§ Le logiche del sottosviluppo

Per il Sud emergenza perenne




Giuseppe Galasso



Cambia di molto il problema ancor oggi posto dal Mezzogiorno se, invece che di una questione di sottosviluppo, se ne fa - come ha proposto la massima autorità in materia, ossia Pasquale Saraceno - una questione di parziale o insufficiente industrializzazione?
Sì e no. Sì, perché in tal caso si ritiene che il Mezzogiorno abbia, comunque, varcato, anche in campo industriale, la soglia del decollo per lo sviluppo, e si tratta solo, più o meno, di insistere nella terapia quarantennale a cui lo si è finora sottoposto. No, se si pensa che, malgrado tutto, il divario dei redditi e di altri indici statistici fondamentali per giudicare condizioni e livelli di vita non si è attenuato di molto rispetto a quarant'anni fa; che il forte miglioramento osservabile nel Mezzogiorno sembra il frutto assai più di una elevazione della soglia generale media del Paese che non di un particolare sviluppo del Mezzogiorno stesso; e che lo sviluppo industriale è stato fin dall'inizio il più problematico in queste regioni. In realtà, poi, il problema non è solo economico-statistico. E' storico: che cosa si deve pensare di una politica straordinaria che dura quarant'anni ed è ancora lontana dal suo scopo ultimo? E fino a qual punto la si può ancora ritenere straordinaria? Fino a qual punto effettivamente lo è stata e, per ragioni e in modi da precisare, non ha sostituito in gran parte la politica ordinaria, invece che sommarsi ad essa?
E' tecnico-economico. Da tempo il motore principale della politica per il Sud è visto come un problema di reperimento di risorse. A parte la questione del carattere aggiuntivo e sostitutivo delle risorse reperite e spese rispetto a quelle disponibili in via ordinaria, sta di fatto che poi si constata come le risorse da sole siano ben lontane dal bastare, mentre le tecniche di allocazione (destinazioni settoriali e specifiche, incentivi, procedure, etc ... ) si rivelano fonti inesauribili di delusioni, di sprechi, di lungaggini deleterie e di inefficienze, ma anche di appetiti deteriori, che giungono fino a quelli della malavita organizzata.
E' politico e sociale. Lo sviluppo del Sud ha due aspetti. Il primo è il raggiungimento di redditi, di condizioni e di livelli di vita vicini o pari a quelli dell'altra Italia; e ne abbiamo già accennato. Il secondo è la formazione di una classe economica che sia davvero l'articolazione meridionale omogenea ed equivalente della classe economica moderna a cui si deve lo sviluppo generale del Paese; e questo secondo obiettivo è ancor più lontano del primo, perché senza Partecipazioni Statali e senza presenze allogene la consistenza anche del parziale sviluppo industriale constatabile nel Sud scemerebbe di molto. Inoltre, la classe politica ha trovato nella politica straordinaria il suo castello feudale sia nel rapporto con la sua base sociale e territoriale che in quello con i centri nazionali di potere politico ed economico; la capacità di spesa delle grandi risorse disponibili si rivela nelle istituzioni competenti sempre inferiore, per quantità e qualità, allo stretto necessario, sommandosi alle già note insufficienze tecniche; nell'ambiente sociale si è diffusa la persuasione di potere e di dovere contare su un cospicuo "premio per disagiata residenza" in ogni iniziativa economica e in ogni aspetto della vita sociale.
Il bilancio di quarant'anni di politica per il Sud presenta così, da un lato, le note positive richiamate da Saraceno e. d'altro canto, note negative altrettanto evidenti. Queste note negative fanno sì che gli studiosi parlino di "modernizzazione senza sviluppo"; che la permanenza statistica del dualismo italiano sia indubbia; che la tecnica dell'intervento straordinario (specie della vigente legge 64/1986) appaia in forte crisi; che la sua cessione politica e istituzionale, specie ai livelli locali, appaia fin troppo insoddisfacente; che la modernizzazione conseguita appaia troppo intinta di inefficienze, sprechi, errori, corruzione, assistenza, clientelismo, e perfino con confini che si sospettano talora assai labili verso la peggiore patologia sociale (lo ha rilevato lo stesso ministro degli Interni); che, in definitiva, l'opinione prevalente nell'"Italia che conta" è da tempo di stanchezza e di condanna per la politica speciale per il Sud e che l'impegno nazionale in questo campo è considerato largamente assolto con tale politica, trasformatasi così in un ghetto rispetto alla politica generale del Paese, con conseguenze assai gravi per la sua impostazione e il suo successo. Che fare? In forma apodittica, ripeto qui che, a mio avviso, si dovrebbe:
1) ricondurre il più possibile all'ordinarietà la politica straordinaria, anche perché ce lo impone sempre più la normativa Cee;
2) cercare di trasformare la politica nazionale per il Sud in una organica politica di sviluppo regionale della Cee per i molti Mezzogiorni d'Europa;
3) concentrarsi assai di più sulla gestione delle risorse intanto disponibili, ovviando alle insufficienze tecniche e istituzionali che ne hanno finora minato il successo, anche rivedendo campanilismi e arroccamenti istituzionali, sia del centro che della periferia, ma soprattutto ristabilendo una salda guida politica e programmatica dei meccanismi in vigore;
4) semplificare drasticamente la struttura di enti sviluppatasi intorno all'intervento straordinario, riducendola a sole tre istanze (un ente per la formazione, uno per l'assistenza tecnica e progettuale e una banca di affari che non sia né tutta pubblica né tutta meridionale);
5) piegare assai più di quanto avvenga la politica generale del Paese (dal bilancio dello Stato al commercio estero e alle Partecipazioni Statali) alle esigenze di superamento del dualismo nazionale;
6) tagliare le unghie alle degenerazioni dell'intervento da quelle "minori" (assistenzialismo, clientelismo ... ) a quelle "massime" (eventuali collusioni con la malavita); ampliare l'interesse allo sviluppo, dai settori tradizionali a quelli più nuovi (ambiente, beni culturali, tecnologia superiore...). Sono indicazioni schematiche (e poi è sempre più facile dire che fare). Soprattutto, esse esigono un fortissimo rilancio etico-politico della questione meridionale, sia fra i meridionali che nella classe dirigente nazionale, ed una rinnovata certezza dei valori ai quali il problema dello sviluppo del Sud richiama. Se ci sono quel rilancio e questa certezza, le indicazioni qui ripetute a titolo di esempio (o qualsiasi altra, in aggiunta o in sostituzione di esse) possono essere specificate con un senso che vale la pena di esplicitare; altrimenti esse (o altre) non varranno più di quanto siano valsi i principii ai quali abbiamo obbedito - certo, anche con molto frutto, ma senza risolvere in ultima analisi il problema - in questi quarant'anni.

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