§ Requisitoria del Governatore Azeglio Ciampi

Allarme Mezzogiorno




M.C. Milo, A. Foresi, F. Albini



Mercoledì 31 maggio, in una mattinata romana coperta da una fastidiosissima pioggia, il Governatore della Banca d'Italia, Carlo Azeglio Ciampi, ha voluto che cadesse dal cielo di Via Nazionale il "temporale Mezzogiorno". Il gran custode della cassaforte dello Stato, e tutore della lira, ha voluto che piovesse forte sulle teste del numerosissimo pubblico di economisti e di imprenditori, ma anche di finanzieri e di banchieri, raccolto nei saloni per la tradizionale assemblea annuale. Ha voluto che nel cielo coperto della capitale tuonasse proprio di modo che, se non l'acqua, si potesse avvertire almeno il rumore della pioggia anche nei templi sacri della Politica. Azeglio Ciampi ha voluto che il temporale Mezzogiorno cadesse sui Palazzi romani di Montecitorio e di Largo Chigi, come, e forse di più, su quelli di piazza del Gesù e di via del Corso.
Alla suo decima relazione da Governatore, il successore di Einaudi, di Menichella, di Carli e di Baffi ha deciso che dal prestigiosissimo scranno di "regolatore della liquidità" partissero alcuni segnali ben precisi sul Mezzogiorno per il mondo politico in primis, ma anche per quello produttivo e sociale in genere. Il Governatore ha voluto in sostanza "farsi carico" per la prima volta della "specialità" del problema Mezzogiorno. Senza mezzi termini.
Scelta meritoria due volte. Per il suo duplice contenuto di "allarme sociale" e di "grande occasione", e per l'autorevolezza della cattedra dalla quale è partito l'allarme. Il temporale Mezzogiorno di Azeglio Ciampi, per capirci, è sì un disavanzo commerciale di 50 mila miliardi e una disoccupazione al 20,6 per cento (un bel pugno di numeri in faccia ai tanti che si riempiono la bocca con lo "squilibrio", fingendo però puntualmente di considerare il Mezzogiorno come una fastidiosa invenzione geografica), ma anche l'indicazione inequivocabile di un nuovo Eldorado per il Paese, di una vasta area "nella quale vi sono spazi per nuove iniziative industriali, per la modernizzazione dell'agricoltura, per la promozione dell'attività del terziario avanzato". A questa prospettiva, Azeglio Ciampi ha mostrato di crederci, al punto da non risultare neppure parco di riconoscimenti. Come quando ha sottolineato con forza che "dallo stesso tessuto sociale ed economico del Mezzogiorno sono emersi in questi anni operatori capaci di assumersi il rischio d'impresa e di mettere in moto significativi processi endogeni di crescita".
Ma come è possibile trasformare un'area di sottosviluppo in un cantiere di sviluppo? Per rispondere all'interrogativo di fondo, il Governatore ha ribadito ancora una volta che la causa-principe dell'arretratezza attuale risiede in una spesa pubblica che in tutto il Paese brucia risorse, ma che nel Mezzogiorno finisce con l'acuire i suoi effetti devianti e spesso devastanti. In buono sostanza, Azeglio Ciampi ha voluto sottolineare sia che lo Stato quando dice di impegnarsi straordinariamente e seriamente per il Mezzogiorno afferma il falso ("Nel 1988 la spesa per infrastrutture si è ragguagliata in soli 2.900 miliardi"), sia che lo stesso Stato (ma si legga: i partiti) riesce, invece, a fare affluire quattrini frazionati in mille rivoli di assistenza, alimentando come sempre la spirale perversa dei divari di benessere e di produttività (i primi determinano una pericolosa crescita dei consumi interni e vanno comunque tenuti sotto controllo, i secondi misurano la reale marginalità e dipendenza dell'assetto produttivo).
Ricostruito il quadro clinico del Mezzogiorno, indicate le cause e le responsabilità, il Governatore ha potuto delineare "il sentiero possibile" della crescita: "L'operatore pubblico deve riuscire a generare un assetto che sia creatore, non distruttore di risparmio, per aumentare la dotazione di capitale, allentare il vincolo dei conti con l'estero; ricuperare la funzione di strumento anticiclico del bilancio". In estrema sintesi, nessun disegno di ripresa è possibile se non si comprime e bonifica la spesa pubblica, se lo Stato non riporto in equilibrio i suoi conti "attraverso interventi sulle spese, sulle entrate, sulla Tesoreria". E' come se il Governatore si domandasse retoricamente: quale futuro può avere uno Stato che dissipo in un mondo segnato dalla globalizzazione dei mercati? Restando al Mezzogiorno, quale Eldorado sarà mai possibile, se non il Far West, proseguendo sulla strada dell'assistenza?
Ma il Governatore non poteva limitarsi a disegnare scenari e "sentieri possibili"; avendo precise responsabilità operative d'altissimo livello, non ha inteso esimersi non solo dall'avvertire che "la Banca d'Italia continuerà a mantenere stretta la regolazione della liquidità per combinarne l'azione con gli effetti antinflazionistici di un cambio stabile", ma anche dall'annunciare perentoriamente che l'obiettivo di piegare la tendenza al rialzo dei prezzi non dev'essere mancato". Come dire: io vi ho avvertiti, spetta al Governo e al Parlamento imboccare o meno il "sentiero possibile" ed avviare così una drastica politica di tagli e di risanamento; altrimenti, sia ben chiaro, io non farò comunque surriscaldare il mercato: il che significa, né più né meno, l'annuncio di una durissima stretta monetaria. Quasi superfluo sottolineare, a questo punto, che il ricorso allo strumento della stretta creditizia - il solo del quale il Governatore possa disporre per fermare una "macchina impazzita" - non appare per nulla improbabile in qualsiasi momento. Altrettanto superfluo mettere in rilievo che i costi del cappio monetario finiscono come sempre col rendere il Mezzogiorno più simile al Far West che all'Eldorado.


Ugualmente preciso è stato il messaggio lanciato dal Governatore nel recinto di una stretto pertinenza dell'intermediazione finanziaria. Anche in questo caso a molti il monito è apparso "da ultima frontiera". Nella frase di Azeglio Ciampi ("Le strutture finanziarie delle regioni meridionali richiedono uno specifico rafforzamento nell'articolazione, nell'integrazione con i mercati nazionali ed esteri, nella concorrenza"), diversi osservatori hanno voluto leggere "un'opzione preferenziale" della Vigilanza a favore delle grandi Banche nazionali del Paese: quasi come un anziano padre di famiglia che decide di mettere sotto la tutela dei figli maggiori i fratelli più deboli o più piccoli. Di certo, c'è stato un invito a sviluppare sinergie e concorrenza, per acquisire efficienza e ridurre il differenziale di tassi tra Nord e Sud.
Per capire le indicazioni di Azeglio Ciampi, apparentemente contraddittorie, in materia di matrimoni e di accorpamenti finanziari (da un lato si auspica "un'articolazione con le strutture nazionali"; dall'altro si parla semplicemente di una "più ampia loro presenza" accanto "ai maggiori istituti di credito meridionali" e "alle banche locali minori") può essere forse utile una valutazione del presidente della Banca nazionale del lavoro, Nerio Nesi: "Il mercato meridionale è una regione tipica. L'esperienza della Bnl insegna che si conseguono risultati quando si opera con strutture tipiche ed uomini che realmente conoscono il mercato".
Non a caso il Governatore ha avuto un richiamo particolare al fatto che "l'apporto della banca sta nella selezione delle imprese, valutandone i progetti in una visione d'assieme, che implica la conoscenza dell'ambiente economico del Mezzogiorno".

Ma il disavanzo non è solo un segnale di arretramento

Sta tutto nel Sud il passivo dell'Italia. Questo titolo, apparso sul maggiore quotidiano economico nazionale, rivela tra le righe, e neppure tanto, la concezione diffusa nella gran parte dell'opinione pubblica settentrionale di un Mezzogiorno palla di piombo al piede della crescita del nostro Paese.
Indubbiamente, i dati parlano chiaro. Nel periodo 1984-87, il prodotto interno lordo è aumentato nelle regioni meridionali dell'1,9% in media all'anno, rispetto ad un aumento del 3,4% nel Centro-Nord. Ma il dato più preoccupante riguarda il passivo commerciale che, nell'87, ha raggiunto nel Mezzogiorno la cifra di 50 mila e 500 miliardi di lire, poco più di un quinto (21,5%) del prodotto interno lordo della circoscrizione meridionale; tale disavanzo, com'è noto, è in larga misura coperto da risorse finanziarie indirizzate alle regioni del Sud attraverso i trasferimenti pubblici.
Una sostanziale situazione di arretramento del Mezzogiorno, quindi, nel contesto generale dello sviluppo del Paese. Ma il giudizio su tale stato di cose non può essere quello degli ambienti imprenditoriali del Centro-Nord. Occorre tener presente che la crescita del deficit commerciale nel Sud è legata all'espansione delle produzioni settentrionali da un lato, ed è indice anche di un processo di sviluppo che fa aumentare i consumi unitamente agli investimenti (ed è questa l'unica nota positiva: la crescita nel periodo è stata del 27,7% del prodotto lordo, contro il 19,8% del Centro-Nord) dall'altro.
Va inoltre sottolineato - e non è una questione marginale - che i divari economici del Sud assumono particolare rilievo nel processo di integrazione europea nel quale l'Italia è coinvolta. Il Mezzogiorno viene progressivamente sospinto verso posizioni di regione marginale dell'Europa.
Gli scenari dell'economia internazionale, pertanto, devono costituire un necessario riferimento per le politiche economiche per il Sud, e rispetto ad essi si definiscono le condizioni di accesso ad una fase di ripresa economica. I fatti intervenuti a livello internazionale a cambiare il quadro economico di riferimento dei Paesi industrializzati e rispetto ai quali va articolata - oggi in misura ancora più urgente, come ha evidenziato il Governatore nella sua relazione - una strategia di sviluppo delle regioni meridionali sono: l'unificazione dei mercati, l'instabilità della domanda, la differenziazione dei prodotti e la crescita dell'innovazione tecnologica.
I tratti dominanti della ristrutturazione e riconversione industriale avviata a partire dalla guerra del Kippur sono il decentramento produttivo, la maggiore flessibilità nell'uso della forza-lavoro e la specializzazione. Questo ha significato la crisi di un tipo di intervento pubblico basato sui grandi impianti industriali e su rigide costruzioni burocratiche. Anche i sistemi di regolazione del Welfare State sono entrati in crisi, degenerando in forme di mero assistenzialismo. Infine, ma non per ultimo, il progresso tecnologico - e il Sud è in questo maggiormente penalizzato - si svolge come processo continuo di innovazioni che accrescono la centralità delle funzioni manageriali, informatiche e di ricerca. Se queste sono le linee generali del contesto economico nel quale si trovano ad operare pubblico e privato nel Sud, la possibilità per le regioni meridionali (meglio: per gli operatori di tali regioni) non dipendono più, non possono più dipendere, da una semplice incentivazione finanziaria.

E per scenario il Duemila

Fabrizio Galimberti

I fattori di base dell'economia americano non giustificano una recessione. L'America ha capitale e lavoro ancora inutilizzati: ha slancio imprenditoriale, ha una forza-lavoro che cresce più che in Europa, ho una capacità produttiva che non è ancora ai livelli "pieni" e che è destinata ad aumentare sotto la spinta di investimenti elevati, vive una stagione impetuosa di progresso tecnico.
In Europa e In Italia le fonti interne della crescita sono oggi più evidenti di prima, sospinte dall'onda lungo di un generale miglioramento delle condizioni dell'offerta (mercati del lavoro, progresso tecnico, privatizzazioni, capitoli di ventura, fusioni ed acquisizioni ... ).
L'Europa non si contenta più di essere un free rider sulla scena economica mondiale. E nuove opportunità sono a portato di mano: il 1992 non è solo un appuntamento istituzionale, ma è anche la chiave per una "stanza del tesoro" dove è rinchiuso, secondo i calcoli della Commissione, dal 4 al 7 per cento del prodotto della Comunità. Se questo grande progetto verrà perseguito con tenacia ed efficacia, gli anni Novanta potranno assistere, dal Pacifico all'Atlantico e al Mediterraneo, a una nuova "età dell'oro" nello sviluppo economico del dopoguerra.

 


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