§ Dualismo o integrazione?

Banche e imprese nel Mezzogiorno




Pietro Sambati



Premessa
L'economista stilizza spesso il funzionamento del sistema economico attraverso la contrapposizione di strutture analitiche, talora formalizzate in modelli teorici: non potendo visualizzare la complessità dei sistemi economici, è chiamato spesso a semplificazioni per enucleare ed evidenziare le interrelazioni che giudica maggiormente rilevanti.
Così, nell'ambito delle relazioni tra sistema finanziario ed ambiente economico locale, è possibile individuare due schemi generali e contrapposti, cui riferire complessivamente le differenze tra il Mezzogiorno d'Italia ed il resto del Paese:
1) credito - piccola impresa - Mezzogiorno,
2) finanza - grande impresa - Centro-Nord.
Credito - piccola impresa - Mezzogiorno rappresenta in sostanza uno schema di riferimento, un modello di sviluppo orientato agli intermediari finanziari, in particolare bancari, che si può ritenere - per così dire, semplificando - alternativo rispetto a quello finanza - grande impresa - Centro-Nord orientato al mercato.
Nel Sud il sistema degli intermediari e soprattutto le banche rappresentano il punto di riferimento quasi obbligato per soddisfare le esigenze di finanziamento dell'impresa locale di norma di dimensioni minori, laddove al Nord la grande impresa si rivolge per lo più al mercato organizzato dei capitali. Il fenomeno è interessante da due punti di vista:
a) la ristrutturazione finanziaria della grande impresa sul finire degli anni Settanta e nella prima parte degli anni Ottanta, la ripresa del ruolo del mercato finanziario e della borsa valori, il ritorno al profitto ed all'autofinanziamento hanno portato ad un rapporto nuovo tra la banca e la grande impresa, la quale è divenuta, più che cliente, concorrente delle banche. Si pensi ad esempio alle esigenze ed alle capacità della grande impresa nel settore dei servizi di pagamento e nei rapporti con l'estero;
b) si è modificata la composizione del portafoglio prestiti delle banche, che si è indirizzata verso il territorio classico delle famiglie e delle piccole e medie imprese, la cui domanda si presenta in forte espansione e può quindi consentire di ritrovare spazi anche in un mercato bancario unico come quello che si prospetta per il 1993.
Si è ovviamente consapevoli della arbitrarietà insita in interpretazioni di tipo dualistico. Ragionare in termini di dualismo Nord-Sud induce infatti a contrapposizioni analitiche di comodo che forzano talora la realtà, in quanto assumono omogenee, sulla base dell'appartenenza alla stessa area geografica, regioni profondamente diverse negli assetti produttivi e nelle tipologie di comportamento. A questa arbitrarietà di fondo, che si riverbera sulla bontà della verifica empirica, si aggiunge un limite specifico del tema trattato, che riguarda l'adeguatezza dell'analisi teorica.

La teoria
Sollecita infatti una più soddisfacente formulazione l'analisi teorica dei nessi spaziali tra variabili finanziarie e reali e quindi sia dei rapporti, a livello macro, tra credito e sviluppo economico territoriale che, a livello micro, delle relazioni tra banche e imprese.
a) economia reale
Le teorie sull'evoluzione delle economie locali sono riconducibili a due approcci tra loro contrapposti, di tipo competitivo, basato sui fattori di domanda, e di tipo generativo, che enfatizza i fattori di offerta (Richardson). Entrambi gli approcci sono concordi nel riconoscere l'importanza degli investimenti, che agiscono sulla domanda aggregata e determinano l'espansione della capacità produttiva.
Riconoscere l'importanza degli investimenti significa inoltre riconoscere l'importanza delle decisioni di risparmio che tali investimenti finanziano, ma anche e soprattutto, data la struttura dell'economia del Sud, la centralità delle banche e delle piccole imprese; significa, anche, riconoscere l'importanza di un processo innovativo di tipo incrementale, per piccoli passi, piuttosto che per grandi salti: grossi interventi trapiantati dall'esterno appaiono al momento poco probabili e l'esperienza ha purtroppo dimostrato risolversi spesso in cattedrali nel deserto. Nell'ambiente economico locale, una posizione strategica assume l'artigianato, che vede il coinvolgimento diretto dell'imprenditore e della famiglia nell'attività lavorativa ed è dunque importante per la capacitò di creare nuovi posti di lavoro e nuovi imprenditori. Qua] èil perché del prevalere della piccola impresa nel Mezzogiorno? le ragioni sono essenzialmente due:
- la scarsa presenza di strutture organizzative atte a supportare dimensioni maggiori determina curve di offerta dei fattori rapidamente crescenti; non ricorrono le economie di scala al pari della grande impresa, nel senso che nella piccola impresa la curva dei costi medi presenta il lato crescente in relazione a livelli dimensionali inferiori che nella grande impresa (Dei Monte);
- l'incertezza sul mercato dei prodotti e l'instabilità della domanda determinano un imperfetto funzionamento dei mercati e quindi sollecitano organizzazioni altamente flessibili (Robinson).
L'enfasi viene posta sulla specializzazione flessibile tipica della piccola impresa. In realtà, si assiste ad un recupero della grande impresa sul terreno, quello della flessibilità, considerato l'arma vincente della piccola impresa: la ristrutturazione tecnologica favorisce quei processi di automazione che portano la grande impresa a competere anche sui cicli corti di produzione (per una rassegna della letteratura sulla piccola e media impresa nel Mezzogiorno si rinvia a Salvio).
b) credito
Come si passa dall'economia reale al credito?
Nello schema credito - piccola impresa - Mezzogiorno risulta cruciale, come si è detto, il ruolo della banche nel consentire di trasformare le decisioni di risparmio in possibilità di investimento. A chi sostiene che il nesso di causalità tra credito e sviluppo rimane indeterminato, si contrappone chi invece considera il credito una variabile strumentale, attiva, con funzione di locomotiva, o passiva, a rimorchio dell'economia reale. Se Schumpeter assegna al credito una funzione subordinata e considera l'imprenditore innovativo la vera fonte dello sviluppo, si può osservare che anche la banca può innovare. Occorre peraltro sottolineare i limiti di tale approccio, che non considera aspetti importanti.
- le carenze nel Sud dei mercati organizzati dei capitali, quali canali di trasformazione del risparmio in capitale di rischio;
- le carenze nell'attuazione delle politiche di programmazione e di intervento pubblico anche a livello regionale (si pensi ai ritardi nell'attuazione della legge 64 sull'intervento straordinario nel Mezzogiorno).
Aspetti questi che, pur esulando dal tema specifico della relazione credito-piccola impresa, vanno tenuti presenti sia per non perdere di vista il quadro complessivo, sia perché sono rilevanti, sul piano delle politiche, per le azioni da intraprendere.

La verifica empirica
Merita un approfondimento anche la verifica empirica, soprattutto quando si assuma una nozione di Mezzogiorno non indistinta, ma articolata in aree depresse e zone più evolute, riproponente al suo interno ombre di Sud e luci di Nord. L'analisi dei fatti riguarda essenzialmente tre problemi:
1) il perché del dualismo;
2) la condizione della piccola impresa, per valutare se "piccolo è ancora bello";
3) il ruolo del credito nel soddisfare le esigenze delle imprese di minore dimensione.
a) problema 1 - Le ragioni del dualismo
La Relazione della Banca d'Italia sul 1988 dedica un apposito capitolo al sistema finanziario nel Mezzogiorno, partendo opportunamente dall'inquadramento degli aspetti reali: si sottolineano gli squilibri territoriali, i divari con il Centro-Nord, in termini di prodotto, occupazione, struttura dell'economia (tab. 1).

Un primo risultato scaturito dalla verifica empirica concerne il ruolo cruciale svolto dalla produttività nella spiegazione del dualismo. Più che da una più bassa intensità nell'accumulazione di capitale fisso e quindi dalla quantità degli investimenti, per cui il dualismo (DUAL) sarebbe funzione degli investimenti (INV),
DUAL = f (INV)
il dualismo sembra dipendere soprattutto da una più bassa produttività del lavoro (tab. 2), misurata dal rapporto valore aggiunto per addetto (VA/ADD),
DUAL = f (VA/ADD).
La produttività, a sua volta, dipenderebbe da ritardi nella tecnologia (tech) e nella gestione industriale (gest. ind.) e quindi dalla selezione e dalla qualità degli investimenti
VA/ADD = f (tech, gest. ind.).


Si sottolinea dunque l'importanza degli investimenti di ristrutturazione e quindi il ruolo dell'impresa innovativo e dell'organizzazione (Schumpeter e, per la Puglia, Botta e Capriati).
Rimane comunque un dato di fatto la decelerazione del tasso di crescita degli investimenti: benché lo sviluppo del Mezzogiorno sia rimasto obiettivo importante della politica economica nazionale, fenomeni recessivi di valenza generale sono risultati amplificati nel Mezzogiorno dalla fragilità della struttura economica, mentre gli interventi di ristrutturazione sono stati concentrati sul capitale produttivo giù esistente e quindi al Nord (Stancampiano). E' d'obbligo, al riguardo, un riferimento ai ritardi che si riscontrano nell'attuazione della legge 64 per il Mezzogiorno, dove, a giudizio degli operatori, ostacoli di natura amministrativa si frappongono ancora ad una piena operatività della legge.
b) problema 2 - Piccolo è ancora bello?
I rapporti sulle economie regionali pubblicati dalle filiali della Banca d'Italia e le relazioni dell'Artigiancassa pongono in rilievo come gli anni recenti si siano caratterizzati come anni di ristrutturazione con destinazione di approfondimento più che di allargamento degli investimenti. In altre parole, non sarebbe sostanzialmente cresciuta la base produttiva.
A risentirne è stata soprattutto la piccola dimensione, la cui traiettoria di sviluppo pare invertirsi alla meta degli anni Ottanta. Eppure gli artigiani, la piccola impresa erano stati definiti dallo IASM i soggetti dello sviluppo, della crescita di aree locali a specializzazione poli-produttiva (si pensi, in Puglia, al Nord-barese) e mono-produttiva (sempre in Puglia, Sud Salento, Valle d'Itria, Tavoliere).
Gli artigiani pugliesi, pari al 5% circa del totale nazionale in termini di addetti e di investimenti sono per lo più giovani (il 20% ha meno di 30 anni ed il 60% è compreso tra i 30 e i 50 anni) e di sesso maschile (l'85% del totale). le loro imprese sono concentrate nei settori manifatturieri leggeri tradizionali (alimentare, calzature, abbigliamento, legno e mobilio), nelle costruzioni, nel commercio e nei pubblici esercizi, nella riparazione di beni di consumo e di veicoli, nella meccanica (in particolare nella costruzione di prodotti in metallo). Tali imprese hanno vita relativamente recente, essendo per il 7,4% nate dopo il 1980; esse si rivolgono pressoché esclusivamente al mercato locale, essendo meno dell'1% quelle operanti con l'estero (tab. 3). Dati questi, il cui significato economico si commenta da sé: sono imprese giovani, spesso fragili, dipendenti dalla grande impresa e dal mercato locale. pressoché assenti dal processo di internazionalizzazione.

 

Anche se dai dati si osserva una certa tendenza a convergere verso valori intermedi nella scala dimensionale efficiente, con rafforzamento del leggero, nel caso della piccola impresa, ed alleggerimento del pesante, nel caso della grande impresa (soprattutto nei settori della siderurgia e della chimica), ritardi permangono proprio nelle fasce dimensionali intermedie (tab. 4), che sono quelle nelle quali si va configurando la tipologia vincente d'impresa.
Il mercato sollecita in sostanza un irrobustimento del settore, con l'aumento della dimensione media e la ristrutturazione dei settori tradizionali: la pineta si dirada, ma per chi supera la sanzione del mercato si amplia lo spazio vitale. La piccola impresa che rimane tale risulta meno concorrenziale e subisce spesso l'espulsione dal mercato: l'arma della flessibilità non è più di sua pertinenza esclusiva e non si coniuga ad una capacità analoga a quella della grande impresa, che ha raccolto il frutto anche dell'innovazione tecnologica e gestionale. Fattori di successo. questi, che hanno segnato la rivincita dell'impresa di dimensioni maggiori e la cui carenza si avverte proprio nell'impresa minore: allora piccolo è ancora bello se riesce ad avere capacità di innovazione. L'innovazione risulta essere la chiave strategica di successo sui mercati, in grado di trasformare le potenzialità, insite nell'ambiente locale, in risorse da valorizzare anziché considerare la piccola dimensione un ostacolo da rimuovere. L'innovazione richiede forti investimenti, che risultano problematici per la piccola impresa, anche per le difficoltà di accedere sui mercati finanziari. Intanto, cresce l'indebitamento complessivo della piccola impresa.
c) problema 3 - Credito e piccola dimensione
Vorrei ricordare alcuni dati relativi alla finanza d'azienda, aggregati territorialmente ma disaggregati per dimensione, i quali dimostrano come negli anni Ottanta la grande impresa abbia ripristinato più fisiologiche proporzioni tra capitale proprio e credito. La piccola impresa è rimasta invece per lo più esclusa dal mercato organizzato dei capitali ed ha potuto utilizzare prevalentemente strumenti e tecniche inquadrabili nei capitali di credito, soprattutto ordinario. L'incidenza degli oneri finanziari sul fatturato presenta nella piccola impresa una riduzione sensibilmente inferiore, a causa dell'effetto combinato di due fattori:
a) il peso dell'indebitamento sulle passività aumenta per la piccola impresa, mentre diminuisce per la grande;
b) i tassi attivi hanno nella piccola impresa una riduzione minore che nella grande impresa.
L'effetto combinato prezzi - quantità provoca un risultato fortemente diseguale nella struttura finanziaria:
- minore dipendenza dal credito bancario per la grande impresa;
- maggiore dipendenza per la piccola impresa (Filippi).
Se si guarda alle fonti di finanziamento dell'impresa artigiana, si vedono polmoni finanziari "ossigenati" in primo luogo dal credito bancario ed in misura largamente inferiore dai mezzi propri e dal leasing (tab. 5).

Si osservano inoltre nel Mezzogiorno rispetto al CentroNord:
a) tassi attivi più alti di circa 2 punti;
b) un rapporto impieghi/depositi più basso di circa 10 punti, che lascia spazio per un impiego relativamente maggiore in titoli e sull'interbancario e fa presupporre una riallocazione territoriale di risorse;
c) il credito erogato dalle aziende di credito supera quello degli istituti di credito speciale a partire dal 1980 (dal 60% circa del credito totale all'inizio degli anni Settanta all'attuale 40% circa);
d) il credito speciale cresce al Nord e riduce la presenza nel Mezzogiorno (dal 30% dei primi anni Settanta al 20% circa del credito speciale erogato oggi in Italia);
e) lo speciale agevolato affluisce al Sud in media per il 25% dell'agevolato totale ed il credito Artigiancassa per il 18%.
Sono dati importanti, che indicano una ricomposizione territoriale del credito speciale a favore del Nord, che assorbe inoltre il 75% della componente agevolata (tab. 6). Viene così a cadere un'opinione alquanto diffusa secondo la quale verso il Mezzogiorno verrebbe convogliato un flusso di credito agevolato più rilevante che nel Nord. Le diseguaglianze nella distribuzione vanno lette non solo in termini di disponibilità, ma anche di costo del credito, che così ricade di fatto soprattutto sul Sud. Infatti, il credito speciale, in crescita al Nord, presenta in media tassi più bassi di quelli delle banche, per la maggiore incidenza proprio al Nord del credito agevolato. la ripartizione degli oneri risulta dunque particolarmente squilibrata a danno del Sud, a cui carico sono i tassi maggiori. Si deve ribaltare inoltre non solo il luogo comune di una maggiore presenza al Sud dei crediti agevolati concessi dagli ICS, ma anche l'opinione di chi ritiene che in loro mancanza solo una piccola parte delle realizzazioni effettuate con il credito agevolato sarebbe stata effettuata anche senza di esso, mentre nel Nord una buona parte delle iniziative finanziate in modo agevolato sarebbe stata realizzata anche senza agevolazioni.
La situazione è oggi, almeno in parte, profondamente diversa. Dalle Note sull'andamento dell'economia della Puglia nel 1988, pubblicate dalla Sede di Bari della Banca d'Italia, risulta che nell'anno considerato il credito speciale erogato dagli ICS è aumentato in regione del 9,3% nella componente agevolata, mentre del 31% è aumentata la componente dei crediti non agevolati, a dimostrazione di una tendenza dell'economia regionale a fare ricorso al credito speciale anche se non sussiste la possibilità di usufruire di contributi pubblici.
Differenze tra Nord e Sud si riscontrano inoltre nei criteri di erogazione dei fidi. Al primo posto vi sono per entrambe le ripartizioni il patrimonio e le garanzie reali e personali. Il Nord mette poi al secondo posto le caratteristiche della situazione economica e finanziaria, che sembra meno importante al Sud, dove si sottolinea l'importanza della conoscenza personale degli affidati e l'assetto proprietario (Ciocca, Nanni, Ruozi). Diverso appare infine il grado di soddisfazione dell'impresa nel rapporto con la banca. la percentuale di insoddisfatti è più elevata al Sud; anche l'aspetto dimensionale appare rilevante.

 

Il grado di soddisfazione (SODD) infatti aumenta con l'aumentare delle dimensioni (DIM) delle aziende intervistate
SODD = f (DIM).
La maggiore dimensione, più presente al Nord, fa infatti valere il maggior potere contrattuale ed il peso specifico della sua situazione tecnica ed organizzativa. La dimensione diviene allora variabile rilevante (in positivo o in negativo) nello spiegare il comportamento degli operatori bancari.
La relazione TA = f (DIM) - vale a dire maggiori tassi (TA) al Sud in funzione della diversa distribuzione dimensionale (DIM) della clientela meridionale - spiega una buona parte del divario a sfavore del Sud. Lo scarto, pari a 3 punti nei fidi fino a 100 milioni, rimane superiore a 1 punto anche nelle classi di maggiori dimensioni (con oltre 50 miliardi di fido, come si evince dalla tab. 7).


Sono dunque le caratteristiche dell'area operativa, in particolare la frammentazione del mercato e la minore dimensione dei fidi a richiedere maggiori costi di gestione per l'assenza delle economie di scala presenti al Nord ed a determinare quindi un maggior costo del denaro
TA = f (DIM).
Si dice inoltre: non solo nel Mezzogiorno hanno un peso maggiore i clienti con fido di più modesto importo, ma i clienti del Sud sono in genere più rischiosi. Il rapporto sofferenze/impieghi è nel Sud il doppio di quello del Centro-Nord (rispettivamente 12,54% e 6,45% a settembre 1988, come si può rilevare dalla tab. 8).

Interagiscono pertanto fattori di rischio nel determinare il maggior peso relativo delle sofferenze (SOFF) nel Mezzogiorno rispetto al Nord e quindi tassi attivi più elevati
TA = f (SOFF).
In questo caso appare però parziale la corrispondenza tra la rischiosità dei singoli prestiti o categorie di prestiti e il premio per il rischio richiesto dalle banche. Ricorre un effetto di trascinamento: il maggior rischio di alcune categorie di prenditori di credito si riflette sull'intera struttura dei tassi d'interesse, spingendola verso l'alto. Più soddisfacente sembra invece la relazione
SOFF = f (DIM, SETT),
dove l'effetto struttura amplifica l'andamento ciclico di settori (SETT) e classi di imprese ad andamento congiunturale non favorevole.
Ruozi rileva che mentre 1/3 circa delle banche e degli ICS intervistati ritiene che vi sia una buona correlazione tra crediti in sofferenza e dimensione, un altro terzo ritiene importante il ramo di attività delle imprese finanziate nello spiegare le sofferenze. La sensibilità al problema è maggiore al Sud che al Nord. Una tale spiegazione attribuisce alle banche operanti al Sud una sorta di patente di virtuosità, in quanto riconduce i maggiori tassi alla maggiore rischiosità dei prestiti di minore dimensione ed in genere alla struttura produttiva. In altre parole, le banche si trovano ad operare in un ambiente economico nel quale i fattori di rischio sono strutturalmente presenti in misura più elevata che al Nord. Tale spiegazione ovviamente non esclude anche divari di efficienza aziendale degli istituti di credito, tali da ricondurre i maggiori tassi all'operatività interna delle stesse banche
TA = f (COSTI OPER.).
In percentuale dei fondi intermediati, le banche meridionali presentano infatti un più alto margine di interesse, ma un risultato di gestione addirittura inferiore a quelle del Nord. a causa di maggiori costi operativi, come si può vedere dalla tab. 9.

Questi sarebbero a loro volta spiegati da una operatività bancaria più frazionata e quindi più onerosa, in quanto non beneficierebbe delle economie di scala presenti al Nord. Il problema diviene allora, anche in vista della scadenza del 1992, quello di favorire un aumento delle quantità trattate e quindi di realizzare una dilatazione nel numero dei clienti di minori dimensioni (retail banking, piccole imprese e servizi finanziari alle famiglie) tale da consentire l'assorbimento dei maggiori costi derivanti dalla riduzione del taglio medio delle transazioni.

Conclusioni
L'analisi del contributo del sistema delle banche allo sviluppo delle imprese non può prescindere dal sottolineare l'importanza dei collegamenti con altri due temi di particolare rilievo:
- il ruolo dello stato, i cui ritardi ed inefficienze ostacolano, anche a livello regionale, una più incisiva funzione pubblica dell'economia;
- il ruolo del mercato ed in particolare la operatività molto limitata dei mercati finanziari locali.
Nondimeno nel Sud, nonostante le carenze dell'intervento straordinario e dei mercati dei capitali, sta crescendo un'imprenditoria che non esige agevolazioni speciali, ma richiede condizioni operative simili a quelle del Nord.
Mi piace terminare, al riguardo, con un richiamo allo spirito consortile, ad un sano associazionismo economico: nell'ambiente economico locale uno dei vincoli che più mortifica le potenzialità del Sud èrappresentato infatti dalla scarsa capacità di intessere relazioni cooperative commerciali e produttive; non solo per svolgere in comune le funzioni delegabili all'esterno dell'impresa beneficiando di economie di scala (si pensi ai servizi per la gestione finanziaria), ma anche per superare, attraverso l'apertura ad apporti esterni di capitale di rischio e di professionalità, quelle carenze di stabilità patrimoniale, organizzative e commerciali, che troppo spesso bloccano la crescita della piccola impresa meridionale.


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