Roma,
8 giugno 1989
Caro Direttore,
ho letto con molto interesse "Il razzismo dal volto umano",
uscito sul n. 4 e sono stata stimolata ad alcune considerazioni.
Negli anni Sessanta la classe politica di governo, seguendo le teorie
keynesiane dello sviluppo squilibrato, si afferma anche come forza
economica imprenditoriale, decidendo l'ingresso del Sud nell'area
della grande industria. L'intervento dello Stato non crea però
le condizioni di un'economia autopropulsiva perché essa rimane
fondata su un sistema di mediazione - almeno in alcune regioni del
Sud - tra il partito del governo e una rete di notabili locali incaricati
della gestione del flusso di denaro destinato allo sviluppo del Sud.
Un distorto sviluppo economico dunque, che rimane dipendente dall'apparato
industriale settentrionale e legato a un sistema di clientele indispensabili
alla D.C. per conservare il consenso elettorale.
Così per gli emigrati meridionali non si sono aperte possibilità
di usufruire di questi interventi. Gli emigrati, che erano poi quelli
che nel 1948 con grande coraggio avevano occupato le terre, nella
fiducia che lo spiraglio della riforma agraria si aprisse con la legge
Gullo rendendogli giustizia, sono dovuti restare a guadagnarsi l'amato
pane "straniero", oltre confine o in patria.
Dalla fine degli anni Sessanta si attenua la politica degli investimenti
produttivi industriali agevolati, soprattutto privati, e si va verso
un cospicuo flusso di spesa pubblica orientata a controllare le tensioni
sociali. Viene in questo modo a crearsi una catena politico-economica
attorno a una borghesia locale che gestisce e fruisce del denaro in
questione. Tutto ciò influisce sul mercato del lavoro: la maggiore
dilatazione delle opportunità di lavoro resta ancorata ai modi
ed ai ritmi di erogazione di denaro pubblico e ai casi più
strettamente assistenziali, ma molte di queste possibilità
sono legate alla gestione illegale del flusso di denaro alla mafia,
alla camorra che finiscono per controllare l'edilizia e il lavoro
stagionale, infiltrandosi nello stesso tempo nelle maglie delle istituzioni.
Tutto questo finisce per marchiare tutto il Sud, con l'appoggio della
stampa che alimenta una distorta versione delle cose. E' altrettanto
vero che la mafia poi si è estesa su tutto il territorio nazionale:
le tangenti sono senza dubbio una espressione mafiosa.
Responsabile di questi fenomeni è la classe politica che non
ha voluto colpire la mafia al Sud e non solo non ha fermato il dilagarsi
del fenomeno, ma ha contribuito ad estenderla.
Come si può allora pensare che la sola presenza in un governo
(nel frattempo caduto) di 27 ministri meridionali possa rappresentare
una inversione di tendenza per il Mezzogiorno?
Per risanare il Paese basterebbe, da una parte, recuperare quei fermenti
e quelle tensioni ideali che nel Sud ebbero l'espressione più
alta nelle masse contadine e al Nord nella classe operaia. Purtroppo
i contadini del Sud sono emigrati e si sono inseriti in altre attività,
gli operai del Nord invece di lottare per il socialismo hanno lottato
per il benessere, che tutto sommato hanno raggiunto con buona pace
degli ideali. Dall'altra parte ci vorrebbe una classe politica onesta
che fosse spinta da rinnovate tensioni ideali. Due condizioni difficilmente
attuabili.
Il giornale che dirigi sembra sinceramente proteso a stimolare la
costruzione di uno Stato efficiente, con una classe dirigente decisa
a dare una svolta al Paese: allo stato delle cose sembra un bel sogno,
a meno che non si guardi a certo decisionismo arrogante e un po' pericoloso.
Per questo, pur riconoscendo esatta l'analisi che tu hai fatto, penso
che sia necessaria molta cautela, che non si debba in alcun modo acuire
la divisione tra Nord e Sud: un razzismo alla rovescia non sarebbe
utile a nessuno. Bisognerebbe invece recuperare i valori dell'antifascismo,
primo fra tutti quello di uno Stato che funzioni bene, creando una
intesa fra quanti, nordisti o sudisti che siano, sono stufi di tangenti
e di mafia, di ruberie e di camorra, di ingiustizie fiscali e di evasioni
per compiere una profonda pacifica rivoluzione. Utopia? Forse. Ma
è l'utopia che ha cambiato le cose in ogni tempo.
Scusa, caro direttore, se mi sono dilungata troppo e vivi apprezzamenti
per la bella rivista. Cordiali saluti.
Mirella Alloisio
Una ligure, non targata "razza nordica"
Carissima Mirella,
giuro che non avrei voluto parlarne più, neanche dopo il clamoroso
successo elettorale, alle europee, della lega Lombarda-Alleanza Nord:
perché è reale il rischio di rispondere al razzismo
con altro razzismo, sia pure involontario, (ma è consentita
l'involontarietà a un giornalista, il quale - insieme con le
fonti - deve verificare anche se stesso, le proprie idee, l'antropologia
culturale, e quant'altro si voglia, e ricordare che "le parole
sono pietre"?), trasformando in questo modo un dibattito aperto
in una specie di spaghetti-western. Ma tant'è. Ci torno su,
per la tua bellissima lettera, e per le altre, che continuano ad inviare
ai giornali i "fratelli d'Italia". Con una premessa, o una
professione di fede, alla quale non so sottrarmi: prendo in prestito
due righi dell'eccelso Tocqueville, e li faccio miei: "Spero
di avere scritto questo libro senza preconcetti, ma non pretendo di
averlo scritto senza passione". E spero anche di non valicare
il confine - labilissimo - tra passione e indignazione: spero, non
prometto. Perché un giornalista che non riesce a "vedere",
a "meravigliarsi" e a "indignarsi", - quando siano
in pericolo, ad esempio, la ragione, la libertà, la dignità
civile e umana - ha un futuro solo nel catasto.
Dunque: tu dici che negli anni '60 "la classe politica di governo
seguendo le teorie keynesiane dello sviluppo squilibrato, si afferma
come forza economica imprenditoriale, decidendo l'ingresso del Sud
nell'area della grande industria". E' vero. Ma le premesse erano
state già poste nell'immediato dopoguerra: fu allora che (anche
contro la volontà di Togliatti) Ruggero Grieco fortissimamente
volle che ai contadini meridionali fosse data la terra (il possesso
della terra era stato, d'altra parte, un dato permanente dell'ideologia
contadina del Sud), mentre altri meridionalisti (Rossi Doria, in particolare;
ma anche Tommaso Fiore) già parlavano di scuole professionali,
di sistemi di trasporto, di sistemazione del territorio, di sviluppo
dei servizi preliminari alla nascita di un tessuto connettivo di piccole
e di medie imprese industriali. Prevalse Grieco, e la prospettiva
delle tute blu nel Sud si allontanò. Perché? Perché,
si disse, era necessario rimetter su le fabbriche, dar lavoro alla
gente, ricostruire le città e i commerci. Di chi? Del Nord:
anche per premiare chi aveva patito di più per la guerra, chi
aveva fatto la Resistenza, chi aveva difeso gli impianti industriali
dalla strategia distruttiva dei nazisti in ritirata. Argomenti difficilmente
contestabili, certo. Ma che finirono per giustificare una politica
binaria: di chi riteneva poi di poter esportare nel Mezzogiorno e
nelle sue Vandee il "vento del Nord", e di chi contava di
agire sul volano delle Vandee per contrastare quel vento.
Fu il Piano Marshall a cancellare molte macerie peninsulari; ma furono
i dollari del sindacato americano a finanziare la scissione di Saragat
e la Cisl di Pastore. l cislini, soprattutto, trovarono a Sud immensi
pascoli, e furono un muro pressoché invalicabile per l'espansione
della Cgil, che consolidò la sua formidabile presenza e la
sua attività al Centro-Nord. E quel muro fece naufragare il
progetto gramsciano (ma per primo lo aveva delineato Gaetano Salvemini)
dell'alleanza tra operai del Nord e contadini del Sud, per la redenzione
delle masse meridionali e per lo sviluppo equilibrato del Paese. Che
poi "gli operai del Nord, invece di lottare per il socialismo,
hanno lottato per il benessere che tutto sommato hanno raggiunto con
buona pace degli ideali", forse era fatale: le catene automatiche
di produzione consentivano un ritmo del tempo assai diverso da quello
di terre in cui, come ha scritto un mio amico poeta, "sirene
di cantieri sono/antichi rumori di zappa". Ben altre macerie,
politiche, morali, storiche, erano da cancellare nel Sud. ' "altra
Italia" non seppe, non volle o non poté aspettare. Allora
sulle regioni meridionali riprese vitalità una vecchia sciagura:
il ruolo di mercato per le produzioni dell'Italia ricca; e se ne abbatté
una nuova: la Cassa per il Mezzogiorno.
L'ascarismo dei politici meridionali, o di quegli yes-men che furono
alleati e complici del "ministro della malavita", Giolitti,
non si poteva cancellare nello spazio di un mattino. La stessa antropologia
culturale del Sud era stata scandita dal conflitto tra quelle che
Croce aveva definito le "grandi figure", i grandi uomini
soli del Mezzogiorno: coloro che, crocianamente, appunto, si erano
preparati alla caduta del Fascismo, senza tuttavia muovere un dito
per accelerare l'evento; e coloro i quali, invece, si erano staccati
da Croce, insofferenti dell'attendismo, erano emigrati al Nord e avevano
fondato il Partito d'Azione (e l'editrice Einaudi).Rinate nel dopoguerra
le "due Italie", e avendo ormai messo radici salde a Nord
gli spiriti liberalradicali, al Mezzogiorno venne meno la forza intellettuale
endogena che avrebbe potuto mettersi alla testa di un movimento rinnovatore.
I Finocchiaro Aprile, i Carano Donvito, i Dorso, pochi altri, cresciuti
alla scuola e sulla lezione di De Viti De Marco, furono voci clamanti
nel deserto.
Deserto: perché la terra, dopo aver "tremato", venne
abbandonata dagli assegnatari eradicati, isolati, privi di acqua,
di energia elettrica, di strade. Di futuro. Costoro cominciarono a
vendersi porte e finestre, acquistarono una valigia e un biglietto
ferroviario, e riaprirono le piste della migrazione. Questa è
storia degli anni '50, quando per far calare la febbre si stanziarono
1.000 miliardi per la micidiale politica degli "interventi a
pioggia" della Cassa per il Mezzogiorno, avversata da pochi spiriti
illuminati, ma sostenuta proprio da quella "rete di notabili"
che avrebbe dato il più cospicuo apporto alla formazione della
"classe politica" trasformista, servile, famelica, che avrebbe
"mediato" e "gestito" quasi in esclusiva nel Sud.
Negli anni '60 (in pieno boom, nel '63, emigrava un meridionale ogni
minuto primo), la presunta inversione di tendenza. Se la montagna
non va da Maometto... l'industria scese a Sud! Il miraggio della tuta
blu abbagliò anche i pastori lucani, per i quali l'italiano
era una lingua straniera; e i "foresi" di Puglia; quelli
che per millenni avevano dormito, le notti della mietitura, sull'aia.
Andarono alle selezioni dell'Italsider, poi della Montedison, tutti
con richieste a corto raggio: facchino, usciere, guardiano notturno...
Mucillagine umana, facce d'argilla, occhi dolenti; qualche Donnarumma
all'assalto. Il piazzamento delle "raccomandazioni" diventò
vorticoso, assurse a sistema, politici e mezzani accumularono consensi
speculari al numero di salari che riuscivano a garantire e accumularono
progetti speculari alla massa di servizi che la nuova realtà
avrebbe finito per reclamare: strade, superstrade, ponti e viadotti,
edilizia decentrata, acqua, energia... Il Nord, intanto, si era liberato
di industrie ingombranti e devastanti (chi riconosce più Taranto?).
Il Sud ringraziò e delirò su altri centri siderurgici,
poi declassati a laminatoi, poi svaniti tra le rovine di terre che
erano state giardini, non avevano accolto imprese a misura d'uomo,
ed erano diventate altri deserti. La Cassa per il Mezzogiorno varò
i progetti speciali. Una lavina di denaro pubblico scese a Sud, e
come un fiume limaccioso raggiunse e sommerse tutto e tutti. Lo chiamarono
progresso.
In parte lo fu. Emigrati di ritorno, spiriti bucanieri, agrari in
vena di riconvertire le rendite, imprenditori ruspanti, risparmiatori
accaniti, insieme con giovani illuminati e disposti al rischio, si
gettarono a capofitto nella gran bisca del Sud: mediamente, ce l'hanno
fatta per un buon terzo; gli altri, o sono rimasti al paio, o non
sono andati molto lontano, o sono finiti nel baratro. Buona parte
del Sud, però, rastrellando tutto quello che trovava per strada,
o otteneva dalla Cassa per il Mezzogiorno, dalle Regioni, dalle banche,
dalle tasche di papà e dagli artigli degli usurai, emerse dalla
sfera del sottosviluppo. Oggi è una terra "a insufficiente
industrializzazione", come si dice in questi giorni. Intasa le
città con le auto, mangia bistecche, affolla le spiagge, ha
conquistato la settimana bianca, veste griffato, ostenta il Rolex.
Ma quale prezzo ha pagato?
"Fermenti e tensioni ideali": tutta la storia del Sud è
stata percorsa dall'azione intellettuale e politica di vivaci minoranze;
e dalla più lunga, silenziosa, radicale rivoluzione della storia
italiana: l'emigrazione. Ma la "solitarietà" dei
movimenti e la loro scarsa propensione ad aggregarsi, insieme con
il sostanziale monadismo della cultura contadina e con l'eccentricità
geografica, hanno finito col precludere nell'immediato ogni sbocco,
ogni soluzione positiva per la comunità. Hanno fatto il resto
la povertà (e la corsa contro il tempo per limitarla), l'abbandono
dell'"altra ltalia" e la criminalità organizzata.
Il Regno delle Due Sicilie era povero (ma le banche centrali di Palermo
e di Napoli, che battevano moneta, erano molto ricche, prima dell'annessione);
rimase povero il Sud che imbracciò il "91 " per salire
sulle tradotte dirette al Carso e al Piave; fu sprofondato nel paleocapitalismo
agrario nel Ventennio; è rimasto mercato di consumo interno
dal secondo dopoguerra. Dal 1861 ad oggi, le scelte politiche e di
politica economica italiane non hanno fatto una piega: Nord locomotiva,
Sud al traino. Nord produttore, Sud consumatore. Nord guida. Sud in
cono d'ombra. (Sapevo benissimo che 21 ministri meridionali non avrebbero
sconvolto il mondo. Volevo solo scompensare le coronarie di chi, facendo
questi incredibili calcoli, aveva perso il sonno!). Il Sud doveva
restar povero, perché almeno una parte dell'Italia doveva restare
agganciata all'Europa. L'incapacità dei meridionali di fare
impresa è una balla venduta da troppo tempo per essere ancora
credibile. Agnelli può giocare un po' con gli "intellettuali
di Magna Grecia", ma, se riflette su, non può non ricordare
che l'Alfa fu creata da un ingegnere napoletano, e che Torino, Varese,
Milano, Bologna sono assediate da piccole e medie imprese messe su
da "terroni".
Ma perché tutto questo non si è riprodotto a Sud? Perché
il territorio era disastrato da millenni, lo abbiamo detto; perché
l'alleanza auspicata da Salvemini e Gramsci vide venir meno proprio
il più saldo supporto, quello operaio, sebbene il Sud avesse
generato i Cafiero e Di Vittorio, lo abbiamo ricordato; perché
ebbe, ed ha, una diffusa criminalità organizzata: e questo
nessuno può negarlo.
Che immensa fortuna hanno avuto definizioni come "Mafia",
"Camorra", "'Ndrangheta"! C'è voluta tutta
la fantasia, tutta la capacità creativa di interi popoli per
inventare questi nomi, e gli aggettivi connessi, partendo dai Beati
Paoli e dalla Bella Società Riformata, e giungendo a Cosa Nostra
o alla Sacra Corona Unita. Ma come definire altre organizzazioni,
non meridionali, che rubano (Valtellina) più che in Irpinia,
evadono e contrabbandano (petrolieri) più che nelle aree di
lavoro nero, rapinano (i miliardi lucrati dalla Sir) a mano disarmata,
ma uccidono lo stesso, più che con la lupara: con la fame,
con la disoccupazione, con l'abbrutimento di intere aree geografiche
del Sud, ingannate con progetti faraonici, persino con gli scheletri
di fabbriche rimaste lì, a testimoniare che in questo nostro
Paese si può fare tutto e il contrario di tutto, quando si
è protetti politicamente, senza trascorrere un solo giorno
non dico nelle patrie galere, ma almeno agli arresti domiciliari?
E il buon Montanelli, facendo il raffronto tra criminalità
del Nord e quella del Sud, per il Nord riusciva a "trovare"
solo Vallanzasca: potenza degli oblii! Chi non può dimenticare,
sono coloro che con mafia, camorra, 'ndrangheta devono fare i conti
tutti i giorni e tutte le notti, tanto vedono innervate queste "Cose
Nostre" nella politica, nell'amministrazione della cosa pubblica,
nella società, nell'economia, e tanto devono pagare "sicurezze
precarie" di beni, di lavoro, della stessa vita. Le hanno lasciate
crescere, queste malepiante, ritenendo forse che una società
disgregata sarebbe stata più stabilmente dominabile, economicamente
colonizzata, politicamente tagliata fuori. Presumendo di non ritrovarsele
mai in casa. E non pensando che forze interne (forze politiche e intellettuali,
giovani, mezzi di comunicazione) e impatti dall'esterno (è
bastata una fragilissima-fortissima Angela Casella da Pavia) avrebbero
segnato il punto di saturazione. E' accaduto, sta accadendo qualcosa
di veramente nuovo, a sud del Garigliano. E c'è chi è
terrorizzato proprio da questo.
Ho parlato molto, in questo periodo, con gli ultimi vecchi che ancora
lavorano la terra, con gli emigrati stagionali e con quelli permanenti,
e soprattutto con i loro figli, quelli con la laurea e il "posto
di comando", al Sud e al Nord. Amplissima la gamma delle reazioni.
Algide ("Dov'erano i leghisti mentre noi salivamo sui maledetti
"treni della speranza"?"); pirandelliane ("Abbiamo
i posti di comando? Così è, se gli pare"); sprezzanti
("E noi, questi qui, dobbiamo portarli in Europa?"); polemiche
("Potevate pensarci tanto tempo fa, razzisti di Bergamo: quando
avete dato il più gran numero di uomini fra i Mille di Garibaldi");
"storico-economiche" ("E che cosa avrebbero fatto,
le industrie del Nord, senza la manovalanza meridionale? E pensavano
che i figli dei manovali sarebbero rimasti anch'essi manovali?");
"istituzionali" ("Se la prendono con la burocrazia
meridionale che applica le leggi, e non con chi ha proposto e approvato
quelle leggi"); futuribili ("La meridionalizzazione della
popolazione italiana è un fatto quasi compiuto; un decennio
fa, i "milanesi puri" e i "torinesi puri" si contarono:
33.000 e 30.000. Restarono sgomenti. Quante tasse pagano oggi quelli
dei "puri" che sono sopravvissuti?. Dove andrebbero, Torino
e Milano, con le loro scarse uova d'oro"?); persino romantiche
("Mi vergogno per loro, che non riescono a vergognarsi").
Una mi ha colpito in particolare: "Ma chi glieli ha dati tanti
quattrini per una campagna elettorale che è scesa fin nel Sud
d'Italia? E non è, per caso, che prendendosela con i terroni
che non fanno più i manovali, vogliono riprendere le leve del
"potere perduto", cioè vivere ancora di rendita,
utilizzando le manovalanze terzo e magari quartomondiste?". Ci
ho riflettuto a lungo. Il discorso non è proprio campato in
aria. Genera, quanto meno, una legittima suspicione.
Eterna domanda: che fare? Attendere che passi la piena? E se, invece
di passare, diventa permanente e distrugge tutto o troppo? E d'altra
parte: è possibile tacere, far finta di niente? Non al Sud,
dove più scendi (ha scritto Zavoli) e più la luce illumina
tutto, nel bene e nel male; dove i problemi siamo abituati a dibatterli,
anche a costo di rimetterci; dove ci diciamo tutto il bene e tutto
il male possibili, come dimostrano civiltà e letteratura millenarie.
Noi ne discutiamo, ci confrontiamo, e anche pericolosamente ci inoltriamo
in mari di volta in volta, e a volte confusi, giacobini e girondini,
vandeani e quarantotteschi: immaginando che le tensioni ideali e i
valori della democrazia possono originare, non solo per il Sud, un'utopia
possibile: quella della fine dell'eterna guerra civile europea, nel
nome di tante patrie che possono diventare una sola patria. Specie
se si parla del Vecchio Continente, questo termine in disuso, patria,
con la garanzia di tutte le identità, con la garanzia di tutte
le libertà, riprende fascino, si fa progetto compiuto in una
terra senza frontiere, senza discriminazioni naturali, fisiche, di
lingua o di pelle. Per questa utopia possibile vale la pena di battersi.
Chi la tradisce, o la distorce, è fuori dalla storia e dal
futuro.
Ecco, per tutto questo, e per altro ancora, me la son presa con l'ideologia
becera delle leghe, lighe e alleanze varie del Nord; con coloro che
alimentano campagne discriminatorie; con gli altri, che cavalcano
l'onda lunga dei conflitti razziali e geografici per proprio tornaconto.
Potrei sommare i "diecimila fessi" che hanno votato, a Sud,
per la Lega Lombarda, facendo scattare i quozienti per l'elezione
di due parlamentari europei di questa lobby: ma io e te sappiamo benissimo
che il voto, in Italia, non è sempre pulito, cosciente, convinto:
è anche comprato, contrattato, estorto, ottenuto per reazione
o per ignoranza.
Ma questo non cambierebbe nulla. Restano, al fondo, due società
del malessere: quella del Mezzogiorno, che stenta a venir fuori dal
fuso orario nel quale la politica unitaria ha sempre voluto tenerlo;
e quella del Nord (e in parte del Centro) che, abbandonate le tensioni
politiche e ideali, ha svenduto da tempo l'antica progettualità,
rifugiandosi nell'opulenza, e spaventandosi poi per il "potere
d'acquisto" (consentimi di chiamarlo così) raggiunto dai
meridionali a Sud e a Nord. E a me pare che - sia pure in ridotte
dimensioni - questo sia un altro esempio di come la storia possa ripetersi
e, nello stesso tempo, non insegnar nulla. Tu ricorderai che l'impero
spagnolo crollò perché, diventato opulento con l'oro
e l'argento del Nuovo Mondo, si avvitò su se stesso, non potendo
spenderlo in beni di consumo (che non esistevano), e non sapendo spenderlo
in investimenti che migliorassero le proprie e le altrui condizioni
di vita e di lavoro.
Qui sta forse la allarmata intuizione (non posso proprio dire intelligenza)
di leghisti, lighisti e unionisti: avere cioè - ma ancora indistintamente
- subodorato che il Sud sta risolvendo in proprio alcuni problemi
che lo hanno afflitto storicamente, facendo barcollare ricchezze,
certezze e alcune tracotanze del Nord.
I "marocco" lavorano, risparmiano, accumulano, investono
sui figli, scalano i gradini sociali, scendono a Sud (nelle terre
del rimorso, se vuoi) e impiantano officine, trasformando interi paesaggi
sociali, diventano ogni giorno, sempre più percettibilmente,
meno mercato soggetto all'esterno. Ci vorranno ancora decenni perché
l'autonomia produttiva possa raggiungere un buon punto d'equilibrio
(o di minore squilibrio). Ma il segnale è lanciato da tempo,
e chi lo ha raccolto non poteva non restare esterrefatto: per fare
i "danè", tra non molto non basterà andare
a vendere dietro l'angolo di casa; sarà necessario rimboccarsi
le maniche e andarsi a trovare mercati esterni e forse anche lontani,
con in più la concorrenza degli esportatori cresciuti a sud
della Linea Gotica.
Erano nella logica delle cose i "tempi lunghi"; ma è
nella logica delle cose anche la fine della sudditanza economica delle
regioni meridionali. E' molto probabile che si dovesse mettere nel
conto anche il tipo di reazione settentrionale a tutto questo, come
punto di saldatura del passaggio. Se così è, come insegna
la saggezza popolare, meglio subito che dopo, nel senso che il male
va affrontato immediatamente, per estirparne le radici. In questo
senso, siamo disposti a vivere questi tempi imbarbariti, convinti
- ce lo ha insegnato l'esperienza - che alla fine sarà sconfitto
il sonno della ragione. Grazie anche all'aiuto che chiediamo a colleghi
sensibili e intelligenti come te.
Aldo Bello
Il ritorno del razzismo
Cronache di
ordinarie guerriglie
Il razzismo antimeridionale
è senso comune per un largo strato di bergamaschi. E' quanto
è emerso dal sondaggio che Bergamo oggi ha svolto fra i suoi
lettori, che hanno compilato e spedito 4.471 questionari, 3.612 dei
quali sono stati ritenuti validi ai fini dell'indagine, la più
approfondita compiuta finora dalla carta stampata sull'argomento.
Alla luce di questi dati, non sorprende l'alta percentuale ottenuta
dalla lega lombarda a Bergamo (14%): un exploit tutt'altro che passeggero.
Le domande erano sette e riguardavano altrettanti argomenti su cui
il razzismo di solito si esprime: la sfera personale, quella scolastico-professionale,
l'ambiente economico-sociale, con quesiti sulla delinquenza, sulla
concorrenza nell'ambito lavorativo, sull'inefficienza della pubblica
amministrazione e sull'apporto dei meridionali all'economia della
città. Su questi argomenti, che sono stati il cavallo di battaglia
della propaganda della "Lombarda", i bergamaschi che hanno
risposto al questionario si sono compattamente schierati contro i
meridionali, con punte fino al 70 per cento.
Leggiamo analiticamente le cifre. Il 62 per cento dei bergamaschi
non accetterebbe un marito o una moglie proveniente dal Sud; il 54
per cento non sceglierebbe mai un medico meridionale; il 67 per cento
non vorrebbe un insegnante terrone. Proprio il fatto che la quasi
totalità dei professori di scuola fossero meridionali aveva
convinto anche le giovani generazioni, in un altro sondaggio condotto
a Gandino, un paese della Val Seriana, a schierarsi "contro".
La maggioranza degli intervistati aveva anche affermato di preferire
i negri ai meridionali, ma dietro queste risposte c'erano solide ragioni
economiche, che tutti si sono ben guardati dal riferire: nella zona
si produce gran parte della mercanzia venduta in tutta Italia dagli
ambulanti di colore, visti per ciò soltanto di buon occhio
come clienti. L'aumento della delinquenza coincide con le ondate migratorie
dal Sud? Hanno risposto sì il 66 per cento, la stessa percentuale
che poi sposa la tesi secondo la quale i terroni rubano case e lavoro
ai bergamaschi. Al sesto quesito la risposta affermativa è
quasi plebiscitaria: 70 per cento; e riguarda le responsabilità
dei meridionali nell'inefficienza della pubblica amministrazione.
Per finire, una domanda rovesciata: è importante l'apporto
dei meridionali all'economia bergamasca? Per il 68 per cento, l'apporto
è nullo! Analizziamo, ora, i dati riguardanti gli intervistati.
Per la maggior parte (2.238) hanno un'età compresa tra i 26
e i 50 anni; i giovani sono 342; gli anziani (tra 51 e 80 anni) un
po' più numerosi. Professioni: 1.555 tra impiegati e casalinghe;
912 operai; 395 dirigenti; 182 pensionati; 74 studenti e 6 disoccupati.
Una quota consistente non ha indicato né età né
professione. I questionari sono stati catalogati anche secondo le
professioni, avendo cura di distinguere tra risposte totalmente anti-meridionali
e risposte "moderate". I più razzisti sono risultati
studenti e disoccupati, seguiti da impiegati e casalinghe; più
dubbiosi i pensionati e i dirigenti. Comunque, non esiste una categoria
d'età o di professione che a Bergamo si schieri dalla parte
dei meridionali. Facciamo l'esempio dei dirigenti, che abbiamo visto
essere i più benevoli verso gli immigrati meridionali: 179
risposte in blocco contro i meridionali, 112 favorevoli: 62 per cento,
contro 38 per cento. I "moderati" sono equamente divisi
tra le sponde opposte: 104 incerti, 52 pro meridionali, 52 contro.
Allarmante il razzismo tra gli studenti: tre contro uno nel sottoscrivere
le tesi contro i meridionali; e persino nel settore "dubbiosi"
hanno la percentuale più alta di antimeridionali: 67 per cento.
Oggettivamente, l'etichetta di razzisti i bergamaschi non l'accettano,
e hanno giudicato provocatorio questo sondaggio, dal quale emerge
che oltre il 60 per cento della popolazione è contro i meridionali.
Eppure, segnali pacchiani di intolleranza razzistica esistono, e lasciano
la gente perplessa: "Come è possibile - ci si chiede in
città - che una provincia che vanta tuttora il primato dell'emigrazione,
del volontariato, dei missionari sparsi per il mondo, possa all'improvviso
alimentare fenomeni di discriminazione?". Si fanno i conti in
casa. Esattamente su 117.831 residenti (dati aggiornati al primo gennaio
'89), il 48,24 per cento è formato da immigrati, e il 25 per
cento circa da persone provenienti dal Sud. Molti i professori, gli
impiegati, i professionisti; moltissimi quelli che fanno carriera.
I più numerosi sono i siciliani (2.800) e i campani (2.250);
per le province, il primato spetta invece ai napoletani, che sono
un migliaio, seguiti da ottocento palermitani e settecento baresi.
Molti si sono organizzati in club e associazioni. Il circolo "Agorà",
sorto appena due anni fa, si è organizzato subito come anti-Lega.
L'analisi che vi si fa è la seguente: la città è
ricca e bellissima, ma non esistono le occasioni per socializzare.
E' da qui che nascono le occasioni di discriminazione, di diffidenza
verso chi non è autoctono doc. Chi proviene da fuori, peggio
ancora se dal Sud, non riceve alcun aiuto per inserirsi. Il bergamasco,
in ultima analisi, è poco propenso ad incontrarsi con la cultura
e con la storia meridionali, è tradizionalmente chiuso a ciò
che è nuovo e diverso. Atteggiamento tipico, questo, di una
cultura contadina dura a morire, anche se i contadini hanno indossato
la tuta blu e sono entrati in fabbrica.
A gettare benzina sul fuoco si industriano anche gli autonomisti piemontesi,
forti di 130 mila preferenze ottenute alle politiche dell'87. Riunitisi
a Santhià, in provincia di Vercelli, gli esponenti di "Piemont"
si sono espressi in piemontese, né più né meno
di come, in veneto, si esprimono quelli della "Liga Veneta"
per sottolineare una diversità che va ben al di là degli
accenti e delle inflessioni idiomatiche. Il fondatore e segretario
del movimento, Roberto Gremmo, consigliere provinciale di Torino e
consigliere regionale valdostano, ha tracciato le linee della propria
strategia politica. Grande interesse dell'assemblea, alla quale hanno
partecipato rappresentanti di altri gruppi autonomisti dell'Arco alpino
e un consigliere provinciale di Pavia appartenente alla "Lombarda".
Sono state proprio le dichiarazioni di quest'ultimo a chiarire gli
scopi (e quindi le strategie, il disegno politico; ma anche il modo
di essere e di pensare) di queste autonomie: "Il nostro obiettivo
è di smantellare lo Stato accentratore dominato dalla componente
etnica meridionale". L'indirizzo e le scelte politiche sono stati
condivisi dagli esponenti di "Piemont".
Il bollettino quotidiano delle guerriglie condotte dalle organizzazioni
autonomiste-razziste contiene già i prodromi di una spirale
di violenza di cui è difficile prevedere le conseguenze. Ma
anche il bollettino quotidiano delle contro-guerriglie condotte dalle
organizzazioni meridionali anti-leghe, che stanno sorgendo per reazione
come i funghi in un limaccioso sottobosco, contengono le premesse
dello stesso tipo: insieme, tutti quanti alimentano il sistema nazionale
votato alla stupidità e all'onanismo politico. Sembra fatto
un retro-salto di trent'anni, quando nelle capitali del "triangolo
industriale" si esponevano cartelli con "Fittasi, esclusi
meridionali"; quando negli annunci economici i cuori solitari
cercavano "anima gemella, purché settentrionale";
quando i giornali del Nord "sparavano" titoli a più
colonne su "siciliano ubriaco accoltella l'amica", e passavano
un titolino in penultima sulle malefatte delle catene di montaggio,
dell'industria chimica, delle speculazioni sul lavoro nero e sottopagato
del Nord. Il che si verifica anche oggi, puntualmente, e forse accadrà
in maggior misura fra non molto, viste le concentrazioni editoriali
in mano a pochi e vista la devastante presenza di industriali-finanzieri
nei mass-media. La spirale di violenza, mossa da spinte emotive, rischia
di far esplodere una santabarbara. Di fronte al maresciallo pestato
a morte nel Veronese, perché terrone, il segretario della Lega
meridionali d'Italia ha pensato bene di indirizzare una lettera al
senatore Bossi, leader della "Lombarda": "... hanno
ucciso un terrone nello spirito di intolleranza dei suoi assurdi insegnamenti
antimeridionali ed ella ha la paternità morale di questo orribile
delitto... Sul libro del nuovo razzismo che ella sta scrivendo con
i suoi camerati, nel capitolo "esecuzioni indotte" può
vergare il primo nome: maresciallo Catalani". Il capogruppo della
"Liga" a Verona, Franco Rocchetta, si era accanitamente
opposto alla presenza, ai funerali, del presidente della regione e
del Gonfalone. In quegli stessi giorni, sempre a Verona, un gruppo
di bancari perugini del Monte dei Paschi in gita veniva apostrofato
da un cameriere: "Ma guarda lì che branco di terroni!...
al di là dell'Adige, per noi veneti purosangue, tutti sono
terroni. E fareste meglio a rimanere a casa vostra ... ". Con
una sottile lezione di fair play, l'uomo venne invitato a un soggiorno
gratuito nel Perugino. E furono così placate anche le ossa
di Shakespeare, in rivolta per la tetra ignoranza del cameriere appartenente
alla Liga Veneta.
Sempre nello stesso torno di tempo, a Vestone, in provincia di Brescia,
monta il putiferio. Sassi contro le caserme del carabinieri, contro-accuse
di razzismo, due interpellanze parlamentari, una contro-inchiesta
condotta da collettivi dell'ultrasinistra. Il fatto: Claudio Ghidini,
diciannovenne, alla fine di giugno era stato ucciso da un carabiniere
a un posto di blocco presso Nave. Carabiniere meridionale, e conseguente
decisione della "Lombarda" di cavalcare la tigre anti-Sud.
Del caso si occupava già la magistratura. I genitori di Ghidini
chiedevano "giustizia, non vendetta", e respingevano le
strumentalizzazioni estremiste, chiedendo rispetto per il proprio
dolore e per l'immagine e la memoria del figlio. Ma della tragedia
si impadronisce l'ineffabile leader della "Lombarda", il
quale scrive al ministro della Difesa e chiede "di sapere se
negli ultimi tempi sia stato ordinato ai carabinieri di tenere un
comportamento particolarmente sanzionatorio e aggressivo nei confronti
della popolazione in Lombardia, e se risultino in qualche modo fondate
le dicerie che il delitto commesso dal carabiniere sia a sfondo razziale".
Un capolavoro di ipocrisia, quel "dicerie". Chi le avrebbe
messe in giro, senatore?
Ancora in quei giorni, la squadra di calcio dell'Udinese vuole acquistare
un giocatore israeliano, Ronnie RosenthaI, uno che fa reti "alla
Elkjaer", dicono per chi se ne intende. Udine è una delle
sedi del mondiali di calcio. Ebbene: presso la sede della società,
gli hooligans imbrattano i muri con scritte razziste: "Ebreo
non ti vogliamo", "Rosenthal go home", "Via gli
ebrei dal Friuli", "Rosenthal vai nel forno". Firma:
HTB, hooligans teddy boys. A scanso di equivoci, una svastica.
Potremmo continuare all'infinito. Emblematico ci sembra quanto è
accaduto a Cremona (dove la Lega ha raggiunto il 10 per cento), ove
il tribunale ha condannato a un milione e mezzo di multa e al risarcimento
di un milione e 600 mila lire il segretario provinciale della "Lombarda",
Giorgio Conca, reo di aver duramente attaccato i segretari comunali
meridionali della zona. "Siccome Roma ha bisogno di servi fidati
e i lombardi per loro natura sono uomini liberi, ecco perché
sono pochissimi i lombardi nelle fila di questa categoria". La
difesa aveva tentato di classificare queste intelligentissime frasi
nella categoria della "normale polemica politica". Il tribunale
le ha giudicate in maniera diversa. La coscienza del veri uomini liberi
le affida alla futura crestomazia del pensiero sub-umano.
E' rissa continua tra padani e subalpini. In Piemonte, che gli autonomisti
considerano "una nazione", ci sono due liste: "Piemont",
capeggiata da Gremmo, e "Piemont autonomia regionale", di
cui è leader un cantautore crollato col mito della rivoluzione,
Gipo Farassino. Contrasti, litigi, ripicche, gelosie, hanno dato luogo
a una sceneggiata grandiosa: Farassino si era alleato, per le europee,
con la "Lombarda". Un mezzo traditore, insomma. Con una
forza elettorale notevole. "Piemont", invece, è più
"introdotta". Oltre a Gremmo, ha nove consiglieri comunali
e sembra un movimento in crescita: 10 voti nel 1980, 38 mila nelle
amministrative dell'85,70 mila alle politiche dell'87 (quando però
dovette dividere la torta al 50 per cento con i "nemici"
di "Piemont autonomia"). Le vallate alpine del Torinese,
il Biellese, la Langa, città come Torino e Cuneo, parte del
Vercellese, sono le roccaforti di "Piemont", che onestamente
non fa mistero del suo antimeridionalismo. Pensiero da consegnare
alla crestomazia di cui sopra: "/ nostri guai sono cominciati
quando Garibaldi è andato a conquistare la Sicilia".
La pensavano così anche i Borboni.
Sono cinque, al momento in cui scriviamo, le "leghe" meridionali,
o "anti-leghe" che si voglia dire, sorte per tutelare immagine
e interessi dei meridionali al Nord. Tre sono nate in Padania, due
nel Sud: a Benevento e a Lecce. Agguerrite, con programmi vari, variamente
orientate nell'azione di conquista di un'immagine della "Terronia"
diversa da quella, certamente distorta, che strumentalmente è
diffusa "oltre-frontiera".
Tanta buona volontà, espressa anche con accenti dialettali;
ma anche tanta virulenza; e tanto folclore. Siamo alla vigilia di
uno spaghetti-western di cui si paria in questo secondo atto dell'inchiesta
sul razzismo? La domanda è legittima: perché il Sud
non ha bisogno di antidoti del genere per riaffermare i valori della
propria cultura e della propria civiltà. E il vero problema,
oltre tutto, è un altro.
Oggi, la crisi di egemonia tocca i punti più alti della società,
e tocca lo Stato. Le tesi di Romiti sul profitto come valore centrale
della società sono il segno cocente di questa crisi. La borghesia
italiana non ha più un Einaudi a Nord e un Croce a Sud. La
stessa Chiesa è in difficoltà a trovare risposte alla
modernizzazione capitalistica, all'edonismo e all'individualismo esasperati.
E, scrive Macaluso, l'egemonia politico-culturale del Pci e più
in generale della sinistra su vasti strati popolari e intermedi è
in crisi non solo per lo smottamento del suo blocco sociale, ma perché
non c'è stata una sua risposta tempestiva e adeguata alla modernizzazione
capitalistica e all'involuzione del socialismo reale.
Dunque, occorre trovare queste risposte, che sono politiche e culturali,
per cancellare le scene invereconde dei razzismi. Leghe e antileghe
servono solo ad alimentare la materia prima delle fabbriche del razzismo
e dei loro astuti o ingenui (ma non per questo meno pericolosi) padroni.
Il licenziamento, al Nord, di un portiere d'albergo reo di essere
napoletano e di religione islamica non è più grave né
meno grave della "defenestrazione" di un etiope a Napoli.
Si può obiettare che la società politica è stata
cieca, sorda e muta di fronte a quanto da troppo tempo si verificava
quasi esclusivamente al Nord; e che si è svegliata solo quando
ha registrato una lavina di voti, e forse solo per questo. Ed è
vero.
Ma è anche vero che il professionismo politico italiano ha
trasgredito (da sempre?) un principio basilare: quello della realtà
e della responsabilità, sempre retoricamente assunto, realisticamente
mai osservato. Allora è da qui che bisogna ricominciare. Se
ancora si è in tempo.
Dal mini dossier
della Lega Meridionali d'Italia
Dal composito
campionario di lettere e di messaggi telefonici pervenuti alla Lega,
ecco stralciate alcune perle. Quella che riportiamo è una lettera
firmata dalle NUOVE SAAT - SQUADRE AZIONE ANTI TERRONE:
"Terroni di merda appestati, ma dove volete andare, che siete
per la maggior parte analfabeti!!! Prima o poi riusciremo a sbattervi
al di sotto del Po, quella grande barriera naturale che il buon Dio
ha voluto erigere per dividerci dalla vostra razza degenere. Purtroppo
non è stato troppo previdente.
Presentatevi pure alle elezioni, Magari otterrete buoni risultati
(intanto non vi sarà difficile, siete peggio dei cincillà
d'allevamento, senza offesa per quelle graziose bestiole), ma rimarrete
sempre la feccia d'Italia. Viva gli austriaci, maledetto sia sempre
Garibaldi, anzi garibaldi, perché non merita di essere scritto
in maiuscolo per le sue scemenze giovanili.
Darvi degli appestati, analfabeti, incivili, zozzi è fiato
sprecato, ormai vi conoscono in ogni parte del mondo e sanno che gente
siete. Ormai siete out, potete vivere solo in Italia, la vostra terra
di conquista. Debellarvi è difficile, siete peggio dei pidocchi.
Visto il vostro alto tasso di riproduzione sarebbe impresa ciclopica.
L'augurio è che qualche malattia mediterranea vi decimi per
sempre. Terroni al rogo! Terroni lebbrosi (con tutto il rispetto per
questi)".
Ecco, invece, alcune telefonate registrate a Milano dalla segreteria
della Lega:
"Sono della Lega Lombarda e tengo o precisare che la vostra Lega
è un controsenso. In Italia ci sono solo i settentrionali e
voi siete una manica di terroni".
"Vi aspetteremo e vi massacreremo tutti, figli di puttana bastardi
meridionali".
"Meridionali, terroni, andate via, fate schifo, non vi lavate,
puzzate, siete delle merde".
"Volete fare il partito, fate pure le assemblee che vi mettiamo
le bombe, bastardi".
"Bisogna sterilizzare tutte le donne terrone, così non
nascono più figli bastardi. Noi razza ariana purissima vi manteniamo.
Chi sostiene l'Italia siamo noi e non certo voi parassiti. Spero che
moriate tutti".
"Bastardi, africani, cagnoni, pagliacci, pezzi di merda, ci avete
rubato i posti di lavoro. Meridionali sporchi e pieni dì zecche".
"O Gesù dagli occhi buoni, fai morire tutti i terroni.
O Gesù dagli occhi belli, fai morire solo quelli. Ti saluto,
o buon Gesù, e fai che non ne nascono più".
"L'unico desiderio che ho è che spariate dalla faccia
della terra. Bisogna uccidervi tutti".
E il nordismo
approda in Europa
C'è da
essere grati a Moretti Luigi, di professione geometra dell'ufficio
tecnico di Renica, un comune del Bergamasco, e, nei ritagli di tempo,
addestratore di cani da difesa, assurto ad un'improvvisa notorietà
per le 53 mila preferenze che lo hanno portato al Parlamento europeo
sotto il simbolo bellicoso della Lega Lombarda. C'è da essergli
grati per la disarmante semplicità con cui professa le sue
idee e ribadisce il programma politico della Lega (e Alleanza Nord)
che è breve, succinto e condensato, come i buoni maestri elementari
dicevano dei compiti in classe degli allievi che, per difetto di doti
naturali, non riuscivano a spiaccicare più di dieci rachitici
righi sull'argomento proposto.
Ma qui la chiarezza non manca. Intervistato, il geometra addestracani,
orgoglioso di non essersi mai occupato di politica, ha dettato il
vangelo in pillole del buon lombardo: "Razzisti noi? Per carità:
contro i negri noi non abbiamo proprio niente. Per noi sono meglio
dei terroni". Il perché di questa graduatoria, non infamante,
ma quanto meno singolare, è presto detto: "Non vengono
qui a comandare in casa nostra". Ma chi comanda in casa del geometra
Moretti Luigi? "Gli insegnanti terroni, che vengono ad imporre
la loro cultura e non ce n'è uno che parli il lombardo o il
bergamasco". E ancora: "I prefetti meridionali, i questori
del Sud, i giudici terroni, i funzionari del fisco e dell'intendenza
di Finanza". "E' ora di finirla - sbotta infine il geometra
chiamato dal plebiscito dei suoi conterranei a contribuire alla costruzione
dell'Europa unita - la Lombardia è dei lombardi e deve essere
guidata e amministrata dai lombardi". E, infine, posando per
una foto con la mano sinistra che impugna la bandiera della Lega tagliata
a mezzo dalla spada sguainata di Alberto da Giussano, concede, in
un impeto di inattesa generosità: "Noi non siamo contro
i meridionali. Siamo contro il meridionalismo".
Una serie di idiozie inanellate con tanta rettilinea stupidità
non meriterebbe la citazione, e lo stesso intervistatore di "Epoca"
ha cura di riferire con distacco ironico i vaneggiamenti dell'erede
presunto di Alberto da Giussano. A noi sembra, però, che questo
addestracani nonché geometra che diventa eurodeputato raccogliendo,
nella sua provincia, il 1,4% dei voti, rappresenti qualcosa di più
di un personaggio folcloristico, di poca tenuta e di evidente labilità.
Egli esprime, in una sintesi grottesca e, per questo, inoffensivo,
una cultura antimeridionale che, soprattutto negli ultimi anni, grande
stampa e grosse lobbies hanno sapientemente e pervicacemente creato.
Una cultura che ha per pilastri i più insulsi luoghi comuni
e le più grossolane mistificazioni storiche, ma che ha permesso
la copertura dei più corposi interessi delle aree forti del
Paese. Si pensi alle migliaia di miliardi letteralmente strappati
al Sud e serviti, alla fine degli anni '70, alla ristrutturazione
e alla riconversione dell'apparato produttivo del Centro-Nord.
E' solo un esempio. Ma questo personaggio esilarante rischia di diventare
simbolo di una realtà ben più seria: quella di chi vuole
un Nord in Europa e un Mezzogiorno lasciato agli afrori e alle mollezze
mediterranei.
Tramonto dell'idea
di nazione?
Tonino Caputo
Si è discusso
molto sull'esito del voto europeo per quel che riguarda la Lega Lombarda,
concordando sul fatto che si è trattato sostanzialmente di
un voto anti-democristiano e anti-missino (cioè di democristiani
e di missini che, con superstiti fette di vecchi liberali, si sono
trasferiti nell'area leghista).E si è stati d'accordo nel considerarlo
non soltanto come una delle manifestazioni nelle quali si frantuma
il voto di protesta: sarebbe semplicistico e riduttivo. Oltre tutto,
appena si voterà (fra pochi mesi) per i consigli comunali,
provinciali e regionali, quel voto, sull'onda del successo, è
destinato a registrare maggiori spazi di consenso. Dunque, devono
preoccupare soprattutto la sua motivazione profonda, il suo significato
xenofobo, razzista in senso lato. A generarlo non è solo il
legittimo orgoglio di appartenenza alla Lombardia, locomotiva d'Italia,
esempio di laboriosità, di efficienza, di inventiva e di capacità
imprenditoriali. E non è solo l'antica polemica che accompagna
il divario mai colmato tra Nord e Sud, retaggio del processo unitario
risorgimentale, compiuto senza le masse popolari, per volontà
di una minoranza; una polemica spesso bonaria, frizzante fra terroni
e polentoni. A generarlo è anche qualcosa di diverso. Assieme
al senso di appartenenza alla comunità con la sua specificità
di cultura, di costumi e di lingua, c'è la volontà della
difesa di interessi meno ideali, meno culturali, più prosaici,
egoistici: l'opulenza della Lombardia, minacciata dal flusso di risorse
destinate al Sud, le disponibilità che vengono fruite dagli
immigrati meridionali, i quali occupano i posti di lavoro, gli appartamenti
dell'edilizia pubblica, gli uffici della burocrazia e della magistratura.
Questo stato d'animo, impasto di nobile attaccamento alle radici e
di egoistica difesa di interessi, spinge all'aggregazione e al tempo
stesso all'isolamento psicologico. Come se si volesse erigere una
sorta di cinta daziaria a difesa dal nemico, che viene individuato
nei meridionali.
La polemica contro il centralismo romano è conseguenziale:
gli si contesta di agevolare i meridionali a meridionalizzare la Lombardia.
E sui meridionali si scaricano tutte le responsabilità che
sono del sistema. Il sistema politico è bloccato? La classe
politica è corrotta? La colpa è dei meridionali che
dominano nella classe politica. La burocrazia non funziona? La giustizia
è in crisi? La colpa è dei meridionali che sono la maggioranza
dei burocrati e dei magistrati. La delinquenza rende insicura la vita
sociale? La colpa è degli immigrati meridionali che si son
portati appresso mafia, 'ndrangheta e camorra.
Al cominciare di un'epoca, nella quale la smaterializzazione dei processi
produttivi ha allentato le tensioni sociali, mentre la facilità
di circolazione e gli squilibri economici e demografici fanno esplodere
virulenti conflitti etnici, la xenofobia della Lega apre prospettive
inquietanti.
Le cause? Diverse e convergenti. Quella immediata è lo sfascio
del sistema, che provoca la protesta, ramificata nei diversi rivali
e nel non-voto. Una protesta di stampo qualunquistico, cioè
senza prospettive perché priva di un disegno alternativo, fondato
sui principi. Ma ci sono a tre cause, mediate, più profonde,
difficili da combattere.
La prima è quella che, con Troeltsch, chiamerei l'"assenza
d'anima" del capitalismo, "con la sua avida computisteria,
la sua mancanza di compassione, la sua tendenza al guadagno per il
solo amore del guadagno, con la sua lotta di concorrenza aspra e brutale,
col suo bisogno agonale di vittoria e la sua letizia di dominio mercantile".
Quando, negli anni del boom, i cafoni del Meridione, espulsi dalla
terra per la crisi agricola, sbarcavano nelle stazioni del Nord con
le valigie legate con lo spago, erano bene accetti perché servivano
nelle catene di montaggio per mantenere i ritmi della produzione.
Ma ora che la recessione, prima, e, poi, i nuovi sistemi produttivi
hanno provocato la diminuzione dei posti di lavoro, non servono più
e vanno mandati a casa. O tenuti fuori dalla porta. Non siamo razzisti,
proclamava il neo-eurodeputato Moretti ad "Epoca". Tanto
vero, diceva, che "noi non abbiamo niente contro i negri, anzi,
per noi sono meglio dei meridionali". E' la logica dell'assenza
d'anima. I negri formano la legione del lavoro nero: poca retribuzione,
niente contributi e niente fastidi con i sindacati. Una legione utilissima,
perché viene impiegata nei lavori più umili e fa aumentare
il profitto. La stessa logica che impero, ad esempio, in California,
lo Stato più ricco della Confederazione americano, che fonda
questo suo primato, come mi spiegavano a Los Angeles, sul lavoro nero
di messicani poveri e disperati.
L'altra causa è l'autonomismo, esploso dopo la fine del secondo
conflitto mondiale per la disillusione della sconfitta e per reazione
al Fascismo che della Patria-Nazione
aveva fatto il suo principio primo. Nascono le regioni-istituzioni
le qual i, se da un lato esasperano la già equivoca connotazione
disegnata dalla Costituzione fino a tentare di trasformarla in quella
di Stati-membri di tipo confederale, dall'altro si organizzano in
centri burocratici di potere, oppressivi dei diritti dei cittadini.
Si approntano disegni di legge con i quali, col pretesto di tutelare
le minoranze linguistiche, si elevano i dialetti a dignità
di lingue locali, ripercorrendo all'inverso il percorso che fece approdare
a Dante. Si sviluppa la cultura delle "piccole patrie etniche"
come riscoperta delle radici e delle tradizioni. Una cultura, questa,
che ha la sua nobile valenza e che - storicamente - è tipica
dell'area di Destra. Ma, se esasperata fino a perdere di vista la
Nazione, diventa equivoca, scivolando (qualcuno ricorda la lezione
di Federico Chabod?) su un piano inclinato che porta fatalmente alle
rivendicazioni autonomistiche, passando attraverso il processo al
Risorgimento e celebrando, in odio ai princìpi dell'89, le
sollevazioni antiunitarie sanfediste, opponendole al frammassone Mazzini,
che ebbe il torto di cacciare il papa e di instaurare la Repubblica
Romana. E questo equivoco ha fatto scrivere recentemente a don Angelo
Macchi che la Lega Lombarda è in sintonia col Fascismo.
Il "che fare" di fronte al fenomeno leghista va studiato,
in modo da dare risposte concrete e coerenti. Occorre riappropriarsi
con forza -poiché si ha il diritto - la protesta, mettendo
in stato di accusa il sistema e i partiti che vi danno motivo; rilanciare
anche sul piano culturale il principio della Nazione (nel senso chabodiano,
appunto), evitando gli equivoci che derivano dalla estremizzazione
dell'esaltazione delle "piccole patrie".
Nel 1985, in un convegno del Censis tenuto a Milano sull'Italia del
2000, qualcuno prefigurò che nella società europea del
futuro gli Stati nazionali diventeranno l'equivalente delle attuali
regioni. E' bene tenerlo presente.
Minoranze etniche
Quattro milioni
di non italiani
Cavour, fatta
l'Italia, voleva "fare gli italiani". Ma chi dice che l'Italia
sia fatta solo di italiani? A parte gli immigrati, legali o clandestini,
quattro milioni di nostri concittadini appartengono alle minoranze
etniche che da secoli esistono all'interno del territorio nazionale:
con splendide tradizioni, spesso difese a caro prezzo; con precise
identità linguistiche (non parlano l'italiano o uno dei suoi
dialetti; o sono semplicemente bilingui); assai ridotte, però,
queste comunità, rispetto ad un passato molto più consistente.
Se si dà un'occhiata alla loro distribuzione territoriale,
si osserva che esse contano parecchio lungo l'Arco Alpino, al confine
con Stati culturalmente omologhi; anche in Sardegna; e, con presenza
puntiforme, nel Sud. Eccole:
- sul versante italiano delle Alpi occidentali troviamo i provenzali:
popolazione autoctona, che è l'appendice cisalpina della gente
della lingua d'Oc (residente in Francia), anche se una rara "colonia"
si trova in provincia di Cosenza, a Guardia Piemontese. Si tratta
di circa ottantamila persone, in calo progressivo a partire dagli
anni Settanta;
- sempre sullo stesso versante, ma più a nord, vivono i franco-provenzali,
che parlano dialetti intermedi tra quelli francesi e quelli provenzali:
anche in questo caso al Sud, in provincia di Foggia, incontriamo tuttora
due isole linguistiche di tale origine nei comuni di Faeto e di Celle
San Vito, Nell'insieme, si arriva a circa 196 mila persone, in fase
di lieve aumento;
- la minoranza di lingua tedesca è, senza dubbio, una delle
più grandi e forse anche la più nota: si tratto di 439
mila persone, in grado di difendersi grazie a un buon tasso di natalità
(negli ultimi 15 anni, 20 mila unità in più). E non
è esatto che gli italiani che parlano tedesco vivono solo nell'Alto
Adige o Sud Tirolo che dir si voglia: ne ritroviamo, infatti, in molte
miniisole linguistiche in tutta l'Italia settentrionale, secondo una
tradizione un tempo assai più cospicua;
- i Iadini sono i discendenti della vasta popolazione autoctona che
un tempo occupava un'area assai più ampia dell'attuale, successivamente
ridotta a nord per il passaggio di popolazioni tedesche, e a sud per
la "conversione" alla lingua italiana di frazioni significative
di quel mondo. Oggi costituiscono la seconda minoranza etnica in Italia,
essendo in generale suddivisi in tre tronconi: uno in Svizzera, nel
Cantone dei Grigioni; e due in Italia, in alcune valli dolomitiche
e nel Friuli storico. Per quel che riguarda i nostri due tronconi,
il primo - quello dolomitico -assomma circa 44 mila cittadini, mentre
il secondo - friulano - è ben più cospicuo, con ben
890 mila unità, ma con due trend diversi, di lieve crescita
dei dolomitici, e di media crescita per i friulani, intervallata da
momenti di calo;
- sempre in Friuli-Venezia Giulia, ma più ad est, ovviamente
al confine con l'Istria, vivono gli sloveni, presenti fin dalla seconda
metà del V secolo dopo Cristo: una minoranza linguistica attorno
a 356 mila individui, in nettissimo calo a partire cogli anni 70;
- altro grande area linguistica, quello dei sardi, connotati da una
plurimillenaria unità culturale, da uno straordinario fierezza
(che si espresse, ad esempio, in lunghe lotte contro l'imperialismo
romano), da un attaccamento alla propria identità che, come
sempre in questi casi, costituisce un patrimonio non solo degli interessati,
ma dell'intera comunità nazionale e continentale. Con circa
un milione e 650 mila unità, i sardi costituiscono di gran
lunga la maggiore delle minoranze etnico-linguistiche nel nostro Paese;
ed è sbagliato considerare quello sardo un semplice dialetto,
trattandosi a tutti gli effetti di una lingua neo-latina esistente
dal X secolo. E si tratta di uno minoranza in crescita.
- le "isole linguistiche", emergenti in contesti - per lo
più meridionali - del tutto diversi, registrano la presenza
degli albanesi, comparsi in Calabria (ma anche in Molise e in Puglia)
alla metà del '400, e da qui diffusi in tutto il Sud e nella
stessa Sicilia. Si calcolano in 106 mila unità, in lievissima
fase di crescita;
- i greci si raccolgono in due "isole" superstiti, in Calabria
(grecanici) e in Puglia (grichi della "Grecìa Salentina").In
lieve crescita, si sono riattivati per il recupero e la difesa della
lingua e delle tradizioni. Sono intorno a 55 mila unità;
- ad Alghero, in Sardegna, sono presenti sin dal XIV secolo 40 mila
catalani, d'ovvia provenienza ispanica. Si tratta di una delle più
piccole, ma anche più dinamiche minoranze etniche, in testa
ad ogni classifica d'incremento naturale negli ultimi decenni.
- infine, i serbo-croati, un tempo numerosi e diffusi, oggi invece
ridotti a tre soli paesi molisani, per un totale di circa 2.500 persone,
in calo, e con evidenti rischi di scomparsa.
Siamo dunque dì fronte ad una ricchezza unica, articolata e
preziosa per l'Italia e per l'Europa; e di fronte a realtà
in via di cambiamento, non solo per quel che attiene alle dimensioni,
ma anche per quel che riguarda le occupazioni prevalenti. Infatti,
all'inizio del decennio scorso le minoranze albanese e serbo-croata
erano dedite soprattutto all'agricoltura; quelle franco-provenzale,
greco, ladino-friulano e provenzale all'industria; le altre (catalana,
ladino-dolomitica, sarda, slovena e tedesca) alle cosiddette "altre
attività" (pubblica amministrazione, commercio, turismo,
ecc.). Oggi, invece, dopo anni di più o meno veloce terziarizzazione,
solo gli albanesi e i serbo-croati persistono nel dedicarsi soprattutto
all'agricoltura, mentre solo i provenzali tengono duro con l'industria;
mentre tutti gli altri sono passati, come gli italiani di lingua italiana,
sotto il dominio dei servizi (pubbIici e privati).
E' un "mondo dei mondi" che merita d'essere meglio conosciuto.
Noi indichiamo, in proposito, due buone letture: Giuseppe Chiassino
e Onofrio Papa. Secondo rapporto sulla situazione demografica italiana,
edito nell'88 dall'Istituto di ricerche sulla popolazione del CNR;
e il libro del Salvi, Le lingue tagliate: storia delle minoranze linguistiche
in Italia, edito da Rizzoli.
Da Nord a Sud
I fantasmi
del razzismo
Luigi Compagnone
Qui, in Piazza
Grande, razzisti non ce ne sono. Né tra gli adulti né,
di conseguenza, tra i bambini. In Italia, di cui Piazza Grande è
soltanto una piccola isola, purtroppo ce ne sono.
Da un'inchiesta svolta recentemente su 17 mila bambini, delle scuole
elementari e delle medie inferiori, risulta che moltissimi sono già
contagiati dal veleno razziale. Odiano gli zingari, i neri, gli immigrati.
Risulta, inoltre, un dato umiliante: anche molti libri di testo non
sono totalmente immuni da un sottile razzismo. Ancora troppo spesso
si cade nello stereotipo, parlando del Terzo Mondo, del primitivo
e dell'arretratezza.
Nelle scuole di Piazza Grande, invece, è il contrario. Ne sia
prova l'adozione, per il prossimo anno scolastico, di un libro, edito
da Mursia, dal titolo: "Razzismo: oltre il colore della pelle".
Ne è autore Ciro Raia, un giovane insegnante di scuole medie,
studioso dei problemi provocati dal razzismo. "In un mondo sempre
più piccolo e alle soglie del Duemila - scrive Raia nella nota
che apre il volume - i conti con quella vergognosa aberrazione chiamata
razzismo sono tutt'altro che chiusi: come la pagliuzza e la trave
evangeliche, ognuno condanna il razzismo altrui e rifiuta di riconoscere
il proprio". E aggiunge che perciò è nato questo
libro: per conoscere i fatti, per discuterne, per riflettere sulle
possibili soluzioni, perché questo significa combattere il
veleno del razzismo con l'antidoto dell'intelligenza e della coscienza
civile.
Raia ha raccolto testimonianze e interventi di scrittori e di giornalisti
di altissimo livello: Camilla Cederna, Giuliano Zincone, Rosellina
Balbi, Sabino Acquaviva, Giorgio Bocca, Alberto Moravia, Guido Ruotolo,
Luigi Pintor, Fabio Mussi, Alberto Cavallari, Enzo Biagi, Eugenio
Manca, ecc. E poi, anche immagini del razzismo in alcune pagine della
letteratura contemporanea: Alvaro e Ungaretti, Anna Frank e Curzio
Malaparte, ecc.
Ognuno degli scritti reca una nota di Raia, un rapido commento. Nell'introduzione
egli scrive: "C'è un "sociale" che non può
continuare a restare fuori dal cancello della scuola. Le notizie abbondano,
spesso sfuggono o sono assunte in modo superficiale; se poi scoppia
un "caso", tutti a parlarne per un po' fino a rincorrere
nuove notizie".
Giusto, c'è un sociale che non può restare fuori dal
cancello della scuola. Invece nella scuola della mia ancora utopica
"Piazza Grande" i libri sul sociale, anzi del sociale, non
rimangono fuori dal cancello. Altrove, invece, vi restano. Soprattutto
se si pensa che anche quest'anno verranno stampati, in tutta Italia,
45 milioni di testi scolastici, un giro di affari di 630 miliardi,
un business da lanciare nelle medie inferiori e superiori, un mercato
che ha, troppo spesso, forme e aspetti camorristici, che sfondano
ogni cancello.
Fuori dal cancello rimangono, per fare un triste esempio, i bambini
della scuola di Villongo, in provincia di Bergamo, cui è vietato,
come racconta Raia, ogni scambio epistolare con i bambini della provincia
di Agrigento, cioè con i "terroni". Ma allora, una
domanda: chi sono i loro insegnanti? Non si sa. Forse sono apparenze,
fantasmi, ma temibili fantasmi, che si tengono costantemente sull'orlo
del non-essere. E uno pensa che non ci sono mai stati, né mai
ci saranno, li abbiamo sognati. Invece, ahimè, ci sono.
Ma proprio perché ci sono, è a loro che vorrei dedicare
questo libro di Raia, queste pagine che sono un documento di altissimo
valore morale e pedagogico.
Opinioni in
breve
Di fronte a episodi
come quello del maresciallo ucciso a Verona, reo di essere "un
terrone", io mi vergogno, mi sento diminuito come uomo, non parliamo
di cristiano. A questo punto sconfiniamo nella barbarie, fuori da
ogni civiltà.
Il benessere emargina sempre, crea il culto del soggettivismo. Mi
pare che sia proprio nella cultura soggettivistica tipica del nostro
tempo che si arriva poi a fenomeni che offendono come uomini, oltre
che come cristiani.
don Riboldi
Ci sono aspetti
e spinte profonde che alimentano dentro il ventre molle e opulento
di un Lombardo-Veneto ricco, grasso, egoista e quasi senza disoccupazione,
gli umori neri di una intolleranza antimeridionale addirittura omicida,
e comunque squallida e volgare. No, non ci può essere comprensione
per coloro che hanno già dimenticato che i loro nonni bergamaschi
o sondriesi o bresciani venivano tenuti fuori, come del resto i cani,
dai ristoranti svizzeri o tedeschi proprio perché italiani,
cioè del sud.
Non si può tacere di fronte a tanto rigurgito irrazionale e
qualunquistico che mimetizza dietro proteste, a volte comprensibili,
un doppio razzismo - verso i meridionali e verso i neri - rischiando
di attivare reazioni uguali e contrarie nel Sud, un po' come ai tempi
di "Via col vento", con una nazione spaccata fra nordisti
e sudisti.
Ma non c'è soltanto una latente spinta neonazista, c'è
anche e soprattutto la difesa egoistica dei propri interessi, del
proprio tornaconto miope, della propria pancia. Finite le spinte solidaristiche
del dopoguerra, esaurito il processo di ricostruzione, finiti i tempi
della coesione, oggi viaggiamo dentro l'opulenza di una società
che fa della difesa del proprio status una vera e propria ideologia.
Paolo Pillitteri
"Insomma
- si domanda Giorgio Bocca - ci sarà pure una ragione culturale
se oggi città come Catania, Gela, Trapani, Agrigento, Reggio
Calabria e gran parte di Palermo e di Napoli sono peggio che quindici
anni fa, invivibili, ingovernabili se non dalla malavita".
La risposta è che c'è una ragione culturale, certamente,
ma non è quella che indica Bocca. La ragione culturale sta
infatti esattamente nelle cause per cui la Lega Lombarda ha avuto
un successo alle elezioni e che non riguardano separatamente i nordici
o i "sudici" (come Gaetano Salvemini chiamava i meridionali
nelle sue famose polemiche contro i Bocca del suo tempo), ma tutti
i cittadini italiani. Questa ragione culturale sta nella crisi di
cui la lega lombarda è una clamorosa manifestazione: crisi
dei valori di solidarietà nazionale e di fiducia nello Stato
italiano. Nessuna persona seria può però condividere
la tesi secondo cui lo Stato sarebbe stato ridotto in queste condizioni
d'impotenza solo da quei cattivi cittadini meridionali, colpevoli
di avere delle funzioni in governi inetti e di avere disarticolato
la pubblica amministrazione: gli stessi che però sarebbero
stati degli ottimi operai durante il miracolo economico nelle fabbriche
di Bergamo, di Milano o di Torino.
Giovanni Russo
L'Italia del Nord
è diversa da quella del Sud, o viceversa, in una misura che,
valutando percentualmente una serie di fenomeni economico-sociali,
viene calcolata intorno al 40 per cento. E' vero, fra le due Coree
il divario è molto più forte, ma là si tratta
di due Stati. Per dieci punti non si può dunque affermare che
il nostro Paese è spezzato esattamente in due. E' inutile dire
chi paga la diversità, e perché: tutto è sotto
gli occhi di tutti. Diremo soltanto che questo stato di cose è
figlio, paradossalmente, di uno Stato di diritto. E che questa iniqua
paternità produce una famiglia, al 40 per cento, di figliastri.
E' la più brutta notizia non solo di oggi. Infatti è
vecchia di una infinità di anni.
Sergio Zavoli
Da qualche anno,
la parte migliore dell'Italia ha smesso di nascondersi dietro la frase:
"Io non sono razzista, ma ... "; ed ha cominciato a chiedersi
se il Bel Paese sia un Paese razzista. Credo che sia sbagliato porsi
la domanda, quando oggi, purtroppo, gran parte dell'Italia è
obbligata, da una legislazione nebulosa e inapplicata, a diventarlo.
La legge che regola l'ingresso e il soggiorno degli stranieri extracomunitari
non ha fatto altro che partorire il mostro deforme della clandestinità:
basti pensare che in Italia gli stranieri sono circa 1.200.000, di
cui solo 100.000 regolari; tutti gli altri, in quanto clandestini,
sono soggetti ad ogni tipo di ricatto e di sfruttamento, diventando
potenziali vittime dell'esplosione dei sentimenti latenti di razzismo
che purtroppo albergano in quasi tutti noi. E il fatto più
serio, direi tragico, è che accanto ai "razzisti per induzione"
si nascondono i razzisti veri, quelli che mirano a far degenerare
la situazione.
Dacia Valent
Mentre nelle piazze
di Parigi, e in piazza Navona a Roma, al canto della Marsigliese si
festeggiava la Fratellanza universale, in qualche angolo del Veneto
di celebrava il razzismo demenziale. Così, a Verona, il capogruppo
della "Liga Veneta" chiedeva al Presidente della giunta
regionale di non portare il Gonfalone ai funerali del maresciallo
Achille Catalani, meridionale, e perché tale assassinato da
due razzisti veneti. Il signor Rocchetta è famoso per i suoi
discorsi in dialetto veneziano: "Io non parlo mai in italiano,
che è la lingua degli stranieri".
E la lingua di noi napoletani, lei, signor Rocchetta, che cosa la
ritiene? la lingua dei "terroni"? lingua disarticolata e
inespressiva? E invece è lingua molto ricca e fantasiosa. Un
esempio: volendo indicare la sua rispettabile persona, noi siamo in
grado di adoperare ben quaranta vocaboli, e anche più. Ascolti
dunque.
Alluccuto, babbasone, babbio, babbione, battilocchio, brasciola, cacchione,
capa 'e mbrello, cetrulo, chiochiaro, cucozza, cucuzziello, ferlocco,
fesso, fogliamolla, gliogliaro, maccarone, mammalucco, mamòzio,
moscammocca, pachioco, papatucco, pappalasagna, papurchio, piscianzogna,
pruvuIone, purpetta, quèquero, saciccione, sarchiapone, scamorza,
sciascilio, sciosciammocca, strucchione, strungulone, tratùfolo,
tòtaro, turzo, zabbadèo, zio 'e nisciuno...
Signor Rocchetta, veda tiri po' che ricchezza di vocaboli, per darle
del cretino. Scelga lei il più consono ai suoi gusti. E alla
sua fisionomia.
Luigi Compagnone
Una zona bianca,
di quelle che un tempo allargavano il cuore e, nel contesto amaro
e pericoloso di una realtà in trasformazione, rassicuravano
i benpensanti. Il Veneto fedele, forse un po' bevuto durante il sabato
e la domenica, ma anche tanto bravo, tanto mite, tanto buono. Una
riserva di fede e di operosità. Una roccaforte dorotea. Poi
vi comparvero i Toni Negri, le Autonomie, i bravi ragazzi che saltavano
per aria mentre preparavano bombe, i grandi mercati della droga, i
giovani per bene che davano fuoco nottetempo ai drogati, aggiungendo
tragedia a tragedia in nome dell'ordine. Finché siamo arrivati
all'odio per i meridionali. Il Veneto non è nuovo a queste
bravate.
Perché avvengono? Perché si ripetono? quali le molle?
I giornali parlano della paura del diverso, del complesso di superioritò-inferiorità
degli indigeni, e via sociologizzando. Pur condannando i gesti infami,
fanno trapelare l'idea che dopo tutto i meridionali sono i meridionali,
cioè gente simpatica e talvolta genialoide ma inaffidabile,
terzo mondo, fautori della mafia e dei sussidi d'invalidità.
Eppure, un tempo i veneti erano chiamati da lombardi e piemontesi
"i terroni del Nord". Le domestiche, oggi filippine e ieri
salvadoregne, giungevano da Padova e Mestre. Operai veneti si affiancavano
ai siciliani e ai napoletani nelle fabbriche di Agnelli bisognose
di braccia.
Adesso, costoro si difendono dai terroni. Fanno le "lighe venete".
Si sentono progrediti. E perché? Perché hanno i soldi.
Verona, Padova, Treviso e via discorrendo hanno raggiunto e talora
superato il livello di danarosità dei nostri benemeriti fratelli
nordisti. Mentre il Sud sta sempre peggio. E allora? Allora non c'è
peggior nemico, per un contadino, di un contadino che ha messo due
soldi sotto il materasso. Ecco: si sentono in gamba, capaci, baciati
dalla fortuna. Sono i nuovi bianchi, e per i bianchi uccidere un negro,
magari fastidioso, è sì un reato, però comprensibile.
Magari i piemontesi e i lombardi li coopteranno nel paradiso dei postmoderni.
Il denaro, non c'è altro che questo. Non ci sono qualità
morali superiori, che anzi, se c'erano, si sono dissolte. I quattrini,
magari ottenuti con sapienti appoggi politici e sapiente rifiuto delle
tasse. Secondo i teologi medioevali, il denaro è lo sterco
del Diavolo. Se così fosse, saremmo davvero un paese sommerso
dalla m... Sembra davvero una sostanza vincente. Al punto che non
riusciamo neppure a fare i bagni nel mare.
Domenica Campana
Trovo molto triste
che a episodi di intolleranza, di razzismo, anche organizzati e grotteschi,
perpetrati da alcuni settori del Nord, da noi si risponda con la costituzione
di leghe di bassissima lega. E' una involuzione di civiltà
penosissima perché, essendo antistoriche, respingono indietro
l'uomo di centinaia di anni-luce. Ma è anche la negazione della
convivialità delle differenze. Sono convinto che la gente del
Sud non abbia bisogno di ricorrere a certe forme di ritorsioni, soprattutto
ora che esportiamo nel mondo - da meridionali - i valori della solidarietà
e dell'accoglienza, di fronte ad un progressivo abbattimento delle
riserve nei confronti del Terzo Mondo. Mi auguro, da cristiano, che
sia solo un episodio e, come tale, da considerarsi come una piccolissima
saturazione di una parte del tessuto sociale. Non possiamo annullare
- con un colpo di spugna e con gratuita indifferenza - il tirocinio
di sofferenza espresso in secoli di emigrazione planetaria.
don Tonino Bello
LETTERE: Il
ritorno del razzismo
Pensieri e
parole dei fratelli d'Italia
Caro direttore,
come bipede e come "homo" più o meno "sapiens",
cerco di raziocinare sui giornalieri comunicati dei tre telegiornali,
dove da anni, con noiosa monotonia, si porta a conoscenza dei teleutenti
italiani dei soliti ammazzamenti tra appartenenti a cosche mafiose,
nel "triangolo del Sud".
Forse sarò inaridito dalle delusioni della vita, rattristato
ormai dalla mancanza di illusioni, ma quando lo speaker televisivo,
giustamente con dire compunto, annuncia la morte a seguito di regolamenti
di conti dei soliti tre pregiudicati, magari in licenza premio dalle
patrie galere, non posso fare a meno di cinicamente commentare: Bene!
Altri tre di meno! Quanti abbonati saranno interessati a simili notizie?
Sbaglierò: ma gli unici gratificati da questi necrologi sono
per primi gli autori degli ammazzamenti di oggi; per secondi, coloro
che ammazzeranno domani gli assassini di ieri.
Roberto Simoni (Viareggio) La Nazione, 7.6.'89
Ho sempre avuto molti pregiudizi riguardo ai meridionali e in modo
particolare Calabresi e Siciliani. Leggo sulla Stampa del 13 giugno
l'articolo della mamma del giovane Cesare Casella rapito da tanto
tempo e ancora non ritornato a casa, della solidarietà degli
abitanti di quelle regioni per alleviare il dolore e dell'aiuto a
ritrovare suo figlio.
Sarebbe veramente una gioia dovermi ricredere e saremmo in tanti a
pensarlo questo: che di canaglie ce ne siano solo dei nuclei. La signora
Angela Casella ha intrapreso una missione che io apprezzo e condivido,
sicuro che avrà la grande ricompensa.
Ammiro la sua decisione e il suo coraggio, le confesso che io, anche
se sono già nonno, farei ugualmente come lei. Per qualsiasi
cosa seria bisogna che ognuno lotti e si faccia sentire, per rimuovere
l'indifferenza delle nostre autorità, che oggi hanno molta
paura di fare rispettare le leggi ai delinquenti, ladri e ogni sorta
di canaglie.
Un nonno di Torino
Si potrebbe dire: era ora. La sollevazione dei sindaci della Locride
dopo l'atto di coraggio (o di denuncia disperata) della madre del
giovane Casella, da due anni in mano ai rapitori, è un segno
che mi fa cambiare idea sui meridionali.
Anche perché non mi sembra che la protesta dei sindaci sia
conseguenza del solo sequestro in questione. Il caso Casella è,
se capisco bene, soltanto la punta di un iceberg che nasconde tutte
le inefficienze dello Stato, quando non sono assenze tout court.
Quei sindaci che si sono dimessi "gettando" la fascia tricolore
hanno voluto far prendere conoscenza a tutti, calabresi e non, della
solitudine e della vulnerabilità in cui al Sud sono costretti
a lavorare e a "rappresentare lo Stato". E' un primo passo,
che, come ripeto, ha fatto cadere alcune remore che nutrivo.
Lettera firmata, Cuneo La Stampa, 25.6.'89
Caro direttore,
sarebbe estremamente facile cogliere i limiti delle tesi della Lega
Lombarda quando rivendica il diritto al popolo lombardo di godere
dei propri successi, ignorando il contributo che a questi successi
hanno fornito intere generazioni di uomini umili che, mossi da una
umana esigenza di sopravvivenza, hanno lasciato i propri affetti e
la propria cultura per cercare, in una terra più felice, quanto
altrove gli veniva negato.
Sono un meridionale che vive a Milano e che desidera capire quali
cause siano alla base di questa durissima posizione assunta da tanti
nostri compatrioti sulla strada di una discriminazione così
feroce e mortificante. Effettivamente l'Italia meridionale pesa sul
bilancio dell'intero Paese, perché cifre immense sono da decenni
introdotte nel flusso circolare del reddito dell'Azienda Sud senza
sortire alcun effetto evidente.
Ma come è potuto accadere che una terra così ricca di
fermenti spirituali e di cultura abbia potuto ridursi a vivere dell'assistenza
e dell'elemosina del Governo di Roma? Ciò non sarebbe mai potuto
accadere se non fosse stato il risultato di un disegno strategico
perseguito con eccezionale chiarezza di idee. I partiti politici,
tutti, nessuno escluso, si sono impossessati nel Sud di qualsiasi
centro di potere e controllano tutto: dall'assunzione di uno spazzino,
alla nomina di un primario, dall'assegnazione di una casa popolare
a quella di un grande appalto pubblico Non solo, ma al fine di mantenere
inalterato il potere sulla città, questa classe politica si
guarda bene dal risolvere i problemi della popolazione, perché
solo un popolo spezzato nella schiena dal peso delle difficoltà
del quotidiano può accettare tristemente di ricorrere al "protettore"
politico, nella speranza che almeno questi possa alleviare le sue
pene.
E' su questo dolore che marciano i "nostri" politici. Un
tempo nel Sud esisteva una classe dominante altoborghese, che a fronte
dei soprusi e delle prepotenze che esercitava, esprimeva comunque
i segni di una educazione pregevole, ricevuta in virtù di una
nascita eletta. I "nobili" di oggi sono una sbiadito figura
di quelli del passato: sono dei galoppini senza patria né pudore
che ricevono da altri un potere che non meritano, e che gestiscono
sul sangue della gente. E quindi, in questa ottica i problemi non
vanno risolti per mantenere la gente in condizioni di inferiorità.
Ma è pur necessario che questa gente sopravviva: ed allora
ecco gli stessi carnefici adoperarsi per ottenere dallo Stato finanziamenti
che saranno utilizzati in opere fantasma. In questa ottica, una strada
da riparare sarò distrutta e ricostruita cinque volte, allo
scopo di far girare cinque volte i soldi assegnati cinque volte dallo
Stato, e assicurare ai privilegiati ed agli assistiti una fonte di
reddito. In questo modo lo sforzo finanziatore dello Stato ha per
unico risultato quello di arricchire i nuovi aguzzini e, nel contempo,
di creare una classe di frustrati e di falliti che ha completamente
perduto la propria dignità di uomini liberi. E i più
dignitosi soffrono in silenzio.
Ecco, l'oggetto della mia precisazione era questo: rendere chiaro
ai miei compatrioti settentrionali in quale direzione deve essere
orientato l'obiettivo della loro rabbia.
Rosario Canepa San Donato Milanese Il Giornale, 25.6. '89
Caro direttore,
fin dall'inizio sono un suo fedelissimo lettore e condivido sempre
le sue idee. Orbene, su un punto non la capisco: la sua avversione
verso la lega lombarda. Non è un partito politico, fatto quindi
di persone più o meno corrotte, ma un movimento che si prefigge
un'autonomia regionale sul tipo di altre già esistenti sul
territorio nazionale. E' un movimento di onesti, di umili, diciamo
famiglia e lavoro, che sono schifati del malgoverno romano. Si prefiggono
un avvenire migliore per tutti coloro che vivono in questa nostra
operosa, sana e magnifica terra; siano essi puri lombardi, o pugliesi,
sardi e via dicendo.
Bando quindi agli anatemi, alle gratuite e false accuse di razzismo,
ed alla solita assurda affermazione che la Lega Lombarda è
un controsenso in un contesto di Europa Unita. Lei ha sempre ignorato,
come quasi tutti gli altri giornali e la televisione di Stato, l'esistenza
di questo movimento. Me ne dica il motivo. E' forse un'utopia il voler
combattere mafia, corruzione, droga, racket, scandali, cattiva amministrazione,
ecc. ecc.? Per questo la Lega combatte e per questo ha e continuerà
ad avere successo. Aggiungo da parte mia che tutte le falsità
scritte ed i silenzi degli organi di stampa hanno enormemente contribuito
a questo strepitoso successo. E nel 1990 ci saranno le elezioni amministrative;
se ne vedranno delle belle in Lombardia, lo posso assicurare. La Lega
lombarda, se ben guidata, potrà allora ottenere un diverso
assetto del governo locale meno ipocrita e corrotto di quello fino
ad oggi avuto. Sarà sempre suo affezionato lettore e scusandomi
per il disturbo arrecatole, con la massima stima la saluto.
Guido Molinelli, Como Il Giornale, 27.6.'89
Caro Molinelli,
se la memoria non mi tradisce credo di poter dire che non ho mai mosso
alla Lega Lombarda le accuse che lei mi attribuisce. Sono contro di
essa per ragioni di principio: e cioè perché vedo in
questi movimenti autonomisti, che non sono soltanto lombardi, un pericolo
di dissoluzione dell'unità nazionale. La quale unità
nazionale - sono d'accordo con lei - funziona malissimo, e si presta
ad ogni sorta di critiche. Ma il disfarla significherebbe rinnegare
il poco di buono che, come italiani, e con un ritardo di alcuni secoli
sugli altri popoli europei, siamo riusciti a fare.
Che lo Stato sia corrotto e inefficiente, e che lo sia perché
dato in appalto a una burocrazia meridionale (questo lei non lo dice,
ma lo pensa, e lo penso anch'io) che vi ha portato tutti i vizi degli
Stati borbonici e papalini, è verissimo. Ma di questi mali
non lo si cura dissolvendo in autonomie regionali che renderebbero
ancora più vistoso il distacco fra un'Italia super e un'Italia
sottosviluppata; lo si cura riducendo le competenze e interferenze
che gli sono state attribuite dalla vorace partitocrazia nonché
dalle ideologie socialiste dello Stato assistenziale, che sono un
po' la malattia, non soltanto italiana, del nostro tempo. Questi sono
i motivi che impediscono a me, che pure mi considero milanese a tutti
gli effetti - e che del resto, come toscano, non avrei nulla da perdere
da un ritorno a una autonomia granducale, che fu una delle più
civili d'Europa - di solidarizzare con la Lega Lombarda. Lei può
rifiutarli, ma non può contestarmi il diritto di difenderli
.Cosa vuoi farci, amico mio? Nonostante tutte le critiche che io muovo
al mio Paese (e i lettori di questo giornale sono buoni testimoni
che non gliene lesino), e nonostante il burrascoso rapporto di amore-odio
che ad esso mi lega, prima ancora che lombardo o toscano, seguito
a sentirmi italiano. Sarà un vizio. Ma non voglio perderlo.
Caro direttore,
da tanti anni assiduo lettore del Suo giornale, mi permetto di chiedere
ospitalità in merito alle ultime elezioni.
Noto che anche voi vedete come un pericolo l'avanzata della lega Lombarda
sul nostro territorio. Ebbene, anch'io sono uno di quelli che votano
per la lega, abito nel quartiere Gratosoglio, dove la popolazione
è formata per l'85 per cento di meridionali. Vedo giornalmente
il comportamento di questa gente, e cioè: prepotenza, arroganza
e non rispetto verso il prossimo.
Se questi giornalisti allarmati vivessero in questi quartieri, forse
si farebbero un'altra opinione.
Non credo di essere razzista. Se dopo vent'anni cerco di ribellarmi
a questo modo di vita incivile, lo faccio per creare un futuro migliore
ai miei figli. Se questo è razzismo, con tutta la forza dei
miei polmoni grido: "W il razzismol". Spero vivamente che
la presente venga pubblicata. Per cortesia non mettete il mio nome
onde evitare rappresaglie.
P. F.
Caro lettore,
ho accolto la Sua richiesta di pubblicare la lettera ma non il Suo
nome. La voglio proteggere da qualche malintenzionato. Non si sa mai.
Mi consenta però di risponderle non solo come direttore del
"Giorno" ma anche come meridionale. Già, perché
lo sono. E mi dispiace di procurarLe forse una delusione.
Le voglio solo dire che di persone maleducate, come temo Lei abbia
avuto la sfortuna di incontrarne nel Suo quartiere, se ne trovano
dappertutto. E appartengono - mi creda - ad ogni regione, ad ogni
paese, ad ogni razza.
Non sto qui a chiederLe una maggiore tolleranza. Sto solo a chiederLe
una maggiore capacità di riflessione.
Lei dice di non essere razzista, anche se è pronto a dichiararsi
trionfalmente tale se proprio La dovessero costringere. Beh, penso
francamente che la Sua sia una forma di razzismo inconsapevole, dettato
probabilmente dalle condizioni difficili in cui si trova a vivere
in un quartiere della estrema periferia di questa pur bellissima Milano:
un quartiere sovraffollato, che aspetta da troppo tempo la soluzione
di tanti problemi. Ma i meridionali che vivono accanto a Lei, e che
sembra Le diano tanto fastidio, sono anch'essi vittime della situazione.
Tra vittime, di solito, si solidarizza. Non le pare? Provi a pensarci
su un attimo. E, visto che ha figli, La prego di mettere benevolmente
nel conto che a qualcuno di loro capiti di innamorarsi di qualche
meridionale, o "terrone". So, possiamo avere anche noi dei
bei figli, magari pure educati.
(f.d.) Milano Il Giorno, 27.6. '89
Sono un'insegnante siciliana che ha avuto la fortuna di non "colonizzare"
il Nord con il suo dialetto e di poter vivere e lavorare nel suo ambiente
e mi sento profondamente offesa in nome di quanti, meno fortunati
di me, hanno dovuto lasciare il Sud in cerca di lavoro. Le dichiarazioni
programmatiche del fondatore della Lega Lombarda mi hanno fatto riflettere
ancora una volta su come l'arroganza e la prevaricazione siano i sentimenti
dominanti di buona parte della nostra società.
Al fondatore della Lega Lombarda voglio ricordare l'episodio di Menenio
Agrippa in nome dei miei conterranei che, senza un titolo di studio,
si sono adottati anche ai lavori più umili per soddisfare l'opulenta
società del Nord. Se poi i miei colleghi hanno trovato un posto
al Nord è segno che c'è ancora posto per la cultura
in una parte del Paese dove l'efficientismo di stampo calvinista rischia
veramente di alienare l'uomo. Forse il fondatore della Lega Lombarda
non ricorda che istituti di credito furono fondati in un passato non
molto lontano per raccogliere le rimesse degli emigrati meridionali
e finanziare l'industria nascente del Nord, che il Meridione ancora
oggi è in testa alla graduatoria nazionale per la raccolta
di risparmi che servono anche a finanziare i grandi consorzi industriali
quasi inesistenti al Sud.
E finisco con un auspicio. Spero che i proseliti della Lega Lombarda
non abbiano mai a lamentarsi di morti per droga, di violenze fatte
o subite, di quanto di negativo nasce dall'animo umano quando, insoddisfatto
dei traguardi raggiunti, comincia a meditare l'autodistruzione.
Anna Calleri (Palazzolo A.) Corriere della Sera, 28.6.'89
Caro direttore,
ho appena finito di leggere sul suo giornale i risultati finali e
i vari commenti relativi alla elezione del Parlamento europeo in Lombardia
e sono rimasta di sasso nel vedere i voti ottenuti dalla Lega lombarda.
Mi hanno fatto vergognare di essere nata in Lombardia. Tutto questo,
forse, perché io prima che lombarda mi sento italiana e l'Italia
è composta da venti regioni, nessuna delle quali è più
italiano doc di un'altra. Mi chiedo anche che significato può
avere, per certe persone, un Parlamento europeo e il volerne fare
parte se prima non hanno in sé una coscienza nazionale e quale
rispetto possano pretendere dagli altri Stati se prima non imparano
a rispettare il proprio Stato e ogni suo membro. Un'ultima cosa. Il
futuro Europarlamentare Luigi Moretti, in un'intervista, dice che
la Lega lombarda dialoga con tutte le persone intelligenti. Io allora
gli rispondo che sono felice e fiera di far parte della folta schiera
degli stupidi che, con lui e la sua Lega, non vogliono dialogare.
Grazie per l'ospitalità nella sua rubrica e tutti i miei più
cari saluti.
Loredana Licini, Palazzolo (BS) Il Giorno, 30.6.'89
Ho letto la sintesi dell'intervista del signor Luigi Maretti della
"Alleanza Lombarda". Condivido pienamente la sua tesi e
la sottoscrivo. E' giunta l'ora di smetterla di incensare i "terroni",
che fatta qualche eccezione sono la parte più deteriore del
popolo italiano.
Siamo stufi di essere vessati e perseguitati da questi individui;
siamo stanchi di sentire e vedere solo meridionali alla televisione,
nei pubblici uffici, ecc., tutta gente questa che ci ammannisce i
suoi sproloqui in siculo-calabro-napoletano. I meridionali tendono
sempre a considerarsi delle eccezioni; per eccezionale che uno sia
di eccezioni ne esistono altre centomila, tante da formare, messe
insieme, una regola.
E finiamola una volta per sempre con il cosiddetto "meridionalismo"
ad oltranza. I governi lo incoraggiano affinché gli amministrati
del Nord non pensino alle cose e cause più gravi che affliggono
la nazione.
Anche certi giornali sono le ripetizioni aggiornate di quelle "Soties",
genere drammatico in vogo nei secoli XIV e XV, nelle quali tutti i
personaggi erano o stupidi (sot) o folli. Luigi XII sovvenzionava
le Soties allo scopo d'imbecillizzare il popolo, ossia per i bisogni
della suo politica. Consiglio agli esumatori del vecchio teatro di
tirarle fuori. La televisione è la sua sede ideale.
In ogni commedia, fra gli sciocchi e i pazzi, i personaggi erano o
cinque o sei.
Oggi alla commedia si è aggiunto il coro. Il coro degli idioti.
Cioè il pubblico che ascolta incline a subire la prevaricazione;
il pubblico guarda e legge, senza avere la forza di reagire ai loro
soprusi.
Concludo con un saluto pieno di ammirazione, alla memoria di Giuliano
e Finocchiaro Aprile, fautori del "separatismo", che, malauguratamente
per noi, non si è avverato.
Lettera firmata Il Secolo XIX, 1.7. '89
Che al Moretti piacciano i negri sono proprio affari suoi tanto più
che i negri sono persone degnissime, ma tutto sta a vedere se vogliono
intendersela con il disponibilissimo Moretti.
Per i meridionali il Moretti è, invece, una espressione tipica
della prepotenza e dell'insulsaggine.
Non vuole i prefetti, i giudici, i funzionari, gli insegnanti meridionali.
E che forse i posti sono stati occupati con poteri mafiosi o non piuttosto
con la capacità e l'intelligenza? Anche un Moretti qualunque
è costretto ad ammettere che i meridionali occupano nella civilissima
Lombardia posti di grande prestigio e responsabilità.
La Lombardia non si identifica certamente con un Moretti che dà
prova lampante di inciviltà ed intolleranza non condivisa sicuramente
dalla stragrande maggioranza dell'operoso popolo lombardo.
Forse questo Moretti è per la Lombardia assai più devastante
della peste di manzoniana memoria.
I desideri insani di una piccola minoranza lombarda, di cui è
leader il Moretti, non ci porteranno mai a trarre la conclusione che
tutti i lombardi abbiano tendenze particolari, perché non è
mai giusto generalizzare.
Ci sono esseri indegni come Moretti, ma, per fortuna, esistono anche
persone educate, intelligenti, che non odiano solo per il gusto di
odiare.
Tutto sommato, sarebbe meglio che Moretti continuasse a masturbarsi
il cervello, lasciando
in pace i negri e i meridionali, che hanno, grazie alla loro cultura
e alla loro impostazione morale, gusti ed esigenze alquanto differenti.
Osvaldo Angileri Cgil - Marsala
Nel nostro Paese esiste ancora una grande contraddizione sociale:
quella meridionale.
Gli innumerevoli sforzi dei meridionalisti -incontratisi in studi,
congressi e convegni perfettamente organizzati - sono serviti a ben
poco, hanno creato invece un'imponente letteratura a riguardo. Se
nel meridione qualche miglioramento c'è stato lo si deve, non
tanto a loro (né tantomeno a precisi programmi politici), quanto
al progresso tecnologico degli ultimi decenni. Un progresso bisognoso
di nuovi mercati ove vendere i prodotti, i quali, acquistati col danaro
degli emigranti, hanno sì migliorato le condizioni di vita
dei cittadini meridionali. Il Sud infatti è stato (e resta)
un eccellente consumatore di tutto quanto prodotto altrove: aranciata,
acqua minerale, latte, vino Doc, formaggi, mobili, mezzi agricoli,
elettrodomestici, giocattoli... tutto. Questo comporta ovviamente
una notevole riduzione di posti-lavoro. Escluso qualche caso marginale,
verosimilmente, gli unici prodotti che il Sud esporta sono la spocchia
degli arroganti e la delinquenza organizzata. Entrambi sintesi di
una società economicamente malata che danno purtroppo una immagine
negativa dell'Italia nel mondo.
Da sempre i meridionali - eccetto i meridionalisti - per "vivere"
hanno preferito emigrare dignitosamente piuttosto che umiliarsi nella
loro terra. I grandi flussi emigratori avutisi poco dopo l'Unità
del 1870 e poco dopo le due guerre mondiali nel 1930 e nel 1960 sono
un dato di fatto innegabile. Le date intendono evidenziare i periodi
trascorsi dal verificarsi dei "tre grandi eventi" all'emigrazione
in massa di intere comunità e paesi.
Paradossalmente inoltre e senza voler sminuire i sacrifici degli altri
connazionali, appare chiaro come i popoli meridionali, utilizzati
in guerra - o in altre necessità - siano stati abbandonati
in tempi di pace. Basti pensare un attimo ai poco noti sacrifici economici
sostenuti per la ricostruzione post-risorgimentale (emblematica l'assurda
tassa sul macinato che ha creato non pochi problemi, inclusi quelli
relativi al brigantaggio), nonché ci milioni di caduti e mutilati
durante le due guerre mondiali.
Duole constatare come vecchi problemi siano ancora attuali. Molti
giovani, oggi, per lavorare emigrano al Nord. Altri restano disoccupati
a vita. Alcuni "fortunati" accettano raccomandazioni in
cambio della loro sudditanza. Questa è la realtà del
Mezzogiorno!
Anche l'illusione di quell'aleatorio sviluppo economico e sociale,
basato su obsoleti ed inquinanti complessi industriali (smantellati
al Nord e piazzati al Sud) sta inevitabilmente svanendo. Sarebbe grave
se, con tale ferraglia, si continuasse a rovinare l'ambiente in modo
inopportuno e dissennato.
Bisognerebbe invertire le tendenze (svegliarsi) e prendere atto che
il Meridione può - e deve - rendersi competitivo solo utilizzando
e valorizzando le potenzialità locali, sia umane che ambientali.
Inutile bendarsi: se in passato la "questione meridionale"
ha giustificato tanti fatti (o misfatti) economici interni, non lo
farò più con l'Europa unita. E' impensabile che i partners
europei discutano tranquillamente della questione meridionale.
Occorre quindi rivedere l'intera strategia politica ed economica per
adeguarla ai tempi nuovi. Non è ammissibile ignorare oltre
- parlandone solamente - il divario Nord-Sud.
Migisca, Potenza
E' impossibile rimanere indifferenti alla provocazione della Lega
Lombarda nei confronti di tutti noi meridionali. E' chiaro che questo
Partito è nato contro di noi, da Roma in giù. E' chiaro
ancora di più che c'è tanto razzismo nelle loro idee
e nei loro progetti, come primo obiettivo, anche se poi cercano di
deviare in discorsi diversi.
Ebbene, non vogliamo uno scontro con questi signori, ma non dobbiamo
e non possiamo rimanere indifferenti a queste offese, per tutto quello
che il popolo meridionale ha dato ed è ancora costretto a dare.
Perché allora si danno da fare a far costruire o a far trasferire
le loro industrie nel nostro Sud? Sicuramente non ci sarebbe più
bisogno della Lega Lombarda. Eppoi, non saremmo capaci anche noi a
costituire un Partito? Sicuramente avremmo più consensi. Riflettiamo
tutti, dal Piemonte alla Sicilia...
Giuseppe Cuscito Segret. S.a.S. Cisl - Bari
Quando Bonvesin della Riva scriveva le sue "Meraviglie di Milano",
di certo non poteva immaginare che un giorno la Lombardia sarebbe
diventata così potente e ricca.
Già: così pretestuosamente e presuntuosamente potente,
direi io. Tanto da veder nascere dal proprio seno un Movimento come
quello della Lega Lombarda, vessillo dell'integrità "nordica",
contro le cosiddette infiltrazioni estranee, ovvero contro il Meridione.
Supremo fallimento dell'Unità d'Italia, questo: dopo guerre
sanguinose, e dopo oltre un secolo dal compimento dell'unificazione
della penisola, siamo ancora in preda ad assurde diatribe tra Nord
e Sud.
E dire che siamo anche alle soglie dell'Europa unita! E' evidente
che Bossi e Co. credono di poter creare una seconda Italia, in quella
già preesistente, recintando i confini delle nordiche terre
(pardon: delle longobarde terre), pur di tenere lontani i poveri "terroni"
che pure hanno ampiamente contribuito alla potenza della Lombardia.
Così, arriveremo all'apartheid, con le conseguenze che tutti
possono immaginare. O forse ci siamo già?! Secondo me siamo
in una situazione tangibilmente venata dal razzismo, e addirittura
le dichiarazioni del senatore Sassi mi fanno pensare al nazismo, alle
idee folli sulla integrità della "razza germanica".
Ancora una volta, può sembrare che intorno alla ben insofferenza
del Nord nei confronti del Meridione sia nato l'ennesimo vespaio,
e che, dopo tutto, la Lega Lombarda non sia che una minoranza. Però,
visto che pur essendo una minoranza è stata parecchio votata,
io comincio seriamente a chiedermi se, una volta fatta l'Italia, non
siano ancora da fare gli italiani. Anche se siamo alle soglie dell'Europa
unita e delle frontiere aperte, di fronte a Bossi e Co. ed al loro
vetusto Carroccio lasciatemi almeno il beneficio del dubbio.
Marilena (una lettrice indignata)
Dice testualmente Luigi Moretti, leader della Lega Lombarda: "Non
siamo razzisti, infatti per noi i negri sono persino meglio dei terroni".
E non mi si venga a dire che un messaggio politico votato dal 15%
dei bergamaschi è un fenomeno isolato.
Il tanto decantato miracolo economico del Nord è anche dovuto
ai milioni di operai (e di cervelli) emigrati per sostenere le proprie
famiglie (e inconsapevolmente l'economia settentrionale); e adesso
la Lega Lombarda vuole che la Lombardia spenda tutto per sé
il proprio reddito: come dire, "finalmente in volo, mollate la
zavorra!". Al Sud ci sono diecimila fessi che hanno votato Lega
Lombarda?
No, ci sono diecimila persone che forse non conoscono la Storia, come
i promotori della Lega Lombarda. E' vero che il Lombardo-Veneto è
stato sempre sede di accelerazioni socio-economiche e la questione
meridionale non è certo nata con l'unificazione italiano; ma
le speranze per un futuro sviluppo autonomo del meridione, in attesa
di una gestione più illuminata, erano tutte lì, intatte,
nel Banco di Napoli, dove i Borboni avevano depositato il proprio
patrimonio. Con l'avvento del Regno questa ingente risorsa finanziaria
fu utilizzata per coprire il debito pubblico, grossolanamente unificato
dalla classe politica filopiemontese di quel tempo. Così il
capitale raggiunto con le imposte raccolte dai Borboni sul secolare
sudore dei contadini meridionali servì da propellente per il
decollo del capitalismo settentrionale e non potè più
essere reinvestito in iniziative produttive sul territorio da cui
era sgorgato. Come mai ora il senatore Bossi e Luigi Moretti se lo
sono dimenticati?
E' compito della "capitale morale" svegliarsi dal sonno
della ragione: altrimenti, se vogliono "separarsi" restituiscano
prima ciò che hanno guadagnato "unendosi", e soltanto
allora potranno tornare a parlare di quel loro federalismo alla "baùscia".
Francesco Cafaro, Bari La Gazzetta del Mezzogiorno, 1.7.'89
Vorrei rispondere a Luigi Moretti, eurodeputato della Lega Lombarda,
intervistato il 25 giugno a pag. 2 del Corriere della Sera. Mi sembra
doveroso far notare che essere "contro i meridionali" implica
necessariamente una forma di razzismo, forse ancora più grave
perché diretto a persone dello stesso Paese. Inoltre l'Italia
del Sud, fin dal momento dell'unione è sempre stata dimenticata
e lasciata nella sua povertà; se fosse facile trovare un lavoro
al Sud, sicuramente non ci sarebbe stata una così forte immigrazione
negli anni 50-60. Mi piacerebbe sapere come avrebbero fatto i capitalisti
del Nord ad arricchirsi senza sfruttare le forze lavorative del meridione.
Siatene quindi grati e smettete di pensare alla salvaguardia di una
cultura lombarda.
Massimo Latronico, Milano
Noto il "livore", mi sembra sia la parola giusta, con cui
il Corriere si scaglia a testa bassa contro la Lega Lombarda. I settentrionali
non hanno niente contro i meridionali, riconoscono anzi che sono più
pronti e più intelligenti di loro poveri fessacchiotti. I settentrionali
vogliono solo che vengano rispettate le loro regole e i loro modi
di vita.
Ormai i funzionari di qualsiasi ente sono quasi tutti meridionali
e la conseguenza è che se si libera un appartamento delle case
popolari viene immediatamente assegnato a un meridionale, se all'ufficio
di collocamento c'è un posto di lavoro lo si assegna a un meridionale.
Giorgio Pedrazzini, Milano
Ho letto l'articolo in secondo pagina pubblicato sul "Corriere",
intitolato "La crociata del "lumbard"".Sono un
siciliano e avrei qualcosa da dire in merito. A mio avviso il signor
Luigi Moretti confonde il reddito procapite di uno regione con la
civiltà, che è ben altra cosa. Centodiciannove anni
di unità e di politica economica a favore del nord, a cominciare
da Cavour in poi, hanno fatto dei lombardi (povere vittime) dei cittadini
fra i più ricchi della nazione, e del meridione "l'altra
Italia", a livello del Terzo Mondo. Finché erano le "braccia"
dei terroni a costruire la loro ricchezza, tutto andava bene. Un secolo
del loro benessere non è sufficiente a colmare millenni di
arretratezza di questi straccioni rifatti (la parola "pellagra"
- per altro molto recente - ricorda niente al geom. Moretti?), rispetto
ai millenni di superiorità culturale e civile della gente mediterranea
che, tra i popoli civili del pianeta, costituisce una ristretta aristocrazia.
La mafia è un fenomeno originariamente di difesa contro malgoverni
e dominazioni esterne, che la politica norditaliana ha indirettamente
alimentato e incoraggiato. Un fenomeno di cui il vero popolo siciliano
è la prima vittima e nel quale nessuno di noi si riconosce.
Augusto Contrafatto, Bologna
Le scrivo a proposito dell'articolo "La crociata dei "lumbard"",
in cui il leader della Lega Lombarda dichiara di non essere razzista.,
Volevo rispondere all'"egregio lumbard" dicendogli che,
visto che non si ritiene razzista, le persone di colore non si chiamano
negri, ma, al limite neri. Perché, se non lo sapesse, la parola
"negro" è spregiativa. Tengo a specificare che i
meridionali sono persone di gran lunga migliori dei polentoni perché
la loro cultura ha come fondamenta un insieme di valori profondi,
e non mafiosi, come dice il leader lumbard. E gli insegnanti, i prefetti,
i giudici, ecc. meridionali vengono al Nord perché, purtroppo,
il Sud offre troppo poco. Non si è mai chiesto perché,
signor "Lombardia love you?". Glielo spiego io: perché
il nostro Governo li accontenta e li ammutolisce con le pensioni e
le feste di paese. Se anziché spendere miliardi per le pensioni,
li spendesse creando strutture e fabbriche, penso che non starebbero
più con le mani in mano! Un altro punto da chiarire: la frase
"noi siamo più civili di loro" è stata il
culmine dell'ignoranza del monsignor lumbard, sì, ignoranza!
Perché lui forse non ricorda che quando i primi meridionali
arrivarono al Nord, i settentrionali vivevano ancora in stalle sporche
e puzzolenti ed erano ignoranti e analfabeti.
Marzia Cardaci, Caronno Pertusella Corriere della Sera, 5.7.'89
Caro direttore, penso sia dovere di ogni democratico riflettere su
un fenomeno inquietante emerso con prepotenza alle elezioni europee:
la Lega Lombarda è senz'altro un voto di protesta, ma con tutti
gli ingredienti di una connotazione di destra.
Andiamo per punti: cosa ne è stato dell'attuazione del decentramento
con la nascita delle regioni? Non dovevano essere i nuovi enti regionali
il punto di coagulo di una politica non separatista, non centralista
ma regionalista come asse portante di un vero "stato delle autonomie"
come previsto dalla Costituzione?
Negli anni '70 si sviluppò un forte dibattito anche in Lombardia
che conteneva in sé le radici di una attuazione vera, razionale
e democratica del decentramento dei poteri e dell'attivazione di una
autentica politica regionalista. Chi si ricorda del grande esperimento
dei Comprensori naufragato sotto i colpi della burocrazia e della
insipienza dei politici, nessuno escluso? Bisognava continuare su
quella strada, correggendone gli errori; ma purtroppo è accaduto
che si è seppellita quella politica e decretata con essa la
morte del regionalismo. Insieme all'acqua sporca si è buttato
anche il bambino. Ora la Regione Lombardia con la benedizione del
pentapartito ha tutte le caratteristiche di un grande ministero burocratico
che produce circolari e statistiche puntualmente disattese ed inutili.
Anche dentro questo vuoto pesca la Lega Lombarda. Occorre rinverdire,
aggiornandolo, quel dibattito regionalista degli anni '70.Ma entriamo
più addentro a questo vuoto dentro il quale germoglia la Lega
Lombarda. Dalle colonne dell'"Eco di Bergamo" il direttore
don Spada tira le orecchie alla dc bergamasca per non aver agitato
a sufficienza il vessillo scudocrociato e' suonato a martello le campane
a raccolta della gente che, lasciata sola nei suoi buoni sentimenti,
si è affidata in gran numero alla Lega Lombarda. Niente paura,
dice Spada, ritorneranno: basta agitare un po' di più la croce.
Ci si vuole rendere conto che richiami siffatti sono il segnale dell'esistenza
di una coppa di piombo clerical-democristiana che impedisce e soffoca
ogni sia pur minimo soffiare di brezza fresca in campo culturale e
politico? Le nuove generazioni non hanno Più punti di riferimento
se non nei valori piccolo-borghesi dell'avere e della massima cilindrata.
Non sono contrario alla ricchezza, ma sono contro la ideologia della
ricchezza. L'ideologia dell'Avere che nasconde una povertà
e un vuoto dell'Essere. Una povertà e un vuoto dell'Essere
che non può essere certamente riempito da richiami fideistici
alla don Spada.
Occorre uno scossone molto forte che scuota alle radici il sonno della
coscienza perbenista e ipocrita del provincialismo chiuso e aberrante.
Dietro quei disvalori non c'è più l'antica saggezza
e laboriosità contadina, ma la arrogante vuotezza dei nuovi
arricchiti, della "buona borghesia benpensante", della ideologia
dell'Avere, insomma.
Dentro questo vuoto dell'Essere nascono i mostri. Ecco allora che
c'è la necessità di trovare un "nemico esterno"
a cui addossare tutti i mali. Come il nazionalsocialismo di Hitler
additò il nemico negli ebrei, dietro il voto alla Lega Lombarda
c'è l'accusa al "meridionale" e a tutto ciò
che esprime diversità come momento ideologico incosciente di
coagulo. Qui vedo chiaramente anche il fallimento delle istituzioni
educative come la scuola, se è vero, come è vero, che
dietro quella ideologia c'è molta ignoranza in fatto di storia
d'Italia recente e passata. E' bene che i dirigenti del Pci e di tutta
la sinistra facciano un profondo esame di coscienza e imbocchino con
coraggio e decisione vie nuove in grado di dare espressione, riunire
e liberare tutte le energie democratiche, aperte, dinamiche e di sinistra
presenti nella società. Solo così si può riempire
quel vuoto dal quale è nata la Lega Lombarda.
Diego Dognini, Romano di Lombardia (BG) L'Unità, 6.7.'89
Ho letto con stupore la lettera della signora Cordaci, che dà
degli ignoranti ai lombardi. Ignoranti siamo di sicuro. Ma un po'
lo è anche lei. Quantomeno ignora che nella vituperata Valseriana
(dove la Lega Lombarda ha ottenuto il 20 per cento dei voti) nel 1881
la media degli analfabeti era del 30 per cento quando la media nazionale
di chi non sapeva leggere né scrivere era del 67,25 per cento.
E in provincia di Bergamo del 42,37 per cento. Oggi in Valseriana
la media di chi non finisce la scuola dell'obbligo è dello
0,6 per cento, la più bassa d'Italia. A Napoli supera il 70
per cento. A Palermo il 72. Signora, invece di perdere tempo a dare
lezioni a chi ne so più di lei, perché, tra un impegno
culturale e l'altro, non s'informa prima di parlare?
Antonio Belloli (Bergamo) Corriere della Sera, 8.7.89
Sul "Corriere" leggo che un'insegnante elementare di Benevento
ha fondato l'Associazione emigrati meridionali per contrastare la
Lega Lombarda. Ad un certo punto, la signora si chiede: "Ma cosa
possiamo farci se (i settentrionali) perdono i concorsi pubblici,
se i posti chiave sono in gran parte occupati da emigranti (meridionali)?".La
risposta è semplice. Data la superiorità intellettuale
e culturale dei meridionali -che denota appunto una sostanziale differenza
etnica-, sarebbe doveroso concedere ciò che gli europei hanno
concesso agli africani, gli inglesi agli indiani, i francesi agli
algerini, i portoghesi agli indigeni del Mozambico e persino gli italiani
alle popolazioni delle regioni autonome: di governarsi da soli nei
loro paesi.
Nino Santambrogio, Inzago, (MI) Corriere della Sera, 10.7.'89
Vorrei rispondere alla lettera della Sig. Marisa della Moglie. Sono
anch'io cittadina italiana, ma lombarda, orfana e disoccupata da ben
quattro anni durante i quali, alla ricerca di un lavoro, ho notato
che la maggior parte del personale assunto presso i pubblici impieghi
del nord Italia (ad es. prefetture, questure, tribunali, uffici iva,
uffici postali, università) è di origine meridionale.
Spesso, infatti, succede che il giovane lombardo, ottenuto un diploma
dopo aver affrontato sacrifici economici e no, venga superato nel
punteggio occorrente alla formazione delle graduatorie da persone
neanche residenti in loco, ma con numerosi familiari a carico, o con
qualifiche preferenziali quali "riservista per invalidità"
(e stenderei un velo pietoso sulle numerose pensioni di -invalidità
così disegualmente distribuite nel nostro Paese).
Mi si potrebbe obiettare che la causa di tutto è il nostro
Governo. Forse è vero, ma la quasi totalità dei nostri
uomini politici non è di origine lombarda.
Maria Zuffado, Pavia Corriere della Sera, 12.7.'89
Caro direttore,
prendo spunto dalla lettera del signor Vincenzo Zangari dell'11 luglio
per esporre, con spirito costruttivo, un altro punto di vista sull'argomento
della condizione del Mezzogiorno. Premetto che, a dispetto del cognome
che porto, sono anch'io parzialmente di origine meridionale.
Mi spieghi dunque il sig. Zangari, per esempio, come mai in Meridione,
dove a sua detta si è ricchi di pietà umana, manca il
sangue, che viene rifornito sia dal Nord Italia sia dall'estero. Chi
scrive ha al proprio attivo 65 donazioni e 37 anni di età.
A riguardo dell'emigrazione faccio notare che la maggioranza degli
emigrati si è bene integrata con le nuove mentalità
trovate, che esse fossero nel Nord Italia o in Belgio, Germania o
Canada. L'unica condizione posta infatti da chi vive l'immigrazione
in modo ricettivo è il rispetto del motto "paese che vai,
usanza che trovi". Ma la vera sorpresa arriva dal fatto che gli
immigrati-integrati sono spesso animati dà un molto severo
giudizio (ai limiti del razzismo) nei confronti dei loro ex conterranei,
motivandolo immancabilmente con un esplicito " ... lascialo dire
a noi che lo conosciamo molto meglio di voi ... ".
Inoltre il signor Zangari decisamente esagera o non ricorda quando
dice che i governi italiani non si sono adoperati per portare il livello
di vita del Sud alla pari con quello del Nord. Dimentica gli stanziamenti
misurabili solo in migliaia di miliardi, le facilitazioni in tutti
i settori, in breve dimentica 40 anni di ininterrotto flusso finanziario
dal Nord al Sud.
Come la metteremmo se le Regioni trattenessero il 90% delle tasse
prodotte per investimenti e ridistribuzione all'interno dei propri
confini geografici?
Massimo Beyerle, Ponzano (SP) Il Giornale, 13.7.'89
Dopo la "Liga veneta" e la "Lega lombarda" eccoti
la "Lega meridionale" di fresco battesimo a Lecce, per contrastare,
alle prime due, il razzismo verso i "terroni".
Espressioni tutte da riprodurre con scrittura corsiva per la natura
stessa di questo carattere tipografico, inteso a sottolineare la ...
sinistra angolazione.
Non ricordo bene di chi sia il detto "Ora che abbiamo fatto l'Italia,
facciamo gl'italiani" di ultracentenaria memoria. C'è
- mi pare - chi lo attribuisce a Garibaldi, chi - invece - a Vittorio
Emanuele Il ed altri ancora al conte Camillo Benso di Cavour. Sta
di fatto che il palleggiamento di questa paternità mi pare
rechi un condensato di difficoltà assai lungimirante, e più
che atavico, ereditario, assai vicino, nel suo realistico significato,
ad attinenze primordiali di pretto marca tribalica.
Che sia così, resta dimostrato dai ricorrenti fattacci che
negli stadi e anche fuori esplodono col sottotitolo di violenza sportiva
ed, in aggiunta, quello d'inconfondibile odio razziale che ha condotto
a morte il compianto nostro corregionale maresciallo Achille Catolani,
ai familiari del quale esprimo commossa la piena solidarietà.
La varie "Lighe" e "Leghe" a questo servono: a
seminar promesse che sono anche inconfondibili incitamenti. Sono università
di odio, di livore, scuole di avversione cui le frange ben ispirate
vengono anche catechizzate e coricate, per poi esplodere nella vergogna
e nel sangue. Alle due "leghe" quelle dell'alt(r)a Italia
propongo come simbolo della loro bandiera l'effige del maresciallo
Achille Catalani, ovverossia il "terrone" la cui morte è
da considerarsi conquista dei loro proponimenti e "credo"
istituzionali.
Ai corregionali leccesi, senza alcuna mia presunzione, consiglierei
di soprassedere nella pur comprensibile e organizzata contrapposizione.
Quelle strade, a mio modesto giudizio, sono sbagliate!
Carlo Albanese, Bari
Nota Giacomo Devoto che il termine "terrone" fu attribuito
in un primo tempo alle regioni meridionali, in quanto le terre di
tali regioni erano dette "matte" o "ballerine"
a causa dei frequenti terremoti che le devastano. Dai vocaboli "terremoto"
e "meridionali", elidendo nel primo la parte "emoto"
e nel secondo la parte "one" si ottiene la parola "terrone":
il terrone, pertanto, è l'uomo che vive in zone pericolosamente
sismiche.
Successivamente i nordici hanno dato un significato spregiativo alla
parola "terrone", intendendo con esso un uomo incivile,
cafone, selvaggio. Ora si dà il caso che i nordici, palesando
una meschina avversione per i meridionali, da una parte li svillaneggiano
con un linguaggio da suburra, e dall'altra li percuotono come se fossero
animali o schiavi: i loro modi, pertanto, sono incivili, cafoneschi
e selvaggi.
Poiché i meridionali trattano ospitalmente e signorilmente
i settentrionali che lavorano nelle nostre regioni o trascorrono le
vacanze nelle nostre bellissime contrade, logicamente si deduce che
i veri terroni sono quei nordici, che, gonfi d'una stupida e malsana
superbia, osano coprirci di villanissimi insulti.
Prof. Cesario Rodi, Bari La Gazzetta del Mezzogiorno, 15.7.'89
La lettura de "Il Sole 24 Ore" è preziosa ed è
una fonte chiara per un'analisi concreta e realistica dei rapporti
e differenze fra Nord e Sud del nostro Paese. In questi ultimi mesi
le pagine del giornale sono molto impegnate per assemblee e bilanci
delle medie e grandi industrie, delle società di servizi, delle
compagnie finanziarie o assicurative che guarda caso hanno tutte sede
al settentrione. Queste pagine sono più eloquenti di tutti
i Censis o rapporti del genere e spiegano con evidenza lo stato del
Sud. Il quadro si completo con l'assoluta padronanza del sistema televisivo
e informativo.
Certo la Lega Lombarda antimeridionalistica non ha tutti i torti se
con sottile cattiveria si continua a identificare il Sud con le tre
grosse "società malavitose" e con connessi fenomeni
di degrado ambientale e sociale. Dobbiamo ancora a una piccola, ma
coraggiosa signora di Pavia "la scoperta di una conosciuta verità":
la carenza assoluta dello Stato nelle tormentate province del Sud.
In questa scoperta si percepisce la voglia del Meridione di uscire
da questa tremenda condizione, da questa povertà politica e
morale.
Il problema meridionale è essenzialmente un grande problema
politico, sarebbe un errore ridurre tutto il disagio del Sud in questa
comoda definizione. Noi meridionali viviamo ogni giorno il dramma
dei disoccupati, specie intellettuali, delle più schifose speculazioni,
della insufficienza politica, della incapacità imprenditoriale
ma in compenso siamo capaci di "inventare" la vita ad ogni
levata del sole, siamo capaci di soffrire e aspettare.
Il popolo meridionale è maturo per le grandi decisioni e siamo
coscienti che non possiamo entrare nella realtà europea del
'93 con il bagaglio soltanto della grande tradizione storica e culturale
e del fascino delle nostre terre, delle nostre coste, del nostro mare.
Per cortesia si smetta di dare corpo e spazio alle varie povere leghe
o a quei movimenti di "untori" che tanto humus trovano nelle
grasse cucine del Nord.
L'Italia entra nel grande mercato europeo come Italia e non come Nord
o Sud: questo è un dato certo. I cittadini del Sud sono maturi
e non vogliono più essere identificati con l'assistenzialismo
o con l'emergenza, rivendicano con forza un ruolo chiaro e determinante
nella vita sociale, politica ed economica del Paese.
Continui "Il Sole 24 Ore" a pubblicare l'inserto sul Mezzogiorno
e a dare il giusto risalto alle iniziative che partono dal Meridione.
Mario Di Santo, Napoli Il Sole 24 Ore, 18.7.'89
Caro direttore,
leggo sul "Giornale" del 15 luglio sul sondaggio effettuato
dal quotidiano "Bergamo Oggi" che a Bergamo il 54% trema
al pensiero di essere operato da un chirurgo meridionale, e che due
bergamaschi su tre sono convinti che sia una "sciagura"
per un ragazzo avere un insegnante terrone. Io non so in quale sentina
culturale e sociale pesca il suddetto quotidiano per sostenere tali
affermazioni. Ma farei un torto ai miei amici del Bergamasco, e sono
tanti, se non difendessi la loro immagine di gente laboriosa, educata
e sensibile così come a me è sempre apparsa nei continui
contatti che con essi ho avuto ed ho.
Mio figlio, chirurgo, esercito a Treviglio. E in tutte le sue attività
e professionali e sociali ha sempre avuto un rapporto bellissimo con
i colleghi, con i paramedici (dei quali dice un gran bene per la professionalità
e per l'umanità), con i degenti, che mai si sono sottratti
al suo bisturi di "terrone". Mia nuora ha insegnato, e spero
possa insegnare nel futuro, nel Bergamasco trovando quei dovuto colore
umano e reciproco rispetto che ci si aspetta in un ambiente così
delicato.
Come mi mortifica, quindi, il risultato di questo discutibile e volgare
sondaggio. Il mio vuole essere un contributo per rinnegare luoghi
comuni e accuse ingiuste.
Ferdinando Risi, Siracusa Il Giornale, 21.7.'89
Dopo il giovane tifoso romanista, rimasto ucciso a Milano solo perché
romano, ecco a Verona un'altra vittima dell'odio razzista. Questo
tanto per citare i due più recenti casi del genere, così
come ci sono stati presentati dagli organi dell'informazione. D'altra
parte, in un Paese ove la classe politica, impotente a fronteggiare
un certo tipo di delinquenza lascia criminalizzare intere regioni
dell'Italia meridionale, non possiamo aspettarci risultati diversi.
Anzi, dovremmo dire che gli episodi - almeno quelli pubblicizzati
- sono per il momento contenuti, anche se, seppure per un solo caso,
non cambia il risultato di un profondo distacco che si sta verificando
nelle coscienze degli italiani.
Ed ancora, in un Paese ove un leader di un partito politico (il socialista
Craxi, per intenderci) non ha nessuna remora a provocare crisi di
governo e lasciare il Paese nel caos gestionale, pur di non recedere
dalla rissa personale con un leader di altro partito (il radicale
Pannella, per non cadere nell'equivoco), non possiamo aspettarci nulla
di diverso. Una recente trasmissione televisiva delle reti di Stato
aveva come slogan "prima la ricostruzione, poi la trasformazione"
del Paese; congratulazioni ai fautori di questa trasformazione (a
mio avviso, con l'avvento dei socialisti), che ha apportato crisi
politiche, economiche, industriali, ecologiche e - quanto di più
preoccupante - di contenuto morale e civile.
Lettera firmata - Il Secolo XIX, 21.7.89
Cara Gazzetta,
"la malavita frena il Sud". Perché? Il Sud è
forse in marcia? Per andare dove?... Sappiate, scordoni, che i figli
del Sud, vendendosi casa e podere, dopo l'Unità d'Italia, e
il depredamento dei piemontesi, si recarono in ogni plaga delle Americhe,
e chi non aveva moneta, andava per via clandestina, nascosto nelle
stive dei vapori, e tanti morivano soffocati dalle esalazioni. Altri
ancora andarono, senza scopo, a morire nelle guerre d'Africa, e in
quella del '15-'18, per frenare l'occupazione della pianura padana
dall'invasione austriaca, senza che la questione li toccasse molto.
Dopo la 2a guerra mondiale, partimmo con la valigia di cartone per
le piaghe d'Europa e per l'alta Italia, spesso a fare gli schiavi
nelle catene di montaggio delle industrie del Nord, mentre adesso
i lombardi vorrebbero mandarci via con un calcio in c ... ! La "malavita"
odierna sviluppatasi nel Sud non è delinquenza comune. Esso
è un rigurgito legittimista, impropriamente rivolto contro
privati cittadini, ma specificatamente essa deve intendersi rivolta
contro la Stato, non tanto per il suo disinteresse nell'ultimo secolo
e mezzo, come dite voi, ma per la spoliazione del Sud, aggredito dal
brigante Garibaldi, per ordine della massoneria capitalista. Esso
voleva un polo a forte incremento industriale, e uno a forte rarefazione,
per essere un mercato per i manufatti del Nord. Ciò si è
compiuto, e non ci sono più rimedi per poterlo risanare.
Il problema del Mezzogiorno non esiste. Esiste il problema del Settentrione.
Se i malavitosi cominciassero a far saltare in aria i tronchi dell'autostrada
del Sole nel Sud, a cui non serve per nulla, di modo che le mercanzie
del Nord non potessero più transitare verso il Mezzogiorno,
i lombardi i loro manufatti se li potrebbero mettere sui coglioni,
e il "lavoro lombardo", esaltato dall'onorevole Moretti,
andrebbe a catafascio. Il Sud starebbe meglio sotto il protettorato
americano, tanto abbiamo le basi americane in Italia, che sotto lo
sfruttamento del Nord. Questi compatrioti del Piemonte e del Lombardo-Veneto
non è che stessero meglio dei sudditi del regno delle Due Sicilie.
Basta leggere le poesie di Ada Negri, basti pensare ai grandi sacrifici
delle mondine nelle risaie! La carestia e la fame, data dal Manzoni
in colpa agli spagnoli, dipendeva dal cattivo andamento stagionale
nella pianura padana, e ciò era un fatto endemico, sia per
cattiva coltivazione, sia per periodiche inondazioni. In tempi precedenti,
le periodiche carestie della padania venivano sollevate dai rifornimenti
di gramaglie, che la Chiesa milanese faceva pervenire dalla Sicilia.
Tante e tante volte la Sicilia sfamò la Lombardia! La storia
è storia, ed anche voi giornalisti ve ne dimenticate! La proposta
d'istituire un Ministero dell'Unità degli italiani è
una buggeratura! Scrivo a voi della Gazzetta del Mezzogiorno, che
vi fregiate di tale attributo; ma credo che non potete dir verbo perché,
di certo, sarete legati a qualche monopolio nordista. Sono anni che
mi batto per la questione meridionale; vi mando qualche esempio recentissimo,
e vi saluto disgustato dall'integralismo giornalistico delle testate
meridionali.
P.S. - Avrete il coraggio di pubblicare questa lettera? Io sono pronto
ad andare in galera.
Giuseppe Feis, Montecatini Terme
Caro Signor Feis,
come vede pubblichiamo la Sua lettera e né lei né noi
andremo in galera. Il problema è che proprio chi si esprime
come lei non fa che portare acqua al mulino dei "nordisti".
L'esempio che lei dà non è da imitare. Quanto a noi,
ed ai nostri "collegamenti" con i monopoli del Nord, è
evidente che lei non legge la Gazzetta. Pazienza.
La Gazzetta del Mezzogiorno, 22.7.'89
Vorrei rispondere al signor anonimo della Lega precisando quanto segue.
Il sottoscritto non ha voluto entrare in polemica con gli amici bergamaschi
e tanto meno con gli amici lombardi, bensì col geometra Moretti,
leader della Lega lombarda e i suoi seguaci che di sicuro non saranno
bergamaschi e neanche italiani. Il signor Moretti con le sue dichiarazioni
non ha fatto altro che alimentare dei conflitti sociali; una prova
è stata il martirio del maresciallo Achille Catalani colpevole
di essere nato a cinquecento Km. di distanza. Se ha paura che il suo
dialetto possa perdere in purezza, vorrei ricordargli che ormai la
purezza l'ha persa da tempo in quanto il suo come il resto dei dialetti
italiani non è altro che il latino con infiltrazioni di altre
lingue straniere. Oppure, se dovesse tenerci tanto al suo dialetto
conservandolo come è attualmente, visto anche che è
stato eletto al parlamento europeo, ha la possibilità di proporre
una legge per instaurare la frontiera tra un paese e l'altro e nelle
città tra un rione e l'altro.
Vorrei fargli notare anche che, secondo il modesto parere dello scrivente,
l'uomo per vivere pacificamente e bene potrebbe fare a meno dei dialetti.
Vorrei far presente inoltre che i meridionali non sono venuti al Nord
per sottomettere la gente, bensì per lavorare onestamente facendo
i lavori più umili e contribuendo allo sviluppo economico del
Settentrione.
Giorgio Tatti Il Secolo XIX, 23.7.'89
E per finire..
Chi scrive è
un cittadino straniero di lingua araba, stabilitosi in Italia per
essere lontano dalle discriminazioni religiose che nel suo Paese sono
all'ordine del giorno. Nel mio paese la popolazione è al 95%
di religione mussulmana, la minoranza della popolazione, di religione
cristiana, viene ovviamente sottoposta a continui e illimitati atti
di violenza. E' risaputo che i credenti dell'Islam non hanno rispetto
della diversità altrui. Il sottoscritto, sfuggito dalla propria
Patria per ritrovare l'armonia e la pace che soltanto una Nazione
democratica può dare ai suoi cittadini, ha scelto l'Italia
quale Paese dove, nonostante i difetti relativi alla gestione della
vita pubblica, esistono garanzie certe e indiscusse di libertà.
Perciò, quando osservo nelle strade, nelle piazze e ovunque
gente di colore (come il sottoscritto!) di confessione mussulmana,
ben conoscendo le intenzioni dei mussulmani, i quali ad ogni costo
vogliono diffondere il messaggio del Profeta, mi chiedo che significato
abbia garantire l'altrui fede religiosa, quando gli stessi islamici
sono intolleranti nei confronti delle altre religioni.
L'intolleranza religiosa è un fatto quotidiano nella vita del
Medio-Oriente. Non intendo, ovviamente, generalizzare, ma, a mio modesto
avviso, non ha più senso permettere in maniera illimitata ed
incondizionato, l'afflusso nel vostro Paese di piccole minoranze che,
col divenire degli anni, diventeranno maggioranze. Per cui, sarebbe
vera e propria cecità culturale il non rendersi conto di quanto
la tolleranza e l'indifferenza delle autorità italiane, nei
confronti di questi nuovi arrivati, si riveleranno un'arma a doppio
taglio.
Alì Ben Ghazali Rashid, Milano La Repubblica, 10.8.'89
E' pervenuta a questa scuola una cartolina postale indirizzata agli
alunni della classe V/D e spedita da un certo Mauro Sanquinetti, Via
Tricesimo 141, Udine. E' incredibile che alle soglie del 2000 possano
esserci ancora residui di barbarie tali da suggerire certe farneticanti
affermazioni di razzismo, di intolleranza e di disprezzo assoluto
per gli altri, espresse nello scritto di cui accludo una copia fotostatica.
Alla barbarie si aggiunge l'aggravante di scrivere a ragazzini.
Ciò che lascia perplessi non sono tanto le affermazioni di
un Sanquinetti, evidentemente ignorante ed esaltato, quanto l'insorgere
di una sclerosi storica in certi movimenti sedicenti regionalistici
che ispirano queste brutali espressioni di esaltazione razzista, che
in recente passato hanno portato alla "disumanizzazione dell'umanità".
Crede il Sanquinetti, se questo è veramente il nome di chi
scrive, di dar lustro alle sue idee ed alla sua terra con quanto ha
scritto? In noi che leggiamo desta solo stupore e forse anche pietà,
perché dà prova di restare storicamente all'età
della pietra o addirittura fuori dal consorzio umano.
Martino Ciraci, Direttore Didattico 1° Circolo Francavilla F.
Gazzetta del Mezzogiorno, 30.6.'89
Ed ecco il testo, senza togliere ed aggiungere nulla, della cartolina
postale spedita da Udine.
"A voi ragazzi. Vi siete lamentati contro la Famiglia Cristiana
perché non aveva messo un articolo del vostro compaesano Padre
Camillo Campanella. Io personalmente un meridionale di meno sarebbe
un delinquente di meno, perché i preti meridionali vanno preti
per sopravvivere, e non per vocazione. Quando leggo dei morti meridionali
sono entusiasto perchè sono in meno di delinquenti. A che giova
rifare il Mezzogiorno e aiutare il terzo mondo (che sono parenti)
che non rendono niente. Da voi è nato lo scippo, la camorra,
la mafia e voi con la vostra omertà non la sconfiggerete mai.
Qui da noi diciamo queste frasi: "Bombardare a tappeto da Roma
in giù". Avete città sporche, corrotte, indisciplinate,
evitate di pagare le tasse ecc. ecc. e siete bugiardi. Basta leggere
"Cronaca Vera" che gli articoli di delitti, fatture, maghi
finti, prostituzione vengono segnati nel sud e se vengono anche nel
nord sono oriundi dal meridione. Il problema del nord e colpa del
sud. Se viene una calamità è meglio che venga al nord,
perchè se viene al sud pretendete tutto dallo Stato, mentre
noi non stiamo con le braccia incrociate, si diamo da fare. A pensare
che nel sud non avete fabbriche di cose elementari come saponi, scope,
scarpe, spazzole ecc. ecc.. Quindi non è colpa che siete poveri
ma è quello di non levarsi dalla povertà. Come può
un'industriale mettere una fabbrica al sud se poi voi fate sequestrare
il figlio del padrone? State nel sud con la vostra ignoranza e con
la vostra sporcizia".
Razzisti &
svastiche
I guerrieri
del nulla
A New York, il
portiere d'albergo avverte: dopo il tramonto, fino alla Tredicesima
Strada siete in pugno agli americani, da qui alla Ventiseiesima siete
in balia delle prostitute, da qui in poi siete nelle mani di Dio.
Non è solo questione di uomini. E' questione di giovani. Anzi,
di bande giovanili, La metropoli americana pullula di formazioni teppistiche:
aggressioni, vandalismi, irruzioni in cose e locali pubblici sono
all'ordine del giorno, anzi della notte. Se la contendono, la notte,
con una gran voglia di violenza. Un fenomeno, comunque, che non è
solo americano. Anche dalle nostre parti non si scherza. Torino è
percorsa, secondo ultime indagini, da circa trecento bande, due o
tremila delinquenti senza bandiera, dai quindici ai vent'anni. Ma,
accanto a loro, tra uno scontro e un'intimidazione, una spedizione
punitiva "in territorio nemico" e un duello con mazze e
coltelli, spuntano sempre più spesso croci uncinate e messaggi
non proprio e non solo vagamente minacciosi: "Razzismo nordista",
"Ariano piemontese", "Nazismo militante"
"Attenzione - avverte Franco Garelli, docente di sociologia -
siamo di fronte a due fenomeni diversi. Non più solo violenza,
ma gruppi che ostentano confuse colorazioni politiche".Nelle
grandi città, da Torino a Milano, a Roma, a Napoli, accanto
ai guerrieri del nulla si stanno schierando altri, ben più
pericolosi, che niente hanno o che fare con la micro-criminalità
di quartiere", I naziskin proliferano. Dominano le aree urbane
centrali, terrorizzano abitanti e turisti, ostentano tracotanza. Dice
Garelli: "Eccoli, i segnali più pericolosi della nuova
violenza. Quella contro le minoranze di qualunque genere. Sono quasi
sempre espresse da giovani del ceto medio e della borghesia, gente
che non ha particolari problemi economici. A volte esprimono la necessità
di avere un nemico e sbocciano nei contesti dove lo sradicamento sociale
è più accentuato. Sono la conseguenza della vita in
una società del benessere, in un clima di profonda differenziazione".
I loro nuovi ideali? I francesi di Le Pen, i republikaner tedesco-federali.
Bocca della
verità
Riserva Indiana
e latitudini meridionali
Si moltiplicano
i segnali di rimozione della questione meridionale sia nella forma
becera e incolta del razzismo delle varie "leghe" sia nella
forma più raffinata dei corifei della concentrazione nelle
regioni del Centro-Nord degli interventi produttivi nei comparti industriali
d'avanguardia. E non basta presentare a Milano, "la capitale
morale ed economica d'Italia", il Rapporto Svimez sull'economia
meridionale per frenare l'offensiva di un nordismo altezzoso e intollerante,
convinto che il Sud e i "terùn", come dicono quelli
che parlano bene, rappresentino la palla di piombo al piede dello
sviluppo del Paese e ritardino all'opulenta Padania l'ingresso a pieno
titolo nell'Europa dei ricchi (su queste linee è Giorgio Bocca,
il quale non ama il Sud, dal momento che considera l'Italia doc conclusa
a Firenze, da Roma in giù, sunt leones: "Opporsi alla
meridionalizzazione dell'Italia alla maniera della Campania, della
Calabria e della Sicilia, appare doveroso e urgente", scrive
Bocca che è uno che ha sempre capito tutto fin dall'inizio.
Il razzismo del Nord non esiste, conclama, e l'antimeridionalismo
è solo la reazione dell'Italia che lavora e che produce, contro
quella assistita, dilapidatrice e mafiosa. Senza eccezioni? Neanche
o parlarne. Il Sud è terra di nessuno, governata dal crimine
organizzato. Ipse dixit: siamo avvertiti in via ultimativa).
La risposta alle tesi speciose di chi, come Bocca, ritiene ormai vecchia
la cultura meridionale passa per un'analisi puntuale e attenta dei
nodi dello sviluppo economico nel nostro Paese negli ultimi dieci
anni e soprattutto nell'analisi del dibattuto problema della reindustrializzazione.
Uno degli aspetti del ritardo socio-culturale e operativo del nostro
sistema economico-produttivo sta nel fatto di avere interpretato il
fenomeno della "terziarizzazione" di sistemi industriali
più avanzati del nostro come fenomeno inarrestabile del declino
del settore manifatturiero, per trarne io conclusione che occorreva
rilanciare il terziario, riducendo l'attenzione e le risorse del settore
manifatturiero. Fra l'altro, si pensava che la crisi dell'industria
a livello nazionale fosse dovuta in larga parte all'essere dominata
da settori in crisi con presenza insufficiente di settori innovativi
(ad esempio, l'elettronica).
Si lanciarono i piani di settore della 675, senza avere ben compreso
il tipo di trasformazione in atto a livello mondiale e nazionale,
e senza una completa valutazione delle potenzialità del nuovo
progresso tecnico. Quando è stato chiaro a tutti che la terziarizzazione
(o meglio, la parte, strategicamente più importante di questo
fenomeno: lo sviluppo dei servizi all'industria, o comunque destinati
alla produzione) non era incompatibile e concorrenziale, ma anzi era
complementare al manifatturiero, allora si avviarono una ristrutturazione
e una riconversione del settore secondario.
In buona sostanza, si può affermare che la perdita di peso
occupazionale dell'industria (la "deindustrializzazione")
ero solo un diverso modo di atteggiarsi del sistema produttivo, e
che in tanti casi occorreva guardare al nuovo aggregato economico
rappresentato dal settore monifatturiero-terziario. Invero, se statisticamente
si possono tener distinti i due settori, dal punto di visto concettuale
e dell'operatore di politica economica la coscienza di questa integrazione
e di questa nuova realtà economica deve essere tenuta ben presente.
In particolare per il Sud, dove il processo di industrializzazione
è lungi dall'aver raggiunto punte massime (e persino accettabili),
può rappresentare un elemento di grosso equivoco il contrasto
industria-servizi e il non tenere nella massima considerazione la
loro complementarità.
E qui casca l'asino delle polemiche dei nordisti d'assalto. La riconversione
e la ristrutturazione industriale realizzate nelle aree del Centro-Nord
sono state possibili grazie a finanziamenti statali per le nuove iniziative
del Mezzogiorno e soprattutto hanno potuto sfruttare gli sbocchi offerti
dal vasto mercato meridionale ridotto ad area di mero consumo: la
riserva indiana del turismo e del terziario (non avanzato, si badi
bene) funzionano anche alle latitudini meridionali.
L'elettore
medio della Lega Lombarda
Milano
Signor direttore,
Lei vede che non esiste il caro, cosa che avrei fatto se da tempo
non mi fossi accorto che il nuovo direttore de Il Giorno, giornale
a me caro da molti anni e che da oggi lascio per un altra testata
da ricercare. Il motivo è semplice ho seguito alcuni suoi scritti
ed ho compreso che è il classico uomo non di capacità
proprie ma l'uomo di pochi scrupoli e di compromessi pur di emergere,
in oltre ho trovato in Lei il vero razzista meridionale, osservi attentamente
l'articolo di oggi in prima pagina, se non è in grado di decifrarlo
attentamente lo sottopongo allo psicologo o ad altri di suo fiducia,
vedrà che glielo confermeranno.
Lei a usato come rivalsa del Suo complesso meridionale una persona
che ha votato Lega Lombarda, ma si fa promotore di non rivelare il
suo nome ecc. ecc. si permette di chiedergli di pazientare e di vedere
con altre angolazioni la realtà negativa in cui è costretto
a vivere nel suo quartiere, gli fa notare che avendo figli si possono
innamorare del terrone.
Le dirò il perché e Lei il razzista, primo perché
usa termini dispreggiativi, fa distinzioni, si vanta di essere meridionale.
Quel signore intendeva, come la intendono tanti cittadini di Milano
e Lei sa bene che di lombardi o di milanesi veri ve ne sono pochi,
dire che al nord vi abitano persone le quali con i propri mezzi e
con grande sacrificio si sono inseriti nella realtà civile,
che sono costretti dalla mancanza di educazione civile a subire prepotenze
da parte di emarginati voluti da loro stessi perché e il loro
unico modo per esistere, solo attraverso il loro comportamento negativo
possono ottenere la sopravvivenza di comodo, visto il cattivo esempio
dei governanti o parlamentari (non tutti) e la difesa di direttori
compiacenti come Lei.
Se vuole la risposta del perché molte persone hanno votato
Lega Lombarda si legga Il Giorno del 11/3/89 di Eraldo Crea ed altri
articoli di giornalisti de IL GIORNO i quali con obbiettività
mettevano in evidenza lo stato sociale dell'Italia, dove aprendo ogni
giornale si sente solo parlare di Mafia Camorra Andracheta, scandali
nel meridione sopprusi ecc. ecc. Lei mi deve chiedere come mai tanta
gente comune ha perso la serenità della vita, per via di questa
continua arroganza ignoranza meridionale che riesce a mettere in ginocchio
sia i meridionali onesti e quindi cittadini italiani a tutti gli effetti
sia i cittadini del nord e del centro onesti pure loro.
Se non crede alla mia lettera riesamini tutti i suoi articoli sulla
Lega Lombarda e noterà che il razzista è Lei. I lombardi
non sono andati a gettare bombe per l'Italia, non hanno minacciato
nessuno, chiedono più attenzione per il civil vivere da parte
di tutti i residenti in Lombardia. Chi ha votato Lega Lombarda è
da una mia analisi tutte persone che non hanno mai chiesto niente
a nessuno si sono fatti da soli e sono stanchi di persone come Lei
che per ottenere un posto usano tutti i mezzi leciti ed illeciti.
IO MI FIRMO e invierò una copia a tutti i giornalisti più
affermati.
GHIGGI PALMIRO Via Amendola 8 - Rho
Mi risponda se vuole! (E se la pubblica)???
Più ancora della lingua italiana, mi sembra che questa lettera
offenda il buon senso. L'ho voluta pubblicare per intero perché
risulti chiara l'identità culturale, sociale e politica dell'elettore
medio della Lega Lombarda. Ripeto: l'elettore medio. Tale infatti
considero l'autore di questa lettera, simile a molte altre che sono
arrivate al giornale, per non parlare delle telefonate, tutte caratterizzate
dalla stessa insofferenza, per non usare parole più amore ma
forse più appropriate.
E' bene che ricordi e riassuma la lettera e la risposta che hanno
tanto irritato Palmiro Ghiggi, sino a indurlo a cercare un altro giornale
da leggere.
La lettera era quella di un uomo che abita in un quartiere sovraffollato
della periferia di Milano, in grande maggioranza popolato da meridionali
"maleducati", "arroganti", "prepotenti"
eccetera. Di questo lettore ho pubblicato soltanto le iniziali (PF.)
per soddisfare la sua richiesta di anonimato: richiesta avanzato per
paura di rappresaglie da parte dei suoi vicini di caso o altri meridionali
malintenzionati.
La risposto da me data a quella lettera - l'una e l'altra sistemate
in prima pagina - si limitava a ricordare che i maleducati e i violenti
appartengono purtroppo a tutte le regioni e razze della terra e non
solo a/ sud d'Italia, dove sembra che abbia avuto la disgrazia di
nascere anch'io. Esortavo P. F. a capire la difficoltà di tutti,
e non solo la sua, di vivere in un quartiere di periferia. Lo invitavo
alla comprensione e alla solidarietà. E lo pregavo, in modo
naturalmente scherzosa, di considerare la possibilità dell'innamoramento
di qualcuno dei suoi figli per qualcuno delle figlie di un meridionale
al quale vorrei che fosse riconosciuto il diritto quanto meno di aspirare
ad avere figli educati e belli, insomma migliori dei genitori che
tanto infastidiscono persone come P.F. e, debbo presumere, Palmiro
Ghiggi,
Se questo risposta si meritasse la reazione che avete letto oggi in
questo pagina lo lascio giudicare a voi lettori: giudicare naturalmente
solo per il contenuto, non per la forma. Di quest'ultima il signor
Palmiro non può essere considerato colpevole. Ognuno scrive
nell'italiano che sa e può, e mostra l'educazione che ha, al
sud come al nord.
Il Giorno, 6.7.'89
L'Esame di coscienza di una lombarda
Morbegno
Caro direttore,
le scrivo perché desidero congratularmi con lei per la risposta
che ha dato al signor P.F. di Milano in merito alla Lega Lombarda
Alleanza Nord. Ci voleva proprio! E soprattutto ha fatto bene a metterla
in prima pagina.
E' da molto tempo che lotto con tutte le mie forze per tentare di
spiegare ai miei corregionali, e soprattutto ai giovanissimi, la gravità
della costituzione di un partito così profondamente razzista.
Vorrei invitare anch'io tutti coloro che votano la Lega a riflettere
seriamente.
Sarei curiosa di sapere che cosa hanno provato questi elettori sentendo
i tedeschi neonazisti dire che non vogliono emigrati stranieri (e
quindi anche italiani) nel loro paese perché temono che venga
inquinata la germanicità. Sono certa che si sono sentiti offesi
e che hanno provato un istintivo senso di rabbia - - Ma chi si credono
di essere? Che cosa hanno gli altri popoli? La lebbra? Non sono che
dei razzisti.
Ebbene, coloro che in Italia votano Lega lombarda sono paragonabili
a questi neonazisti.
E' forse giusto offendere in questo modo i nostri connazionali o,
meglio, il nostro prossimo? Ognuno si faccia un esame di coscienza.
Io, come lombarda, ma sopra ogni cosa come essere umano, mi vergogno
profondamente di questo partito!
Distinti saluti.
Monia Speziale
Dopo aver pubblicato, solo qualche giorno fa, una lettera-campione
di elettori della Lega lombarda polemici o addirittura inviperiti
per la posizione da me assunta di fronte a forte manifestazioni di
intolleranza verso concittadini colpevoli di essere noti nel Meridione
e di avere altre abitudini, o altra educazione, ho sentito l'obbligo
di pubblicare una lettera-campione di tipo opposto. Molti sono infatti
anche i lettori che scrivono e telefonano per esprimere il loro consenso
o una linea che vuol essere semplicemente di tolleranza di civile
solidarietà.
Mi rendo perfettamente conto che i problemi sollevati dal fenomeno
elettorale e sociale della Lega lombarda sono numerosi e complessi.
Non si può esaurire tutto nella pur giusta protesta contro
il razzismo, non importa se occulto o palese, se inconsapevole o consapevole.
Ma bisognerebbe intanto stabilire o ristabilire le condizioni di un
dibattito civile, che non faccia dell'insulto la regola.
Vi è stato chi, in difesa del diritto di insultare, ha scritto
o telefonato invitandomi a considerare il danno che la posizione da
me assunta su questo tema può procurare alla diffusione del
"Giorno". Il lettore, come il cliente in un negozio, dovrebbe
essere trattato sempre con i guanti. Gli si dovrebbe dare ragione
anche quando ha torto.
Non sono tonto ingenuo da ignorare le esigenze, diciamo così,
di mercato che condizionano anche un giornale. Ma non voglio neppure
essere tanto cinico da assecondare anche con il semplice silenzio
le peggiori tentazioni o abitudini. Se lo facessi, rischierei peraltro
di perdere la fiducia e l'attenzione di lettori e lettrici come Monia
Speziale. Ma soprattutto perderei la stima in me stesso e nella mia
professione.
Il Giorno, 8.7.'89
E c'è
chi rinnega le proprie origini
Un qualche merito
alla Lega Lombarda & Leghe Affini va assegnato. Il recente successo
elettorale, del quale i più, a botta calda, hanno detto di
vergognarsi, ha ingenerato una serie di riflessioni su quello che
tutti, a Milano, ritenevano un problema insignificante, inesistente:
la questione meridionale. Una questione lasciata, semmai, metropoli
per metropoli, alla sussiegosa Torino, ma che nella città della
Madonnina veniva liquidate con un'alzata di spalle, al più
con un motto di spirito. Non poteva esserci, un simile problema, perché
i meridionali non esistevano: e non esistevano, semplicemente, perché
non c'erano differenze fra loro e chi a Milano c'era prima di loro.
Ma ci si era dimenticati, nella tranquilla atmosfera pre-europea sopra
descritta, degli intellettuali e dei figli dei meridionali.
I primi, molte volte osservatori per mestiere, vedono ora ciò
che prima delle "europee" sembravano non vedere; i secondi
(intendiamo quelli nati a Milano o qui cresciuti), frutto, insieme,
di una paternità naturale e di una geografica, si mostrano
sempre più decisi a prendere le distanze dalle proprie origini.
A entrambe le categorie, il pretesto di un soprassalto critico lo
fornisce oggi, appunto, la Lega. Quando poi le due condizioni si sommano
in una sola persona, ecco emergere conflitti e confusioni.
Sulle pagine milanesi di un importante quotidiano, lo scrittore Carlo
Castellaneta s'interroga sul dispiacere che Maria Teresa d'Austria
starà provando nella sua tomba a causa della "meridionalizzazione"
di Milano. Si era illusa, la poveretta, di averci lasciato il gusto
dell'incorruttibilità, e invece ci ritroviamo in mezzo alle
bustarelle e all'assenza di sdegno.
Colpa dei meridionali, dice Castellaneta, che ai milanesi avrebbero
trasmesso "il miglior costume borbonico". Il sipario dei
teatri non si apre all'ora fissata? Colpa dei meridionali, inclini
a sopportare i ritardi degli onorevoli. Picciotti e cumparielli, dice
ancora il Nostro, hanno ormai espugnato il centro storico, e sotto
i portici di corso Vittorio Emanuele si sentono più accenti
di Cerignola che della Bovisa, Un forte fatalismo, un certo "piacere"
della rassegnazione, passività, e scetticismo avrebbero conquistato,
insomma, i figli (non proprio renitenti) di Maria Teresa.
Ma il Nostro è anche figlio di un meridionale (un pugliese),
e così, a un certo punto della sua osservazione, egli ricorda
il padre nell'atteggiamento di vergogna per le proprie vocali chiuse
e delle doppie, mentre "si illudeva di passar per longobardo".
Tentava di parlare come nella famiglia della moglie, quel padre, perché
il valore da raggiungere era la "miIanesità".
Ora, è soprattutto un problema dei figli di quei padri, par
di capire, il disagio di vedere meridionali ancora in giro per Milano.
E sempre più numerosi, fra l'altro. Devono provare, questi
figli, la stessa vergogna una volta provata per le vocali chiuse.
E oggi che si parla d'Europa, convinti come sono che in ogni teatro
milanese vada ogni sera un onorevole, essi sembrano voler dire che
tutti devono nascondere il proprio italiano, visto che Milano, sotto
sotto, è il Meridione geografico del Vecchio Continente.
Sette domande
facili facili
"Terùn
... terùn ... mafia". Oppure: "Magliette con le cinture
di sicurezza disegnate? che matti ...". Furbi o delinquenti.
Schiodare il luogo comune sui meridionali, anche se li si ha come
vicini di casa, stimati compagni di lavoro ed amici affettuosi, resta
un'impresa.
Sarebbe meglio riderne, la risata, ha detto qualcuno che odiava la
violenza, è rivoluzionaria. Ma nelle bellissime valli bergamasche,
dove una volta Renzo e Lucia filavano, quell'accolita di borghesi
piccoli piccoli che è la Lega lombarda predica ,che Don Rodrigo
è "meridionale". E i Renzo e le Lucie di oggi, tutti
casa, telaio e personal-computer, hanno riempito i questionari di
"Bergamo-Oggi", il giornale che ha deciso di non tacere
un problema che si va facendo sempre più drammatico. E non
importa se per sviscerare la loro antipatia contro i "terùn",
come indica la Lega Lombarda, hanno risposto di non volere un meridionale
come medico, anche se lo è il loro medico di famiglia, una
persona che li cura da anni, li ha visti crescere, e alla quale magari
sono affezionati.
Importante, come diceva qualcun altro, è l'idea. la stessa
che li ha portati ad essere contrari agli insegnanti che vengono dal
Sud, quando sanno benissimo che, se non ci fossero, le scuole bergamasche
dovrebbero chiudere per mancanza di personale docente. E in questa
commedia dell'assurdo hanno risposto affermativamente anche alla domanda
del questionario che chiede "se i meridionali rubano lavoro ai
bergamaschi". E questo, in una provincia dove le statistiche
parlano di piena occupazione, e dove ai concorsi, che se si tenessero
al Sud farebbero affollare di concorrenti gli stadi, praticamente
non si presenta nessuno. Scontata la risposta sul matrimonio con un
o con una meridionale: "moglie (o marito) e buoi dei paesi tuoi".
Il ritorno
del razzismo
L'Occidente
e la resistenza delle culture locali
La scomparsa delle
lucciole - avvertì Pier Paolo Pasolini in un famoso articolo
sulla mutazione culturale nel nostro Paese - è il segnale poetico
e crudo, profetico e realistico, di due abbinati e concatenati processi
innescati dall'emergere del boom economico dei primi Anni Sessanta:
l'inquinamento dell'aria, dell'acqua dei fiumi e delle rogge trasparenti
e l'invadenza dell'industrializzazione. La scomparsa fulminea e folgorante
delle lucciole appartiene alla svolta culturale del nostro Paese:
da una parte, il distacco patologico dell'uomo dalla natura; dall'altra,
il crollo e l'alterazione dei "valori" (valori in senso
antropologico, senza valenze di positività o di eticità)
storici del coacervo di culture agricole e paleoindustriali che il
vecchio Stato nazionale aveva cercato di fondere e di modernizzare,
falsificandoli.
Il processo storico dell'omologazione culturale avvertito dal poeta
antropologo Pasolini ha due fasi. La prima segna il passaggio dai
"valori" genuini e reali di un'Italia frastagliata nelle
idee, nei costumi, nelle tradizioni di una cultura arcaicamente agricola
(chiesa, patria, famiglia, disciplina, ordine) agli stessi valori
nazionalizzati e falsificati nel Ventennio come conformismo di Stato
e poi trasferiti nell'immediato dopoguerra, per la stessa vischiosità
culturale e per l'utilità politica, nella nuova democrazia.
Nella seconda fase, quei "valori" nazionalizzati e falsificati
cadono di colpo. Dall'arcaicità pluralistica, attraverso il
conformismo unificato da un'ideologia totalizzante, si approda al
livellamento industriale che costituisce la grande mutazione epocale
nella quale siamo coinvolti. Questa seconda fase stravolge l'originario
rapporto città-campagna e la prevalente vocazione agricola
del Paese, utilizzata dai centri urbani nella costruzione della loro
egemonia, è schiacciata dalle forze politiche e burocratiche
trainanti una industrializzazione selvaggia, rozza, livellatrice di
identità storiche. La standardizzazione dei costumi e, quindi,
di gusti, valori, comportamenti, sollecita nuovi conformismi sostenuti
da una pubblicità che induce concezioni di benessere, dignità,
socialità di segno diverso dalle tradizioni e dai costumi delle
antiche comunità sia rurali sia urbane.
Questi nuovi conformismi - va messo in rilievo se da una parte sono
il prodotto di un progresso tecnologico coniugato al profitto incurante
delle conseguenze perverse delle sue applicazioni, dall'altra si incontrano
con il bisogno di un miglioramento della qualità della vita,
dettato dalla percezione del diritto di ognuno alla fruizione di quei
beni, mezzi e servizi, che aprono alla quotidianità spazi di
libertà e di godimento illusoriamente eguali per tutti.
I processi di omologazione culturale nel nostro Paese meriterebbero
un discorso più approfondito. L'averli appena accennati ci
consente, tuttavia, di aprire una finestra sui fenomeni analoghi -
in parte verificatisi, in parte auspicati, in parte temuti e frenati
- che riguardano la comunità globale cui apparteniamo.
Da un lato percepiamo, constatiamo la tendenziale occidentalizzazione
del mondo. I modelli culturali dell'Europa - trasmessi all'America
e qui elaborati sotto le spinte delle avanguardie tecnologiche e riesportati,
"nuovi", nel Vecchio Continente - si insinuano e si espandono,
a raggio, nelle culture "altre", incidendone la specificità.
Singapore, la salgariana Malesia, Hong Kong, sono - per fare pochi
esempi - oasi occidentali punteggiate di folclore orientale a beneficio
dei turisti. I safari artificiali del Kenya sono tours bene organizzati
che stuzzicano la curiosità del passeggero per l'esotico e
il selvaggio, senza intaccare minimamente le esigenze e il gusto del
suo benessere occidentale. Le isole dei lontani oceani sfruttano il
sogno idilliaco dei privilegiati per un mondo pulito e incolto, non
deturpato dalle aberrazioni della nostra "civiltà",
offrendo villaggi turistici bene attrezzati, con tocchi esotici, per
soddisfare le abitudini degli utenti alle proprie comodità
occidentali.
L'omologazione culturale del mondo secondo modelli e schemi occidentalizzanti
ha avuto e ha le sue leve e le sue incentivazioni nei sistemi economici
del profitto e nel diffuso, pur se dislivellato, benessere che dal
profitto deriva; nei processi invadenti dell'industrializzazione;
nelle risposte possibili date ai bisogni fondamentali dell'uomo; nelle
stesse istanze umane di creatività e fantasia che - indipendentemente
dai risultati - pone l'individuo in perenne ricerca e attesa del meglio
per sé.
Dall'altro lato, le resistenze culturali locali messe a rischio dall'invadenza
dei modelli occidentali; la difesa ad oltranza delle proprie specifiche
identità, delle proprie tradizioni, della propria religione
portata fino ad un esasperato fanatismo ideologico; la consistenza
demografica e la compattezza fideistica del mondo islamico; il fenomeno
immigratorio dai Paesi del sottosviluppo a quelli del sovrasviluppo
con il travaso nelle culture occidentali di culture e identità
"altre", lascia in sospeso il problema di quale assetto
assumerà la mutazione antropologica prossima ventura del nostro
piccolo mondo.
L'Europa, ancora una volta, avrà la sua parola: certo non ultima,
certo non definitiva, ma importante. E questa parola non dovrà
essere né etnocentrica né culturicantrica, né
- per dirla in tutta semplicità - venata di presunzione, di
insofferenza, o di ostilità razzista. E neppure di paura: la
paura di
perdere un predominio intellettuale antico, le cui perverse radici
si abbarbicavano all'ideologia complessa del colonialismo.
L'antropologo austriaco Iraeneus Eibl Eibesfeldt sintomatizza questo
sotteso senso di paura quando prevede il boom demografico delle popolazioni
extraeuropee. Egli pensa al problema dell'emigrazione turca in Germania
e considera, con i turchi, gli arabi come le etnie rampanti della
sponda sud del Mediterraneo. Osserva che le culture europee sono diverse
ma correlate: se un francese si stabilisce in Germania o un tedesco
in Italia, entrambi nel giro di due generazioni restano completamente
assimilati. Ma i turchi hanno una religione, abitudini, modelli culturali
diversi. Non possono integrarsi con gli europei, pena l'abbandono
della loro cultura o l'instaurarsi di una forte competizione. Situazioni
del genere, secondo Eibl, oggi si verificano già. Lo stravolgimento
è inevitabile quando le etnie in competizione posseggono tassi
di crescita diversi: le donne turche generano in media 3,5 figli,
contro l'1,3 delle tedesche.
Ad Eibl si può obiettare che ritenere le assimilazioni o meglio
le compatibilità culturali possibili solo se in partenza le
culture sono abbastanza omogenee, e pensare in termini di quantità
demografica il dominio di un gruppo su un altro, sono teorizzazioni
che non tengono conto della storia: si pensi alla multietnicità
degli Stati Uniti e all'apartheid sudafricana dove la minoranza bianca
domina la maggioranza negra.
Il problema degli appiattimenti o delle prevalenze e prevaricazioni
culturali va superato da un progetto di convivenza multietnica nel
rispetto delle radici e dei patrimoni tradizionali dei differenti
gruppi umani. Giocare la difesa dell'uomo sul colore della pelle o
sulle incompatibilità culturali è compiere un salto
indietro nella storia, degradare l'umanità a specie priva di
"cultura" al cui interno ogni gruppo sia incapace di vivere
la propria identità nel rispetto di quella altrui e attraverso
la intercomunicabilità di esperienze e storie diverse.
Il leghismo
del Sud
"Popol mio
... " dice Alberto da Giussano. E il "popol" si indovina,
dietro il Carroccio che svetta come simbolo della lega lombarda; anzi,
persino come simbolo dell'Alleanza Nord (il cui cartello è
rappresentato anche dai simboli delle altre associazioni razziste,
ma più piccoli: come i somari legati dietro il carretto, appunto).
Alla vigilia del 1993, primo gennaio, giorno uno dell'Europa senza
frontiere, il fronte razziale chiama a raccolta ricchi e opulenti
lombardi, scorbutici piemontesi, parsimoniosi liguri, e anche i cattolicissimi
veneti del misticismo confessionale: roba da far invidia a Pietro
l'Eremita! Per molti, un'inconfessata speranza: che la geografia politica
faccia il miracolo della separazione, dividendo finalmente i settentrionali
buoni dai meridionali cattivi. Mai il pensiero politico italiano distillò
un progetto più geniale. Sussultano le ossa di Cattaneo. Quelle
di Mazzini cambiano residenza. Garibaldi è tetro. Cavour lo
rincuora: s'è fatta l'Italia, stanno per farsi gli italiani,
all'ombra del Carroccio. Verdi rimette mano al "Nabucco"
e cancella il coro. Riccardo Muti è in cassa integrazione,
(peggio per lui, pugliese d'accatto). Giulini va a remengo (non è
pugliese anche lui?). Terroni, la vostra speranza è il muezzin.
Scrollate pure le vostre palme, noi scampaneremo i nostri abeti.
Invece, no. Testardi come muli, i terroni piazzano presidii. Uno di
essi, la Lega Meridionali d'Italia, sede centrale a Solaro: "La
nostra è una filosofia di contenimento, ma in particolare di
chiarimento. Troppe accuse contro i meridionali partono da informazioni
sbagliate, da preconcetti di antica data. Nonostante il grande sviluppo
dei mezzi di comunicazione di massa, il Sud è ancora tanto
lontano dal Nord d'Italia, e non solo in termini economici. Quelli
del Nord dicono di mantenerci. Ebbene, sui tavoli dei burocrati sono
fermi 6.250 progetti presentati da imprenditori meridionali nel quadro
dell'incentivazione industriale prevista dalla legge 64. Ad essi nessuno
ha dato risposta. Queste cose è utile farle sapere a Milano
e altrove". Chi parla è Francesco Miglino, 48 anni, salernitano
d'origine, editore di riviste tecnico-scientifiche, nel "pensatoio"
della Lega al numero 33 della milanese via Torelli Viollier.
Se s'ode a destra uno squillo di tromba, a sinistra risponde uno squillo:
quello della signora Ornella Mariani, 42 anni, insegnante elementare.
Installata nel cuore di Benevento, al numero 8 di vico Noce, la signora
Mariani ha fondato l'Aiem, Associazione italiana emigrati meridionali.
Primo atto rilevante: una denuncia contro gli europarlamentari della
Lega Lombarda, Luigi Moretti e Umberto Bossi, che sarebbero incorsi
nei reati di vilipendio della Costituzione italiana "per la parte
asserente il simbolo del partito" e di associazione atta a sovvertire
le istituzioni "per quanto riguarda i contenuti politici".
Accuse pesanti, ma "comprovate dal materiale elettorale e dalle
dichiarazioni rese ai mass media, rispetto alle quali risulta, grave
danno e offesa all'onore di tutti i cittadini italiani in generale,
e meridionali in particolare". Precisa l'insegnante: "La
Costituzione parla chiaro, nell'articolo 3 si afferma che l'Italia
deve essere una e indivisibile. Il Viminale ha sbagliato ad accettare
un simbolo che raffigura Alberto da Giussano con la spada puntata
verso il Mezzogiorno. Cos'è, una minaccia? Sappiano, quelli
della lega, che ci vuole ben altro per farci paura". Chiaro?
E non è finita. Masaniello si è trasferito al Nord.
A Garbagnate, 25 mila abitanti che fanno il pendolo per e da Milano.
Ignazio Insisa, 55 anni, origini siciliane, taxista full time, è
ideologo e fondatore della Stella del Sud, partito del riscatto meridionalista:
capitale, 12 milioni e una macchina da scrivere, più una fotocopiatrice
con la quale tira 12 mila copie di "Vento del Sud", giornale
del partito. Gli dà una mano Antonio Pippo Cifarelli, 76 anni,
matematico e medico, ex partigiano azionista, "terrone di Bari",
una vita di libelli e di polemiche con i Padri della Resistenza alle
spalle, grande ammiratore di Di Vittorio.
Insieme, elencano: "In Italia ci sono un partito sudtirolese,
uno valdostano, la lega piemontese e quella veneta, oltre alla famigerata
Lombarda. Insomma: cinque formazioni razziste, di fronte alle quali
ci siamo noi, abbandonati dal Sud e accettati con molte riserve dal
Nord. E non intendiamo solo inserimento sociale e lavoro: chi si piega,
bene o male si inserisce. L'ostracismo nei nostri confronti è
più sottile, morale e psicologico, colpisce chi non sta al
proprio posto di meridionale addomesticato. Ma noi non vogliamo essere
degli Zio Tom. Sa che per trovare un notaio che autenticasse il nostro
statuto abbiamo impiegato un anno? Ora è fatta, e l'abbiamo
depositato alla caserma dei carabinieri". Può iscriversi
al partito chiunque sia terrone (accettati anche umbri e marchigiani);
e chi sia nato a Nord, ma abbia almeno un genitore meridionale. La
riscossa etnica ha le sue esigenze.