§ Investimenti anni Novanta

L'Europa salta il Sud italiano




Mario Deaglio



Anche nell'inizio del nuovo decennio, l'ultimo del secolo e del millennio, in varie zone del Mezzogiorno sono state scritte molte brutte pagine legate a rapimenti, faide, criminalità mafiosa. La vicinanza a questi fenomeni e l'abitudine di decenni a considerarli come un doloroso, ma in un certo senso inevitabile, fatto locale rendono difficile all'opinione pubblica valutarne in pieno le implicazioni per l'area meridionale, e più in generale rendersi conto della crescente debolezza di quest'area nella prospettiva degli anni '90: siamo in presenza di due grandiosi flussi internazionali di fattori produttivi che probabilmente caratterizzeranno l'economia europea nel prossimo decennio ed entrambi rischiano di lasciare ai margini il Mezzogiorno.
Il primo di questi flussi è rappresentato dai capitali che dalle aree avanzate dell'Europa, ma anche dal Giappone e dagli Stati Uniti, vanno ad investirsi nel bacino mediterraneo. Quasi non passa settimana senza che una nuova iniziativa di questo genere venga annunciata non solo in Spagna e nel Portogallo, ma anche in Paesi della riva Sud del Mediterraneo, quali l'Algeria, la Tunisia, l'Egitto e la Turchia. Queste aree sono oggettivamente in competizione con l'Italia meridionale ed in questa competizione, in tempi recenti, hanno segnato numerosi punti a loro favore; rispetto al nostro Sud, possono generalmente offrire non solo una manodopera dal costo più basso e spesso con un livello di istruzione soddisfacente, ma anche un Insieme di infrastrutture ormai competitive con quelle dell'Italia meridionale. Ed ora che anche l'Est europeo offre occasioni di investimento ai capitali occidentali, il Mezzogiorno deve affrontare una concorrenza aggiuntiva.
Dobbiamo poi avere il coraggio di riconoscere Che, nelle scelte delle grandi imprese multinazionali tra investire nel Mezzogiorno o nel resto dell'area mediterranea, pesa indubbiamente la disastrata situazione sociale di gran parte del Sud: nessuna grande impresa investe nella Palestina dell'Intifada, perché mai dovrebbe investire nelle tre regioni italiane (Sicilia, Campania, Calabria) in cui il numero dei morti di mafia è nettamente superiore ci quello dei morti per l'Intifada?
Mentre i capitali cominciano a spingersi massicciamente da Nord verso Sud, il lavoro affluisce da Sud verso Nord, ma anche questo secondo grande flusso sembra "saltare" il nostro Mezzogiorno. le industrie dell'Italia settentrionale stanno assumendo, spesso in impieghi di una certa qualificazione, lavoratori dell'Africa sub-sahariana, i quali sono disposti a spostarsi di migliaia di chilometri e ad affrontare un ambiente culturalmente diversissimo; nell'Italia meridionale ci sono aree con punte elevatissime di disoccupazione giovanile, eppure questi giovani sono complessivamente poco mobili e solo in piccola parte accettano di cercar lavoro a qualche centinaio di chilometri da casa, In un'altra regione del loro stesso Paese. Queste difficoltà aumenteranno se diventerà consistente l'immigrazione all'Ovest di lavoratori dell'Est europeo, dotati di un ottimo livello di istruzione. Gran parte del Sud, sia pure con importanti e lodevoli eccezioni, rappresenta quindi un'area di staticità in mezzo a questi cambiamenti vorticosi. A ciò probabilmente concorre in maniera determinante una politica meridionalistica concretatasi in massicci trasferimenti correnti di reddito dal resto d'Italia aventi spesso il carattere di un sussidio improprio. Chi usufruisce di una pensione d'invalidità senza essere invalido non ha certo un grande stimolo ad andare ci cercare lavoro altrove; chi riesce a trovare un impiego pubblico o parapubblico, da netturbino o da guardia farestale, sottratto alle regole del mercato e quindi con scarso controllo di produttività, non è certo grandemente invogliato a cambiare questa situazione. In altri termini, in quanto riesce a vivere, più o meno bene, grazie all'assistenzialismo, una parte del Sud non ha un vero interesse a mettersi sulla più difficile via dello sviluppo; reclama invece dosi sempre maggiori di assistenzialismo.
L'assistenzialismo, però, non durerà in eterno. La situazione della finanza italiana non consente la crescita indefinita dei fondi destinabili a questo "sostegno" al Sud, anzi ne imporrà in futuro un sostanzioso taglio. La riorganizzazione della Comunità europea in vista del 1992, del resto, sta già erodendo le possibilità di azione autonoma del governo italiano, come dimostra la vicenda dell'acciaieria di Bagnoli: di fronte alla decisione di chiuderla presa da Bruxelles, Roma non ha potuto ottenere altro che un faticoso rinvio.
E' quindi fondamentale che, all'inizio degli anni '90, il problema del Sud venga affrontato al di fuori di una stantia retorica meridionalistica, alla luce di questi nuovi, grandiosi flussi economici internazionali. In caso contrario, rischiamo di trovarci alla fine del decennio con un'Italia meridionale dalla struttura economica arretrata, rispetto a quella di molti Paesi mediterranei, con una popolazione ad un tempo assistita e fortemente scontenta che perde inevitabilmente terreno in un confronto che non è solo più con il resto d'Italia, ma che coinvolge tutti i Paesi vicini.

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