§ Il ritorno del razzismo

Bandiere di pelle (atto secondo)




AA.VV.



Roma, 8 giugno 1989

Caro Direttore,
ho letto con molto interesse "Il razzismo dal volto umano", uscito sul n. 4 e sono stata stimolata ad alcune considerazioni.
Negli anni Sessanta la classe politica di governo, seguendo le teorie keynesiane dello sviluppo squilibrato, si afferma anche come forza economica imprenditoriale, decidendo l'ingresso del Sud nell'area della grande industria. L'intervento dello Stato non crea però le condizioni di un'economia autopropulsiva perché essa rimane fondata su un sistema di mediazione - almeno in alcune regioni del Sud - tra il partito del governo e una rete di notabili locali incaricati della gestione del flusso di denaro destinato allo sviluppo del Sud. Un distorto sviluppo economico dunque, che rimane dipendente dall'apparato industriale settentrionale e legato a un sistema di clientele indispensabili alla D.C. per conservare il consenso elettorale.
Così per gli emigrati meridionali non si sono aperte possibilità di usufruire di questi interventi. Gli emigrati, che erano poi quelli che nel 1948 con grande coraggio avevano occupato le terre, nella fiducia che lo spiraglio della riforma agraria si aprisse con la legge Gullo rendendogli giustizia, sono dovuti restare a guadagnarsi l'amato pane "straniero", oltre confine o in patria.
Dalla fine degli anni Sessanta si attenua la politica degli investimenti produttivi industriali agevolati, soprattutto privati, e si va verso un cospicuo flusso di spesa pubblica orientata a controllare le tensioni sociali. Viene in questo modo a crearsi una catena politico-economica attorno a una borghesia locale che gestisce e fruisce del denaro in questione. Tutto ciò influisce sul mercato del lavoro: la maggiore dilatazione delle opportunità di lavoro resta ancorata ai modi ed ai ritmi di erogazione di denaro pubblico e ai casi più strettamente assistenziali, ma molte di queste possibilità sono legate alla gestione illegale del flusso di denaro alla mafia, alla camorra che finiscono per controllare l'edilizia e il lavoro stagionale, infiltrandosi nello stesso tempo nelle maglie delle istituzioni. Tutto questo finisce per marchiare tutto il Sud, con l'appoggio della stampa che alimenta una distorta versione delle cose. E' altrettanto vero che la mafia poi si è estesa su tutto il territorio nazionale: le tangenti sono senza dubbio una espressione mafiosa.
Responsabile di questi fenomeni è la classe politica che non ha voluto colpire la mafia al Sud e non solo non ha fermato il dilagarsi del fenomeno, ma ha contribuito ad estenderla.
Come si può allora pensare che la sola presenza in un governo (nel frattempo caduto) di 27 ministri meridionali possa rappresentare una inversione di tendenza per il Mezzogiorno?
Per risanare il Paese basterebbe, da una parte, recuperare quei fermenti e quelle tensioni ideali che nel Sud ebbero l'espressione più alta nelle masse contadine e al Nord nella classe operaia. Purtroppo i contadini del Sud sono emigrati e si sono inseriti in altre attività, gli operai del Nord invece di lottare per il socialismo hanno lottato per il benessere, che tutto sommato hanno raggiunto con buona pace degli ideali. Dall'altra parte ci vorrebbe una classe politica onesta che fosse spinta da rinnovate tensioni ideali. Due condizioni difficilmente attuabili.
Il giornale che dirigi sembra sinceramente proteso a stimolare la costruzione di uno Stato efficiente, con una classe dirigente decisa a dare una svolta al Paese: allo stato delle cose sembra un bel sogno, a meno che non si guardi a certo decisionismo arrogante e un po' pericoloso. Per questo, pur riconoscendo esatta l'analisi che tu hai fatto, penso che sia necessaria molta cautela, che non si debba in alcun modo acuire la divisione tra Nord e Sud: un razzismo alla rovescia non sarebbe utile a nessuno. Bisognerebbe invece recuperare i valori dell'antifascismo, primo fra tutti quello di uno Stato che funzioni bene, creando una intesa fra quanti, nordisti o sudisti che siano, sono stufi di tangenti e di mafia, di ruberie e di camorra, di ingiustizie fiscali e di evasioni per compiere una profonda pacifica rivoluzione. Utopia? Forse. Ma è l'utopia che ha cambiato le cose in ogni tempo.
Scusa, caro direttore, se mi sono dilungata troppo e vivi apprezzamenti per la bella rivista. Cordiali saluti.
Mirella Alloisio
Una ligure, non targata "razza nordica"


Carissima Mirella,
giuro che non avrei voluto parlarne più, neanche dopo il clamoroso successo elettorale, alle europee, della lega Lombarda-Alleanza Nord: perché è reale il rischio di rispondere al razzismo con altro razzismo, sia pure involontario, (ma è consentita l'involontarietà a un giornalista, il quale - insieme con le fonti - deve verificare anche se stesso, le proprie idee, l'antropologia culturale, e quant'altro si voglia, e ricordare che "le parole sono pietre"?), trasformando in questo modo un dibattito aperto in una specie di spaghetti-western. Ma tant'è. Ci torno su, per la tua bellissima lettera, e per le altre, che continuano ad inviare ai giornali i "fratelli d'Italia". Con una premessa, o una professione di fede, alla quale non so sottrarmi: prendo in prestito due righi dell'eccelso Tocqueville, e li faccio miei: "Spero di avere scritto questo libro senza preconcetti, ma non pretendo di averlo scritto senza passione". E spero anche di non valicare il confine - labilissimo - tra passione e indignazione: spero, non prometto. Perché un giornalista che non riesce a "vedere", a "meravigliarsi" e a "indignarsi", - quando siano in pericolo, ad esempio, la ragione, la libertà, la dignità civile e umana - ha un futuro solo nel catasto.
Dunque: tu dici che negli anni '60 "la classe politica di governo seguendo le teorie keynesiane dello sviluppo squilibrato, si afferma come forza economica imprenditoriale, decidendo l'ingresso del Sud nell'area della grande industria". E' vero. Ma le premesse erano state già poste nell'immediato dopoguerra: fu allora che (anche contro la volontà di Togliatti) Ruggero Grieco fortissimamente volle che ai contadini meridionali fosse data la terra (il possesso della terra era stato, d'altra parte, un dato permanente dell'ideologia contadina del Sud), mentre altri meridionalisti (Rossi Doria, in particolare; ma anche Tommaso Fiore) già parlavano di scuole professionali, di sistemi di trasporto, di sistemazione del territorio, di sviluppo dei servizi preliminari alla nascita di un tessuto connettivo di piccole e di medie imprese industriali. Prevalse Grieco, e la prospettiva delle tute blu nel Sud si allontanò. Perché? Perché, si disse, era necessario rimetter su le fabbriche, dar lavoro alla gente, ricostruire le città e i commerci. Di chi? Del Nord: anche per premiare chi aveva patito di più per la guerra, chi aveva fatto la Resistenza, chi aveva difeso gli impianti industriali dalla strategia distruttiva dei nazisti in ritirata. Argomenti difficilmente contestabili, certo. Ma che finirono per giustificare una politica binaria: di chi riteneva poi di poter esportare nel Mezzogiorno e nelle sue Vandee il "vento del Nord", e di chi contava di agire sul volano delle Vandee per contrastare quel vento.
Fu il Piano Marshall a cancellare molte macerie peninsulari; ma furono i dollari del sindacato americano a finanziare la scissione di Saragat e la Cisl di Pastore. l cislini, soprattutto, trovarono a Sud immensi pascoli, e furono un muro pressoché invalicabile per l'espansione della Cgil, che consolidò la sua formidabile presenza e la sua attività al Centro-Nord. E quel muro fece naufragare il progetto gramsciano (ma per primo lo aveva delineato Gaetano Salvemini) dell'alleanza tra operai del Nord e contadini del Sud, per la redenzione delle masse meridionali e per lo sviluppo equilibrato del Paese. Che poi "gli operai del Nord, invece di lottare per il socialismo, hanno lottato per il benessere che tutto sommato hanno raggiunto con buona pace degli ideali", forse era fatale: le catene automatiche di produzione consentivano un ritmo del tempo assai diverso da quello di terre in cui, come ha scritto un mio amico poeta, "sirene di cantieri sono/antichi rumori di zappa". Ben altre macerie, politiche, morali, storiche, erano da cancellare nel Sud. ' "altra Italia" non seppe, non volle o non poté aspettare. Allora sulle regioni meridionali riprese vitalità una vecchia sciagura: il ruolo di mercato per le produzioni dell'Italia ricca; e se ne abbatté una nuova: la Cassa per il Mezzogiorno.
L'ascarismo dei politici meridionali, o di quegli yes-men che furono alleati e complici del "ministro della malavita", Giolitti, non si poteva cancellare nello spazio di un mattino. La stessa antropologia culturale del Sud era stata scandita dal conflitto tra quelle che Croce aveva definito le "grandi figure", i grandi uomini soli del Mezzogiorno: coloro che, crocianamente, appunto, si erano preparati alla caduta del Fascismo, senza tuttavia muovere un dito per accelerare l'evento; e coloro i quali, invece, si erano staccati da Croce, insofferenti dell'attendismo, erano emigrati al Nord e avevano fondato il Partito d'Azione (e l'editrice Einaudi).Rinate nel dopoguerra le "due Italie", e avendo ormai messo radici salde a Nord gli spiriti liberalradicali, al Mezzogiorno venne meno la forza intellettuale endogena che avrebbe potuto mettersi alla testa di un movimento rinnovatore. I Finocchiaro Aprile, i Carano Donvito, i Dorso, pochi altri, cresciuti alla scuola e sulla lezione di De Viti De Marco, furono voci clamanti nel deserto.
Deserto: perché la terra, dopo aver "tremato", venne abbandonata dagli assegnatari eradicati, isolati, privi di acqua, di energia elettrica, di strade. Di futuro. Costoro cominciarono a vendersi porte e finestre, acquistarono una valigia e un biglietto ferroviario, e riaprirono le piste della migrazione. Questa è storia degli anni '50, quando per far calare la febbre si stanziarono 1.000 miliardi per la micidiale politica degli "interventi a pioggia" della Cassa per il Mezzogiorno, avversata da pochi spiriti illuminati, ma sostenuta proprio da quella "rete di notabili" che avrebbe dato il più cospicuo apporto alla formazione della "classe politica" trasformista, servile, famelica, che avrebbe "mediato" e "gestito" quasi in esclusiva nel Sud.
Negli anni '60 (in pieno boom, nel '63, emigrava un meridionale ogni minuto primo), la presunta inversione di tendenza. Se la montagna non va da Maometto... l'industria scese a Sud! Il miraggio della tuta blu abbagliò anche i pastori lucani, per i quali l'italiano era una lingua straniera; e i "foresi" di Puglia; quelli che per millenni avevano dormito, le notti della mietitura, sull'aia. Andarono alle selezioni dell'Italsider, poi della Montedison, tutti con richieste a corto raggio: facchino, usciere, guardiano notturno... Mucillagine umana, facce d'argilla, occhi dolenti; qualche Donnarumma all'assalto. Il piazzamento delle "raccomandazioni" diventò vorticoso, assurse a sistema, politici e mezzani accumularono consensi speculari al numero di salari che riuscivano a garantire e accumularono progetti speculari alla massa di servizi che la nuova realtà avrebbe finito per reclamare: strade, superstrade, ponti e viadotti, edilizia decentrata, acqua, energia... Il Nord, intanto, si era liberato di industrie ingombranti e devastanti (chi riconosce più Taranto?). Il Sud ringraziò e delirò su altri centri siderurgici, poi declassati a laminatoi, poi svaniti tra le rovine di terre che erano state giardini, non avevano accolto imprese a misura d'uomo, ed erano diventate altri deserti. La Cassa per il Mezzogiorno varò i progetti speciali. Una lavina di denaro pubblico scese a Sud, e come un fiume limaccioso raggiunse e sommerse tutto e tutti. Lo chiamarono progresso.
In parte lo fu. Emigrati di ritorno, spiriti bucanieri, agrari in vena di riconvertire le rendite, imprenditori ruspanti, risparmiatori accaniti, insieme con giovani illuminati e disposti al rischio, si gettarono a capofitto nella gran bisca del Sud: mediamente, ce l'hanno fatta per un buon terzo; gli altri, o sono rimasti al paio, o non sono andati molto lontano, o sono finiti nel baratro. Buona parte del Sud, però, rastrellando tutto quello che trovava per strada, o otteneva dalla Cassa per il Mezzogiorno, dalle Regioni, dalle banche, dalle tasche di papà e dagli artigli degli usurai, emerse dalla sfera del sottosviluppo. Oggi è una terra "a insufficiente industrializzazione", come si dice in questi giorni. Intasa le città con le auto, mangia bistecche, affolla le spiagge, ha conquistato la settimana bianca, veste griffato, ostenta il Rolex.
Ma quale prezzo ha pagato?
"Fermenti e tensioni ideali": tutta la storia del Sud è stata percorsa dall'azione intellettuale e politica di vivaci minoranze; e dalla più lunga, silenziosa, radicale rivoluzione della storia italiana: l'emigrazione. Ma la "solitarietà" dei movimenti e la loro scarsa propensione ad aggregarsi, insieme con il sostanziale monadismo della cultura contadina e con l'eccentricità geografica, hanno finito col precludere nell'immediato ogni sbocco, ogni soluzione positiva per la comunità. Hanno fatto il resto la povertà (e la corsa contro il tempo per limitarla), l'abbandono dell'"altra ltalia" e la criminalità organizzata.
Il Regno delle Due Sicilie era povero (ma le banche centrali di Palermo e di Napoli, che battevano moneta, erano molto ricche, prima dell'annessione); rimase povero il Sud che imbracciò il "91 " per salire sulle tradotte dirette al Carso e al Piave; fu sprofondato nel paleocapitalismo agrario nel Ventennio; è rimasto mercato di consumo interno dal secondo dopoguerra. Dal 1861 ad oggi, le scelte politiche e di politica economica italiane non hanno fatto una piega: Nord locomotiva, Sud al traino. Nord produttore, Sud consumatore. Nord guida. Sud in cono d'ombra. (Sapevo benissimo che 21 ministri meridionali non avrebbero sconvolto il mondo. Volevo solo scompensare le coronarie di chi, facendo questi incredibili calcoli, aveva perso il sonno!). Il Sud doveva restar povero, perché almeno una parte dell'Italia doveva restare agganciata all'Europa. L'incapacità dei meridionali di fare impresa è una balla venduta da troppo tempo per essere ancora credibile. Agnelli può giocare un po' con gli "intellettuali di Magna Grecia", ma, se riflette su, non può non ricordare che l'Alfa fu creata da un ingegnere napoletano, e che Torino, Varese, Milano, Bologna sono assediate da piccole e medie imprese messe su da "terroni".
Ma perché tutto questo non si è riprodotto a Sud? Perché il territorio era disastrato da millenni, lo abbiamo detto; perché l'alleanza auspicata da Salvemini e Gramsci vide venir meno proprio il più saldo supporto, quello operaio, sebbene il Sud avesse generato i Cafiero e Di Vittorio, lo abbiamo ricordato; perché ebbe, ed ha, una diffusa criminalità organizzata: e questo nessuno può negarlo.
Che immensa fortuna hanno avuto definizioni come "Mafia", "Camorra", "'Ndrangheta"! C'è voluta tutta la fantasia, tutta la capacità creativa di interi popoli per inventare questi nomi, e gli aggettivi connessi, partendo dai Beati Paoli e dalla Bella Società Riformata, e giungendo a Cosa Nostra o alla Sacra Corona Unita. Ma come definire altre organizzazioni, non meridionali, che rubano (Valtellina) più che in Irpinia, evadono e contrabbandano (petrolieri) più che nelle aree di lavoro nero, rapinano (i miliardi lucrati dalla Sir) a mano disarmata, ma uccidono lo stesso, più che con la lupara: con la fame, con la disoccupazione, con l'abbrutimento di intere aree geografiche del Sud, ingannate con progetti faraonici, persino con gli scheletri di fabbriche rimaste lì, a testimoniare che in questo nostro Paese si può fare tutto e il contrario di tutto, quando si è protetti politicamente, senza trascorrere un solo giorno non dico nelle patrie galere, ma almeno agli arresti domiciliari? E il buon Montanelli, facendo il raffronto tra criminalità del Nord e quella del Sud, per il Nord riusciva a "trovare" solo Vallanzasca: potenza degli oblii! Chi non può dimenticare, sono coloro che con mafia, camorra, 'ndrangheta devono fare i conti tutti i giorni e tutte le notti, tanto vedono innervate queste "Cose Nostre" nella politica, nell'amministrazione della cosa pubblica, nella società, nell'economia, e tanto devono pagare "sicurezze precarie" di beni, di lavoro, della stessa vita. Le hanno lasciate crescere, queste malepiante, ritenendo forse che una società disgregata sarebbe stata più stabilmente dominabile, economicamente colonizzata, politicamente tagliata fuori. Presumendo di non ritrovarsele mai in casa. E non pensando che forze interne (forze politiche e intellettuali, giovani, mezzi di comunicazione) e impatti dall'esterno (è bastata una fragilissima-fortissima Angela Casella da Pavia) avrebbero segnato il punto di saturazione. E' accaduto, sta accadendo qualcosa di veramente nuovo, a sud del Garigliano. E c'è chi è terrorizzato proprio da questo.
Ho parlato molto, in questo periodo, con gli ultimi vecchi che ancora lavorano la terra, con gli emigrati stagionali e con quelli permanenti, e soprattutto con i loro figli, quelli con la laurea e il "posto di comando", al Sud e al Nord. Amplissima la gamma delle reazioni. Algide ("Dov'erano i leghisti mentre noi salivamo sui maledetti "treni della speranza"?"); pirandelliane ("Abbiamo i posti di comando? Così è, se gli pare"); sprezzanti ("E noi, questi qui, dobbiamo portarli in Europa?"); polemiche ("Potevate pensarci tanto tempo fa, razzisti di Bergamo: quando avete dato il più gran numero di uomini fra i Mille di Garibaldi"); "storico-economiche" ("E che cosa avrebbero fatto, le industrie del Nord, senza la manovalanza meridionale? E pensavano che i figli dei manovali sarebbero rimasti anch'essi manovali?"); "istituzionali" ("Se la prendono con la burocrazia meridionale che applica le leggi, e non con chi ha proposto e approvato quelle leggi"); futuribili ("La meridionalizzazione della popolazione italiana è un fatto quasi compiuto; un decennio fa, i "milanesi puri" e i "torinesi puri" si contarono: 33.000 e 30.000. Restarono sgomenti. Quante tasse pagano oggi quelli dei "puri" che sono sopravvissuti?. Dove andrebbero, Torino e Milano, con le loro scarse uova d'oro"?); persino romantiche ("Mi vergogno per loro, che non riescono a vergognarsi"). Una mi ha colpito in particolare: "Ma chi glieli ha dati tanti quattrini per una campagna elettorale che è scesa fin nel Sud d'Italia? E non è, per caso, che prendendosela con i terroni che non fanno più i manovali, vogliono riprendere le leve del "potere perduto", cioè vivere ancora di rendita, utilizzando le manovalanze terzo e magari quartomondiste?". Ci ho riflettuto a lungo. Il discorso non è proprio campato in aria. Genera, quanto meno, una legittima suspicione.
Eterna domanda: che fare? Attendere che passi la piena? E se, invece di passare, diventa permanente e distrugge tutto o troppo? E d'altra parte: è possibile tacere, far finta di niente? Non al Sud, dove più scendi (ha scritto Zavoli) e più la luce illumina tutto, nel bene e nel male; dove i problemi siamo abituati a dibatterli, anche a costo di rimetterci; dove ci diciamo tutto il bene e tutto il male possibili, come dimostrano civiltà e letteratura millenarie. Noi ne discutiamo, ci confrontiamo, e anche pericolosamente ci inoltriamo in mari di volta in volta, e a volte confusi, giacobini e girondini, vandeani e quarantotteschi: immaginando che le tensioni ideali e i valori della democrazia possono originare, non solo per il Sud, un'utopia possibile: quella della fine dell'eterna guerra civile europea, nel nome di tante patrie che possono diventare una sola patria. Specie se si parla del Vecchio Continente, questo termine in disuso, patria, con la garanzia di tutte le identità, con la garanzia di tutte le libertà, riprende fascino, si fa progetto compiuto in una terra senza frontiere, senza discriminazioni naturali, fisiche, di lingua o di pelle. Per questa utopia possibile vale la pena di battersi. Chi la tradisce, o la distorce, è fuori dalla storia e dal futuro.
Ecco, per tutto questo, e per altro ancora, me la son presa con l'ideologia becera delle leghe, lighe e alleanze varie del Nord; con coloro che alimentano campagne discriminatorie; con gli altri, che cavalcano l'onda lunga dei conflitti razziali e geografici per proprio tornaconto. Potrei sommare i "diecimila fessi" che hanno votato, a Sud, per la Lega Lombarda, facendo scattare i quozienti per l'elezione di due parlamentari europei di questa lobby: ma io e te sappiamo benissimo che il voto, in Italia, non è sempre pulito, cosciente, convinto: è anche comprato, contrattato, estorto, ottenuto per reazione o per ignoranza.
Ma questo non cambierebbe nulla. Restano, al fondo, due società del malessere: quella del Mezzogiorno, che stenta a venir fuori dal fuso orario nel quale la politica unitaria ha sempre voluto tenerlo; e quella del Nord (e in parte del Centro) che, abbandonate le tensioni politiche e ideali, ha svenduto da tempo l'antica progettualità, rifugiandosi nell'opulenza, e spaventandosi poi per il "potere d'acquisto" (consentimi di chiamarlo così) raggiunto dai meridionali a Sud e a Nord. E a me pare che - sia pure in ridotte dimensioni - questo sia un altro esempio di come la storia possa ripetersi e, nello stesso tempo, non insegnar nulla. Tu ricorderai che l'impero spagnolo crollò perché, diventato opulento con l'oro e l'argento del Nuovo Mondo, si avvitò su se stesso, non potendo spenderlo in beni di consumo (che non esistevano), e non sapendo spenderlo in investimenti che migliorassero le proprie e le altrui condizioni di vita e di lavoro.
Qui sta forse la allarmata intuizione (non posso proprio dire intelligenza) di leghisti, lighisti e unionisti: avere cioè - ma ancora indistintamente - subodorato che il Sud sta risolvendo in proprio alcuni problemi che lo hanno afflitto storicamente, facendo barcollare ricchezze, certezze e alcune tracotanze del Nord.
I "marocco" lavorano, risparmiano, accumulano, investono sui figli, scalano i gradini sociali, scendono a Sud (nelle terre del rimorso, se vuoi) e impiantano officine, trasformando interi paesaggi sociali, diventano ogni giorno, sempre più percettibilmente, meno mercato soggetto all'esterno. Ci vorranno ancora decenni perché l'autonomia produttiva possa raggiungere un buon punto d'equilibrio (o di minore squilibrio). Ma il segnale è lanciato da tempo, e chi lo ha raccolto non poteva non restare esterrefatto: per fare i "danè", tra non molto non basterà andare a vendere dietro l'angolo di casa; sarà necessario rimboccarsi le maniche e andarsi a trovare mercati esterni e forse anche lontani, con in più la concorrenza degli esportatori cresciuti a sud della Linea Gotica.
Erano nella logica delle cose i "tempi lunghi"; ma è nella logica delle cose anche la fine della sudditanza economica delle regioni meridionali. E' molto probabile che si dovesse mettere nel conto anche il tipo di reazione settentrionale a tutto questo, come punto di saldatura del passaggio. Se così è, come insegna la saggezza popolare, meglio subito che dopo, nel senso che il male va affrontato immediatamente, per estirparne le radici. In questo senso, siamo disposti a vivere questi tempi imbarbariti, convinti - ce lo ha insegnato l'esperienza - che alla fine sarà sconfitto il sonno della ragione. Grazie anche all'aiuto che chiediamo a colleghi sensibili e intelligenti come te.
Aldo Bello


Il ritorno del razzismo

Cronache di ordinarie guerriglie

Il razzismo antimeridionale è senso comune per un largo strato di bergamaschi. E' quanto è emerso dal sondaggio che Bergamo oggi ha svolto fra i suoi lettori, che hanno compilato e spedito 4.471 questionari, 3.612 dei quali sono stati ritenuti validi ai fini dell'indagine, la più approfondita compiuta finora dalla carta stampata sull'argomento. Alla luce di questi dati, non sorprende l'alta percentuale ottenuta dalla lega lombarda a Bergamo (14%): un exploit tutt'altro che passeggero.
Le domande erano sette e riguardavano altrettanti argomenti su cui il razzismo di solito si esprime: la sfera personale, quella scolastico-professionale, l'ambiente economico-sociale, con quesiti sulla delinquenza, sulla concorrenza nell'ambito lavorativo, sull'inefficienza della pubblica amministrazione e sull'apporto dei meridionali all'economia della città. Su questi argomenti, che sono stati il cavallo di battaglia della propaganda della "Lombarda", i bergamaschi che hanno risposto al questionario si sono compattamente schierati contro i meridionali, con punte fino al 70 per cento.
Leggiamo analiticamente le cifre. Il 62 per cento dei bergamaschi non accetterebbe un marito o una moglie proveniente dal Sud; il 54 per cento non sceglierebbe mai un medico meridionale; il 67 per cento non vorrebbe un insegnante terrone. Proprio il fatto che la quasi totalità dei professori di scuola fossero meridionali aveva convinto anche le giovani generazioni, in un altro sondaggio condotto a Gandino, un paese della Val Seriana, a schierarsi "contro". La maggioranza degli intervistati aveva anche affermato di preferire i negri ai meridionali, ma dietro queste risposte c'erano solide ragioni economiche, che tutti si sono ben guardati dal riferire: nella zona si produce gran parte della mercanzia venduta in tutta Italia dagli ambulanti di colore, visti per ciò soltanto di buon occhio come clienti. L'aumento della delinquenza coincide con le ondate migratorie dal Sud? Hanno risposto sì il 66 per cento, la stessa percentuale che poi sposa la tesi secondo la quale i terroni rubano case e lavoro ai bergamaschi. Al sesto quesito la risposta affermativa è quasi plebiscitaria: 70 per cento; e riguarda le responsabilità dei meridionali nell'inefficienza della pubblica amministrazione.
Per finire, una domanda rovesciata: è importante l'apporto dei meridionali all'economia bergamasca? Per il 68 per cento, l'apporto è nullo! Analizziamo, ora, i dati riguardanti gli intervistati. Per la maggior parte (2.238) hanno un'età compresa tra i 26 e i 50 anni; i giovani sono 342; gli anziani (tra 51 e 80 anni) un po' più numerosi. Professioni: 1.555 tra impiegati e casalinghe; 912 operai; 395 dirigenti; 182 pensionati; 74 studenti e 6 disoccupati. Una quota consistente non ha indicato né età né professione. I questionari sono stati catalogati anche secondo le professioni, avendo cura di distinguere tra risposte totalmente anti-meridionali e risposte "moderate". I più razzisti sono risultati studenti e disoccupati, seguiti da impiegati e casalinghe; più dubbiosi i pensionati e i dirigenti. Comunque, non esiste una categoria d'età o di professione che a Bergamo si schieri dalla parte dei meridionali. Facciamo l'esempio dei dirigenti, che abbiamo visto essere i più benevoli verso gli immigrati meridionali: 179 risposte in blocco contro i meridionali, 112 favorevoli: 62 per cento, contro 38 per cento. I "moderati" sono equamente divisi tra le sponde opposte: 104 incerti, 52 pro meridionali, 52 contro.
Allarmante il razzismo tra gli studenti: tre contro uno nel sottoscrivere le tesi contro i meridionali; e persino nel settore "dubbiosi" hanno la percentuale più alta di antimeridionali: 67 per cento.
Oggettivamente, l'etichetta di razzisti i bergamaschi non l'accettano, e hanno giudicato provocatorio questo sondaggio, dal quale emerge che oltre il 60 per cento della popolazione è contro i meridionali. Eppure, segnali pacchiani di intolleranza razzistica esistono, e lasciano la gente perplessa: "Come è possibile - ci si chiede in città - che una provincia che vanta tuttora il primato dell'emigrazione, del volontariato, dei missionari sparsi per il mondo, possa all'improvviso alimentare fenomeni di discriminazione?". Si fanno i conti in casa. Esattamente su 117.831 residenti (dati aggiornati al primo gennaio '89), il 48,24 per cento è formato da immigrati, e il 25 per cento circa da persone provenienti dal Sud. Molti i professori, gli impiegati, i professionisti; moltissimi quelli che fanno carriera. I più numerosi sono i siciliani (2.800) e i campani (2.250); per le province, il primato spetta invece ai napoletani, che sono un migliaio, seguiti da ottocento palermitani e settecento baresi. Molti si sono organizzati in club e associazioni. Il circolo "Agorà", sorto appena due anni fa, si è organizzato subito come anti-Lega. L'analisi che vi si fa è la seguente: la città è ricca e bellissima, ma non esistono le occasioni per socializzare. E' da qui che nascono le occasioni di discriminazione, di diffidenza verso chi non è autoctono doc. Chi proviene da fuori, peggio ancora se dal Sud, non riceve alcun aiuto per inserirsi. Il bergamasco, in ultima analisi, è poco propenso ad incontrarsi con la cultura e con la storia meridionali, è tradizionalmente chiuso a ciò che è nuovo e diverso. Atteggiamento tipico, questo, di una cultura contadina dura a morire, anche se i contadini hanno indossato la tuta blu e sono entrati in fabbrica.
A gettare benzina sul fuoco si industriano anche gli autonomisti piemontesi, forti di 130 mila preferenze ottenute alle politiche dell'87. Riunitisi a Santhià, in provincia di Vercelli, gli esponenti di "Piemont" si sono espressi in piemontese, né più né meno di come, in veneto, si esprimono quelli della "Liga Veneta" per sottolineare una diversità che va ben al di là degli accenti e delle inflessioni idiomatiche. Il fondatore e segretario del movimento, Roberto Gremmo, consigliere provinciale di Torino e consigliere regionale valdostano, ha tracciato le linee della propria strategia politica. Grande interesse dell'assemblea, alla quale hanno partecipato rappresentanti di altri gruppi autonomisti dell'Arco alpino e un consigliere provinciale di Pavia appartenente alla "Lombarda". Sono state proprio le dichiarazioni di quest'ultimo a chiarire gli scopi (e quindi le strategie, il disegno politico; ma anche il modo di essere e di pensare) di queste autonomie: "Il nostro obiettivo è di smantellare lo Stato accentratore dominato dalla componente etnica meridionale". L'indirizzo e le scelte politiche sono stati condivisi dagli esponenti di "Piemont".
Il bollettino quotidiano delle guerriglie condotte dalle organizzazioni autonomiste-razziste contiene già i prodromi di una spirale di violenza di cui è difficile prevedere le conseguenze. Ma anche il bollettino quotidiano delle contro-guerriglie condotte dalle organizzazioni meridionali anti-leghe, che stanno sorgendo per reazione come i funghi in un limaccioso sottobosco, contengono le premesse dello stesso tipo: insieme, tutti quanti alimentano il sistema nazionale votato alla stupidità e all'onanismo politico. Sembra fatto un retro-salto di trent'anni, quando nelle capitali del "triangolo industriale" si esponevano cartelli con "Fittasi, esclusi meridionali"; quando negli annunci economici i cuori solitari cercavano "anima gemella, purché settentrionale"; quando i giornali del Nord "sparavano" titoli a più colonne su "siciliano ubriaco accoltella l'amica", e passavano un titolino in penultima sulle malefatte delle catene di montaggio, dell'industria chimica, delle speculazioni sul lavoro nero e sottopagato del Nord. Il che si verifica anche oggi, puntualmente, e forse accadrà in maggior misura fra non molto, viste le concentrazioni editoriali in mano a pochi e vista la devastante presenza di industriali-finanzieri nei mass-media. La spirale di violenza, mossa da spinte emotive, rischia di far esplodere una santabarbara. Di fronte al maresciallo pestato a morte nel Veronese, perché terrone, il segretario della Lega meridionali d'Italia ha pensato bene di indirizzare una lettera al senatore Bossi, leader della "Lombarda": "... hanno ucciso un terrone nello spirito di intolleranza dei suoi assurdi insegnamenti antimeridionali ed ella ha la paternità morale di questo orribile delitto... Sul libro del nuovo razzismo che ella sta scrivendo con i suoi camerati, nel capitolo "esecuzioni indotte" può vergare il primo nome: maresciallo Catalani". Il capogruppo della "Liga" a Verona, Franco Rocchetta, si era accanitamente opposto alla presenza, ai funerali, del presidente della regione e del Gonfalone. In quegli stessi giorni, sempre a Verona, un gruppo di bancari perugini del Monte dei Paschi in gita veniva apostrofato da un cameriere: "Ma guarda lì che branco di terroni!... al di là dell'Adige, per noi veneti purosangue, tutti sono terroni. E fareste meglio a rimanere a casa vostra ... ". Con una sottile lezione di fair play, l'uomo venne invitato a un soggiorno gratuito nel Perugino. E furono così placate anche le ossa di Shakespeare, in rivolta per la tetra ignoranza del cameriere appartenente alla Liga Veneta.
Sempre nello stesso torno di tempo, a Vestone, in provincia di Brescia, monta il putiferio. Sassi contro le caserme del carabinieri, contro-accuse di razzismo, due interpellanze parlamentari, una contro-inchiesta condotta da collettivi dell'ultrasinistra. Il fatto: Claudio Ghidini, diciannovenne, alla fine di giugno era stato ucciso da un carabiniere a un posto di blocco presso Nave. Carabiniere meridionale, e conseguente decisione della "Lombarda" di cavalcare la tigre anti-Sud. Del caso si occupava già la magistratura. I genitori di Ghidini chiedevano "giustizia, non vendetta", e respingevano le strumentalizzazioni estremiste, chiedendo rispetto per il proprio dolore e per l'immagine e la memoria del figlio. Ma della tragedia si impadronisce l'ineffabile leader della "Lombarda", il quale scrive al ministro della Difesa e chiede "di sapere se negli ultimi tempi sia stato ordinato ai carabinieri di tenere un comportamento particolarmente sanzionatorio e aggressivo nei confronti della popolazione in Lombardia, e se risultino in qualche modo fondate le dicerie che il delitto commesso dal carabiniere sia a sfondo razziale". Un capolavoro di ipocrisia, quel "dicerie". Chi le avrebbe messe in giro, senatore?
Ancora in quei giorni, la squadra di calcio dell'Udinese vuole acquistare un giocatore israeliano, Ronnie RosenthaI, uno che fa reti "alla Elkjaer", dicono per chi se ne intende. Udine è una delle sedi del mondiali di calcio. Ebbene: presso la sede della società, gli hooligans imbrattano i muri con scritte razziste: "Ebreo non ti vogliamo", "Rosenthal go home", "Via gli ebrei dal Friuli", "Rosenthal vai nel forno". Firma: HTB, hooligans teddy boys. A scanso di equivoci, una svastica.
Potremmo continuare all'infinito. Emblematico ci sembra quanto è accaduto a Cremona (dove la Lega ha raggiunto il 10 per cento), ove il tribunale ha condannato a un milione e mezzo di multa e al risarcimento di un milione e 600 mila lire il segretario provinciale della "Lombarda", Giorgio Conca, reo di aver duramente attaccato i segretari comunali meridionali della zona. "Siccome Roma ha bisogno di servi fidati e i lombardi per loro natura sono uomini liberi, ecco perché sono pochissimi i lombardi nelle fila di questa categoria". La difesa aveva tentato di classificare queste intelligentissime frasi nella categoria della "normale polemica politica". Il tribunale le ha giudicate in maniera diversa. La coscienza del veri uomini liberi le affida alla futura crestomazia del pensiero sub-umano.
E' rissa continua tra padani e subalpini. In Piemonte, che gli autonomisti considerano "una nazione", ci sono due liste: "Piemont", capeggiata da Gremmo, e "Piemont autonomia regionale", di cui è leader un cantautore crollato col mito della rivoluzione, Gipo Farassino. Contrasti, litigi, ripicche, gelosie, hanno dato luogo a una sceneggiata grandiosa: Farassino si era alleato, per le europee, con la "Lombarda". Un mezzo traditore, insomma. Con una forza elettorale notevole. "Piemont", invece, è più "introdotta". Oltre a Gremmo, ha nove consiglieri comunali e sembra un movimento in crescita: 10 voti nel 1980, 38 mila nelle amministrative dell'85,70 mila alle politiche dell'87 (quando però dovette dividere la torta al 50 per cento con i "nemici" di "Piemont autonomia"). Le vallate alpine del Torinese, il Biellese, la Langa, città come Torino e Cuneo, parte del Vercellese, sono le roccaforti di "Piemont", che onestamente non fa mistero del suo antimeridionalismo. Pensiero da consegnare alla crestomazia di cui sopra: "/ nostri guai sono cominciati quando Garibaldi è andato a conquistare la Sicilia".
La pensavano così anche i Borboni.
Sono cinque, al momento in cui scriviamo, le "leghe" meridionali, o "anti-leghe" che si voglia dire, sorte per tutelare immagine e interessi dei meridionali al Nord. Tre sono nate in Padania, due nel Sud: a Benevento e a Lecce. Agguerrite, con programmi vari, variamente orientate nell'azione di conquista di un'immagine della "Terronia" diversa da quella, certamente distorta, che strumentalmente è diffusa "oltre-frontiera".
Tanta buona volontà, espressa anche con accenti dialettali; ma anche tanta virulenza; e tanto folclore. Siamo alla vigilia di uno spaghetti-western di cui si paria in questo secondo atto dell'inchiesta sul razzismo? La domanda è legittima: perché il Sud non ha bisogno di antidoti del genere per riaffermare i valori della propria cultura e della propria civiltà. E il vero problema, oltre tutto, è un altro.
Oggi, la crisi di egemonia tocca i punti più alti della società, e tocca lo Stato. Le tesi di Romiti sul profitto come valore centrale della società sono il segno cocente di questa crisi. La borghesia italiana non ha più un Einaudi a Nord e un Croce a Sud. La stessa Chiesa è in difficoltà a trovare risposte alla modernizzazione capitalistica, all'edonismo e all'individualismo esasperati.
E, scrive Macaluso, l'egemonia politico-culturale del Pci e più in generale della sinistra su vasti strati popolari e intermedi è in crisi non solo per lo smottamento del suo blocco sociale, ma perché non c'è stata una sua risposta tempestiva e adeguata alla modernizzazione capitalistica e all'involuzione del socialismo reale.
Dunque, occorre trovare queste risposte, che sono politiche e culturali, per cancellare le scene invereconde dei razzismi. Leghe e antileghe servono solo ad alimentare la materia prima delle fabbriche del razzismo e dei loro astuti o ingenui (ma non per questo meno pericolosi) padroni. Il licenziamento, al Nord, di un portiere d'albergo reo di essere napoletano e di religione islamica non è più grave né meno grave della "defenestrazione" di un etiope a Napoli.
Si può obiettare che la società politica è stata cieca, sorda e muta di fronte a quanto da troppo tempo si verificava quasi esclusivamente al Nord; e che si è svegliata solo quando ha registrato una lavina di voti, e forse solo per questo. Ed è vero.
Ma è anche vero che il professionismo politico italiano ha trasgredito (da sempre?) un principio basilare: quello della realtà e della responsabilità, sempre retoricamente assunto, realisticamente mai osservato. Allora è da qui che bisogna ricominciare. Se ancora si è in tempo.

Dal mini dossier della Lega Meridionali d'Italia

Dal composito campionario di lettere e di messaggi telefonici pervenuti alla Lega, ecco stralciate alcune perle. Quella che riportiamo è una lettera firmata dalle NUOVE SAAT - SQUADRE AZIONE ANTI TERRONE:
"Terroni di merda appestati, ma dove volete andare, che siete per la maggior parte analfabeti!!! Prima o poi riusciremo a sbattervi al di sotto del Po, quella grande barriera naturale che il buon Dio ha voluto erigere per dividerci dalla vostra razza degenere. Purtroppo non è stato troppo previdente.
Presentatevi pure alle elezioni, Magari otterrete buoni risultati (intanto non vi sarà difficile, siete peggio dei cincillà d'allevamento, senza offesa per quelle graziose bestiole), ma rimarrete sempre la feccia d'Italia. Viva gli austriaci, maledetto sia sempre Garibaldi, anzi garibaldi, perché non merita di essere scritto in maiuscolo per le sue scemenze giovanili.
Darvi degli appestati, analfabeti, incivili, zozzi è fiato sprecato, ormai vi conoscono in ogni parte del mondo e sanno che gente siete. Ormai siete out, potete vivere solo in Italia, la vostra terra di conquista. Debellarvi è difficile, siete peggio dei pidocchi. Visto il vostro alto tasso di riproduzione sarebbe impresa ciclopica. L'augurio è che qualche malattia mediterranea vi decimi per sempre. Terroni al rogo! Terroni lebbrosi (con tutto il rispetto per questi)".
Ecco, invece, alcune telefonate registrate a Milano dalla segreteria della Lega:
"Sono della Lega Lombarda e tengo o precisare che la vostra Lega è un controsenso. In Italia ci sono solo i settentrionali e voi siete una manica di terroni".
"Vi aspetteremo e vi massacreremo tutti, figli di puttana bastardi meridionali".
"Meridionali, terroni, andate via, fate schifo, non vi lavate, puzzate, siete delle merde".
"Volete fare il partito, fate pure le assemblee che vi mettiamo le bombe, bastardi".
"Bisogna sterilizzare tutte le donne terrone, così non nascono più figli bastardi. Noi razza ariana purissima vi manteniamo. Chi sostiene l'Italia siamo noi e non certo voi parassiti. Spero che moriate tutti".
"Bastardi, africani, cagnoni, pagliacci, pezzi di merda, ci avete rubato i posti di lavoro. Meridionali sporchi e pieni dì zecche".
"O Gesù dagli occhi buoni, fai morire tutti i terroni. O Gesù dagli occhi belli, fai morire solo quelli. Ti saluto, o buon Gesù, e fai che non ne nascono più".
"L'unico desiderio che ho è che spariate dalla faccia della terra. Bisogna uccidervi tutti".

E il nordismo approda in Europa

C'è da essere grati a Moretti Luigi, di professione geometra dell'ufficio tecnico di Renica, un comune del Bergamasco, e, nei ritagli di tempo, addestratore di cani da difesa, assurto ad un'improvvisa notorietà per le 53 mila preferenze che lo hanno portato al Parlamento europeo sotto il simbolo bellicoso della Lega Lombarda. C'è da essergli grati per la disarmante semplicità con cui professa le sue idee e ribadisce il programma politico della Lega (e Alleanza Nord) che è breve, succinto e condensato, come i buoni maestri elementari dicevano dei compiti in classe degli allievi che, per difetto di doti naturali, non riuscivano a spiaccicare più di dieci rachitici righi sull'argomento proposto.
Ma qui la chiarezza non manca. Intervistato, il geometra addestracani, orgoglioso di non essersi mai occupato di politica, ha dettato il vangelo in pillole del buon lombardo: "Razzisti noi? Per carità: contro i negri noi non abbiamo proprio niente. Per noi sono meglio dei terroni". Il perché di questa graduatoria, non infamante, ma quanto meno singolare, è presto detto: "Non vengono qui a comandare in casa nostra". Ma chi comanda in casa del geometra Moretti Luigi? "Gli insegnanti terroni, che vengono ad imporre la loro cultura e non ce n'è uno che parli il lombardo o il bergamasco". E ancora: "I prefetti meridionali, i questori del Sud, i giudici terroni, i funzionari del fisco e dell'intendenza di Finanza". "E' ora di finirla - sbotta infine il geometra chiamato dal plebiscito dei suoi conterranei a contribuire alla costruzione dell'Europa unita - la Lombardia è dei lombardi e deve essere guidata e amministrata dai lombardi". E, infine, posando per una foto con la mano sinistra che impugna la bandiera della Lega tagliata a mezzo dalla spada sguainata di Alberto da Giussano, concede, in un impeto di inattesa generosità: "Noi non siamo contro i meridionali. Siamo contro il meridionalismo".
Una serie di idiozie inanellate con tanta rettilinea stupidità non meriterebbe la citazione, e lo stesso intervistatore di "Epoca" ha cura di riferire con distacco ironico i vaneggiamenti dell'erede presunto di Alberto da Giussano. A noi sembra, però, che questo addestracani nonché geometra che diventa eurodeputato raccogliendo, nella sua provincia, il 1,4% dei voti, rappresenti qualcosa di più di un personaggio folcloristico, di poca tenuta e di evidente labilità. Egli esprime, in una sintesi grottesca e, per questo, inoffensivo, una cultura antimeridionale che, soprattutto negli ultimi anni, grande stampa e grosse lobbies hanno sapientemente e pervicacemente creato. Una cultura che ha per pilastri i più insulsi luoghi comuni e le più grossolane mistificazioni storiche, ma che ha permesso la copertura dei più corposi interessi delle aree forti del Paese. Si pensi alle migliaia di miliardi letteralmente strappati al Sud e serviti, alla fine degli anni '70, alla ristrutturazione e alla riconversione dell'apparato produttivo del Centro-Nord.
E' solo un esempio. Ma questo personaggio esilarante rischia di diventare simbolo di una realtà ben più seria: quella di chi vuole un Nord in Europa e un Mezzogiorno lasciato agli afrori e alle mollezze mediterranei.

Tramonto dell'idea di nazione?

Tonino Caputo

Si è discusso molto sull'esito del voto europeo per quel che riguarda la Lega Lombarda, concordando sul fatto che si è trattato sostanzialmente di un voto anti-democristiano e anti-missino (cioè di democristiani e di missini che, con superstiti fette di vecchi liberali, si sono trasferiti nell'area leghista).E si è stati d'accordo nel considerarlo non soltanto come una delle manifestazioni nelle quali si frantuma il voto di protesta: sarebbe semplicistico e riduttivo. Oltre tutto, appena si voterà (fra pochi mesi) per i consigli comunali, provinciali e regionali, quel voto, sull'onda del successo, è destinato a registrare maggiori spazi di consenso. Dunque, devono preoccupare soprattutto la sua motivazione profonda, il suo significato xenofobo, razzista in senso lato. A generarlo non è solo il legittimo orgoglio di appartenenza alla Lombardia, locomotiva d'Italia, esempio di laboriosità, di efficienza, di inventiva e di capacità imprenditoriali. E non è solo l'antica polemica che accompagna il divario mai colmato tra Nord e Sud, retaggio del processo unitario risorgimentale, compiuto senza le masse popolari, per volontà di una minoranza; una polemica spesso bonaria, frizzante fra terroni e polentoni. A generarlo è anche qualcosa di diverso. Assieme al senso di appartenenza alla comunità con la sua specificità di cultura, di costumi e di lingua, c'è la volontà della difesa di interessi meno ideali, meno culturali, più prosaici, egoistici: l'opulenza della Lombardia, minacciata dal flusso di risorse destinate al Sud, le disponibilità che vengono fruite dagli immigrati meridionali, i quali occupano i posti di lavoro, gli appartamenti dell'edilizia pubblica, gli uffici della burocrazia e della magistratura. Questo stato d'animo, impasto di nobile attaccamento alle radici e di egoistica difesa di interessi, spinge all'aggregazione e al tempo stesso all'isolamento psicologico. Come se si volesse erigere una sorta di cinta daziaria a difesa dal nemico, che viene individuato nei meridionali.
La polemica contro il centralismo romano è conseguenziale: gli si contesta di agevolare i meridionali a meridionalizzare la Lombardia. E sui meridionali si scaricano tutte le responsabilità che sono del sistema. Il sistema politico è bloccato? La classe politica è corrotta? La colpa è dei meridionali che dominano nella classe politica. La burocrazia non funziona? La giustizia è in crisi? La colpa è dei meridionali che sono la maggioranza dei burocrati e dei magistrati. La delinquenza rende insicura la vita sociale? La colpa è degli immigrati meridionali che si son portati appresso mafia, 'ndrangheta e camorra.
Al cominciare di un'epoca, nella quale la smaterializzazione dei processi produttivi ha allentato le tensioni sociali, mentre la facilità di circolazione e gli squilibri economici e demografici fanno esplodere virulenti conflitti etnici, la xenofobia della Lega apre prospettive inquietanti.
Le cause? Diverse e convergenti. Quella immediata è lo sfascio del sistema, che provoca la protesta, ramificata nei diversi rivali e nel non-voto. Una protesta di stampo qualunquistico, cioè senza prospettive perché priva di un disegno alternativo, fondato sui principi. Ma ci sono a tre cause, mediate, più profonde, difficili da combattere.
La prima è quella che, con Troeltsch, chiamerei l'"assenza d'anima" del capitalismo, "con la sua avida computisteria, la sua mancanza di compassione, la sua tendenza al guadagno per il solo amore del guadagno, con la sua lotta di concorrenza aspra e brutale, col suo bisogno agonale di vittoria e la sua letizia di dominio mercantile". Quando, negli anni del boom, i cafoni del Meridione, espulsi dalla terra per la crisi agricola, sbarcavano nelle stazioni del Nord con le valigie legate con lo spago, erano bene accetti perché servivano nelle catene di montaggio per mantenere i ritmi della produzione. Ma ora che la recessione, prima, e, poi, i nuovi sistemi produttivi hanno provocato la diminuzione dei posti di lavoro, non servono più e vanno mandati a casa. O tenuti fuori dalla porta. Non siamo razzisti, proclamava il neo-eurodeputato Moretti ad "Epoca". Tanto vero, diceva, che "noi non abbiamo niente contro i negri, anzi, per noi sono meglio dei meridionali". E' la logica dell'assenza d'anima. I negri formano la legione del lavoro nero: poca retribuzione, niente contributi e niente fastidi con i sindacati. Una legione utilissima, perché viene impiegata nei lavori più umili e fa aumentare il profitto. La stessa logica che impero, ad esempio, in California, lo Stato più ricco della Confederazione americano, che fonda questo suo primato, come mi spiegavano a Los Angeles, sul lavoro nero di messicani poveri e disperati.


L'altra causa è l'autonomismo, esploso dopo la fine del secondo conflitto mondiale per la disillusione della sconfitta e per reazione al Fascismo che della Patria-Nazione
aveva fatto il suo principio primo. Nascono le regioni-istituzioni le qual i, se da un lato esasperano la già equivoca connotazione disegnata dalla Costituzione fino a tentare di trasformarla in quella di Stati-membri di tipo confederale, dall'altro si organizzano in centri burocratici di potere, oppressivi dei diritti dei cittadini. Si approntano disegni di legge con i quali, col pretesto di tutelare le minoranze linguistiche, si elevano i dialetti a dignità di lingue locali, ripercorrendo all'inverso il percorso che fece approdare a Dante. Si sviluppa la cultura delle "piccole patrie etniche" come riscoperta delle radici e delle tradizioni. Una cultura, questa, che ha la sua nobile valenza e che - storicamente - è tipica dell'area di Destra. Ma, se esasperata fino a perdere di vista la Nazione, diventa equivoca, scivolando (qualcuno ricorda la lezione di Federico Chabod?) su un piano inclinato che porta fatalmente alle rivendicazioni autonomistiche, passando attraverso il processo al Risorgimento e celebrando, in odio ai princìpi dell'89, le sollevazioni antiunitarie sanfediste, opponendole al frammassone Mazzini, che ebbe il torto di cacciare il papa e di instaurare la Repubblica Romana. E questo equivoco ha fatto scrivere recentemente a don Angelo Macchi che la Lega Lombarda è in sintonia col Fascismo.
Il "che fare" di fronte al fenomeno leghista va studiato, in modo da dare risposte concrete e coerenti. Occorre riappropriarsi con forza -poiché si ha il diritto - la protesta, mettendo in stato di accusa il sistema e i partiti che vi danno motivo; rilanciare anche sul piano culturale il principio della Nazione (nel senso chabodiano, appunto), evitando gli equivoci che derivano dalla estremizzazione dell'esaltazione delle "piccole patrie".
Nel 1985, in un convegno del Censis tenuto a Milano sull'Italia del 2000, qualcuno prefigurò che nella società europea del futuro gli Stati nazionali diventeranno l'equivalente delle attuali regioni. E' bene tenerlo presente.

Minoranze etniche

Quattro milioni di non italiani

Cavour, fatta l'Italia, voleva "fare gli italiani". Ma chi dice che l'Italia sia fatta solo di italiani? A parte gli immigrati, legali o clandestini, quattro milioni di nostri concittadini appartengono alle minoranze etniche che da secoli esistono all'interno del territorio nazionale: con splendide tradizioni, spesso difese a caro prezzo; con precise identità linguistiche (non parlano l'italiano o uno dei suoi dialetti; o sono semplicemente bilingui); assai ridotte, però, queste comunità, rispetto ad un passato molto più consistente. Se si dà un'occhiata alla loro distribuzione territoriale, si osserva che esse contano parecchio lungo l'Arco Alpino, al confine con Stati culturalmente omologhi; anche in Sardegna; e, con presenza puntiforme, nel Sud. Eccole:
- sul versante italiano delle Alpi occidentali troviamo i provenzali: popolazione autoctona, che è l'appendice cisalpina della gente della lingua d'Oc (residente in Francia), anche se una rara "colonia" si trova in provincia di Cosenza, a Guardia Piemontese. Si tratta di circa ottantamila persone, in calo progressivo a partire dagli anni Settanta;
- sempre sullo stesso versante, ma più a nord, vivono i franco-provenzali, che parlano dialetti intermedi tra quelli francesi e quelli provenzali: anche in questo caso al Sud, in provincia di Foggia, incontriamo tuttora due isole linguistiche di tale origine nei comuni di Faeto e di Celle San Vito, Nell'insieme, si arriva a circa 196 mila persone, in fase di lieve aumento;
- la minoranza di lingua tedesca è, senza dubbio, una delle più grandi e forse anche la più nota: si tratto di 439 mila persone, in grado di difendersi grazie a un buon tasso di natalità (negli ultimi 15 anni, 20 mila unità in più). E non è esatto che gli italiani che parlano tedesco vivono solo nell'Alto Adige o Sud Tirolo che dir si voglia: ne ritroviamo, infatti, in molte miniisole linguistiche in tutta l'Italia settentrionale, secondo una tradizione un tempo assai più cospicua;
- i Iadini sono i discendenti della vasta popolazione autoctona che un tempo occupava un'area assai più ampia dell'attuale, successivamente ridotta a nord per il passaggio di popolazioni tedesche, e a sud per la "conversione" alla lingua italiana di frazioni significative di quel mondo. Oggi costituiscono la seconda minoranza etnica in Italia, essendo in generale suddivisi in tre tronconi: uno in Svizzera, nel Cantone dei Grigioni; e due in Italia, in alcune valli dolomitiche e nel Friuli storico. Per quel che riguarda i nostri due tronconi, il primo - quello dolomitico -assomma circa 44 mila cittadini, mentre il secondo - friulano - è ben più cospicuo, con ben 890 mila unità, ma con due trend diversi, di lieve crescita dei dolomitici, e di media crescita per i friulani, intervallata da momenti di calo;
- sempre in Friuli-Venezia Giulia, ma più ad est, ovviamente al confine con l'Istria, vivono gli sloveni, presenti fin dalla seconda metà del V secolo dopo Cristo: una minoranza linguistica attorno a 356 mila individui, in nettissimo calo a partire cogli anni 70;
- altro grande area linguistica, quello dei sardi, connotati da una plurimillenaria unità culturale, da uno straordinario fierezza (che si espresse, ad esempio, in lunghe lotte contro l'imperialismo romano), da un attaccamento alla propria identità che, come sempre in questi casi, costituisce un patrimonio non solo degli interessati, ma dell'intera comunità nazionale e continentale. Con circa un milione e 650 mila unità, i sardi costituiscono di gran lunga la maggiore delle minoranze etnico-linguistiche nel nostro Paese; ed è sbagliato considerare quello sardo un semplice dialetto, trattandosi a tutti gli effetti di una lingua neo-latina esistente dal X secolo. E si tratta di uno minoranza in crescita.
- le "isole linguistiche", emergenti in contesti - per lo più meridionali - del tutto diversi, registrano la presenza degli albanesi, comparsi in Calabria (ma anche in Molise e in Puglia) alla metà del '400, e da qui diffusi in tutto il Sud e nella stessa Sicilia. Si calcolano in 106 mila unità, in lievissima fase di crescita;
- i greci si raccolgono in due "isole" superstiti, in Calabria (grecanici) e in Puglia (grichi della "Grecìa Salentina").In lieve crescita, si sono riattivati per il recupero e la difesa della lingua e delle tradizioni. Sono intorno a 55 mila unità;
- ad Alghero, in Sardegna, sono presenti sin dal XIV secolo 40 mila catalani, d'ovvia provenienza ispanica. Si tratta di una delle più piccole, ma anche più dinamiche minoranze etniche, in testa ad ogni classifica d'incremento naturale negli ultimi decenni.
- infine, i serbo-croati, un tempo numerosi e diffusi, oggi invece ridotti a tre soli paesi molisani, per un totale di circa 2.500 persone, in calo, e con evidenti rischi di scomparsa.
Siamo dunque dì fronte ad una ricchezza unica, articolata e preziosa per l'Italia e per l'Europa; e di fronte a realtà in via di cambiamento, non solo per quel che attiene alle dimensioni, ma anche per quel che riguarda le occupazioni prevalenti. Infatti, all'inizio del decennio scorso le minoranze albanese e serbo-croata erano dedite soprattutto all'agricoltura; quelle franco-provenzale, greco, ladino-friulano e provenzale all'industria; le altre (catalana, ladino-dolomitica, sarda, slovena e tedesca) alle cosiddette "altre attività" (pubblica amministrazione, commercio, turismo, ecc.). Oggi, invece, dopo anni di più o meno veloce terziarizzazione, solo gli albanesi e i serbo-croati persistono nel dedicarsi soprattutto all'agricoltura, mentre solo i provenzali tengono duro con l'industria; mentre tutti gli altri sono passati, come gli italiani di lingua italiana, sotto il dominio dei servizi (pubbIici e privati).
E' un "mondo dei mondi" che merita d'essere meglio conosciuto. Noi indichiamo, in proposito, due buone letture: Giuseppe Chiassino e Onofrio Papa. Secondo rapporto sulla situazione demografica italiana, edito nell'88 dall'Istituto di ricerche sulla popolazione del CNR; e il libro del Salvi, Le lingue tagliate: storia delle minoranze linguistiche in Italia, edito da Rizzoli.

Da Nord a Sud

I fantasmi del razzismo

Luigi Compagnone

Qui, in Piazza Grande, razzisti non ce ne sono. Né tra gli adulti né, di conseguenza, tra i bambini. In Italia, di cui Piazza Grande è soltanto una piccola isola, purtroppo ce ne sono.
Da un'inchiesta svolta recentemente su 17 mila bambini, delle scuole elementari e delle medie inferiori, risulta che moltissimi sono già contagiati dal veleno razziale. Odiano gli zingari, i neri, gli immigrati. Risulta, inoltre, un dato umiliante: anche molti libri di testo non sono totalmente immuni da un sottile razzismo. Ancora troppo spesso si cade nello stereotipo, parlando del Terzo Mondo, del primitivo e dell'arretratezza.
Nelle scuole di Piazza Grande, invece, è il contrario. Ne sia prova l'adozione, per il prossimo anno scolastico, di un libro, edito da Mursia, dal titolo: "Razzismo: oltre il colore della pelle". Ne è autore Ciro Raia, un giovane insegnante di scuole medie, studioso dei problemi provocati dal razzismo. "In un mondo sempre più piccolo e alle soglie del Duemila - scrive Raia nella nota che apre il volume - i conti con quella vergognosa aberrazione chiamata razzismo sono tutt'altro che chiusi: come la pagliuzza e la trave evangeliche, ognuno condanna il razzismo altrui e rifiuta di riconoscere il proprio". E aggiunge che perciò è nato questo libro: per conoscere i fatti, per discuterne, per riflettere sulle possibili soluzioni, perché questo significa combattere il veleno del razzismo con l'antidoto dell'intelligenza e della coscienza civile.
Raia ha raccolto testimonianze e interventi di scrittori e di giornalisti di altissimo livello: Camilla Cederna, Giuliano Zincone, Rosellina Balbi, Sabino Acquaviva, Giorgio Bocca, Alberto Moravia, Guido Ruotolo, Luigi Pintor, Fabio Mussi, Alberto Cavallari, Enzo Biagi, Eugenio Manca, ecc. E poi, anche immagini del razzismo in alcune pagine della letteratura contemporanea: Alvaro e Ungaretti, Anna Frank e Curzio Malaparte, ecc.
Ognuno degli scritti reca una nota di Raia, un rapido commento. Nell'introduzione egli scrive: "C'è un "sociale" che non può continuare a restare fuori dal cancello della scuola. Le notizie abbondano, spesso sfuggono o sono assunte in modo superficiale; se poi scoppia un "caso", tutti a parlarne per un po' fino a rincorrere nuove notizie".
Giusto, c'è un sociale che non può restare fuori dal cancello della scuola. Invece nella scuola della mia ancora utopica "Piazza Grande" i libri sul sociale, anzi del sociale, non rimangono fuori dal cancello. Altrove, invece, vi restano. Soprattutto se si pensa che anche quest'anno verranno stampati, in tutta Italia, 45 milioni di testi scolastici, un giro di affari di 630 miliardi, un business da lanciare nelle medie inferiori e superiori, un mercato che ha, troppo spesso, forme e aspetti camorristici, che sfondano ogni cancello.
Fuori dal cancello rimangono, per fare un triste esempio, i bambini della scuola di Villongo, in provincia di Bergamo, cui è vietato, come racconta Raia, ogni scambio epistolare con i bambini della provincia di Agrigento, cioè con i "terroni". Ma allora, una domanda: chi sono i loro insegnanti? Non si sa. Forse sono apparenze, fantasmi, ma temibili fantasmi, che si tengono costantemente sull'orlo del non-essere. E uno pensa che non ci sono mai stati, né mai ci saranno, li abbiamo sognati. Invece, ahimè, ci sono.
Ma proprio perché ci sono, è a loro che vorrei dedicare questo libro di Raia, queste pagine che sono un documento di altissimo valore morale e pedagogico.

Opinioni in breve

Di fronte a episodi come quello del maresciallo ucciso a Verona, reo di essere "un terrone", io mi vergogno, mi sento diminuito come uomo, non parliamo di cristiano. A questo punto sconfiniamo nella barbarie, fuori da ogni civiltà.
Il benessere emargina sempre, crea il culto del soggettivismo. Mi pare che sia proprio nella cultura soggettivistica tipica del nostro tempo che si arriva poi a fenomeni che offendono come uomini, oltre che come cristiani.
don Riboldi

Ci sono aspetti e spinte profonde che alimentano dentro il ventre molle e opulento di un Lombardo-Veneto ricco, grasso, egoista e quasi senza disoccupazione, gli umori neri di una intolleranza antimeridionale addirittura omicida, e comunque squallida e volgare. No, non ci può essere comprensione per coloro che hanno già dimenticato che i loro nonni bergamaschi o sondriesi o bresciani venivano tenuti fuori, come del resto i cani, dai ristoranti svizzeri o tedeschi proprio perché italiani, cioè del sud.
Non si può tacere di fronte a tanto rigurgito irrazionale e qualunquistico che mimetizza dietro proteste, a volte comprensibili, un doppio razzismo - verso i meridionali e verso i neri - rischiando di attivare reazioni uguali e contrarie nel Sud, un po' come ai tempi di "Via col vento", con una nazione spaccata fra nordisti e sudisti.
Ma non c'è soltanto una latente spinta neonazista, c'è anche e soprattutto la difesa egoistica dei propri interessi, del proprio tornaconto miope, della propria pancia. Finite le spinte solidaristiche del dopoguerra, esaurito il processo di ricostruzione, finiti i tempi della coesione, oggi viaggiamo dentro l'opulenza di una società che fa della difesa del proprio status una vera e propria ideologia.
Paolo Pillitteri

"Insomma - si domanda Giorgio Bocca - ci sarà pure una ragione culturale se oggi città come Catania, Gela, Trapani, Agrigento, Reggio Calabria e gran parte di Palermo e di Napoli sono peggio che quindici anni fa, invivibili, ingovernabili se non dalla malavita".
La risposta è che c'è una ragione culturale, certamente, ma non è quella che indica Bocca. La ragione culturale sta infatti esattamente nelle cause per cui la Lega Lombarda ha avuto un successo alle elezioni e che non riguardano separatamente i nordici o i "sudici" (come Gaetano Salvemini chiamava i meridionali nelle sue famose polemiche contro i Bocca del suo tempo), ma tutti i cittadini italiani. Questa ragione culturale sta nella crisi di cui la lega lombarda è una clamorosa manifestazione: crisi dei valori di solidarietà nazionale e di fiducia nello Stato italiano. Nessuna persona seria può però condividere la tesi secondo cui lo Stato sarebbe stato ridotto in queste condizioni d'impotenza solo da quei cattivi cittadini meridionali, colpevoli di avere delle funzioni in governi inetti e di avere disarticolato la pubblica amministrazione: gli stessi che però sarebbero stati degli ottimi operai durante il miracolo economico nelle fabbriche di Bergamo, di Milano o di Torino.
Giovanni Russo

L'Italia del Nord è diversa da quella del Sud, o viceversa, in una misura che, valutando percentualmente una serie di fenomeni economico-sociali, viene calcolata intorno al 40 per cento. E' vero, fra le due Coree il divario è molto più forte, ma là si tratta di due Stati. Per dieci punti non si può dunque affermare che il nostro Paese è spezzato esattamente in due. E' inutile dire chi paga la diversità, e perché: tutto è sotto gli occhi di tutti. Diremo soltanto che questo stato di cose è figlio, paradossalmente, di uno Stato di diritto. E che questa iniqua paternità produce una famiglia, al 40 per cento, di figliastri. E' la più brutta notizia non solo di oggi. Infatti è vecchia di una infinità di anni.
Sergio Zavoli

Da qualche anno, la parte migliore dell'Italia ha smesso di nascondersi dietro la frase: "Io non sono razzista, ma ... "; ed ha cominciato a chiedersi se il Bel Paese sia un Paese razzista. Credo che sia sbagliato porsi la domanda, quando oggi, purtroppo, gran parte dell'Italia è obbligata, da una legislazione nebulosa e inapplicata, a diventarlo. La legge che regola l'ingresso e il soggiorno degli stranieri extracomunitari non ha fatto altro che partorire il mostro deforme della clandestinità: basti pensare che in Italia gli stranieri sono circa 1.200.000, di cui solo 100.000 regolari; tutti gli altri, in quanto clandestini, sono soggetti ad ogni tipo di ricatto e di sfruttamento, diventando potenziali vittime dell'esplosione dei sentimenti latenti di razzismo che purtroppo albergano in quasi tutti noi. E il fatto più serio, direi tragico, è che accanto ai "razzisti per induzione" si nascondono i razzisti veri, quelli che mirano a far degenerare la situazione.
Dacia Valent

Mentre nelle piazze di Parigi, e in piazza Navona a Roma, al canto della Marsigliese si festeggiava la Fratellanza universale, in qualche angolo del Veneto di celebrava il razzismo demenziale. Così, a Verona, il capogruppo della "Liga Veneta" chiedeva al Presidente della giunta regionale di non portare il Gonfalone ai funerali del maresciallo Achille Catalani, meridionale, e perché tale assassinato da due razzisti veneti. Il signor Rocchetta è famoso per i suoi discorsi in dialetto veneziano: "Io non parlo mai in italiano, che è la lingua degli stranieri".
E la lingua di noi napoletani, lei, signor Rocchetta, che cosa la ritiene? la lingua dei "terroni"? lingua disarticolata e inespressiva? E invece è lingua molto ricca e fantasiosa. Un esempio: volendo indicare la sua rispettabile persona, noi siamo in grado di adoperare ben quaranta vocaboli, e anche più. Ascolti dunque.
Alluccuto, babbasone, babbio, babbione, battilocchio, brasciola, cacchione, capa 'e mbrello, cetrulo, chiochiaro, cucozza, cucuzziello, ferlocco, fesso, fogliamolla, gliogliaro, maccarone, mammalucco, mamòzio, moscammocca, pachioco, papatucco, pappalasagna, papurchio, piscianzogna, pruvuIone, purpetta, quèquero, saciccione, sarchiapone, scamorza, sciascilio, sciosciammocca, strucchione, strungulone, tratùfolo, tòtaro, turzo, zabbadèo, zio 'e nisciuno...
Signor Rocchetta, veda tiri po' che ricchezza di vocaboli, per darle del cretino. Scelga lei il più consono ai suoi gusti. E alla sua fisionomia.
Luigi Compagnone

Una zona bianca, di quelle che un tempo allargavano il cuore e, nel contesto amaro e pericoloso di una realtà in trasformazione, rassicuravano i benpensanti. Il Veneto fedele, forse un po' bevuto durante il sabato e la domenica, ma anche tanto bravo, tanto mite, tanto buono. Una riserva di fede e di operosità. Una roccaforte dorotea. Poi vi comparvero i Toni Negri, le Autonomie, i bravi ragazzi che saltavano per aria mentre preparavano bombe, i grandi mercati della droga, i giovani per bene che davano fuoco nottetempo ai drogati, aggiungendo tragedia a tragedia in nome dell'ordine. Finché siamo arrivati all'odio per i meridionali. Il Veneto non è nuovo a queste bravate.
Perché avvengono? Perché si ripetono? quali le molle? I giornali parlano della paura del diverso, del complesso di superioritò-inferiorità degli indigeni, e via sociologizzando. Pur condannando i gesti infami, fanno trapelare l'idea che dopo tutto i meridionali sono i meridionali, cioè gente simpatica e talvolta genialoide ma inaffidabile, terzo mondo, fautori della mafia e dei sussidi d'invalidità. Eppure, un tempo i veneti erano chiamati da lombardi e piemontesi "i terroni del Nord". Le domestiche, oggi filippine e ieri salvadoregne, giungevano da Padova e Mestre. Operai veneti si affiancavano ai siciliani e ai napoletani nelle fabbriche di Agnelli bisognose di braccia.
Adesso, costoro si difendono dai terroni. Fanno le "lighe venete". Si sentono progrediti. E perché? Perché hanno i soldi. Verona, Padova, Treviso e via discorrendo hanno raggiunto e talora superato il livello di danarosità dei nostri benemeriti fratelli nordisti. Mentre il Sud sta sempre peggio. E allora? Allora non c'è peggior nemico, per un contadino, di un contadino che ha messo due soldi sotto il materasso. Ecco: si sentono in gamba, capaci, baciati dalla fortuna. Sono i nuovi bianchi, e per i bianchi uccidere un negro, magari fastidioso, è sì un reato, però comprensibile. Magari i piemontesi e i lombardi li coopteranno nel paradiso dei postmoderni.
Il denaro, non c'è altro che questo. Non ci sono qualità morali superiori, che anzi, se c'erano, si sono dissolte. I quattrini, magari ottenuti con sapienti appoggi politici e sapiente rifiuto delle tasse. Secondo i teologi medioevali, il denaro è lo sterco del Diavolo. Se così fosse, saremmo davvero un paese sommerso dalla m... Sembra davvero una sostanza vincente. Al punto che non riusciamo neppure a fare i bagni nel mare.
Domenica Campana

Trovo molto triste che a episodi di intolleranza, di razzismo, anche organizzati e grotteschi, perpetrati da alcuni settori del Nord, da noi si risponda con la costituzione di leghe di bassissima lega. E' una involuzione di civiltà penosissima perché, essendo antistoriche, respingono indietro l'uomo di centinaia di anni-luce. Ma è anche la negazione della convivialità delle differenze. Sono convinto che la gente del Sud non abbia bisogno di ricorrere a certe forme di ritorsioni, soprattutto ora che esportiamo nel mondo - da meridionali - i valori della solidarietà e dell'accoglienza, di fronte ad un progressivo abbattimento delle riserve nei confronti del Terzo Mondo. Mi auguro, da cristiano, che sia solo un episodio e, come tale, da considerarsi come una piccolissima saturazione di una parte del tessuto sociale. Non possiamo annullare - con un colpo di spugna e con gratuita indifferenza - il tirocinio di sofferenza espresso in secoli di emigrazione planetaria.
don Tonino Bello

LETTERE: Il ritorno del razzismo

Pensieri e parole dei fratelli d'Italia

Caro direttore,
come bipede e come "homo" più o meno "sapiens", cerco di raziocinare sui giornalieri comunicati dei tre telegiornali, dove da anni, con noiosa monotonia, si porta a conoscenza dei teleutenti italiani dei soliti ammazzamenti tra appartenenti a cosche mafiose, nel "triangolo del Sud".
Forse sarò inaridito dalle delusioni della vita, rattristato ormai dalla mancanza di illusioni, ma quando lo speaker televisivo, giustamente con dire compunto, annuncia la morte a seguito di regolamenti di conti dei soliti tre pregiudicati, magari in licenza premio dalle patrie galere, non posso fare a meno di cinicamente commentare: Bene! Altri tre di meno! Quanti abbonati saranno interessati a simili notizie? Sbaglierò: ma gli unici gratificati da questi necrologi sono per primi gli autori degli ammazzamenti di oggi; per secondi, coloro che ammazzeranno domani gli assassini di ieri.
Roberto Simoni (Viareggio) La Nazione, 7.6.'89


Ho sempre avuto molti pregiudizi riguardo ai meridionali e in modo particolare Calabresi e Siciliani. Leggo sulla Stampa del 13 giugno l'articolo della mamma del giovane Cesare Casella rapito da tanto tempo e ancora non ritornato a casa, della solidarietà degli abitanti di quelle regioni per alleviare il dolore e dell'aiuto a ritrovare suo figlio.
Sarebbe veramente una gioia dovermi ricredere e saremmo in tanti a pensarlo questo: che di canaglie ce ne siano solo dei nuclei. La signora Angela Casella ha intrapreso una missione che io apprezzo e condivido, sicuro che avrà la grande ricompensa.
Ammiro la sua decisione e il suo coraggio, le confesso che io, anche se sono già nonno, farei ugualmente come lei. Per qualsiasi cosa seria bisogna che ognuno lotti e si faccia sentire, per rimuovere l'indifferenza delle nostre autorità, che oggi hanno molta paura di fare rispettare le leggi ai delinquenti, ladri e ogni sorta di canaglie.
Un nonno di Torino


Si potrebbe dire: era ora. La sollevazione dei sindaci della Locride dopo l'atto di coraggio (o di denuncia disperata) della madre del giovane Casella, da due anni in mano ai rapitori, è un segno che mi fa cambiare idea sui meridionali.
Anche perché non mi sembra che la protesta dei sindaci sia conseguenza del solo sequestro in questione. Il caso Casella è, se capisco bene, soltanto la punta di un iceberg che nasconde tutte le inefficienze dello Stato, quando non sono assenze tout court.
Quei sindaci che si sono dimessi "gettando" la fascia tricolore hanno voluto far prendere conoscenza a tutti, calabresi e non, della solitudine e della vulnerabilità in cui al Sud sono costretti a lavorare e a "rappresentare lo Stato". E' un primo passo, che, come ripeto, ha fatto cadere alcune remore che nutrivo.
Lettera firmata, Cuneo La Stampa, 25.6.'89


Caro direttore,
sarebbe estremamente facile cogliere i limiti delle tesi della Lega Lombarda quando rivendica il diritto al popolo lombardo di godere dei propri successi, ignorando il contributo che a questi successi hanno fornito intere generazioni di uomini umili che, mossi da una umana esigenza di sopravvivenza, hanno lasciato i propri affetti e la propria cultura per cercare, in una terra più felice, quanto altrove gli veniva negato.
Sono un meridionale che vive a Milano e che desidera capire quali cause siano alla base di questa durissima posizione assunta da tanti nostri compatrioti sulla strada di una discriminazione così feroce e mortificante. Effettivamente l'Italia meridionale pesa sul bilancio dell'intero Paese, perché cifre immense sono da decenni introdotte nel flusso circolare del reddito dell'Azienda Sud senza sortire alcun effetto evidente.
Ma come è potuto accadere che una terra così ricca di fermenti spirituali e di cultura abbia potuto ridursi a vivere dell'assistenza e dell'elemosina del Governo di Roma? Ciò non sarebbe mai potuto accadere se non fosse stato il risultato di un disegno strategico perseguito con eccezionale chiarezza di idee. I partiti politici, tutti, nessuno escluso, si sono impossessati nel Sud di qualsiasi centro di potere e controllano tutto: dall'assunzione di uno spazzino, alla nomina di un primario, dall'assegnazione di una casa popolare a quella di un grande appalto pubblico Non solo, ma al fine di mantenere inalterato il potere sulla città, questa classe politica si guarda bene dal risolvere i problemi della popolazione, perché solo un popolo spezzato nella schiena dal peso delle difficoltà del quotidiano può accettare tristemente di ricorrere al "protettore" politico, nella speranza che almeno questi possa alleviare le sue pene.
E' su questo dolore che marciano i "nostri" politici. Un tempo nel Sud esisteva una classe dominante altoborghese, che a fronte dei soprusi e delle prepotenze che esercitava, esprimeva comunque i segni di una educazione pregevole, ricevuta in virtù di una nascita eletta. I "nobili" di oggi sono una sbiadito figura di quelli del passato: sono dei galoppini senza patria né pudore che ricevono da altri un potere che non meritano, e che gestiscono sul sangue della gente. E quindi, in questa ottica i problemi non vanno risolti per mantenere la gente in condizioni di inferiorità. Ma è pur necessario che questa gente sopravviva: ed allora ecco gli stessi carnefici adoperarsi per ottenere dallo Stato finanziamenti che saranno utilizzati in opere fantasma. In questa ottica, una strada da riparare sarò distrutta e ricostruita cinque volte, allo scopo di far girare cinque volte i soldi assegnati cinque volte dallo Stato, e assicurare ai privilegiati ed agli assistiti una fonte di reddito. In questo modo lo sforzo finanziatore dello Stato ha per unico risultato quello di arricchire i nuovi aguzzini e, nel contempo, di creare una classe di frustrati e di falliti che ha completamente perduto la propria dignità di uomini liberi. E i più dignitosi soffrono in silenzio.
Ecco, l'oggetto della mia precisazione era questo: rendere chiaro ai miei compatrioti settentrionali in quale direzione deve essere orientato l'obiettivo della loro rabbia.
Rosario Canepa San Donato Milanese Il Giornale, 25.6. '89


Caro direttore,
fin dall'inizio sono un suo fedelissimo lettore e condivido sempre le sue idee. Orbene, su un punto non la capisco: la sua avversione verso la lega lombarda. Non è un partito politico, fatto quindi di persone più o meno corrotte, ma un movimento che si prefigge un'autonomia regionale sul tipo di altre già esistenti sul territorio nazionale. E' un movimento di onesti, di umili, diciamo famiglia e lavoro, che sono schifati del malgoverno romano. Si prefiggono un avvenire migliore per tutti coloro che vivono in questa nostra operosa, sana e magnifica terra; siano essi puri lombardi, o pugliesi, sardi e via dicendo.
Bando quindi agli anatemi, alle gratuite e false accuse di razzismo, ed alla solita assurda affermazione che la Lega Lombarda è un controsenso in un contesto di Europa Unita. Lei ha sempre ignorato, come quasi tutti gli altri giornali e la televisione di Stato, l'esistenza di questo movimento. Me ne dica il motivo. E' forse un'utopia il voler combattere mafia, corruzione, droga, racket, scandali, cattiva amministrazione, ecc. ecc.? Per questo la Lega combatte e per questo ha e continuerà ad avere successo. Aggiungo da parte mia che tutte le falsità scritte ed i silenzi degli organi di stampa hanno enormemente contribuito a questo strepitoso successo. E nel 1990 ci saranno le elezioni amministrative; se ne vedranno delle belle in Lombardia, lo posso assicurare. La Lega lombarda, se ben guidata, potrà allora ottenere un diverso assetto del governo locale meno ipocrita e corrotto di quello fino ad oggi avuto. Sarà sempre suo affezionato lettore e scusandomi per il disturbo arrecatole, con la massima stima la saluto.
Guido Molinelli, Como Il Giornale, 27.6.'89


Caro Molinelli,
se la memoria non mi tradisce credo di poter dire che non ho mai mosso alla Lega Lombarda le accuse che lei mi attribuisce. Sono contro di essa per ragioni di principio: e cioè perché vedo in questi movimenti autonomisti, che non sono soltanto lombardi, un pericolo di dissoluzione dell'unità nazionale. La quale unità nazionale - sono d'accordo con lei - funziona malissimo, e si presta ad ogni sorta di critiche. Ma il disfarla significherebbe rinnegare il poco di buono che, come italiani, e con un ritardo di alcuni secoli sugli altri popoli europei, siamo riusciti a fare.
Che lo Stato sia corrotto e inefficiente, e che lo sia perché dato in appalto a una burocrazia meridionale (questo lei non lo dice, ma lo pensa, e lo penso anch'io) che vi ha portato tutti i vizi degli Stati borbonici e papalini, è verissimo. Ma di questi mali non lo si cura dissolvendo in autonomie regionali che renderebbero ancora più vistoso il distacco fra un'Italia super e un'Italia sottosviluppata; lo si cura riducendo le competenze e interferenze che gli sono state attribuite dalla vorace partitocrazia nonché dalle ideologie socialiste dello Stato assistenziale, che sono un po' la malattia, non soltanto italiana, del nostro tempo. Questi sono i motivi che impediscono a me, che pure mi considero milanese a tutti gli effetti - e che del resto, come toscano, non avrei nulla da perdere da un ritorno a una autonomia granducale, che fu una delle più civili d'Europa - di solidarizzare con la Lega Lombarda. Lei può rifiutarli, ma non può contestarmi il diritto di difenderli .Cosa vuoi farci, amico mio? Nonostante tutte le critiche che io muovo al mio Paese (e i lettori di questo giornale sono buoni testimoni che non gliene lesino), e nonostante il burrascoso rapporto di amore-odio che ad esso mi lega, prima ancora che lombardo o toscano, seguito a sentirmi italiano. Sarà un vizio. Ma non voglio perderlo.


Caro direttore,
da tanti anni assiduo lettore del Suo giornale, mi permetto di chiedere ospitalità in merito alle ultime elezioni.
Noto che anche voi vedete come un pericolo l'avanzata della lega Lombarda sul nostro territorio. Ebbene, anch'io sono uno di quelli che votano per la lega, abito nel quartiere Gratosoglio, dove la popolazione è formata per l'85 per cento di meridionali. Vedo giornalmente il comportamento di questa gente, e cioè: prepotenza, arroganza e non rispetto verso il prossimo.
Se questi giornalisti allarmati vivessero in questi quartieri, forse si farebbero un'altra opinione.
Non credo di essere razzista. Se dopo vent'anni cerco di ribellarmi a questo modo di vita incivile, lo faccio per creare un futuro migliore ai miei figli. Se questo è razzismo, con tutta la forza dei miei polmoni grido: "W il razzismol". Spero vivamente che la presente venga pubblicata. Per cortesia non mettete il mio nome onde evitare rappresaglie.
P. F.


Caro lettore,
ho accolto la Sua richiesta di pubblicare la lettera ma non il Suo nome. La voglio proteggere da qualche malintenzionato. Non si sa mai. Mi consenta però di risponderle non solo come direttore del "Giorno" ma anche come meridionale. Già, perché lo sono. E mi dispiace di procurarLe forse una delusione.
Le voglio solo dire che di persone maleducate, come temo Lei abbia avuto la sfortuna di incontrarne nel Suo quartiere, se ne trovano dappertutto. E appartengono - mi creda - ad ogni regione, ad ogni paese, ad ogni razza.
Non sto qui a chiederLe una maggiore tolleranza. Sto solo a chiederLe una maggiore capacità di riflessione.
Lei dice di non essere razzista, anche se è pronto a dichiararsi trionfalmente tale se proprio La dovessero costringere. Beh, penso francamente che la Sua sia una forma di razzismo inconsapevole, dettato probabilmente dalle condizioni difficili in cui si trova a vivere in un quartiere della estrema periferia di questa pur bellissima Milano: un quartiere sovraffollato, che aspetta da troppo tempo la soluzione di tanti problemi. Ma i meridionali che vivono accanto a Lei, e che sembra Le diano tanto fastidio, sono anch'essi vittime della situazione. Tra vittime, di solito, si solidarizza. Non le pare? Provi a pensarci su un attimo. E, visto che ha figli, La prego di mettere benevolmente nel conto che a qualcuno di loro capiti di innamorarsi di qualche meridionale, o "terrone". So, possiamo avere anche noi dei bei figli, magari pure educati.
(f.d.) Milano Il Giorno, 27.6. '89


Sono un'insegnante siciliana che ha avuto la fortuna di non "colonizzare" il Nord con il suo dialetto e di poter vivere e lavorare nel suo ambiente e mi sento profondamente offesa in nome di quanti, meno fortunati di me, hanno dovuto lasciare il Sud in cerca di lavoro. Le dichiarazioni programmatiche del fondatore della Lega Lombarda mi hanno fatto riflettere ancora una volta su come l'arroganza e la prevaricazione siano i sentimenti dominanti di buona parte della nostra società.
Al fondatore della Lega Lombarda voglio ricordare l'episodio di Menenio Agrippa in nome dei miei conterranei che, senza un titolo di studio, si sono adottati anche ai lavori più umili per soddisfare l'opulenta società del Nord. Se poi i miei colleghi hanno trovato un posto al Nord è segno che c'è ancora posto per la cultura in una parte del Paese dove l'efficientismo di stampo calvinista rischia veramente di alienare l'uomo. Forse il fondatore della Lega Lombarda non ricorda che istituti di credito furono fondati in un passato non molto lontano per raccogliere le rimesse degli emigrati meridionali e finanziare l'industria nascente del Nord, che il Meridione ancora oggi è in testa alla graduatoria nazionale per la raccolta di risparmi che servono anche a finanziare i grandi consorzi industriali quasi inesistenti al Sud.
E finisco con un auspicio. Spero che i proseliti della Lega Lombarda non abbiano mai a lamentarsi di morti per droga, di violenze fatte o subite, di quanto di negativo nasce dall'animo umano quando, insoddisfatto dei traguardi raggiunti, comincia a meditare l'autodistruzione.
Anna Calleri (Palazzolo A.) Corriere della Sera, 28.6.'89


Caro direttore,
ho appena finito di leggere sul suo giornale i risultati finali e i vari commenti relativi alla elezione del Parlamento europeo in Lombardia e sono rimasta di sasso nel vedere i voti ottenuti dalla Lega lombarda. Mi hanno fatto vergognare di essere nata in Lombardia. Tutto questo, forse, perché io prima che lombarda mi sento italiana e l'Italia è composta da venti regioni, nessuna delle quali è più italiano doc di un'altra. Mi chiedo anche che significato può avere, per certe persone, un Parlamento europeo e il volerne fare parte se prima non hanno in sé una coscienza nazionale e quale rispetto possano pretendere dagli altri Stati se prima non imparano a rispettare il proprio Stato e ogni suo membro. Un'ultima cosa. Il futuro Europarlamentare Luigi Moretti, in un'intervista, dice che la Lega lombarda dialoga con tutte le persone intelligenti. Io allora gli rispondo che sono felice e fiera di far parte della folta schiera degli stupidi che, con lui e la sua Lega, non vogliono dialogare.
Grazie per l'ospitalità nella sua rubrica e tutti i miei più cari saluti.
Loredana Licini, Palazzolo (BS) Il Giorno, 30.6.'89


Ho letto la sintesi dell'intervista del signor Luigi Maretti della "Alleanza Lombarda". Condivido pienamente la sua tesi e la sottoscrivo. E' giunta l'ora di smetterla di incensare i "terroni", che fatta qualche eccezione sono la parte più deteriore del popolo italiano.
Siamo stufi di essere vessati e perseguitati da questi individui; siamo stanchi di sentire e vedere solo meridionali alla televisione, nei pubblici uffici, ecc., tutta gente questa che ci ammannisce i suoi sproloqui in siculo-calabro-napoletano. I meridionali tendono sempre a considerarsi delle eccezioni; per eccezionale che uno sia di eccezioni ne esistono altre centomila, tante da formare, messe insieme, una regola.
E finiamola una volta per sempre con il cosiddetto "meridionalismo" ad oltranza. I governi lo incoraggiano affinché gli amministrati del Nord non pensino alle cose e cause più gravi che affliggono la nazione.
Anche certi giornali sono le ripetizioni aggiornate di quelle "Soties", genere drammatico in vogo nei secoli XIV e XV, nelle quali tutti i personaggi erano o stupidi (sot) o folli. Luigi XII sovvenzionava le Soties allo scopo d'imbecillizzare il popolo, ossia per i bisogni della suo politica. Consiglio agli esumatori del vecchio teatro di tirarle fuori. La televisione è la sua sede ideale.
In ogni commedia, fra gli sciocchi e i pazzi, i personaggi erano o cinque o sei.
Oggi alla commedia si è aggiunto il coro. Il coro degli idioti. Cioè il pubblico che ascolta incline a subire la prevaricazione; il pubblico guarda e legge, senza avere la forza di reagire ai loro soprusi.
Concludo con un saluto pieno di ammirazione, alla memoria di Giuliano e Finocchiaro Aprile, fautori del "separatismo", che, malauguratamente per noi, non si è avverato.
Lettera firmata Il Secolo XIX, 1.7. '89


Che al Moretti piacciano i negri sono proprio affari suoi tanto più che i negri sono persone degnissime, ma tutto sta a vedere se vogliono intendersela con il disponibilissimo Moretti.
Per i meridionali il Moretti è, invece, una espressione tipica della prepotenza e dell'insulsaggine.
Non vuole i prefetti, i giudici, i funzionari, gli insegnanti meridionali. E che forse i posti sono stati occupati con poteri mafiosi o non piuttosto con la capacità e l'intelligenza? Anche un Moretti qualunque è costretto ad ammettere che i meridionali occupano nella civilissima Lombardia posti di grande prestigio e responsabilità.
La Lombardia non si identifica certamente con un Moretti che dà prova lampante di inciviltà ed intolleranza non condivisa sicuramente dalla stragrande maggioranza dell'operoso popolo lombardo.
Forse questo Moretti è per la Lombardia assai più devastante della peste di manzoniana memoria.
I desideri insani di una piccola minoranza lombarda, di cui è leader il Moretti, non ci porteranno mai a trarre la conclusione che tutti i lombardi abbiano tendenze particolari, perché non è mai giusto generalizzare.
Ci sono esseri indegni come Moretti, ma, per fortuna, esistono anche persone educate, intelligenti, che non odiano solo per il gusto di odiare.
Tutto sommato, sarebbe meglio che Moretti continuasse a masturbarsi il cervello, lasciando
in pace i negri e i meridionali, che hanno, grazie alla loro cultura e alla loro impostazione morale, gusti ed esigenze alquanto differenti.
Osvaldo Angileri Cgil - Marsala


Nel nostro Paese esiste ancora una grande contraddizione sociale: quella meridionale.
Gli innumerevoli sforzi dei meridionalisti -incontratisi in studi, congressi e convegni perfettamente organizzati - sono serviti a ben poco, hanno creato invece un'imponente letteratura a riguardo. Se nel meridione qualche miglioramento c'è stato lo si deve, non tanto a loro (né tantomeno a precisi programmi politici), quanto al progresso tecnologico degli ultimi decenni. Un progresso bisognoso di nuovi mercati ove vendere i prodotti, i quali, acquistati col danaro degli emigranti, hanno sì migliorato le condizioni di vita dei cittadini meridionali. Il Sud infatti è stato (e resta) un eccellente consumatore di tutto quanto prodotto altrove: aranciata, acqua minerale, latte, vino Doc, formaggi, mobili, mezzi agricoli, elettrodomestici, giocattoli... tutto. Questo comporta ovviamente una notevole riduzione di posti-lavoro. Escluso qualche caso marginale, verosimilmente, gli unici prodotti che il Sud esporta sono la spocchia degli arroganti e la delinquenza organizzata. Entrambi sintesi di una società economicamente malata che danno purtroppo una immagine negativa dell'Italia nel mondo.
Da sempre i meridionali - eccetto i meridionalisti - per "vivere" hanno preferito emigrare dignitosamente piuttosto che umiliarsi nella loro terra. I grandi flussi emigratori avutisi poco dopo l'Unità del 1870 e poco dopo le due guerre mondiali nel 1930 e nel 1960 sono un dato di fatto innegabile. Le date intendono evidenziare i periodi trascorsi dal verificarsi dei "tre grandi eventi" all'emigrazione in massa di intere comunità e paesi.
Paradossalmente inoltre e senza voler sminuire i sacrifici degli altri connazionali, appare chiaro come i popoli meridionali, utilizzati in guerra - o in altre necessità - siano stati abbandonati in tempi di pace. Basti pensare un attimo ai poco noti sacrifici economici sostenuti per la ricostruzione post-risorgimentale (emblematica l'assurda tassa sul macinato che ha creato non pochi problemi, inclusi quelli relativi al brigantaggio), nonché ci milioni di caduti e mutilati durante le due guerre mondiali.
Duole constatare come vecchi problemi siano ancora attuali. Molti giovani, oggi, per lavorare emigrano al Nord. Altri restano disoccupati a vita. Alcuni "fortunati" accettano raccomandazioni in cambio della loro sudditanza. Questa è la realtà del Mezzogiorno!
Anche l'illusione di quell'aleatorio sviluppo economico e sociale, basato su obsoleti ed inquinanti complessi industriali (smantellati al Nord e piazzati al Sud) sta inevitabilmente svanendo. Sarebbe grave se, con tale ferraglia, si continuasse a rovinare l'ambiente in modo inopportuno e dissennato.
Bisognerebbe invertire le tendenze (svegliarsi) e prendere atto che il Meridione può - e deve - rendersi competitivo solo utilizzando e valorizzando le potenzialità locali, sia umane che ambientali. Inutile bendarsi: se in passato la "questione meridionale" ha giustificato tanti fatti (o misfatti) economici interni, non lo farò più con l'Europa unita. E' impensabile che i partners europei discutano tranquillamente della questione meridionale.
Occorre quindi rivedere l'intera strategia politica ed economica per adeguarla ai tempi nuovi. Non è ammissibile ignorare oltre - parlandone solamente - il divario Nord-Sud.
Migisca, Potenza


E' impossibile rimanere indifferenti alla provocazione della Lega Lombarda nei confronti di tutti noi meridionali. E' chiaro che questo Partito è nato contro di noi, da Roma in giù. E' chiaro ancora di più che c'è tanto razzismo nelle loro idee e nei loro progetti, come primo obiettivo, anche se poi cercano di deviare in discorsi diversi.
Ebbene, non vogliamo uno scontro con questi signori, ma non dobbiamo e non possiamo rimanere indifferenti a queste offese, per tutto quello che il popolo meridionale ha dato ed è ancora costretto a dare. Perché allora si danno da fare a far costruire o a far trasferire le loro industrie nel nostro Sud? Sicuramente non ci sarebbe più bisogno della Lega Lombarda. Eppoi, non saremmo capaci anche noi a costituire un Partito? Sicuramente avremmo più consensi. Riflettiamo tutti, dal Piemonte alla Sicilia...
Giuseppe Cuscito Segret. S.a.S. Cisl - Bari


Quando Bonvesin della Riva scriveva le sue "Meraviglie di Milano", di certo non poteva immaginare che un giorno la Lombardia sarebbe diventata così potente e ricca.
Già: così pretestuosamente e presuntuosamente potente, direi io. Tanto da veder nascere dal proprio seno un Movimento come quello della Lega Lombarda, vessillo dell'integrità "nordica", contro le cosiddette infiltrazioni estranee, ovvero contro il Meridione. Supremo fallimento dell'Unità d'Italia, questo: dopo guerre sanguinose, e dopo oltre un secolo dal compimento dell'unificazione della penisola, siamo ancora in preda ad assurde diatribe tra Nord e Sud.
E dire che siamo anche alle soglie dell'Europa unita! E' evidente che Bossi e Co. credono di poter creare una seconda Italia, in quella già preesistente, recintando i confini delle nordiche terre (pardon: delle longobarde terre), pur di tenere lontani i poveri "terroni" che pure hanno ampiamente contribuito alla potenza della Lombardia.
Così, arriveremo all'apartheid, con le conseguenze che tutti possono immaginare. O forse ci siamo già?! Secondo me siamo in una situazione tangibilmente venata dal razzismo, e addirittura le dichiarazioni del senatore Sassi mi fanno pensare al nazismo, alle idee folli sulla integrità della "razza germanica".
Ancora una volta, può sembrare che intorno alla ben insofferenza del Nord nei confronti del Meridione sia nato l'ennesimo vespaio, e che, dopo tutto, la Lega Lombarda non sia che una minoranza. Però, visto che pur essendo una minoranza è stata parecchio votata, io comincio seriamente a chiedermi se, una volta fatta l'Italia, non siano ancora da fare gli italiani. Anche se siamo alle soglie dell'Europa unita e delle frontiere aperte, di fronte a Bossi e Co. ed al loro vetusto Carroccio lasciatemi almeno il beneficio del dubbio.
Marilena (una lettrice indignata)


Dice testualmente Luigi Moretti, leader della Lega Lombarda: "Non siamo razzisti, infatti per noi i negri sono persino meglio dei terroni". E non mi si venga a dire che un messaggio politico votato dal 15% dei bergamaschi è un fenomeno isolato.
Il tanto decantato miracolo economico del Nord è anche dovuto ai milioni di operai (e di cervelli) emigrati per sostenere le proprie famiglie (e inconsapevolmente l'economia settentrionale); e adesso la Lega Lombarda vuole che la Lombardia spenda tutto per sé il proprio reddito: come dire, "finalmente in volo, mollate la zavorra!". Al Sud ci sono diecimila fessi che hanno votato Lega Lombarda?
No, ci sono diecimila persone che forse non conoscono la Storia, come i promotori della Lega Lombarda. E' vero che il Lombardo-Veneto è stato sempre sede di accelerazioni socio-economiche e la questione meridionale non è certo nata con l'unificazione italiano; ma le speranze per un futuro sviluppo autonomo del meridione, in attesa di una gestione più illuminata, erano tutte lì, intatte, nel Banco di Napoli, dove i Borboni avevano depositato il proprio patrimonio. Con l'avvento del Regno questa ingente risorsa finanziaria fu utilizzata per coprire il debito pubblico, grossolanamente unificato dalla classe politica filopiemontese di quel tempo. Così il capitale raggiunto con le imposte raccolte dai Borboni sul secolare sudore dei contadini meridionali servì da propellente per il decollo del capitalismo settentrionale e non potè più essere reinvestito in iniziative produttive sul territorio da cui era sgorgato. Come mai ora il senatore Bossi e Luigi Moretti se lo sono dimenticati?
E' compito della "capitale morale" svegliarsi dal sonno della ragione: altrimenti, se vogliono "separarsi" restituiscano prima ciò che hanno guadagnato "unendosi", e soltanto allora potranno tornare a parlare di quel loro federalismo alla "baùscia".
Francesco Cafaro, Bari La Gazzetta del Mezzogiorno, 1.7.'89


Vorrei rispondere a Luigi Moretti, eurodeputato della Lega Lombarda, intervistato il 25 giugno a pag. 2 del Corriere della Sera. Mi sembra doveroso far notare che essere "contro i meridionali" implica necessariamente una forma di razzismo, forse ancora più grave perché diretto a persone dello stesso Paese. Inoltre l'Italia del Sud, fin dal momento dell'unione è sempre stata dimenticata e lasciata nella sua povertà; se fosse facile trovare un lavoro al Sud, sicuramente non ci sarebbe stata una così forte immigrazione negli anni 50-60. Mi piacerebbe sapere come avrebbero fatto i capitalisti del Nord ad arricchirsi senza sfruttare le forze lavorative del meridione. Siatene quindi grati e smettete di pensare alla salvaguardia di una cultura lombarda.
Massimo Latronico, Milano


Noto il "livore", mi sembra sia la parola giusta, con cui il Corriere si scaglia a testa bassa contro la Lega Lombarda. I settentrionali non hanno niente contro i meridionali, riconoscono anzi che sono più pronti e più intelligenti di loro poveri fessacchiotti. I settentrionali vogliono solo che vengano rispettate le loro regole e i loro modi di vita.
Ormai i funzionari di qualsiasi ente sono quasi tutti meridionali e la conseguenza è che se si libera un appartamento delle case popolari viene immediatamente assegnato a un meridionale, se all'ufficio di collocamento c'è un posto di lavoro lo si assegna a un meridionale.
Giorgio Pedrazzini, Milano


Ho letto l'articolo in secondo pagina pubblicato sul "Corriere", intitolato "La crociata del "lumbard"".Sono un siciliano e avrei qualcosa da dire in merito. A mio avviso il signor Luigi Moretti confonde il reddito procapite di uno regione con la civiltà, che è ben altra cosa. Centodiciannove anni di unità e di politica economica a favore del nord, a cominciare da Cavour in poi, hanno fatto dei lombardi (povere vittime) dei cittadini fra i più ricchi della nazione, e del meridione "l'altra Italia", a livello del Terzo Mondo. Finché erano le "braccia" dei terroni a costruire la loro ricchezza, tutto andava bene. Un secolo del loro benessere non è sufficiente a colmare millenni di arretratezza di questi straccioni rifatti (la parola "pellagra" - per altro molto recente - ricorda niente al geom. Moretti?), rispetto ai millenni di superiorità culturale e civile della gente mediterranea che, tra i popoli civili del pianeta, costituisce una ristretta aristocrazia. La mafia è un fenomeno originariamente di difesa contro malgoverni e dominazioni esterne, che la politica norditaliana ha indirettamente alimentato e incoraggiato. Un fenomeno di cui il vero popolo siciliano è la prima vittima e nel quale nessuno di noi si riconosce.
Augusto Contrafatto, Bologna


Le scrivo a proposito dell'articolo "La crociata dei "lumbard"", in cui il leader della Lega Lombarda dichiara di non essere razzista., Volevo rispondere all'"egregio lumbard" dicendogli che, visto che non si ritiene razzista, le persone di colore non si chiamano negri, ma, al limite neri. Perché, se non lo sapesse, la parola "negro" è spregiativa. Tengo a specificare che i meridionali sono persone di gran lunga migliori dei polentoni perché la loro cultura ha come fondamenta un insieme di valori profondi, e non mafiosi, come dice il leader lumbard. E gli insegnanti, i prefetti, i giudici, ecc. meridionali vengono al Nord perché, purtroppo, il Sud offre troppo poco. Non si è mai chiesto perché, signor "Lombardia love you?". Glielo spiego io: perché il nostro Governo li accontenta e li ammutolisce con le pensioni e le feste di paese. Se anziché spendere miliardi per le pensioni, li spendesse creando strutture e fabbriche, penso che non starebbero più con le mani in mano! Un altro punto da chiarire: la frase "noi siamo più civili di loro" è stata il culmine dell'ignoranza del monsignor lumbard, sì, ignoranza! Perché lui forse non ricorda che quando i primi meridionali arrivarono al Nord, i settentrionali vivevano ancora in stalle sporche e puzzolenti ed erano ignoranti e analfabeti.
Marzia Cardaci, Caronno Pertusella Corriere della Sera, 5.7.'89


Caro direttore, penso sia dovere di ogni democratico riflettere su un fenomeno inquietante emerso con prepotenza alle elezioni europee: la Lega Lombarda è senz'altro un voto di protesta, ma con tutti gli ingredienti di una connotazione di destra.
Andiamo per punti: cosa ne è stato dell'attuazione del decentramento con la nascita delle regioni? Non dovevano essere i nuovi enti regionali il punto di coagulo di una politica non separatista, non centralista ma regionalista come asse portante di un vero "stato delle autonomie" come previsto dalla Costituzione?
Negli anni '70 si sviluppò un forte dibattito anche in Lombardia che conteneva in sé le radici di una attuazione vera, razionale e democratica del decentramento dei poteri e dell'attivazione di una autentica politica regionalista. Chi si ricorda del grande esperimento dei Comprensori naufragato sotto i colpi della burocrazia e della insipienza dei politici, nessuno escluso? Bisognava continuare su quella strada, correggendone gli errori; ma purtroppo è accaduto che si è seppellita quella politica e decretata con essa la morte del regionalismo. Insieme all'acqua sporca si è buttato anche il bambino. Ora la Regione Lombardia con la benedizione del pentapartito ha tutte le caratteristiche di un grande ministero burocratico che produce circolari e statistiche puntualmente disattese ed inutili. Anche dentro questo vuoto pesca la Lega Lombarda. Occorre rinverdire, aggiornandolo, quel dibattito regionalista degli anni '70.Ma entriamo più addentro a questo vuoto dentro il quale germoglia la Lega Lombarda. Dalle colonne dell'"Eco di Bergamo" il direttore don Spada tira le orecchie alla dc bergamasca per non aver agitato a sufficienza il vessillo scudocrociato e' suonato a martello le campane a raccolta della gente che, lasciata sola nei suoi buoni sentimenti, si è affidata in gran numero alla Lega Lombarda. Niente paura, dice Spada, ritorneranno: basta agitare un po' di più la croce. Ci si vuole rendere conto che richiami siffatti sono il segnale dell'esistenza di una coppa di piombo clerical-democristiana che impedisce e soffoca ogni sia pur minimo soffiare di brezza fresca in campo culturale e politico? Le nuove generazioni non hanno Più punti di riferimento se non nei valori piccolo-borghesi dell'avere e della massima cilindrata.
Non sono contrario alla ricchezza, ma sono contro la ideologia della ricchezza. L'ideologia dell'Avere che nasconde una povertà e un vuoto dell'Essere. Una povertà e un vuoto dell'Essere che non può essere certamente riempito da richiami fideistici alla don Spada.
Occorre uno scossone molto forte che scuota alle radici il sonno della coscienza perbenista e ipocrita del provincialismo chiuso e aberrante. Dietro quei disvalori non c'è più l'antica saggezza e laboriosità contadina, ma la arrogante vuotezza dei nuovi arricchiti, della "buona borghesia benpensante", della ideologia dell'Avere, insomma.
Dentro questo vuoto dell'Essere nascono i mostri. Ecco allora che c'è la necessità di trovare un "nemico esterno" a cui addossare tutti i mali. Come il nazionalsocialismo di Hitler additò il nemico negli ebrei, dietro il voto alla Lega Lombarda c'è l'accusa al "meridionale" e a tutto ciò che esprime diversità come momento ideologico incosciente di coagulo. Qui vedo chiaramente anche il fallimento delle istituzioni educative come la scuola, se è vero, come è vero, che dietro quella ideologia c'è molta ignoranza in fatto di storia d'Italia recente e passata. E' bene che i dirigenti del Pci e di tutta la sinistra facciano un profondo esame di coscienza e imbocchino con coraggio e decisione vie nuove in grado di dare espressione, riunire e liberare tutte le energie democratiche, aperte, dinamiche e di sinistra presenti nella società. Solo così si può riempire quel vuoto dal quale è nata la Lega Lombarda.
Diego Dognini, Romano di Lombardia (BG) L'Unità, 6.7.'89


Ho letto con stupore la lettera della signora Cordaci, che dà degli ignoranti ai lombardi. Ignoranti siamo di sicuro. Ma un po' lo è anche lei. Quantomeno ignora che nella vituperata Valseriana (dove la Lega Lombarda ha ottenuto il 20 per cento dei voti) nel 1881 la media degli analfabeti era del 30 per cento quando la media nazionale di chi non sapeva leggere né scrivere era del 67,25 per cento. E in provincia di Bergamo del 42,37 per cento. Oggi in Valseriana la media di chi non finisce la scuola dell'obbligo è dello 0,6 per cento, la più bassa d'Italia. A Napoli supera il 70 per cento. A Palermo il 72. Signora, invece di perdere tempo a dare lezioni a chi ne so più di lei, perché, tra un impegno culturale e l'altro, non s'informa prima di parlare?
Antonio Belloli (Bergamo) Corriere della Sera, 8.7.89


Sul "Corriere" leggo che un'insegnante elementare di Benevento ha fondato l'Associazione emigrati meridionali per contrastare la Lega Lombarda. Ad un certo punto, la signora si chiede: "Ma cosa possiamo farci se (i settentrionali) perdono i concorsi pubblici, se i posti chiave sono in gran parte occupati da emigranti (meridionali)?".La risposta è semplice. Data la superiorità intellettuale e culturale dei meridionali -che denota appunto una sostanziale differenza etnica-, sarebbe doveroso concedere ciò che gli europei hanno concesso agli africani, gli inglesi agli indiani, i francesi agli algerini, i portoghesi agli indigeni del Mozambico e persino gli italiani alle popolazioni delle regioni autonome: di governarsi da soli nei loro paesi.
Nino Santambrogio, Inzago, (MI) Corriere della Sera, 10.7.'89


Vorrei rispondere alla lettera della Sig. Marisa della Moglie. Sono anch'io cittadina italiana, ma lombarda, orfana e disoccupata da ben quattro anni durante i quali, alla ricerca di un lavoro, ho notato che la maggior parte del personale assunto presso i pubblici impieghi del nord Italia (ad es. prefetture, questure, tribunali, uffici iva, uffici postali, università) è di origine meridionale. Spesso, infatti, succede che il giovane lombardo, ottenuto un diploma dopo aver affrontato sacrifici economici e no, venga superato nel punteggio occorrente alla formazione delle graduatorie da persone neanche residenti in loco, ma con numerosi familiari a carico, o con qualifiche preferenziali quali "riservista per invalidità" (e stenderei un velo pietoso sulle numerose pensioni di -invalidità così disegualmente distribuite nel nostro Paese).
Mi si potrebbe obiettare che la causa di tutto è il nostro Governo. Forse è vero, ma la quasi totalità dei nostri uomini politici non è di origine lombarda.
Maria Zuffado, Pavia Corriere della Sera, 12.7.'89


Caro direttore,
prendo spunto dalla lettera del signor Vincenzo Zangari dell'11 luglio per esporre, con spirito costruttivo, un altro punto di vista sull'argomento della condizione del Mezzogiorno. Premetto che, a dispetto del cognome che porto, sono anch'io parzialmente di origine meridionale.
Mi spieghi dunque il sig. Zangari, per esempio, come mai in Meridione, dove a sua detta si è ricchi di pietà umana, manca il sangue, che viene rifornito sia dal Nord Italia sia dall'estero. Chi scrive ha al proprio attivo 65 donazioni e 37 anni di età.
A riguardo dell'emigrazione faccio notare che la maggioranza degli emigrati si è bene integrata con le nuove mentalità trovate, che esse fossero nel Nord Italia o in Belgio, Germania o Canada. L'unica condizione posta infatti da chi vive l'immigrazione in modo ricettivo è il rispetto del motto "paese che vai, usanza che trovi". Ma la vera sorpresa arriva dal fatto che gli immigrati-integrati sono spesso animati dà un molto severo giudizio (ai limiti del razzismo) nei confronti dei loro ex conterranei, motivandolo immancabilmente con un esplicito " ... lascialo dire a noi che lo conosciamo molto meglio di voi ... ".
Inoltre il signor Zangari decisamente esagera o non ricorda quando dice che i governi italiani non si sono adoperati per portare il livello di vita del Sud alla pari con quello del Nord. Dimentica gli stanziamenti misurabili solo in migliaia di miliardi, le facilitazioni in tutti i settori, in breve dimentica 40 anni di ininterrotto flusso finanziario dal Nord al Sud.
Come la metteremmo se le Regioni trattenessero il 90% delle tasse prodotte per investimenti e ridistribuzione all'interno dei propri confini geografici?
Massimo Beyerle, Ponzano (SP) Il Giornale, 13.7.'89


Dopo la "Liga veneta" e la "Lega lombarda" eccoti la "Lega meridionale" di fresco battesimo a Lecce, per contrastare, alle prime due, il razzismo verso i "terroni".
Espressioni tutte da riprodurre con scrittura corsiva per la natura stessa di questo carattere tipografico, inteso a sottolineare la ... sinistra angolazione.
Non ricordo bene di chi sia il detto "Ora che abbiamo fatto l'Italia, facciamo gl'italiani" di ultracentenaria memoria. C'è - mi pare - chi lo attribuisce a Garibaldi, chi - invece - a Vittorio Emanuele Il ed altri ancora al conte Camillo Benso di Cavour. Sta di fatto che il palleggiamento di questa paternità mi pare rechi un condensato di difficoltà assai lungimirante, e più che atavico, ereditario, assai vicino, nel suo realistico significato, ad attinenze primordiali di pretto marca tribalica.
Che sia così, resta dimostrato dai ricorrenti fattacci che negli stadi e anche fuori esplodono col sottotitolo di violenza sportiva ed, in aggiunta, quello d'inconfondibile odio razziale che ha condotto a morte il compianto nostro corregionale maresciallo Achille Catolani, ai familiari del quale esprimo commossa la piena solidarietà. La varie "Lighe" e "Leghe" a questo servono: a seminar promesse che sono anche inconfondibili incitamenti. Sono università di odio, di livore, scuole di avversione cui le frange ben ispirate vengono anche catechizzate e coricate, per poi esplodere nella vergogna e nel sangue. Alle due "leghe" quelle dell'alt(r)a Italia propongo come simbolo della loro bandiera l'effige del maresciallo Achille Catalani, ovverossia il "terrone" la cui morte è da considerarsi conquista dei loro proponimenti e "credo" istituzionali.
Ai corregionali leccesi, senza alcuna mia presunzione, consiglierei di soprassedere nella pur comprensibile e organizzata contrapposizione. Quelle strade, a mio modesto giudizio, sono sbagliate!
Carlo Albanese, Bari


Nota Giacomo Devoto che il termine "terrone" fu attribuito in un primo tempo alle regioni meridionali, in quanto le terre di tali regioni erano dette "matte" o "ballerine" a causa dei frequenti terremoti che le devastano. Dai vocaboli "terremoto" e "meridionali", elidendo nel primo la parte "emoto" e nel secondo la parte "one" si ottiene la parola "terrone": il terrone, pertanto, è l'uomo che vive in zone pericolosamente sismiche.
Successivamente i nordici hanno dato un significato spregiativo alla parola "terrone", intendendo con esso un uomo incivile, cafone, selvaggio. Ora si dà il caso che i nordici, palesando una meschina avversione per i meridionali, da una parte li svillaneggiano con un linguaggio da suburra, e dall'altra li percuotono come se fossero animali o schiavi: i loro modi, pertanto, sono incivili, cafoneschi e selvaggi.
Poiché i meridionali trattano ospitalmente e signorilmente i settentrionali che lavorano nelle nostre regioni o trascorrono le vacanze nelle nostre bellissime contrade, logicamente si deduce che i veri terroni sono quei nordici, che, gonfi d'una stupida e malsana superbia, osano coprirci di villanissimi insulti.
Prof. Cesario Rodi, Bari La Gazzetta del Mezzogiorno, 15.7.'89


La lettura de "Il Sole 24 Ore" è preziosa ed è una fonte chiara per un'analisi concreta e realistica dei rapporti e differenze fra Nord e Sud del nostro Paese. In questi ultimi mesi le pagine del giornale sono molto impegnate per assemblee e bilanci delle medie e grandi industrie, delle società di servizi, delle compagnie finanziarie o assicurative che guarda caso hanno tutte sede al settentrione. Queste pagine sono più eloquenti di tutti i Censis o rapporti del genere e spiegano con evidenza lo stato del Sud. Il quadro si completo con l'assoluta padronanza del sistema televisivo e informativo.
Certo la Lega Lombarda antimeridionalistica non ha tutti i torti se con sottile cattiveria si continua a identificare il Sud con le tre grosse "società malavitose" e con connessi fenomeni di degrado ambientale e sociale. Dobbiamo ancora a una piccola, ma coraggiosa signora di Pavia "la scoperta di una conosciuta verità": la carenza assoluta dello Stato nelle tormentate province del Sud. In questa scoperta si percepisce la voglia del Meridione di uscire da questa tremenda condizione, da questa povertà politica e morale.
Il problema meridionale è essenzialmente un grande problema politico, sarebbe un errore ridurre tutto il disagio del Sud in questa comoda definizione. Noi meridionali viviamo ogni giorno il dramma dei disoccupati, specie intellettuali, delle più schifose speculazioni, della insufficienza politica, della incapacità imprenditoriale ma in compenso siamo capaci di "inventare" la vita ad ogni levata del sole, siamo capaci di soffrire e aspettare.
Il popolo meridionale è maturo per le grandi decisioni e siamo coscienti che non possiamo entrare nella realtà europea del '93 con il bagaglio soltanto della grande tradizione storica e culturale e del fascino delle nostre terre, delle nostre coste, del nostro mare. Per cortesia si smetta di dare corpo e spazio alle varie povere leghe o a quei movimenti di "untori" che tanto humus trovano nelle grasse cucine del Nord.
L'Italia entra nel grande mercato europeo come Italia e non come Nord o Sud: questo è un dato certo. I cittadini del Sud sono maturi e non vogliono più essere identificati con l'assistenzialismo o con l'emergenza, rivendicano con forza un ruolo chiaro e determinante nella vita sociale, politica ed economica del Paese.
Continui "Il Sole 24 Ore" a pubblicare l'inserto sul Mezzogiorno e a dare il giusto risalto alle iniziative che partono dal Meridione.
Mario Di Santo, Napoli Il Sole 24 Ore, 18.7.'89


Caro direttore,
leggo sul "Giornale" del 15 luglio sul sondaggio effettuato dal quotidiano "Bergamo Oggi" che a Bergamo il 54% trema al pensiero di essere operato da un chirurgo meridionale, e che due bergamaschi su tre sono convinti che sia una "sciagura" per un ragazzo avere un insegnante terrone. Io non so in quale sentina culturale e sociale pesca il suddetto quotidiano per sostenere tali affermazioni. Ma farei un torto ai miei amici del Bergamasco, e sono tanti, se non difendessi la loro immagine di gente laboriosa, educata e sensibile così come a me è sempre apparsa nei continui contatti che con essi ho avuto ed ho.
Mio figlio, chirurgo, esercito a Treviglio. E in tutte le sue attività e professionali e sociali ha sempre avuto un rapporto bellissimo con i colleghi, con i paramedici (dei quali dice un gran bene per la professionalità e per l'umanità), con i degenti, che mai si sono sottratti al suo bisturi di "terrone". Mia nuora ha insegnato, e spero possa insegnare nel futuro, nel Bergamasco trovando quei dovuto colore umano e reciproco rispetto che ci si aspetta in un ambiente così delicato.
Come mi mortifica, quindi, il risultato di questo discutibile e volgare sondaggio. Il mio vuole essere un contributo per rinnegare luoghi comuni e accuse ingiuste.
Ferdinando Risi, Siracusa Il Giornale, 21.7.'89


Dopo il giovane tifoso romanista, rimasto ucciso a Milano solo perché romano, ecco a Verona un'altra vittima dell'odio razzista. Questo tanto per citare i due più recenti casi del genere, così come ci sono stati presentati dagli organi dell'informazione. D'altra parte, in un Paese ove la classe politica, impotente a fronteggiare un certo tipo di delinquenza lascia criminalizzare intere regioni dell'Italia meridionale, non possiamo aspettarci risultati diversi. Anzi, dovremmo dire che gli episodi - almeno quelli pubblicizzati - sono per il momento contenuti, anche se, seppure per un solo caso, non cambia il risultato di un profondo distacco che si sta verificando nelle coscienze degli italiani.
Ed ancora, in un Paese ove un leader di un partito politico (il socialista Craxi, per intenderci) non ha nessuna remora a provocare crisi di governo e lasciare il Paese nel caos gestionale, pur di non recedere dalla rissa personale con un leader di altro partito (il radicale Pannella, per non cadere nell'equivoco), non possiamo aspettarci nulla di diverso. Una recente trasmissione televisiva delle reti di Stato aveva come slogan "prima la ricostruzione, poi la trasformazione" del Paese; congratulazioni ai fautori di questa trasformazione (a mio avviso, con l'avvento dei socialisti), che ha apportato crisi politiche, economiche, industriali, ecologiche e - quanto di più preoccupante - di contenuto morale e civile.
Lettera firmata - Il Secolo XIX, 21.7.89


Cara Gazzetta,
"la malavita frena il Sud". Perché? Il Sud è forse in marcia? Per andare dove?... Sappiate, scordoni, che i figli del Sud, vendendosi casa e podere, dopo l'Unità d'Italia, e il depredamento dei piemontesi, si recarono in ogni plaga delle Americhe, e chi non aveva moneta, andava per via clandestina, nascosto nelle stive dei vapori, e tanti morivano soffocati dalle esalazioni. Altri ancora andarono, senza scopo, a morire nelle guerre d'Africa, e in quella del '15-'18, per frenare l'occupazione della pianura padana dall'invasione austriaca, senza che la questione li toccasse molto.
Dopo la 2a guerra mondiale, partimmo con la valigia di cartone per le piaghe d'Europa e per l'alta Italia, spesso a fare gli schiavi nelle catene di montaggio delle industrie del Nord, mentre adesso i lombardi vorrebbero mandarci via con un calcio in c ... ! La "malavita" odierna sviluppatasi nel Sud non è delinquenza comune. Esso è un rigurgito legittimista, impropriamente rivolto contro privati cittadini, ma specificatamente essa deve intendersi rivolta contro la Stato, non tanto per il suo disinteresse nell'ultimo secolo e mezzo, come dite voi, ma per la spoliazione del Sud, aggredito dal brigante Garibaldi, per ordine della massoneria capitalista. Esso voleva un polo a forte incremento industriale, e uno a forte rarefazione, per essere un mercato per i manufatti del Nord. Ciò si è compiuto, e non ci sono più rimedi per poterlo risanare.
Il problema del Mezzogiorno non esiste. Esiste il problema del Settentrione. Se i malavitosi cominciassero a far saltare in aria i tronchi dell'autostrada del Sole nel Sud, a cui non serve per nulla, di modo che le mercanzie del Nord non potessero più transitare verso il Mezzogiorno, i lombardi i loro manufatti se li potrebbero mettere sui coglioni, e il "lavoro lombardo", esaltato dall'onorevole Moretti, andrebbe a catafascio. Il Sud starebbe meglio sotto il protettorato americano, tanto abbiamo le basi americane in Italia, che sotto lo sfruttamento del Nord. Questi compatrioti del Piemonte e del Lombardo-Veneto non è che stessero meglio dei sudditi del regno delle Due Sicilie. Basta leggere le poesie di Ada Negri, basti pensare ai grandi sacrifici delle mondine nelle risaie! La carestia e la fame, data dal Manzoni in colpa agli spagnoli, dipendeva dal cattivo andamento stagionale nella pianura padana, e ciò era un fatto endemico, sia per cattiva coltivazione, sia per periodiche inondazioni. In tempi precedenti, le periodiche carestie della padania venivano sollevate dai rifornimenti di gramaglie, che la Chiesa milanese faceva pervenire dalla Sicilia.
Tante e tante volte la Sicilia sfamò la Lombardia! La storia è storia, ed anche voi giornalisti ve ne dimenticate! La proposta d'istituire un Ministero dell'Unità degli italiani è una buggeratura! Scrivo a voi della Gazzetta del Mezzogiorno, che vi fregiate di tale attributo; ma credo che non potete dir verbo perché, di certo, sarete legati a qualche monopolio nordista. Sono anni che mi batto per la questione meridionale; vi mando qualche esempio recentissimo, e vi saluto disgustato dall'integralismo giornalistico delle testate meridionali.
P.S. - Avrete il coraggio di pubblicare questa lettera? Io sono pronto ad andare in galera.
Giuseppe Feis, Montecatini Terme


Caro Signor Feis,
come vede pubblichiamo la Sua lettera e né lei né noi andremo in galera. Il problema è che proprio chi si esprime come lei non fa che portare acqua al mulino dei "nordisti". L'esempio che lei dà non è da imitare. Quanto a noi, ed ai nostri "collegamenti" con i monopoli del Nord, è evidente che lei non legge la Gazzetta. Pazienza.
La Gazzetta del Mezzogiorno, 22.7.'89


Vorrei rispondere al signor anonimo della Lega precisando quanto segue. Il sottoscritto non ha voluto entrare in polemica con gli amici bergamaschi e tanto meno con gli amici lombardi, bensì col geometra Moretti, leader della Lega lombarda e i suoi seguaci che di sicuro non saranno bergamaschi e neanche italiani. Il signor Moretti con le sue dichiarazioni non ha fatto altro che alimentare dei conflitti sociali; una prova è stata il martirio del maresciallo Achille Catalani colpevole di essere nato a cinquecento Km. di distanza. Se ha paura che il suo dialetto possa perdere in purezza, vorrei ricordargli che ormai la purezza l'ha persa da tempo in quanto il suo come il resto dei dialetti italiani non è altro che il latino con infiltrazioni di altre lingue straniere. Oppure, se dovesse tenerci tanto al suo dialetto conservandolo come è attualmente, visto anche che è stato eletto al parlamento europeo, ha la possibilità di proporre una legge per instaurare la frontiera tra un paese e l'altro e nelle città tra un rione e l'altro.
Vorrei fargli notare anche che, secondo il modesto parere dello scrivente, l'uomo per vivere pacificamente e bene potrebbe fare a meno dei dialetti. Vorrei far presente inoltre che i meridionali non sono venuti al Nord per sottomettere la gente, bensì per lavorare onestamente facendo i lavori più umili e contribuendo allo sviluppo economico del Settentrione.
Giorgio Tatti Il Secolo XIX, 23.7.'89


E per finire..

Chi scrive è un cittadino straniero di lingua araba, stabilitosi in Italia per essere lontano dalle discriminazioni religiose che nel suo Paese sono all'ordine del giorno. Nel mio paese la popolazione è al 95% di religione mussulmana, la minoranza della popolazione, di religione cristiana, viene ovviamente sottoposta a continui e illimitati atti di violenza. E' risaputo che i credenti dell'Islam non hanno rispetto della diversità altrui. Il sottoscritto, sfuggito dalla propria Patria per ritrovare l'armonia e la pace che soltanto una Nazione democratica può dare ai suoi cittadini, ha scelto l'Italia quale Paese dove, nonostante i difetti relativi alla gestione della vita pubblica, esistono garanzie certe e indiscusse di libertà. Perciò, quando osservo nelle strade, nelle piazze e ovunque gente di colore (come il sottoscritto!) di confessione mussulmana, ben conoscendo le intenzioni dei mussulmani, i quali ad ogni costo vogliono diffondere il messaggio del Profeta, mi chiedo che significato abbia garantire l'altrui fede religiosa, quando gli stessi islamici sono intolleranti nei confronti delle altre religioni.
L'intolleranza religiosa è un fatto quotidiano nella vita del Medio-Oriente. Non intendo, ovviamente, generalizzare, ma, a mio modesto avviso, non ha più senso permettere in maniera illimitata ed incondizionato, l'afflusso nel vostro Paese di piccole minoranze che, col divenire degli anni, diventeranno maggioranze. Per cui, sarebbe vera e propria cecità culturale il non rendersi conto di quanto la tolleranza e l'indifferenza delle autorità italiane, nei confronti di questi nuovi arrivati, si riveleranno un'arma a doppio taglio.
Alì Ben Ghazali Rashid, Milano La Repubblica, 10.8.'89


E' pervenuta a questa scuola una cartolina postale indirizzata agli alunni della classe V/D e spedita da un certo Mauro Sanquinetti, Via Tricesimo 141, Udine. E' incredibile che alle soglie del 2000 possano esserci ancora residui di barbarie tali da suggerire certe farneticanti affermazioni di razzismo, di intolleranza e di disprezzo assoluto per gli altri, espresse nello scritto di cui accludo una copia fotostatica. Alla barbarie si aggiunge l'aggravante di scrivere a ragazzini.
Ciò che lascia perplessi non sono tanto le affermazioni di un Sanquinetti, evidentemente ignorante ed esaltato, quanto l'insorgere di una sclerosi storica in certi movimenti sedicenti regionalistici che ispirano queste brutali espressioni di esaltazione razzista, che in recente passato hanno portato alla "disumanizzazione dell'umanità".
Crede il Sanquinetti, se questo è veramente il nome di chi scrive, di dar lustro alle sue idee ed alla sua terra con quanto ha scritto? In noi che leggiamo desta solo stupore e forse anche pietà, perché dà prova di restare storicamente all'età della pietra o addirittura fuori dal consorzio umano.
Martino Ciraci, Direttore Didattico 1° Circolo Francavilla F. Gazzetta del Mezzogiorno, 30.6.'89
Ed ecco il testo, senza togliere ed aggiungere nulla, della cartolina postale spedita da Udine.
"A voi ragazzi. Vi siete lamentati contro la Famiglia Cristiana perché non aveva messo un articolo del vostro compaesano Padre Camillo Campanella. Io personalmente un meridionale di meno sarebbe un delinquente di meno, perché i preti meridionali vanno preti per sopravvivere, e non per vocazione. Quando leggo dei morti meridionali sono entusiasto perchè sono in meno di delinquenti. A che giova rifare il Mezzogiorno e aiutare il terzo mondo (che sono parenti) che non rendono niente. Da voi è nato lo scippo, la camorra, la mafia e voi con la vostra omertà non la sconfiggerete mai. Qui da noi diciamo queste frasi: "Bombardare a tappeto da Roma in giù". Avete città sporche, corrotte, indisciplinate, evitate di pagare le tasse ecc. ecc. e siete bugiardi. Basta leggere "Cronaca Vera" che gli articoli di delitti, fatture, maghi finti, prostituzione vengono segnati nel sud e se vengono anche nel nord sono oriundi dal meridione. Il problema del nord e colpa del sud. Se viene una calamità è meglio che venga al nord, perchè se viene al sud pretendete tutto dallo Stato, mentre noi non stiamo con le braccia incrociate, si diamo da fare. A pensare che nel sud non avete fabbriche di cose elementari come saponi, scope, scarpe, spazzole ecc. ecc.. Quindi non è colpa che siete poveri ma è quello di non levarsi dalla povertà. Come può un'industriale mettere una fabbrica al sud se poi voi fate sequestrare il figlio del padrone? State nel sud con la vostra ignoranza e con la vostra sporcizia".

Razzisti & svastiche

I guerrieri del nulla

A New York, il portiere d'albergo avverte: dopo il tramonto, fino alla Tredicesima Strada siete in pugno agli americani, da qui alla Ventiseiesima siete in balia delle prostitute, da qui in poi siete nelle mani di Dio. Non è solo questione di uomini. E' questione di giovani. Anzi, di bande giovanili, La metropoli americana pullula di formazioni teppistiche: aggressioni, vandalismi, irruzioni in cose e locali pubblici sono all'ordine del giorno, anzi della notte. Se la contendono, la notte, con una gran voglia di violenza. Un fenomeno, comunque, che non è solo americano. Anche dalle nostre parti non si scherza. Torino è percorsa, secondo ultime indagini, da circa trecento bande, due o tremila delinquenti senza bandiera, dai quindici ai vent'anni. Ma, accanto a loro, tra uno scontro e un'intimidazione, una spedizione punitiva "in territorio nemico" e un duello con mazze e coltelli, spuntano sempre più spesso croci uncinate e messaggi non proprio e non solo vagamente minacciosi: "Razzismo nordista", "Ariano piemontese", "Nazismo militante"
"Attenzione - avverte Franco Garelli, docente di sociologia - siamo di fronte a due fenomeni diversi. Non più solo violenza, ma gruppi che ostentano confuse colorazioni politiche".Nelle grandi città, da Torino a Milano, a Roma, a Napoli, accanto ai guerrieri del nulla si stanno schierando altri, ben più pericolosi, che niente hanno o che fare con la micro-criminalità di quartiere", I naziskin proliferano. Dominano le aree urbane centrali, terrorizzano abitanti e turisti, ostentano tracotanza. Dice Garelli: "Eccoli, i segnali più pericolosi della nuova violenza. Quella contro le minoranze di qualunque genere. Sono quasi sempre espresse da giovani del ceto medio e della borghesia, gente che non ha particolari problemi economici. A volte esprimono la necessità di avere un nemico e sbocciano nei contesti dove lo sradicamento sociale è più accentuato. Sono la conseguenza della vita in una società del benessere, in un clima di profonda differenziazione". I loro nuovi ideali? I francesi di Le Pen, i republikaner tedesco-federali.

Bocca della verità

Riserva Indiana e latitudini meridionali

Si moltiplicano i segnali di rimozione della questione meridionale sia nella forma becera e incolta del razzismo delle varie "leghe" sia nella forma più raffinata dei corifei della concentrazione nelle regioni del Centro-Nord degli interventi produttivi nei comparti industriali d'avanguardia. E non basta presentare a Milano, "la capitale morale ed economica d'Italia", il Rapporto Svimez sull'economia meridionale per frenare l'offensiva di un nordismo altezzoso e intollerante, convinto che il Sud e i "terùn", come dicono quelli che parlano bene, rappresentino la palla di piombo al piede dello sviluppo del Paese e ritardino all'opulenta Padania l'ingresso a pieno titolo nell'Europa dei ricchi (su queste linee è Giorgio Bocca, il quale non ama il Sud, dal momento che considera l'Italia doc conclusa a Firenze, da Roma in giù, sunt leones: "Opporsi alla meridionalizzazione dell'Italia alla maniera della Campania, della Calabria e della Sicilia, appare doveroso e urgente", scrive Bocca che è uno che ha sempre capito tutto fin dall'inizio. Il razzismo del Nord non esiste, conclama, e l'antimeridionalismo è solo la reazione dell'Italia che lavora e che produce, contro quella assistita, dilapidatrice e mafiosa. Senza eccezioni? Neanche o parlarne. Il Sud è terra di nessuno, governata dal crimine organizzato. Ipse dixit: siamo avvertiti in via ultimativa).
La risposta alle tesi speciose di chi, come Bocca, ritiene ormai vecchia la cultura meridionale passa per un'analisi puntuale e attenta dei nodi dello sviluppo economico nel nostro Paese negli ultimi dieci anni e soprattutto nell'analisi del dibattuto problema della reindustrializzazione.
Uno degli aspetti del ritardo socio-culturale e operativo del nostro sistema economico-produttivo sta nel fatto di avere interpretato il fenomeno della "terziarizzazione" di sistemi industriali più avanzati del nostro come fenomeno inarrestabile del declino del settore manifatturiero, per trarne io conclusione che occorreva rilanciare il terziario, riducendo l'attenzione e le risorse del settore manifatturiero. Fra l'altro, si pensava che la crisi dell'industria a livello nazionale fosse dovuta in larga parte all'essere dominata da settori in crisi con presenza insufficiente di settori innovativi (ad esempio, l'elettronica).
Si lanciarono i piani di settore della 675, senza avere ben compreso il tipo di trasformazione in atto a livello mondiale e nazionale, e senza una completa valutazione delle potenzialità del nuovo progresso tecnico. Quando è stato chiaro a tutti che la terziarizzazione (o meglio, la parte, strategicamente più importante di questo fenomeno: lo sviluppo dei servizi all'industria, o comunque destinati alla produzione) non era incompatibile e concorrenziale, ma anzi era complementare al manifatturiero, allora si avviarono una ristrutturazione e una riconversione del settore secondario.
In buona sostanza, si può affermare che la perdita di peso occupazionale dell'industria (la "deindustrializzazione") ero solo un diverso modo di atteggiarsi del sistema produttivo, e che in tanti casi occorreva guardare al nuovo aggregato economico rappresentato dal settore monifatturiero-terziario. Invero, se statisticamente si possono tener distinti i due settori, dal punto di visto concettuale e dell'operatore di politica economica la coscienza di questa integrazione e di questa nuova realtà economica deve essere tenuta ben presente. In particolare per il Sud, dove il processo di industrializzazione è lungi dall'aver raggiunto punte massime (e persino accettabili), può rappresentare un elemento di grosso equivoco il contrasto industria-servizi e il non tenere nella massima considerazione la loro complementarità.
E qui casca l'asino delle polemiche dei nordisti d'assalto. La riconversione e la ristrutturazione industriale realizzate nelle aree del Centro-Nord sono state possibili grazie a finanziamenti statali per le nuove iniziative del Mezzogiorno e soprattutto hanno potuto sfruttare gli sbocchi offerti dal vasto mercato meridionale ridotto ad area di mero consumo: la riserva indiana del turismo e del terziario (non avanzato, si badi bene) funzionano anche alle latitudini meridionali.

L'elettore medio della Lega Lombarda

Milano
Signor direttore,
Lei vede che non esiste il caro, cosa che avrei fatto se da tempo non mi fossi accorto che il nuovo direttore de Il Giorno, giornale a me caro da molti anni e che da oggi lascio per un altra testata da ricercare. Il motivo è semplice ho seguito alcuni suoi scritti ed ho compreso che è il classico uomo non di capacità proprie ma l'uomo di pochi scrupoli e di compromessi pur di emergere, in oltre ho trovato in Lei il vero razzista meridionale, osservi attentamente l'articolo di oggi in prima pagina, se non è in grado di decifrarlo attentamente lo sottopongo allo psicologo o ad altri di suo fiducia, vedrà che glielo confermeranno.
Lei a usato come rivalsa del Suo complesso meridionale una persona che ha votato Lega Lombarda, ma si fa promotore di non rivelare il suo nome ecc. ecc. si permette di chiedergli di pazientare e di vedere con altre angolazioni la realtà negativa in cui è costretto a vivere nel suo quartiere, gli fa notare che avendo figli si possono innamorare del terrone.
Le dirò il perché e Lei il razzista, primo perché usa termini dispreggiativi, fa distinzioni, si vanta di essere meridionale. Quel signore intendeva, come la intendono tanti cittadini di Milano e Lei sa bene che di lombardi o di milanesi veri ve ne sono pochi, dire che al nord vi abitano persone le quali con i propri mezzi e con grande sacrificio si sono inseriti nella realtà civile, che sono costretti dalla mancanza di educazione civile a subire prepotenze da parte di emarginati voluti da loro stessi perché e il loro unico modo per esistere, solo attraverso il loro comportamento negativo possono ottenere la sopravvivenza di comodo, visto il cattivo esempio dei governanti o parlamentari (non tutti) e la difesa di direttori compiacenti come Lei.
Se vuole la risposta del perché molte persone hanno votato Lega Lombarda si legga Il Giorno del 11/3/89 di Eraldo Crea ed altri articoli di giornalisti de IL GIORNO i quali con obbiettività mettevano in evidenza lo stato sociale dell'Italia, dove aprendo ogni giornale si sente solo parlare di Mafia Camorra Andracheta, scandali nel meridione sopprusi ecc. ecc. Lei mi deve chiedere come mai tanta gente comune ha perso la serenità della vita, per via di questa continua arroganza ignoranza meridionale che riesce a mettere in ginocchio sia i meridionali onesti e quindi cittadini italiani a tutti gli effetti sia i cittadini del nord e del centro onesti pure loro.
Se non crede alla mia lettera riesamini tutti i suoi articoli sulla Lega Lombarda e noterà che il razzista è Lei. I lombardi non sono andati a gettare bombe per l'Italia, non hanno minacciato nessuno, chiedono più attenzione per il civil vivere da parte di tutti i residenti in Lombardia. Chi ha votato Lega Lombarda è da una mia analisi tutte persone che non hanno mai chiesto niente a nessuno si sono fatti da soli e sono stanchi di persone come Lei che per ottenere un posto usano tutti i mezzi leciti ed illeciti. IO MI FIRMO e invierò una copia a tutti i giornalisti più affermati.
GHIGGI PALMIRO Via Amendola 8 - Rho
Mi risponda se vuole! (E se la pubblica)???


Più ancora della lingua italiana, mi sembra che questa lettera offenda il buon senso. L'ho voluta pubblicare per intero perché risulti chiara l'identità culturale, sociale e politica dell'elettore medio della Lega Lombarda. Ripeto: l'elettore medio. Tale infatti considero l'autore di questa lettera, simile a molte altre che sono arrivate al giornale, per non parlare delle telefonate, tutte caratterizzate dalla stessa insofferenza, per non usare parole più amore ma forse più appropriate.
E' bene che ricordi e riassuma la lettera e la risposta che hanno tanto irritato Palmiro Ghiggi, sino a indurlo a cercare un altro giornale da leggere.
La lettera era quella di un uomo che abita in un quartiere sovraffollato della periferia di Milano, in grande maggioranza popolato da meridionali "maleducati", "arroganti", "prepotenti" eccetera. Di questo lettore ho pubblicato soltanto le iniziali (PF.) per soddisfare la sua richiesta di anonimato: richiesta avanzato per paura di rappresaglie da parte dei suoi vicini di caso o altri meridionali malintenzionati.
La risposto da me data a quella lettera - l'una e l'altra sistemate in prima pagina - si limitava a ricordare che i maleducati e i violenti appartengono purtroppo a tutte le regioni e razze della terra e non solo a/ sud d'Italia, dove sembra che abbia avuto la disgrazia di nascere anch'io. Esortavo P. F. a capire la difficoltà di tutti, e non solo la sua, di vivere in un quartiere di periferia. Lo invitavo alla comprensione e alla solidarietà. E lo pregavo, in modo naturalmente scherzosa, di considerare la possibilità dell'innamoramento di qualcuno dei suoi figli per qualcuno delle figlie di un meridionale al quale vorrei che fosse riconosciuto il diritto quanto meno di aspirare ad avere figli educati e belli, insomma migliori dei genitori che tanto infastidiscono persone come P.F. e, debbo presumere, Palmiro Ghiggi,
Se questo risposta si meritasse la reazione che avete letto oggi in questo pagina lo lascio giudicare a voi lettori: giudicare naturalmente solo per il contenuto, non per la forma. Di quest'ultima il signor Palmiro non può essere considerato colpevole. Ognuno scrive nell'italiano che sa e può, e mostra l'educazione che ha, al sud come al nord.
Il Giorno, 6.7.'89


L'Esame di coscienza di una lombarda

Morbegno
Caro direttore,
le scrivo perché desidero congratularmi con lei per la risposta che ha dato al signor P.F. di Milano in merito alla Lega Lombarda Alleanza Nord. Ci voleva proprio! E soprattutto ha fatto bene a metterla in prima pagina.
E' da molto tempo che lotto con tutte le mie forze per tentare di spiegare ai miei corregionali, e soprattutto ai giovanissimi, la gravità della costituzione di un partito così profondamente razzista. Vorrei invitare anch'io tutti coloro che votano la Lega a riflettere seriamente.
Sarei curiosa di sapere che cosa hanno provato questi elettori sentendo i tedeschi neonazisti dire che non vogliono emigrati stranieri (e quindi anche italiani) nel loro paese perché temono che venga inquinata la germanicità. Sono certa che si sono sentiti offesi e che hanno provato un istintivo senso di rabbia - - Ma chi si credono di essere? Che cosa hanno gli altri popoli? La lebbra? Non sono che dei razzisti.
Ebbene, coloro che in Italia votano Lega lombarda sono paragonabili a questi neonazisti.
E' forse giusto offendere in questo modo i nostri connazionali o, meglio, il nostro prossimo? Ognuno si faccia un esame di coscienza.
Io, come lombarda, ma sopra ogni cosa come essere umano, mi vergogno profondamente di questo partito!
Distinti saluti.
Monia Speziale


Dopo aver pubblicato, solo qualche giorno fa, una lettera-campione di elettori della Lega lombarda polemici o addirittura inviperiti per la posizione da me assunta di fronte a forte manifestazioni di intolleranza verso concittadini colpevoli di essere noti nel Meridione e di avere altre abitudini, o altra educazione, ho sentito l'obbligo di pubblicare una lettera-campione di tipo opposto. Molti sono infatti anche i lettori che scrivono e telefonano per esprimere il loro consenso o una linea che vuol essere semplicemente di tolleranza di civile solidarietà.
Mi rendo perfettamente conto che i problemi sollevati dal fenomeno elettorale e sociale della Lega lombarda sono numerosi e complessi. Non si può esaurire tutto nella pur giusta protesta contro il razzismo, non importa se occulto o palese, se inconsapevole o consapevole.
Ma bisognerebbe intanto stabilire o ristabilire le condizioni di un dibattito civile, che non faccia dell'insulto la regola.
Vi è stato chi, in difesa del diritto di insultare, ha scritto o telefonato invitandomi a considerare il danno che la posizione da me assunta su questo tema può procurare alla diffusione del "Giorno". Il lettore, come il cliente in un negozio, dovrebbe essere trattato sempre con i guanti. Gli si dovrebbe dare ragione anche quando ha torto.
Non sono tonto ingenuo da ignorare le esigenze, diciamo così, di mercato che condizionano anche un giornale. Ma non voglio neppure essere tanto cinico da assecondare anche con il semplice silenzio le peggiori tentazioni o abitudini. Se lo facessi, rischierei peraltro di perdere la fiducia e l'attenzione di lettori e lettrici come Monia Speziale. Ma soprattutto perderei la stima in me stesso e nella mia professione.
Il Giorno, 8.7.'89

E c'è chi rinnega le proprie origini

Un qualche merito alla Lega Lombarda & Leghe Affini va assegnato. Il recente successo elettorale, del quale i più, a botta calda, hanno detto di vergognarsi, ha ingenerato una serie di riflessioni su quello che tutti, a Milano, ritenevano un problema insignificante, inesistente: la questione meridionale. Una questione lasciata, semmai, metropoli per metropoli, alla sussiegosa Torino, ma che nella città della Madonnina veniva liquidate con un'alzata di spalle, al più con un motto di spirito. Non poteva esserci, un simile problema, perché i meridionali non esistevano: e non esistevano, semplicemente, perché non c'erano differenze fra loro e chi a Milano c'era prima di loro.
Ma ci si era dimenticati, nella tranquilla atmosfera pre-europea sopra descritta, degli intellettuali e dei figli dei meridionali.
I primi, molte volte osservatori per mestiere, vedono ora ciò che prima delle "europee" sembravano non vedere; i secondi (intendiamo quelli nati a Milano o qui cresciuti), frutto, insieme, di una paternità naturale e di una geografica, si mostrano sempre più decisi a prendere le distanze dalle proprie origini. A entrambe le categorie, il pretesto di un soprassalto critico lo fornisce oggi, appunto, la Lega. Quando poi le due condizioni si sommano in una sola persona, ecco emergere conflitti e confusioni.
Sulle pagine milanesi di un importante quotidiano, lo scrittore Carlo Castellaneta s'interroga sul dispiacere che Maria Teresa d'Austria starà provando nella sua tomba a causa della "meridionalizzazione" di Milano. Si era illusa, la poveretta, di averci lasciato il gusto dell'incorruttibilità, e invece ci ritroviamo in mezzo alle bustarelle e all'assenza di sdegno.
Colpa dei meridionali, dice Castellaneta, che ai milanesi avrebbero trasmesso "il miglior costume borbonico". Il sipario dei teatri non si apre all'ora fissata? Colpa dei meridionali, inclini a sopportare i ritardi degli onorevoli. Picciotti e cumparielli, dice ancora il Nostro, hanno ormai espugnato il centro storico, e sotto i portici di corso Vittorio Emanuele si sentono più accenti di Cerignola che della Bovisa, Un forte fatalismo, un certo "piacere" della rassegnazione, passività, e scetticismo avrebbero conquistato, insomma, i figli (non proprio renitenti) di Maria Teresa.
Ma il Nostro è anche figlio di un meridionale (un pugliese), e così, a un certo punto della sua osservazione, egli ricorda il padre nell'atteggiamento di vergogna per le proprie vocali chiuse e delle doppie, mentre "si illudeva di passar per longobardo". Tentava di parlare come nella famiglia della moglie, quel padre, perché il valore da raggiungere era la "miIanesità".
Ora, è soprattutto un problema dei figli di quei padri, par di capire, il disagio di vedere meridionali ancora in giro per Milano. E sempre più numerosi, fra l'altro. Devono provare, questi figli, la stessa vergogna una volta provata per le vocali chiuse.
E oggi che si parla d'Europa, convinti come sono che in ogni teatro milanese vada ogni sera un onorevole, essi sembrano voler dire che tutti devono nascondere il proprio italiano, visto che Milano, sotto sotto, è il Meridione geografico del Vecchio Continente.

Sette domande facili facili

"Terùn ... terùn ... mafia". Oppure: "Magliette con le cinture di sicurezza disegnate? che matti ...". Furbi o delinquenti. Schiodare il luogo comune sui meridionali, anche se li si ha come vicini di casa, stimati compagni di lavoro ed amici affettuosi, resta un'impresa.
Sarebbe meglio riderne, la risata, ha detto qualcuno che odiava la violenza, è rivoluzionaria. Ma nelle bellissime valli bergamasche, dove una volta Renzo e Lucia filavano, quell'accolita di borghesi piccoli piccoli che è la Lega lombarda predica ,che Don Rodrigo è "meridionale". E i Renzo e le Lucie di oggi, tutti casa, telaio e personal-computer, hanno riempito i questionari di "Bergamo-Oggi", il giornale che ha deciso di non tacere un problema che si va facendo sempre più drammatico. E non importa se per sviscerare la loro antipatia contro i "terùn", come indica la Lega Lombarda, hanno risposto di non volere un meridionale come medico, anche se lo è il loro medico di famiglia, una persona che li cura da anni, li ha visti crescere, e alla quale magari sono affezionati.
Importante, come diceva qualcun altro, è l'idea. la stessa che li ha portati ad essere contrari agli insegnanti che vengono dal Sud, quando sanno benissimo che, se non ci fossero, le scuole bergamasche dovrebbero chiudere per mancanza di personale docente. E in questa commedia dell'assurdo hanno risposto affermativamente anche alla domanda del questionario che chiede "se i meridionali rubano lavoro ai bergamaschi". E questo, in una provincia dove le statistiche parlano di piena occupazione, e dove ai concorsi, che se si tenessero al Sud farebbero affollare di concorrenti gli stadi, praticamente non si presenta nessuno. Scontata la risposta sul matrimonio con un o con una meridionale: "moglie (o marito) e buoi dei paesi tuoi".

Il ritorno del razzismo

L'Occidente e la resistenza delle culture locali

La scomparsa delle lucciole - avvertì Pier Paolo Pasolini in un famoso articolo sulla mutazione culturale nel nostro Paese - è il segnale poetico e crudo, profetico e realistico, di due abbinati e concatenati processi innescati dall'emergere del boom economico dei primi Anni Sessanta: l'inquinamento dell'aria, dell'acqua dei fiumi e delle rogge trasparenti e l'invadenza dell'industrializzazione. La scomparsa fulminea e folgorante delle lucciole appartiene alla svolta culturale del nostro Paese: da una parte, il distacco patologico dell'uomo dalla natura; dall'altra, il crollo e l'alterazione dei "valori" (valori in senso antropologico, senza valenze di positività o di eticità) storici del coacervo di culture agricole e paleoindustriali che il vecchio Stato nazionale aveva cercato di fondere e di modernizzare, falsificandoli.
Il processo storico dell'omologazione culturale avvertito dal poeta antropologo Pasolini ha due fasi. La prima segna il passaggio dai "valori" genuini e reali di un'Italia frastagliata nelle idee, nei costumi, nelle tradizioni di una cultura arcaicamente agricola (chiesa, patria, famiglia, disciplina, ordine) agli stessi valori nazionalizzati e falsificati nel Ventennio come conformismo di Stato e poi trasferiti nell'immediato dopoguerra, per la stessa vischiosità culturale e per l'utilità politica, nella nuova democrazia.
Nella seconda fase, quei "valori" nazionalizzati e falsificati cadono di colpo. Dall'arcaicità pluralistica, attraverso il conformismo unificato da un'ideologia totalizzante, si approda al livellamento industriale che costituisce la grande mutazione epocale nella quale siamo coinvolti. Questa seconda fase stravolge l'originario rapporto città-campagna e la prevalente vocazione agricola del Paese, utilizzata dai centri urbani nella costruzione della loro egemonia, è schiacciata dalle forze politiche e burocratiche trainanti una industrializzazione selvaggia, rozza, livellatrice di identità storiche. La standardizzazione dei costumi e, quindi, di gusti, valori, comportamenti, sollecita nuovi conformismi sostenuti da una pubblicità che induce concezioni di benessere, dignità, socialità di segno diverso dalle tradizioni e dai costumi delle antiche comunità sia rurali sia urbane.
Questi nuovi conformismi - va messo in rilievo se da una parte sono il prodotto di un progresso tecnologico coniugato al profitto incurante delle conseguenze perverse delle sue applicazioni, dall'altra si incontrano con il bisogno di un miglioramento della qualità della vita, dettato dalla percezione del diritto di ognuno alla fruizione di quei beni, mezzi e servizi, che aprono alla quotidianità spazi di libertà e di godimento illusoriamente eguali per tutti.
I processi di omologazione culturale nel nostro Paese meriterebbero un discorso più approfondito. L'averli appena accennati ci consente, tuttavia, di aprire una finestra sui fenomeni analoghi - in parte verificatisi, in parte auspicati, in parte temuti e frenati - che riguardano la comunità globale cui apparteniamo.
Da un lato percepiamo, constatiamo la tendenziale occidentalizzazione del mondo. I modelli culturali dell'Europa - trasmessi all'America e qui elaborati sotto le spinte delle avanguardie tecnologiche e riesportati, "nuovi", nel Vecchio Continente - si insinuano e si espandono, a raggio, nelle culture "altre", incidendone la specificità. Singapore, la salgariana Malesia, Hong Kong, sono - per fare pochi esempi - oasi occidentali punteggiate di folclore orientale a beneficio dei turisti. I safari artificiali del Kenya sono tours bene organizzati che stuzzicano la curiosità del passeggero per l'esotico e il selvaggio, senza intaccare minimamente le esigenze e il gusto del suo benessere occidentale. Le isole dei lontani oceani sfruttano il sogno idilliaco dei privilegiati per un mondo pulito e incolto, non deturpato dalle aberrazioni della nostra "civiltà", offrendo villaggi turistici bene attrezzati, con tocchi esotici, per soddisfare le abitudini degli utenti alle proprie comodità occidentali.
L'omologazione culturale del mondo secondo modelli e schemi occidentalizzanti ha avuto e ha le sue leve e le sue incentivazioni nei sistemi economici del profitto e nel diffuso, pur se dislivellato, benessere che dal profitto deriva; nei processi invadenti dell'industrializzazione; nelle risposte possibili date ai bisogni fondamentali dell'uomo; nelle stesse istanze umane di creatività e fantasia che - indipendentemente dai risultati - pone l'individuo in perenne ricerca e attesa del meglio per sé.
Dall'altro lato, le resistenze culturali locali messe a rischio dall'invadenza dei modelli occidentali; la difesa ad oltranza delle proprie specifiche identità, delle proprie tradizioni, della propria religione portata fino ad un esasperato fanatismo ideologico; la consistenza demografica e la compattezza fideistica del mondo islamico; il fenomeno immigratorio dai Paesi del sottosviluppo a quelli del sovrasviluppo con il travaso nelle culture occidentali di culture e identità "altre", lascia in sospeso il problema di quale assetto assumerà la mutazione antropologica prossima ventura del nostro piccolo mondo.
L'Europa, ancora una volta, avrà la sua parola: certo non ultima, certo non definitiva, ma importante. E questa parola non dovrà essere né etnocentrica né culturicantrica, né - per dirla in tutta semplicità - venata di presunzione, di insofferenza, o di ostilità razzista. E neppure di paura: la paura di
perdere un predominio intellettuale antico, le cui perverse radici si abbarbicavano all'ideologia complessa del colonialismo.
L'antropologo austriaco Iraeneus Eibl Eibesfeldt sintomatizza questo sotteso senso di paura quando prevede il boom demografico delle popolazioni extraeuropee. Egli pensa al problema dell'emigrazione turca in Germania e considera, con i turchi, gli arabi come le etnie rampanti della sponda sud del Mediterraneo. Osserva che le culture europee sono diverse ma correlate: se un francese si stabilisce in Germania o un tedesco in Italia, entrambi nel giro di due generazioni restano completamente assimilati. Ma i turchi hanno una religione, abitudini, modelli culturali diversi. Non possono integrarsi con gli europei, pena l'abbandono della loro cultura o l'instaurarsi di una forte competizione. Situazioni del genere, secondo Eibl, oggi si verificano già. Lo stravolgimento è inevitabile quando le etnie in competizione posseggono tassi di crescita diversi: le donne turche generano in media 3,5 figli, contro l'1,3 delle tedesche.
Ad Eibl si può obiettare che ritenere le assimilazioni o meglio le compatibilità culturali possibili solo se in partenza le culture sono abbastanza omogenee, e pensare in termini di quantità demografica il dominio di un gruppo su un altro, sono teorizzazioni che non tengono conto della storia: si pensi alla multietnicità degli Stati Uniti e all'apartheid sudafricana dove la minoranza bianca domina la maggioranza negra.
Il problema degli appiattimenti o delle prevalenze e prevaricazioni culturali va superato da un progetto di convivenza multietnica nel rispetto delle radici e dei patrimoni tradizionali dei differenti gruppi umani. Giocare la difesa dell'uomo sul colore della pelle o sulle incompatibilità culturali è compiere un salto indietro nella storia, degradare l'umanità a specie priva di "cultura" al cui interno ogni gruppo sia incapace di vivere la propria identità nel rispetto di quella altrui e attraverso la intercomunicabilità di esperienze e storie diverse.

Il leghismo del Sud

"Popol mio ... " dice Alberto da Giussano. E il "popol" si indovina, dietro il Carroccio che svetta come simbolo della lega lombarda; anzi, persino come simbolo dell'Alleanza Nord (il cui cartello è rappresentato anche dai simboli delle altre associazioni razziste, ma più piccoli: come i somari legati dietro il carretto, appunto).
Alla vigilia del 1993, primo gennaio, giorno uno dell'Europa senza frontiere, il fronte razziale chiama a raccolta ricchi e opulenti lombardi, scorbutici piemontesi, parsimoniosi liguri, e anche i cattolicissimi veneti del misticismo confessionale: roba da far invidia a Pietro l'Eremita! Per molti, un'inconfessata speranza: che la geografia politica faccia il miracolo della separazione, dividendo finalmente i settentrionali buoni dai meridionali cattivi. Mai il pensiero politico italiano distillò un progetto più geniale. Sussultano le ossa di Cattaneo. Quelle di Mazzini cambiano residenza. Garibaldi è tetro. Cavour lo rincuora: s'è fatta l'Italia, stanno per farsi gli italiani, all'ombra del Carroccio. Verdi rimette mano al "Nabucco" e cancella il coro. Riccardo Muti è in cassa integrazione, (peggio per lui, pugliese d'accatto). Giulini va a remengo (non è pugliese anche lui?). Terroni, la vostra speranza è il muezzin. Scrollate pure le vostre palme, noi scampaneremo i nostri abeti.
Invece, no. Testardi come muli, i terroni piazzano presidii. Uno di essi, la Lega Meridionali d'Italia, sede centrale a Solaro: "La nostra è una filosofia di contenimento, ma in particolare di chiarimento. Troppe accuse contro i meridionali partono da informazioni sbagliate, da preconcetti di antica data. Nonostante il grande sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, il Sud è ancora tanto lontano dal Nord d'Italia, e non solo in termini economici. Quelli del Nord dicono di mantenerci. Ebbene, sui tavoli dei burocrati sono fermi 6.250 progetti presentati da imprenditori meridionali nel quadro dell'incentivazione industriale prevista dalla legge 64. Ad essi nessuno ha dato risposta. Queste cose è utile farle sapere a Milano e altrove". Chi parla è Francesco Miglino, 48 anni, salernitano d'origine, editore di riviste tecnico-scientifiche, nel "pensatoio" della Lega al numero 33 della milanese via Torelli Viollier.
Se s'ode a destra uno squillo di tromba, a sinistra risponde uno squillo: quello della signora Ornella Mariani, 42 anni, insegnante elementare. Installata nel cuore di Benevento, al numero 8 di vico Noce, la signora Mariani ha fondato l'Aiem, Associazione italiana emigrati meridionali. Primo atto rilevante: una denuncia contro gli europarlamentari della Lega Lombarda, Luigi Moretti e Umberto Bossi, che sarebbero incorsi nei reati di vilipendio della Costituzione italiana "per la parte asserente il simbolo del partito" e di associazione atta a sovvertire le istituzioni "per quanto riguarda i contenuti politici". Accuse pesanti, ma "comprovate dal materiale elettorale e dalle dichiarazioni rese ai mass media, rispetto alle quali risulta, grave danno e offesa all'onore di tutti i cittadini italiani in generale, e meridionali in particolare". Precisa l'insegnante: "La Costituzione parla chiaro, nell'articolo 3 si afferma che l'Italia deve essere una e indivisibile. Il Viminale ha sbagliato ad accettare un simbolo che raffigura Alberto da Giussano con la spada puntata verso il Mezzogiorno. Cos'è, una minaccia? Sappiano, quelli della lega, che ci vuole ben altro per farci paura". Chiaro?
E non è finita. Masaniello si è trasferito al Nord. A Garbagnate, 25 mila abitanti che fanno il pendolo per e da Milano. Ignazio Insisa, 55 anni, origini siciliane, taxista full time, è ideologo e fondatore della Stella del Sud, partito del riscatto meridionalista: capitale, 12 milioni e una macchina da scrivere, più una fotocopiatrice con la quale tira 12 mila copie di "Vento del Sud", giornale del partito. Gli dà una mano Antonio Pippo Cifarelli, 76 anni, matematico e medico, ex partigiano azionista, "terrone di Bari", una vita di libelli e di polemiche con i Padri della Resistenza alle spalle, grande ammiratore di Di Vittorio.
Insieme, elencano: "In Italia ci sono un partito sudtirolese, uno valdostano, la lega piemontese e quella veneta, oltre alla famigerata Lombarda. Insomma: cinque formazioni razziste, di fronte alle quali ci siamo noi, abbandonati dal Sud e accettati con molte riserve dal Nord. E non intendiamo solo inserimento sociale e lavoro: chi si piega, bene o male si inserisce. L'ostracismo nei nostri confronti è più sottile, morale e psicologico, colpisce chi non sta al proprio posto di meridionale addomesticato. Ma noi non vogliamo essere degli Zio Tom. Sa che per trovare un notaio che autenticasse il nostro statuto abbiamo impiegato un anno? Ora è fatta, e l'abbiamo depositato alla caserma dei carabinieri". Può iscriversi al partito chiunque sia terrone (accettati anche umbri e marchigiani); e chi sia nato a Nord, ma abbia almeno un genitore meridionale. La riscossa etnica ha le sue esigenze.

 


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