§ Astronomia e tradizioni popolari

Giochi di luna




T. Caputo, J. F. Mannino, G. Langatta



Sembrerà strano, ma è convinzione di molti che ogni qualvolta ricorre l'anno bisestile succedono sciagure e disgrazie d'ogni tipo e genere. Tali credenze risalgono al tempo della stessa nascita dell'anno bisestile, cioè al periodo del calendario giuliano (più o meno nell'anno 708 di Roma: 46 avanti Cristo circa). In realtà, l'anno bisestile non è né funesto né sciagurato né apportatore di disgrazie come si crede; è un anno come tutti gli altri, solo che ha un giorno in più per far quadrare il tempo attraverso l'accumulo delle differenze astronomiche.
Quindi, l'anno in questione è solo un aggiornamento scientifico e nulla ha di anormale o di apocalittico, e, inoltre, non si riesce a capire come siano nate su di esso tali credenze, leggende e superstizioni popolari di periodo funesto.
Per rendere più ordinata la vita sociale aggregata, la stessa Società, attraverso alcuni suoi membri, dovette ricorrere necessariamente alla ripartizione del tempo nei suoi intervalli fra il sorgere e il tramontare del Sole; fu così che l'uomo iniziò non solo a ordinare in modo sistematico i giorni fra loro, ma anche le settimane, i mesi e l'anno stesso. Egli, non avendo altri mezzi scientifici e tecnici a disposizione per ripartire il tempo, si ispirò, inizialmente, alle forme variabili della luna: da quel momento, la civiltà umana cominciò a svilupparsi e a crescere in modo diverso, cioè organizzato.
La Luna fu dunque l'"astro" scelto per il computo del tempo fin dai primordi, tanto che, ancora oggi, essa è tenuta in considerazione presso i Musulmani. Dal calcolo delle fasi lunari nacque, presso quasi tutti i popoli, il primo calendario e con esso il primo concetto di anno, che nella concezione scientifica moderna indica l'intervallo impiegato dalla terra per compiere una rivoluzione intorno al Sole.
Di conseguenza, l'unità di tempo che la Terra impiega a percorrere il suo giro Intorno al Sole, è stato, nel corso dei secoli, variamente definito come: anno siderale (il tempo che passa fra due ritorni successivi del Sole nella stessa posizione fra le stelle); anno tropico o solare (il tempo che trascorre tra due passaggi consecutivi del Sole al punto d'Ariete); anno anomalistico (l'intervallo di tempo tra due passaggi successivi del Sole al perigeo); anno draconico (il tempo impiegato dal Sole per ritornare allo stesso nodo dell'orbita lunare); anno vago (unità di tempo - usata anche da Tolomeo nell'Almagesto - di 365 giorni distribuiti in dodici mesi di trenta giorni l'uno e in cinque epagomeni, corrispondenti alla suddivisione in uso presso gli Egizi prima dell'era volgare); anno civile o comune (pari a 365 giorni) e, infine, il famoso anno bisestile di 366 giorni, per l'aggiunta di un giorno ogni quattro anni (febbraio, composto da ventinove giorni).
Fin dal periodo antico, dunque, per misurare il tempo e ripartirlo in ore, giorni, settimane, mesi e anno, si ricorse al Calendario, che varia da paese a paese, da civiltà a civiltà, e che col passare dei secoli assunse anche il nome di Almanacco.
Il Calendario (dal latino calendae e calendarium), presso i Romani indicava il libro delle calende, cioè il primo giorno di ogni mese e le rispettive scadenze, nonché il libro in cui i banchieri registravano gli interessi sulle somme date a prestito, che maturavano il primo giorno di ogni mese. Le calende non esistevano nel calendario greco, cosicché i Romani, per indicare scherzosamente il rinvio sine die di un fatto o di un'impresa, dicevano che era rimandata alle "calende greche".
A Roma, il giorno delle calende era dedicato a Giunone, mentre le idi (giorno che divide il mese in due parti uguali) a Giove. Così, alle calende di febbraio si celebra la féria di Giunone Sospita; le calende di marzo erano consacrate a Giunone Lucina, nel tempio sull'Esquilino, a cui erano legate le feste Matronalia, in onore di Bruto, uccisore di Lucrezia; quelle di giugno solennizzavano il tempio di Giunone Moneta, e quelle di settembre celebravano la festa di Giunone Regina, sull'Aventino.
La lunga storia della civiltà umana ci ha tramandato vari tipi di calendari e di misurazione del tempo: quello cinese, quello iranico, quello persiano e quello egiziano; quelli semitici, quello greco, quello romano antico e quello della riforma giuliana e la correzione gregoriana. Ma la misurazione del tempo non esisteva solo nella cultura dei popoli antichi civili, ma anche presso le culture dei popoli cosiddetti "primitivi". Presso queste popolazioni, i sistemi per misurare il tempo erano basati sui fenomeni naturali che compaiono a periodi regolari: maturazione dei frutti delle piante, periodi secchi e di pioggia, direzione dei venti, migrazione degli animali, e via dicendo.
In sostanza, l'uomo primitivo (selvaggio) per suddividere con una certa precisione il tempo, ricorse principalmente al moto del Sole e della Luna, al sorgere e al tramontare degli astri, al moto circolare delle cose che lo circondavano e alla caduta delle foglie. L'unità del computo si basava sui giorni, i mesi e l'anno. Per esempio, ancora oggi, nelle Isole Salomone, il giorno è diviso in diciassette periodi: cinque dal sorgere di Venere, fino all'alba; dodici dall'alba al crepuscolo; in Groenlandia si usa dividere il giorno in base all'alta e bassa marea, mentre per individuare le ore notturne si ricorre alle costellazioni.
Presso le popolazioni dell'America del Nord, il computo del tempo non era fatto in base ai giorni, ma in base alle notti; per esempio, i Sioux del Dakota, per indicare un evento accaduto tre o quattro giorni prima (caccia, cerimonia religiosa, battaglia, ecc.), usavano l'espressione: "Ho dormito da allora tre (o quattro) volte". I Pellerossa della tribù Maidu, invitati a una cerimonia, ricevevano una corda con tanti nodi, quanti erano i giorni mancanti ad essa; sciogliendo ogni giorno un nodo, stabilivano il giorno della ricorrenza. Le tribù degli Oijbway conoscevano una specie di orologio solare; per stabilire le ore, essi piantavano un bastone conficcato per terra, segnando l'ombra prodotta dal bastone: chi si recava in quel posto, poteva così calcolare l'ora in cui il bastone era stato piantato.
Oltre al giorno, i Pellerossa segnavano anche le fasi lunari. Questo sistema, al contrario di quello per segnare il giorno, era comune a tutte le tribù, quindi la parola "mese" e la parola "luna" erano identiche. I Klamath (Oregon) e i Timucus (Florida) chiamavano la luna: "il misuratore del tempo", oppure "l'astro lucente che indica il tempo", e lo spazio di tempo comprendente un mese era calcolato da una luna nuova all'altra; la durata, precisata attraverso le fasi, permetteva anche la divisione del mese in due parti: il "tempo della luna calante" e il "tempo della luna crescente". Contrariamente a questa divisione, gli Zulu dividevano il mese in tre parti, gli Uroni in quattro, i Maleciti in nove.
Presso questi popoli, l'anno non corrispondeva né a quello solare astronomico né a quello lunare; si trattava di anno naturale, il cui inizio e fine erano fissati da fenomeni naturali, i soli ad avere importanza per la loro cultura.
Diverse tribù dividevano l'anno in quattro stagioni: estate, inverno, periodo di secca e periodo di pioggia; altre, come i Cree occidentali, lo dividevano in otto. Le stagioni erano fissate seguendo quei fenomeni naturali tipici dei singoli periodi, così per i Micmac era primavera solo quando comparivano le anatre selvatiche e germogliavano le piante; estate, solo quando i salmoni risalivano la corrente dei fiumi; autunno, quando gli uccelli acquatici migravano dal nord al sud; inverno, quando cadeva la neve.
Questo sistema empirico di fissare il tempo era quasi generalizzato presso tutte le tribù. Ed è dal collegamento dei mesi lunari all'anno naturale che presso molti popoli nacque il ciclo dei nomi dei mesi e del calendario lunare in senso stretto e proprio. Così, presso i Canciadali, i Sioux del Dakota, i Corvi e gli Cheyenne delle praterie, il mese di gennaio era detto: "nella luna del ghiaccio nella tenda"; febbraio: "nella luna dei vitelli rosso-scuro"; agosto: "nella luna quando le ciliege diventano nere", o "nella luna della luce lunare"; e così via.

Ma nel folklore resta l'equinozio
Diverso era il calendario presso i popoli antichi in possesso di civiltà avanzate, in special modo presso i Romani, con la Riforma Giuliana che Cesare approntò nel suo terzo consolato, di cui non si hanno opinioni concordi, riforma successivamente emendata con la Correzione Gregoriana. Sulla riforma giuliana, i pochi cenni storici pervenutici sono quelli di Ovidio, Plinio il Vecchio, Svetonio, Plutarco e Dione Cassio; notizie più ampie ci sono date dai grammatici Censorio, Solino e Macrobio. Solo Ovidio, quasi contemporaneamente alla riforma, ci parla di "una collaborazione scientifica" che Cesare avrebbe chiesto agli astronomi, inserendola nello stesso ordinamento della riforma; collaborazione mirante a eliminare l'arbitrato e l'incostanza del calendario in uso fino a quel momento, al fine di portare l'anno civile a coincidere quanto più possibile con l'anno tropico e ritenuto poco diverso dai 365 giorni e un quarto di quello civile. Così Cesare istituì cicli quadriennali: tre anni formati di 365 giorni e uno di 366 giorni.
Al tempo della riforma, l'anno ufficiale era in anticipo di circa novanta giorni sull'anno compensato, cosicché Cesare, nel mese di febbraio del 708 di Roma, inserì il mese mercedonio, di ventitré giorni, e i rimanenti giorni li ripartì in due mesi, inserendoli fra novembre e dicembre: quell'anno non fu di dodici mesi, ma di quindici mesi, pari a 445 giorni, secondo quanto ci tramanda Censorio, di 444 secondo Solino, di 443 secondo Macrobio, e fu conosciuto come "anno della confusione".
Per eliminare la caotica situazione, Cesare ristabilì il seguente ordine: lasciò inalterati i mesi di marzo, maggio, luglio, ottobre e febbraio, aggiunse due giorni a ciascuno dei mesi di gennaio, agosto e dicembre (portandoli a trentuno giorni); aggiunse, inoltre, un giorno a ciascuno dei mesi di aprile, giugno, settembre e novembre (portandoli a trenta giorni). Questo togliere e aggiungere ai mesi, peraltro assai confuso, servì a superare la diffusa superstizione esistente presso i Romani del "numero pari"; inoltre, dispose che ogni quattro anni, fra il 23 e il 24 febbraio (giorni in cui precedentemente si inseriva il mese mercedonio), si inserisse un giorno che, in base al sistema di numerare dei Romani, prese il nome di bis sexto kalendas Martias, da cui il nome rimasto all'anno bisestile, formato di 366 giorni, mentre quelli comuni erano formati di 365 giorni; così, quando entrò in uso contare e numerare i giorni di ciascun mese, il giorno aggiunto a febbraio fu segnato col numero XXIX. Da quel momento, gli anni ordinati con tale sistema si chiamarono "giuliani" e si contarono in progressione; il primo anno giuliano iniziò nel giorno di novilunio del primo gennaio del 709 di Roma. Molte sono state le discussioni sull'effettiva collocazione dell'anno bisestile. Secondo Censorio e Macrobio, il bis sexto kalendas Martias va posto fra il VII kalendas e il VI kalendas. Però, secondo Memmsen, il bis sexto era collocato fra il VI e il V kalendas, e ciò in base a una iscrizione trovata nel tempio di Cirta, recante la data di V kalendas Martias.
Dopo la morte di Cesare, la chiesa latina ritenne il 24 febbraio come giorno intercalato, mentre i pontefici invece di intercalare l'anno bisestile ogni quattro anni, lo intercalarono ogni tre, cioè solo dopo due anni comuni; questo fatto durò per 36 anni, durante i quali si ebbero ben dodici bisestili. Augusto, accortosi dell'errore commesso, eliminò per dodici anni l'intercalazione del bisesto, per assorbire i tre bisesti inseriti per eccesso. Questa ricorrenza triennale è dubbia, dato che Dione Cassio narra che nell'anno 713 di Roma, durante i giochi Apollinari del 5 luglio, fu intercalato un giorno oltre il consueto, al fine di evitare che il primo gennaio dell'anno 714 di Roma cadesse col primo giorno di mercato, subito dopo ritolto per riallineare l'anno a quello di Cesare.
La correzione gregoriana, apportata alla riforma giuliana, ebbe grande valore scientifico. Nel 1582, papa Gregorio XIII, basandosi sugli studi scientifici di Luigi Lilio, sottoposti all'approvazione dei più grandi matematici dell'epoca, promulgò l'atto per la correzione del calendario. Ovviamente, i dati scientifici astronomici che servirono alla correzione sono stati continuamente rettificati, in base alle ricerche degli scienziati, sempre più sicure e precise. Il calendario gregoriano fu accolto favorevolmente in quasi tutti i paesi, contrasti si ebbero solo nei paesi di religione protestante. Così, per lungo tempo, si alternarono il calendario giuliano e il calendario gregoriano.
Attualmente, il gregoriano è adottato quasi ovunque. Se questa è in sintesi la storia del calendario e dell'anno bisestile, non meno interessante è la storia del calendario nel folklore, specialmente italiano.
Per la cultura popolare, generalmente, l'anno è posto sotto due pleniluni: quello di maggio, che regola l'estate, e quello di settembre, che regola l'inverno. Da qui, il proverbio: "la luna settembrina sette lune a sé avvicina". Nella stragrande maggioranza delle società agricole, i contadini conservano ancora proverbi antichissimi, come: "San Barnaba, il più lungo della stagione" (equivalente al giorno più lungo, cioè l'11 giugno, festa di San Barnaba) e "Santa Lucia, il più corto dì che sia" (corrispondente al 13 dicembre giorno di Santa Lucia).
Questi proverbi nacquero, probabilmente, sulla base del calendario giuliano, che faceva corrispondere l'11 giugno al 20 giugno (San Siderio), e il 13 dicembre al 20 dicembre (San Giulio). Per alcune regioni dell'Italia meridionale, per esempio, i contadini della Calabria, il simbolo dell'equinozio di primavera consiste nel pesco coperto di fiori e frutti; per quelli della Puglia, l'equinozio autunnale cade il 21 settembre.
In linea generale, nella cultura popolare l'inizio e la fine delle stagioni sono legati non alle scadenze poste dal calendario, ma ai fatti naturali, che per il loro ripetersi sono ritenuti infallibili, come il fiorire e il fruttificare delle piante, il canto di alcuni uccelli e le abitudini degli animali che si ripetono a intervalli di tempo abbastanza precisi; questi fatti coincidono stranamente con quelli dei Pellerossa dell'America del Nord.
La citazione dei proverbi popolari potrebbe continuare all'infinito, ci limitiamo a ricordare ancora qualcuno tra i più celebri, come quello riguardante la festa della Purificazione del 2 febbraio: "Per la Candelora, l'inverno è fora", o come quello dell'entrata della primavera: "Per San Benedetto, (21 marzo), la rondine è sotto il tetto", o ancora quello sul canto dell'assiuolo, che i Siciliani chiamano cirrinciò, annunciante di cedere o tenere in fitto il fondo: "Quannu canta lu cirrinciò, tintu patruni mutari si pò".
Nelle regioni settentrionali, tale annuncio è fatto dal cuculo, che compare tra marzo e maggio, mentre il fringuello o il merlo avvertono il contadino che l'autunno è inoltrato l'anno agricolo è iniziato e non è più tempo di allontanarsi dal podere.
Nel linguaggio figurato popolare, per esempio, agosto è raffigurato nell'atto di porgere a settembre il messaggio da leggere agli uomini, avvertendoli che l'inverno è vicino ed è tempo di provvedere alle provviste alimentari; e infatti, il 25 novembre si crede giunto l'inverno, come dice un altro proverbio: "Per Santa Caterina, o freddo, o neve, o brina".Per i contadini della Romagna, i giorni che compongono l'anno sono ridotti a dodici, i primi dodici giorni di gennaio; questi, in base a un'antica tradizione, sono fatti corrispondere a dodici mesi: su questa base è pronosticato il bello e cattivo tempo, che farà nell'arco dei dodici mesi dell'anno corrente.
Questi dodici giorni corrispondono ai giorni endegari dei Veneti e alle calende dei calabresi.
Qualche volta, i calendari popolari sono indicatori di prosperità o di avversità, come i primi venticinque giorni di gennaio, su cui spesso si basano i pronostici.
La cultura popolare distribuisce i primi venticinque giorni di gennaio in due modi per ricavare auspici, uno crescente' contando da gennaio a dicembre dodici giorni (1-12), l'altro decrescente, contando da novembre a gennaio gli altri giorni (13-24) con il 25° giorno intercambiabile. Fatti mnemonici che possono essere ritenuti gli archetipi di calendari misuratori di tempo popolari non mancano presso la gente meno acculturata.
Per esempio, in molte località, per conoscere di quanti giorni era fatto un mese, si costumava contare sul pugno della mano, partendo dall'indice, seguendo le nocche e le fossette, e, al mignolo, ricominciando.
I mesi corrispondenti alle nocche contavano trentuno giorni, quelli corrispondenti alle fossette, di trenta giorni, tranne febbraio, che contava ventotto o ventinove giorni. Queste credenze, ovviamente, non appartengono alla scienza astronomica, la sola a stabilire le regole esatte del tempo, ripartendo in ore, giorni, settimane, mesi e anni; ciò nonostante, esse fanno parte di quella cultura, il cui studio ci permette di capire meglio le nostre origini, le nostre superstizioni, le nostre credenze, e, perché no?, le nostre speranze di un futuro migliore.

La cronobiologia e l'orologio della natura

Se la scienza sogghigna

La cronobiologia studia come le piante e gli animali regolano le loro attività, a seconda di ritmi imposti dall'esterno o dall'interno del loro organismo. Le piante, più degli animali, sono influenzate dal ciclo delle stagioni e dalle variazioni di luce e buio, sia perché sono immobili, sia perché traggono la loro fonte di energia dalla luce solare mediante la fotosintesi. Esempi di ciò sono numerosi.
In organismi molto piccoli e semplici, come la maggior parte delle alghe unicellulari, la divisione cellulare avviene in determinate ore della giornata, anche se non è facile capire perché ciò avviene alle cinque del mattino, in alcuni casi, o alle sei del pomeriggio, in altri. Analogamente, le piante con i fiori schiudono queste strutture a determinate ore, cioè quando sono in attività i pronubi, ossia gli insetti impollinatori, o c'è una maggiore ventosità. Tutto questo, per assicurare il trasporto del polline.
Tutti gli organismi sono quindi regolati da ritmi corti, giornalieri; lunghi, stagionali; lunghissimi, pluriennali. Il ritmo di crescita, in altri casi, è però del tutto indifferente agli eventi ambientali sopra indicati, ma è determinato da una specie di orologio interno che funziona con cicli indipendenti da quelli esterni, anche quando la pianta è tenuta a luce o buio continui.
I ritmi dell'orologio interno sono detti circadiani, dal latino "circa", che significa "approssimativamente", e sono probabilmente dovuti al tempo necessario, alla formazione nell'organismo di una certo sostanza che, raggiunta una determinata soglia, scatena il Fenomeno in questione. I ritmi circadiani possono avere una durata di "circa" ventiquattro ore e, proprio per questa imprecisione, sono stati detti circadiani. Che questi ritmi siano determinati da un orologio interno lo dimostra anche il fatto che sono presenti, non solo nelle piante verdi, ma anche nei funghi, cioè in organismi che non fanno la fotosintesi.
Tra i cicli biologici che sono legati all'ambiente esterno, cioè all'orologio esterno, si possono ricordare quelli collegati alle Fasi lunari. Tali cicli sono stati ben studiati e dimostrati soprattutto in organismi marini, sia planctonici che bentonici. Un esempio di questo tipo è ben evidente nelle "Zosteracee" che, pur vivendo nel mare, non sono alghe, ma fanno i fiori e i frutti; esse sono diffuse nei mari di tutto il mondo; sono qualche cosa di simile alle balene: queste, infatti, pur essendo mammiferi, abitano nel mare come i pesci.
Queste piante liberano il polline e i frutti al momento di massima turbolenza dell'acqua, che è legato alle maree. A questo tipo di piante appartiene la "Poseidonia oceanica", che vive nel Mediterraneo, a una profondità di tre-cinque metri, e oltre. Esso libera i frutti tra aprile e ottobre, a seconda degli anni, in coincidenza di mareggiate che permettono una maggiore diffusione. Questi frutti, non appena liberati, raggiungono il pelo dell'acqua e sono diffusi per galleggiamento.
Sull'influsso del ciclo lunare sulle piante terrestri esistono molte credenze popolari e solo poche prove sperimentali. A questo proposito, deve essere ricordata la credenza secondo cui certe piante danno foglie a minore distanza dalla semina se i semi sono messi a dimora con la luna crescente, oppure radici più robuste se piantate quando la luna è calante.
Inoltre, secondo alcuni, la semina a luna crescente favorisce la crescita e il raccolto successivi. Sono poche le persone di scienza che credono ai periodi lunari. Raro esempio è il professor F.A. Brown jr., che si dichiara sicuro che un ritmo regolato sui quarti di luna è comune a molte piante ed animali. Sperimentalmente è stato provato che il contenuto di acqua nelle piante di fava è strettamente correlato alle fasi lunari.
Come il lettore può ben capire, l'uomo di scienza "non" preferisce verificare l'attendibilità delle credenze popolari; infatti, non si ricava nessun utile dall'investimento di energie e soldi in una ricerca i cui risultati sono già comunque conosciuti.
E' un poi come inventare l'acqua calda.

Siccità, cicli, licantropia, fobie...

Influenze della luna

La credenza che la Luna possa influire sui fenomeni terrestri e sugli esseri viventi risale agli albori dell'astrologia. In effetti, le maree che sconvolgono incessantemente gli oceani e l'atmosfera, sono prevalentemente legate all'attrazione gravitazionale esercitata dal nostro satellite naturale. A causa della rotazione terrestre, la forza di risucchio varia localmente, con periodicità semidiurna, cosicché la pressione atmosferica al suolo manifesta una tipica oscillazione nel corso delle 24 ore, con due massimi rispettivamente centrati intorno alle ore 10 e alle ore 22, e due minimi intorno alle ore 4 e alle ore 16 locali.
Tuttavia, alle nostre latitudini, l'ampiezza dell'oscillazione barometrica diurna ha un valore troppo basso per determinare cambiamenti significativi nelle condizioni del tempo, perché venti-trenta volte inferiore alle variazioni di pressione osservate in 24 ore in corrispondenza delle più comuni perturbazioni atmosferiche.
Esistono però fondati sospetti che la Luna influenzi in qualche modo il clima del nostro pianeta. In primo luogo, infatti, l'incessante fluire e rifluire delle correnti di marea determina, per attrito, un progressivo rallentamento della velocità di rotazione della Terra, nella misura di qualche secondo per secolo. La durata del giorno ha subìto, pertanto, un progressivo allungamento nel corso dei secoli, tanto che l'anno solare, che seicento milioni di anni or sono era composto di 424 giorni, si è ridotto a 370 giorni cento milioni di anni fa, fino a portarsi agli attuali 365. E' facile immaginare quali profonde ripercussioni questa circostanza possa aver determinato in passato sull'andamento delle stagioni. Anche nella ricorrenza di alcuni cicli lunari sono state individuate correlazioni con l'andamento climatico della Terra. Infatti, l'attrazione gravitazionale da parte dell'astro ha un andamento ciclico di circa 19 anni, legato ad una corrispondente variazione di declinazione dell'orbita lunare, che si manifesta con una oscillazione periodica del livello delle superfici marine. E' stato accertato che, nella posizione di massima declinazione, l'oceano subisce, intorno a 50-70 gradi di latitudine, un innalzamento di circa tredici centimetri rispetto alla posizione di minima declinazione.
A seguito dei dislivelli che si vengono così a determinare sulla superficie del mare, le masse oceaniche vengono sospinte verso più alte latitudini, con conseguente riscaldamento delle acque superficiali della calotta polare (nella misura di 0,2-0,4 gradi centigradi) e parziale scioglimento dei ghiacci. Siffatte modificazioni periodiche delle caratteristiche fisiche dell'ambiente polare, anche se di lieve entità, si ripercuotono con elevate probabilità anche sulla circolazione generale dell'atmosfera.
Il ciclo di 19 anni sembra influenzare anche la posizione dei grandi anticicloni sub-tropicali, come l'anticiclone delle Azzorre, con conseguenti deviazioni della traiettoria delle perturbazioni alle medie latitudini. Infatti, via via che la luna si spinge verso la posizione di massima declinazione, i centri anticiclonici vengono sospinti verso più alte latitudini, per poi riportarsi verso Sud, quando la Luna discende verso la declinazione minima. Alcuni casi di siccità in Sudafrica e in Argentina hanno manifestato appunto una ricorrenza ciclica di 19 anni, proprio in corrispondenza di una mutata posizione degli anticicloni sub-tropicali.
Le fasi lunari sembrano correlate inoltre anche con lo sviluppo invernale degli anticicloni di blocco, sistemi che impediscono per molte settimane il libero fluire da Ovest verso Est dei sistemi frontali. Infatti, è stato appurato che il fenomeno è più frequente fra l'ultimo quarto e la luna nuova, mentre è quasi assente tra la luna nuova e il primo quarto. Dato che la Luna esercita una forte attrazione sulla Terra, è difficile credere che gli esseri viventi possano sfuggire all'influenza di tale forza e pertanto è lecito supporre che i liquidi vitali che percorrono le cellule siano soggetti anch'essi a fenomeni di marea, con periodicità analoga a quella degli oceani e dell'atmosfera. Il flusso e riflusso di tali "maree biologiche" potrebbero influire sull'attività mentale e sull'umore, specie in individui psicologicamente predisposti. Del resto, il convincimento che la luna non sia estranea al verificarsi di certi squilibri nella psiche umana era abbastanza radicato già nell'antichità, tanto che Ippocrate, il padre della medicina, scriveva nel V secolo a.C., che "colui che è colto da timore, terrore e follia durante la notte, è visitato dalla dea della Luna". A parte tuttavia credenze popolari più o meno fantasiose, come quella della licantropia, esistono dati di fatto che lasciano piuttosto perplessi, come la corrispondenza fra la periodicità delle fasi lunari e quella del ciclo mestruale. Anzi, a questo riguardo, è stato rilevato che una percentuale piuttosto elevata di donne ha un ciclo mestruale che coincide con la luna piena o la luna nuova.
Queste strabilianti coincidenze inducono a pensare che la fecondità e la vita in genere dipendano in qualche modo dall'influsso lunare. Sotto questo aspetto, occorrerà forse rivedere pertanto il nostro severo e ironico giudizio in merito ad alcune ancestrali credenze popolari, abbastanza radicate nella cultura contadina, come quelle che considerano il plenilunio e le fasi di luna decrescente le più favorevoli per la semina, gli innesti, la potatura, e persino per.. l'imbottigliamento del vino.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000