = f (VA/ADD).
La produttività, a sua volta, dipenderebbe da ritardi nella
tecnologia (tech) e nella gestione industriale (gest. ind.) e quindi
dalla selezione e dalla qualità degli investimenti
VA/ADD = f (tech, gest. ind.).
Si sottolinea dunque l'importanza degli investimenti di ristrutturazione
e quindi il ruolo dell'impresa innovativo e dell'organizzazione (Schumpeter
e, per la Puglia, Botta e Capriati).
Rimane comunque un dato di fatto la decelerazione del tasso di crescita
degli investimenti: benché lo sviluppo del Mezzogiorno sia
rimasto obiettivo importante della politica economica nazionale, fenomeni
recessivi di valenza generale sono risultati amplificati nel Mezzogiorno
dalla fragilità della struttura economica, mentre gli interventi
di ristrutturazione sono stati concentrati sul capitale produttivo
giù esistente e quindi al Nord (Stancampiano). E' d'obbligo,
al riguardo, un riferimento ai ritardi che si riscontrano nell'attuazione
della legge 64 per il Mezzogiorno, dove, a giudizio degli operatori,
ostacoli di natura amministrativa si frappongono ancora ad una piena
operatività della legge.
b) problema 2 - Piccolo è ancora bello?
I rapporti sulle economie regionali pubblicati dalle filiali della
Banca d'Italia e le relazioni dell'Artigiancassa pongono in rilievo
come gli anni recenti si siano caratterizzati come anni di ristrutturazione
con destinazione di approfondimento più che di allargamento
degli investimenti. In altre parole, non sarebbe sostanzialmente cresciuta
la base produttiva.
A risentirne è stata soprattutto la piccola dimensione, la
cui traiettoria di sviluppo pare invertirsi alla meta degli anni Ottanta.
Eppure gli artigiani, la piccola impresa erano stati definiti dallo
IASM i soggetti dello sviluppo, della crescita di aree locali a specializzazione
poli-produttiva (si pensi, in Puglia, al Nord-barese) e mono-produttiva
(sempre in Puglia, Sud Salento, Valle d'Itria, Tavoliere).
Gli artigiani pugliesi, pari al 5% circa del totale nazionale in termini
di addetti e di investimenti sono per lo più giovani (il 20%
ha meno di 30 anni ed il 60% è compreso tra i 30 e i 50 anni)
e di sesso maschile (l'85% del totale). le loro imprese sono concentrate
nei settori manifatturieri leggeri tradizionali (alimentare, calzature,
abbigliamento, legno e mobilio), nelle costruzioni, nel commercio
e nei pubblici esercizi, nella riparazione di beni di consumo e di
veicoli, nella meccanica (in particolare nella costruzione di prodotti
in metallo). Tali imprese hanno vita relativamente recente, essendo
per il 7,4% nate dopo il 1980; esse si rivolgono pressoché
esclusivamente al mercato locale, essendo meno dell'1% quelle operanti
con l'estero (tab. 3). Dati questi, il cui significato economico si
commenta da sé: sono imprese giovani, spesso fragili, dipendenti
dalla grande impresa e dal mercato locale. pressoché assenti
dal processo di internazionalizzazione.
Anche se dai dati
si osserva una certa tendenza a convergere verso valori intermedi
nella scala dimensionale efficiente, con rafforzamento del leggero,
nel caso della piccola impresa, ed alleggerimento del pesante, nel
caso della grande impresa (soprattutto nei settori della siderurgia
e della chimica), ritardi permangono proprio nelle fasce dimensionali
intermedie (tab. 4), che sono quelle nelle quali si va configurando
la tipologia vincente d'impresa.
Il mercato sollecita in sostanza un irrobustimento del settore, con
l'aumento della dimensione media e la ristrutturazione dei settori
tradizionali: la pineta si dirada, ma per chi supera la sanzione del
mercato si amplia lo spazio vitale. La piccola impresa che rimane
tale risulta meno concorrenziale e subisce spesso l'espulsione dal
mercato: l'arma della flessibilità non è più
di sua pertinenza esclusiva e non si coniuga ad una capacità
analoga a quella della grande impresa, che ha raccolto il frutto anche
dell'innovazione tecnologica e gestionale. Fattori di successo. questi,
che hanno segnato la rivincita dell'impresa di dimensioni maggiori
e la cui carenza si avverte proprio nell'impresa minore: allora piccolo
è ancora bello se riesce ad avere capacità di innovazione.
L'innovazione risulta essere la chiave strategica di successo sui
mercati, in grado di trasformare le potenzialità, insite nell'ambiente
locale, in risorse da valorizzare anziché considerare la piccola
dimensione un ostacolo da rimuovere. L'innovazione richiede forti
investimenti, che risultano problematici per la piccola impresa, anche
per le difficoltà di accedere sui mercati finanziari. Intanto,
cresce l'indebitamento complessivo della piccola impresa.
c) problema 3 - Credito e piccola dimensione
Vorrei ricordare alcuni dati relativi alla finanza d'azienda, aggregati
territorialmente ma disaggregati per dimensione, i quali dimostrano
come negli anni Ottanta la grande impresa abbia ripristinato più
fisiologiche proporzioni tra capitale proprio e credito. La piccola
impresa è rimasta invece per lo più esclusa dal mercato
organizzato dei capitali ed ha potuto utilizzare prevalentemente strumenti
e tecniche inquadrabili nei capitali di credito, soprattutto ordinario.
L'incidenza degli oneri finanziari sul fatturato presenta nella piccola
impresa una riduzione sensibilmente inferiore, a causa dell'effetto
combinato di due fattori:
a) il peso dell'indebitamento sulle passività aumenta per la
piccola impresa, mentre diminuisce per la grande;
b) i tassi attivi hanno nella piccola impresa una riduzione minore
che nella grande impresa.
L'effetto combinato prezzi - quantità provoca un risultato
fortemente diseguale nella struttura finanziaria:
- minore dipendenza dal credito bancario per la grande impresa;
- maggiore dipendenza per la piccola impresa (Filippi).
Se si guarda alle fonti di finanziamento dell'impresa artigiana, si
vedono polmoni finanziari "ossigenati" in primo luogo dal
credito bancario ed in misura largamente inferiore dai mezzi propri
e dal leasing (tab. 5).
Si osservano inoltre
nel Mezzogiorno rispetto al CentroNord:
a) tassi attivi più alti di circa 2 punti;
b) un rapporto impieghi/depositi più basso di circa 10 punti,
che lascia spazio per un impiego relativamente maggiore in titoli
e sull'interbancario e fa presupporre una riallocazione territoriale
di risorse;
c) il credito erogato dalle aziende di credito supera quello degli
istituti di credito speciale a partire dal 1980 (dal 60% circa del
credito totale all'inizio degli anni Settanta all'attuale 40% circa);
d) il credito speciale cresce al Nord e riduce la presenza nel Mezzogiorno
(dal 30% dei primi anni Settanta al 20% circa del credito speciale
erogato oggi in Italia);
e) lo speciale agevolato affluisce al Sud in media per il 25% dell'agevolato
totale ed il credito Artigiancassa per il 18%.
Sono dati importanti, che indicano una ricomposizione territoriale
del credito speciale a favore del Nord, che assorbe inoltre il 75%
della componente agevolata (tab. 6). Viene così a cadere un'opinione
alquanto diffusa secondo la quale verso il Mezzogiorno verrebbe convogliato
un flusso di credito agevolato più rilevante che nel Nord.
Le diseguaglianze nella distribuzione vanno lette non solo in termini
di disponibilità, ma anche di costo del credito, che così
ricade di fatto soprattutto sul Sud. Infatti, il credito speciale,
in crescita al Nord, presenta in media tassi più bassi di quelli
delle banche, per la maggiore incidenza proprio al Nord del credito
agevolato. la ripartizione degli oneri risulta dunque particolarmente
squilibrata a danno del Sud, a cui carico sono i tassi maggiori. Si
deve ribaltare inoltre non solo il luogo comune di una maggiore presenza
al Sud dei crediti agevolati concessi dagli ICS, ma anche l'opinione
di chi ritiene che in loro mancanza solo una piccola parte delle realizzazioni
effettuate con il credito agevolato sarebbe stata effettuata anche
senza di esso, mentre nel Nord una buona parte delle iniziative finanziate
in modo agevolato sarebbe stata realizzata anche senza agevolazioni.
La situazione è oggi, almeno in parte, profondamente diversa.
Dalle Note sull'andamento dell'economia della Puglia nel 1988, pubblicate
dalla Sede di Bari della Banca d'Italia, risulta che nell'anno considerato
il credito speciale erogato dagli ICS è aumentato in regione
del 9,3% nella componente agevolata, mentre del 31% è aumentata
la componente dei crediti non agevolati, a dimostrazione di una tendenza
dell'economia regionale a fare ricorso al credito speciale anche se
non sussiste la possibilità di usufruire di contributi pubblici.
Differenze tra Nord e Sud si riscontrano inoltre nei criteri di erogazione
dei fidi. Al primo posto vi sono per entrambe le ripartizioni il patrimonio
e le garanzie reali e personali. Il Nord mette poi al secondo posto
le caratteristiche della situazione economica e finanziaria, che sembra
meno importante al Sud, dove si sottolinea l'importanza della conoscenza
personale degli affidati e l'assetto proprietario (Ciocca, Nanni,
Ruozi). Diverso appare infine il grado di soddisfazione dell'impresa
nel rapporto con la banca. la percentuale di insoddisfatti è
più elevata al Sud; anche l'aspetto dimensionale appare rilevante.
Il grado di soddisfazione
(SODD) infatti aumenta con l'aumentare delle dimensioni (DIM) delle
aziende intervistate
SODD = f (DIM).
La maggiore dimensione, più presente al Nord, fa infatti valere
il maggior potere contrattuale ed il peso specifico della sua situazione
tecnica ed organizzativa. La dimensione diviene allora variabile rilevante
(in positivo o in negativo) nello spiegare il comportamento degli
operatori bancari.
La relazione TA = f (DIM) - vale a dire maggiori tassi (TA) al Sud
in funzione della diversa distribuzione dimensionale (DIM) della clientela
meridionale - spiega una buona parte del divario a sfavore del Sud.
Lo scarto, pari a 3 punti nei fidi fino a 100 milioni, rimane superiore
a 1 punto anche nelle classi di maggiori dimensioni (con oltre 50
miliardi di fido, come si evince dalla tab. 7).
Sono dunque le caratteristiche dell'area operativa, in particolare
la frammentazione del mercato e la minore dimensione dei fidi a richiedere
maggiori costi di gestione per l'assenza delle economie di scala presenti
al Nord ed a determinare quindi un maggior costo del denaro
TA = f (DIM).
Si dice inoltre: non solo nel Mezzogiorno hanno un peso maggiore i
clienti con fido di più modesto importo, ma i clienti del Sud
sono in genere più rischiosi. Il rapporto sofferenze/impieghi
è nel Sud il doppio di quello del Centro-Nord (rispettivamente
12,54% e 6,45% a settembre 1988, come si può rilevare dalla
tab. 8).
Interagiscono
pertanto fattori di rischio nel determinare il maggior peso relativo
delle sofferenze (SOFF) nel Mezzogiorno rispetto al Nord e quindi
tassi attivi più elevati
TA = f (SOFF).
In questo caso appare però parziale la corrispondenza tra la
rischiosità dei singoli prestiti o categorie di prestiti e
il premio per il rischio richiesto dalle banche. Ricorre un effetto
di trascinamento: il maggior rischio di alcune categorie di prenditori
di credito si riflette sull'intera struttura dei tassi d'interesse,
spingendola verso l'alto. Più soddisfacente sembra invece la
relazione
SOFF = f (DIM, SETT),
dove l'effetto struttura amplifica l'andamento ciclico di settori
(SETT) e classi di imprese ad andamento congiunturale non favorevole.
Ruozi rileva che mentre 1/3 circa delle banche e degli ICS intervistati
ritiene che vi sia una buona correlazione tra crediti in sofferenza
e dimensione, un altro terzo ritiene importante il ramo di attività
delle imprese finanziate nello spiegare le sofferenze. La sensibilità
al problema è maggiore al Sud che al Nord. Una tale spiegazione
attribuisce alle banche operanti al Sud una sorta di patente di virtuosità,
in quanto riconduce i maggiori tassi alla maggiore rischiosità
dei prestiti di minore dimensione ed in genere alla struttura produttiva.
In altre parole, le banche si trovano ad operare in un ambiente economico
nel quale i fattori di rischio sono strutturalmente presenti in misura
più elevata che al Nord. Tale spiegazione ovviamente non esclude
anche divari di efficienza aziendale degli istituti di credito, tali
da ricondurre i maggiori tassi all'operatività interna delle
stesse banche
TA = f (COSTI OPER.).
In percentuale dei fondi intermediati, le banche meridionali presentano
infatti un più alto margine di interesse, ma un risultato di
gestione addirittura inferiore a quelle del Nord. a causa di maggiori
costi operativi, come si può vedere dalla tab. 9.
Questi sarebbero
a loro volta spiegati da una operatività bancaria più
frazionata e quindi più onerosa, in quanto non beneficierebbe
delle economie di scala presenti al Nord. Il problema diviene allora,
anche in vista della scadenza del 1992, quello di favorire un aumento
delle quantità trattate e quindi di realizzare una dilatazione
nel numero dei clienti di minori dimensioni (retail banking, piccole
imprese e servizi finanziari alle famiglie) tale da consentire l'assorbimento
dei maggiori costi derivanti dalla riduzione del taglio medio delle
transazioni.
Conclusioni
L'analisi del contributo del sistema delle banche allo sviluppo delle
imprese non può prescindere dal sottolineare l'importanza dei
collegamenti con altri due temi di particolare rilievo:
- il ruolo dello stato, i cui ritardi ed inefficienze ostacolano,
anche a livello regionale, una più incisiva funzione pubblica
dell'economia;
- il ruolo del mercato ed in particolare la operatività molto
limitata dei mercati finanziari locali.
Nondimeno nel Sud, nonostante le carenze dell'intervento straordinario
e dei mercati dei capitali, sta crescendo un'imprenditoria che non
esige agevolazioni speciali, ma richiede condizioni operative simili
a quelle del Nord.
Mi piace terminare, al riguardo, con un richiamo allo spirito consortile,
ad un sano associazionismo economico: nell'ambiente economico locale
uno dei vincoli che più mortifica le potenzialità del
Sud èrappresentato infatti dalla scarsa capacità di
intessere relazioni cooperative commerciali e produttive; non solo
per svolgere in comune le funzioni delegabili all'esterno dell'impresa
beneficiando di economie di scala (si pensi ai servizi per la gestione
finanziaria), ma anche per superare, attraverso l'apertura ad apporti
esterni di capitale di rischio e di professionalità, quelle
carenze di stabilità patrimoniale, organizzative e commerciali,
che troppo spesso bloccano la crescita della piccola impresa meridionale.
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