L'ambiente è la vera questione meridionale




Paolo Savona



Il messaggio che il Grande Vecchio del meridionalismo italiano, Pasquale Saraceno, ha lanciato è molto chiaro: il divario Nord-Sud va colmato con più industrializzazione. Lo stato dell'economia meridionale - egli aggiunge - non è più quello tipico del sottosviluppo, ma "dell'insufficiente industrializzazione". Il messaggio risulta molto opportuno in un momento in cui si stanno per decidere le ultime, grandi "abdicazioni" a compimento di un ciclo di disimpegno industriale, culturale e politico del e nel Mezzogiorno. Se però non si dice il perché l'industrializzazione è insufficiente dopo anni di impegno politico e profusione di denaro pubblico l'efficacia del messaggio è dubbia, se non deviante dell'attenzione.
Diagnosi e terapia sono tra loro così strettamente legate che omettere una delle due significa non "innovare" rispetto ai modi di intendere, e di conseguenza di attuare, la politica dell'intervento pubblico nel Mezzogiorno.
Gli investimenti industriali sono bassi nel Mezzogiorno perché la produttività del capitale è mediamente inferiore del 20-30 per cento rispetto a quella del Nord (l'ampiezza della forcella testimonia dell'inevitabile approssimazione dei calcoli). Ciò avviene prevalentemente perché le condizioni di ambiente e le infrastrutture economiche sono molto carenti. Ciò non esclude che vi siano problemi di arretratezza tecnologica o di livello di specializzazione del lavoro, ma essi non sono prevalenti e, sovente, sono interconnessi con le carenze di ambiente e di infrastrutture.
Le carenze di ambiente possono essere individuate, per grandi linee, nella scarsa funzionalità della pubblica amministrazione meridionale, nel peso eccessivo della criminalità economica e nell'arretratezza delle strutture scolastiche e di formazione professionale. Le principali carenze infrastrutturali invece non sono solo quelle indicate da Saraceno - disponibilità idriche e assetti urbani - ma toccano tutti i settori dell'attività economica. Uno studio Cee, recentemente rielaborato da Confcommercio e Confindustria, testimonia di una dotazione infrastrutturale del Sud dimezzata rispetto al Nord, con un minimo di 27 (fatto 100 il Nord) per le risorse idriche, di 51 per le risorse energetiche, di 63 per le comunicazioni e con un massimo di 78 per i trasporti.
Se si conviene che l'origine dell'indicato ampio divario di rendimento del capitale industriale tra il Nord e il Sud debba essere individuata nelle carenze di ambiente e di infrastrutture, sono queste che vanno aggredite e rimosse con opportune politiche. Ripetere l'errore di mettere il carro (l'industria) avanti ai buoi (le infrastrutture e le condizioni di ambiente) significa confondere le cause con gli effetti. E' anche vero che nel Sud molti buoi sono rimasti senza corro, ma questo è errore parimenti grave rispetto all'altro. Non si può continuare a credere che un insediamento industriale, anche se deciso "per volontà politica", susciti un circolo virtuoso che elimina le carenze indicate; sovente, anzi, accade l'opposto, come nel caso della chimica di Ottana. Né si può ragionevolmente credere di poter continuare, come prevede la legge 64, a compensare i divari di rendimento con integrazioni di capitale, di interesse e fiscalizzazioni del lavoro e delle tasse, sia perché le risorse del bilancio pubblico sono sempre più scarse, sia perché la Comunità Economica ce lo proibirà, sia (last but not least) perché gli imprenditori seri hanno capito che devono sopravvivere sul mercato e non basandosi sull'assistenza pubblica. Occorre quindi concentrare le risorse del bilancio statale sull'eliminazione delle carenze di ambiente e infrastrutturali, ricercando il consenso della Commissione di Bruxelles a questo disegno di politica economica.
La programmazione delle infrastrutture ambientali ed economiche va ovviamente fatta in funzione degli insediamenti industriali, turistici e terziari desiderati, non degli interessi spiccioli dei diretti beneficiari delle relative opere pubbliche, siano essi imprenditori attratti dagli appalti o disoccupati bisognosi di un posto di lavoro.
Per riassumere, il mancato avvio di uno sviluppo autopropulsivo, che tiene tuttora il Mezzogiorno in condizioni economiche sottosviluppate, è legato ad un ritardo del processo di industrializzazione dovuto principalmente a carenze di ambiente e di infrastrutture economiche. Per rimuovere il ritardo occorre eliminare le carenze; fatto ciò, è lecito attendersi la parificazione dei tassi di crescita della produttività, ossia l'eliminazione del divario Nord-Sud. Se questa nuova politica concentrata sull'eliminazione delle carenze di ambiente e infrastrutturali economiche fosse fatta con chiarezza d'intenti ed energia, determinerebbe nel Sud un nuovo quadro di riferimento per gli insediamenti industriali. Si può concordare con la nota obiezione che l'innesto dello sviluppo industriale non sarebbe automatico, ma sarebbe concretamente possibile diversamente dal momento attuale. Nuova finanza e nuovi incentivi potrebbero agevolare questa saldatura. Ma questo è un altro discorso.

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