§ Il divario come enigma

Ma il Sud non e pił un'area di sottosviluppo




Pasquale Saraceno



Si stima che dal 1950, quando ha inizio l'intervento straordinario, a oggi il prodotto pro capite del Mezzogiorno sia passato da valori intorno al 55% di quello del Centro-Nord, a valori intorno al 58%; la riduzione del divario è stata quindi irrilevante se si considerano il tempo trascorso, le risorse impiegate e l'entità del progresso economico conseguito nel periodo dal Paese. Se poi consideriamo che nel 1988 la disoccupazione era nel Centro-Nord dell'ordine dell'8% della forza-lavoro dell'area e nel Mezzogiorno del 22%, pur essendovi stata nel periodo una emigrazione dal Sud di 4,5 milioni di unità, giungiamo alla conclusione che variazioni apprezzabili di divario non si sono avute neppure nella disoccupazione. Se prodotto pro capite e disoccupazione non hanno subìto variazioni di rilievo, molto mutati sono, dal 1950, i termini in cui si pone la questione meridionale; e degli svolgimenti avutisi nel periodo, alcuni sono stati favorevoli, altri non favorevoli.
Andamenti favorevoli si sono avuti nell'agricoltura, nel turismo e nella costruzione di infrastrutture. La forza di lavoro occupata nell'agricoltura meridionale è diminuita, nei 38 anni di intervento, da 3,6 a 1,2 milioni di unità; e si prevede scenderà ancora fino a stabilizzarsi, tra 12-15 anni, a 600.000 unità. Essa era nel 1951 il 51% della forza di lavoro meridionale, ne è ora il 15%; si stima che intorno al 2007 essa scenderà al 6% di una forza di lavoro che si valuta raggiungerà in quell'anno i 9,6 milioni di unità. Nel periodo si è inoltre avuta una riduzione di 1,4 milioni di ettari (pari al 20%) della superficie a seminativo e a colture legnose specializzate; il prodotto lordo agricolo, pur con tale riduzione di forza di lavoro e di superficie utilizzata, è aumentato, nel periodo, al saggio medio annuo del 2%. Il progresso avvenuto nell'agricoltura meridionale nel periodo dell'intervento straordinario è stato dunque di portata grande, ben può dirsi storica. L'espansione dell'attività turistica è stata di proporzioni ancor più rilevanti: il prodotto del settore è cresciuto dodici volte, l'occupazione 1,9 volte e il prodotto per occupato 3,4 volte.
Se si considera il mutamento che nel periodo dell'intervento hanno avuto agricoltura e turismo, non si può non concludere che era fuori luogo, come si è fatto e come talvolta si continua a fare oggi, attendersi da tali due settori un apporto decisivo, anche solo rilevante, all'aumento dell'occupazione del Mezzogiorno e, in generale, alla soluzione della questione meridionale; i dati ora riferiti confermano che è dall'industrializzazione, come del resto si affermò fin dal tempo della ricostruzione post-bellica, che quel contributo può essere atteso. Anche la costruzione di infrastrutture è proceduta nel Sud a ritmo intenso. Essa è stata però decisa, talvolta, non solo in relazione alla necessità dello sviluppo economico e sociale, ma anche all'opportunità di dare lavoro in aree ove la disoccupazione era più rilevante. In tema di futuro sviluppo, se ancora sussistono deficienze di infrastrutture in alcuni campi, come le reti idriche e le sistemazioni urbane, la loro insufficienza non costituisce però più, come prima dell'intervento, un ostacolo preclusivo di un flusso rilevante e diffuso di investimenti produttivi.
Altro elemento positivo del passato sviluppo che va ricordato è l'aumento del prodotto; esso è triplicato nei trentotto anni di intervento straordinario. Ed è un aumento che si riflette in molti aspetti della società meridionale; basti ricordare la diminuzione dell'analfabetismo, il grande aumento che si è avuto nella varietà, oltre che nell'entità, dei consumi, e lo sviluppo delle istituzioni culturali. In conclusione, oggi il Sud non è più, o quanto meno si avvia a non essere più tra breve, un'area ancora qualificabile come sottosviluppata; con tale termine si intende infatti un'area le cui attività produttive sono in generale in notevole ritardo rispetto alle aree pienamente sviluppate: questo carattere di generalità certo non esiste più oggi. Il Sud può ormai denominarsi un'area a insufficiente industrializzazione, se si considerano la forza di lavoro di cui dispone e il persistere di possibilità di ulteriore progresso dell'industria del nostro Paese.
Quanto agli svolgimenti negativi, il più grave, sotto l'aspetto economico, è l'esiguità del progresso dell'industrializzazione, cui va aggiunto il peggioramento determinato nelle sue prospettive dalla intensità del progresso tecnico, una intensità che, iniziatasi da alcuni anni, si prevede debba continuare. Altro ostacolo molto grave allo sviluppo industriale sono certamente le situazioni di acuto disordine che si sono formate in varie regioni; secondo un giudizio diffuso, altro fattore gravemente negativo è l'adozione di un nuovo ordinamento che nel 1986 ha inteso aggiornare quello del 1950.
E' comunque sullo sviluppo industriale che gravano le maggiori incertezze; gli investimenti industriali nel Sud hanno rappresentato, nell'intero periodo di intervento, una quota degli investimenti del Paese inferiore alla quota della popolazione; la proporzione degli occupati nell'industria meridionale è rimasta infatti invariata intorno al 20% della complessiva nostra occupazione industriale.
Il permanere del divario Centro-Nord e Sud è dunque dovuto in sostanza alla grave inadeguatezza dello sviluppo industriale avvenuto nel Mezzogiorno. Non sono mancati invece progressi importanti negli altri settori dell'economia meridionale e va respinta l'opinione secondo la quale la questione meridionale non è risolvibile e che, visto il risultato conseguito nei trentotto anni di intervento, essa va considerata come una calamità che grava a tempo indeterminato sulla vita del Paese.
Nel quadro cui si è pervenuti, sensato è invece concentrare la nostra attenzione sul tema "industrializzazione" e domandarci quali contenuti debba assumere l'azione meridionalistica nella situazione cui siamo giunti. Ora l'obiettivo da perseguire è sempre quello che era stato posto all'inizio dell'intervento: ottenere un processo di industrializzazione a un saggio più elevato di quello cui si svolge il processo industriale del Centro-Nord. L'intervento straordinario che ha luogo negli altri campi è suscettibile invece di giungere a compimento in tempi più o meno lunghi e va delineandosi la possibilità, a un certo momento, di un ritorno all'azione ordinaria.
Per quanto riguarda l'industrializzazione, invece, non sembra vi siano idee sul tipo di azione da svolgere.
L'intervento straordinario, iniziatosi nel 1950, sembra dunque destinato a esaurirsi per due motivi opposti: nei settori diversi dall'industrializzazione, perché si andranno conseguendo gli obiettivi per i quali l'intervento era stato disposto nel settore dell'industrializzazione.
E ancora perché gli obiettivi non sono stati conseguiti né possono esserlo se la politica che viene svolta si propone solo di rendere conveniente l'investimento industriale nel Sud, mentre essa dovrebbe volgersi all'intero sistema industriale del Paese con il fine di conciliare la crescita del sistema industriale del Centro-Nord con quella che si vuole avvenga nel Sud e pervenire così alla soluzione della questione meridionale. Questa via non ha alternative se non si vuole che il divario non solo continui a restare invariato, ma addirittura aumenti con il tempo.

E per scenario il Duemila

Francesco Forte

L'Europa ha due fattori favorevoli in più, cioè l'unificazione monetaria e valutaria ormai in otto, e quella commerciale, nei diritti di stabilimento e nei servizi bancari e di trasporti, che si sta accelerando qui al 1992 e oltre; e il dischiudersi di rapporti con l'Est europeo, fruttuosamente finanziabili con materie prime, come quelle energetiche, anziché con debiti.
Il problema ecologico si aggravo, ma si sto sviluppando anche una nuova maturità, dal punto di vista tecnologico, culturale e istituzionale, riguardo o questa sfido, nei Paesi sviluppati, Italia compresa. E' il Terzo Mondo che non ce la fa.
Quanto alla finanza internazionale, va osservato che la caduta della Borsa mondiale è stata sapientemente e tempestivamente contrastata con azioni di espansione della liquidità che i monetaristi avrebbero condannato, ma che i neo-keynesiani consideravano ovvia. E' stato questo dirigismo egoistico che ha garantito il recupero.
Certo, se per il debito pubblico mondiale del Terzo Mondo l'atteggiamento fosse stato, alle assise del Fondo Monetario di Berlino, più generoso, le prospettive di espansione sarebbero più equilibrate e più eque.
Si prende otto che il modello collettivista è crollato. E' crollato anche la "terza via" di tipo cinese, quella jugoslava, quella algerina, quindi ogni idea di economia pianificato con informazione e razionalità ambiziosa. La protesta sociale non può più esser fatto contro il sistema per "un modello alternativo"; ciò darà più stabilità.

E per scenario il Duemila

Paolo Sylos Labini

Per combattere la disoccupazione occorre muoversi su diverse linee, due in particolare: accrescere la flessibilità nel mercato del lavoro e promuovere la nascita di nuove imprese, specialmente imprese di piccole dimensioni. Le misure volte ad accrescere la flessibilità nel mercato del lavoro rientrano in gran parte fra le innovazioni di tipo legislativo e contrattuale.
Siamo tutti d'accordo: è cresciuto e cresce la velocità dei cambiamenti e aumentano senza sosta la complessità e la differenziazione delle attività economiche: il posto dell'operaio-masso viene preso, progressivamente, da lavoratori variamente specializzati. Le imprese, da parte loro, hanno bisogno di una crescente varietà di lavoratori e di rapporti contrattuali. Sindacati ed imprese, io credo, debbono agire di comune accordo per differenziare nel modo via via più opportuno i contratti di lavoro: là dove nel passato alle due porti andavano bene contratti standard, oggi sono sempre più necessari contratti differenziati non solo e non tanto nelle paghe, quanto nelle modalità. La differenziazione dei contratti è già in atto; si tratto di estenderla in modo deciso dopo aver individuato i criteri generali da adottare.
E infine: quando si afferma che numerosi disoccupati non sono persone inattive, ma persone che lavorano più o meno regolarmente ma quasi sempre precariamente nell'economia sommersa si afferma una cosa vera. Ma è anche vero che solo una parte dell'economia sommersa (trascurando l'evasione fiscale) consente condizioni di vita veramente civili per chi non ha altri lavori. Occorre dunque operare per ridurre l'area dell'economia sommersa, allargando quello dell'economia ufficiale, ossia garantita. In gran parte, la lotta alla disoccupazione consiste proprio in questo.

E per scenario il Duemila

Augusto Graziani

L'economia dei Paesi industrializzati attraverso un periodo di espansione. Tutte le previsioni di crescita sono state rivedute in aumento e, a quanto sembra, troveranno conferma. Questa espansione si accompagna però a persistenti squilibri, che si manifestano sia sul piano interno che nei rapporti internazionali.
Sul piano interno, la disoccupazione continua a rappresentare un problema persistente, Nel corso degli ultimi venti anni, in quasi tutti i Paesi avanzati, il tasso di partecipazione dello forza-lavoro maschile si è ridotto, mentre è considerevolmente cresciuto il tasso di partecipazione femminile. L'unica eccezione a questa regola è rappresentata dalla Germania Federale, che presenta tassi di attività maschili e femminili sostanzialmente stabili. In tutti gli altri Paesi, dagli Stati Uniti alla Francia, all'Italia, alla Spagna, alla Svezia, al Regno Unito, l'aumento considerevole del tasso di attività femminile, accoppiato a una domanda di lavoro stagnante, ha prodotto un aumento della disoccupazione.
Nel nostro Paese questa situazione si presenta a suo volta differenziato fra Nord e Sud. Nel Centro-Nord l'aumento della popolazione maschile in età attiva è stato compensato da una riduzione nel tasso di attività; al tempo stesso, per la componente femminile, sempre nel Centro-Nord, l'aumento della popolazione in età lavorativa e l'aumento del tasso di attività sono stati compensati da un aumento della domanda di lavoro, che ha consentito di contenere la disoccupazione entro limiti tollerabili.
Non così nel Mezzogiorno, dove il ristagno della domanda di lavoro non ha consentito di assorbire né l'aumento della popolazione attiva maschile né l'aumento del tasso di partecipazione femminile, il che ha prodotto una crescita violenta della disoccupazione.


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