§ L'inedito

Chiamarti Francesca




Enzo Panareo



Cara, questa, che potrebbe sembrare l'inizio di una storia, non è che la fine di una storia, della quale tu ed io, malgrado le rispettive età - siamo quasi coetanei e già avanti negli anni - che dovevano indurci a maggiore ragionevolezza, siamo stati assorti, e talvolta spregiudicati, protagonisti.
Una storia, mentre si vive, è fatta di piccoli, insignificanti episodi, belli e brutti, più brutti che belli, che sfuggono all'attenzione ed all'analisi di chi li vive e li gestisce o, soltanto, li subisce. Poi, quando l'episodio, magari il più insignificante o forse il più clamoroso, finale si determina, ecco che la storia (ma è conclusa veramente?) assume gli spietati contorni che la realtà in atto non lasciava scorgere.
Ed allora ci si accorge che il flusso esistenziale si è repentinamente fermato e due destini hanno assunto la misura del tempo reale. Che non ammette ritorni! E allora che il tempo si ferma e la verità, quella della quale spesso - o sempre? - si ha paura, emerge lucida ed implacabile. E' allora che ci si guarda intorno smarriti e, perdendo ogni ritegno, si cerca, invano, un punto d'appoggio in chi invece è venuto meno. Perché qualcosa, più che qualcuno, è venuto meno: il senso di una certezza ch'era purtroppo incerta nel momento in cui sembrava dovesse sorreggere quei destini. E la stessa verità diventa incertezza perché certezza è realtà e l'amore non tollera le realtà Che, di solito, l'uccidono.
Ecco perché avevo bisogno di star con te, perché dovevo, o volevo soltanto, conoscere me stesso, perché volevo, sì volevo, rifarmi ad una certezza che - non me ne accorgevo - aveva i pallidi lineamenti dell'incertezza.
Di quell'incertezza che ha sempre dominato la mia vita e mi ha portato, mio malgrado, ad apparire quello che, in sostanza, non sono. Quello che, in fondo, son sembrato a te, agli scomposti vaneggiamenti della tua profonda solitudine fatta di molte parole, di chiasso, di risate, di gesti ingiustificati.
Anche io son solo, non credere! La mia è solitudine che si manifesta, il più delle volte, con la tetraggine e mi fa respingere da chi mi sta intorno e mi avvilisce con la sua intolleranza. Ma più son solo e più son me stesso, vittima di una somma di esperienze delle quali porto questo segno. Che amo! Amo la mia solitudine al punto che se tento di esorcizzarla, con una imprecazione o con un corrosivo sarcasmo, mi par di sembrare migliore degli altri. E più sono in compagnia più son solo e più mi sento migliore. Non so che tipo di psicologia è questa - non ho fatto mai studi in questo senso -, certo è però che a me sta benissimo. E, se vuoi che ti dica la verità, non cerco di cambiare a costo d'andare con la mia solitudine fino alla fine.
La tua solitudine m'apparve allora, quando le tue braccia si aprirono.
Sembrava che in quell'abbraccio dovesse essere chiuso un mondo, invece, quando le hai aperte per l'ultima volta, in quell'abbraccio non era rimasto che un frammento di vita senza scopo, anche se ancora con molto calore. Ma quel frammento cadde al suolo e nessuno di noi due, con molta consapevolezza in verità, volle, o fu capace, di raccoglierlo. Guardando a terra i nostri occhi ci dissero che tutto era veramente finito.
Ma finisce mai qualcosa? Se riuscissimo a saper questo forse potremmo tentare di comprendere quel che è accaduto tra noi. Perché andrebbe compreso: su questo non c'è dubbio. Anche se comprendere, penso, ad altro non serva che a diminuire la serena bellezza di quel che è accaduto.
Ma io non credo che qualcosa finisce mai. Io credo che ogni evento libera un flusso che trasmettendosi di creatura in creatura, di generazione in generazione, vive sempre nelle conseguenze che determina. Anche quel che è accaduto tra noi - è molto o è poco? - fa così ed il flusso che ha generato, con le sue conseguenze, fa parte della storia degli uomini, della storia dei sentimenti.
Ecco una parola che non andrebbe mai pronunciata! Il sentimento, i sentimenti: chi ne sa qualcosa? Non chi i sentimenti li crea, per vie misteriose certo, e li gestisce, magari inconsapevolmente; non chi li subisce, creandone e gestendone altri; non chi li osserva nelle loro dimensioni, ché dall'esterno meno, molto meno, si sa rispetto a chi ci sta dentro ed in corpo avverte quella spinta che non da tregua fino a quando non ha raggiunto l'obiettivo.
Mi chiedesti di chiamarti Francesca, in ricordo del nome che ti era stato assegnato prima di nascere, eventualmente fossi stata femmina, e che non ti fu dato per un subitaneo capriccio di tuo padre. Però l'altro, il nome che ti hanno dato, esprime forse meglio, guizzante com'è, il tuo carattere incostante, legato al provvisorio, privo di certezze.
La tua unica certezza, tua figlia, è fuori di te e tu, per paura, cerchi di non accorgertene. Ma Francesca mi sta bene e se l'adopererò, spero poche volte, mi servirà a delineare il carattere che avrei voluto tu avessi nel momento in cui le tue braccia si aprirono.
Quando fu? Quando, tre anni or sono, veramente non avevo bisogno di te e l'abbracciarti e baciarti fu, da parte mia, soltanto l'iniziativa del maschio che ha raccolto, molto a buon mercato, un frammento infinitesimale d'amore concessogli dal destino.
Se ripenso la mia vita come un film, mi par tutto irreale ed irrealizzato.
Le molte sconfitte, i pochissimi successi - eppure la mia ambizione giovanile ne chiedeva moltissimi - gli accadimenti d'ogni genere, tutto si colora d'un colore indefinibile. E le giustificazioni, poi, se di giustificazioni vado in cerca... Confesso di cercarne, talvolta, disperatamente, talaltra, con serena indolenza, come passeggiare e tentare di decifrare un paesaggio pieno di fatti, come a cercare il punto su cui riposare. Un volto (ma questo, preciso, netto nei suoi contorni, viene di tanto in tanto ed è di calmo rimpianto ed anche di atroce sofferenza) un nome, un fatto, una città (ma anche questa c'è, anch'essa netta, in una determinata stagione dell'anno e della mia vita), un evento. Di questi, moltissimi, che andrebbero attentamente sceverati, allo scopo di trovare quelli che più hanno significato qualcosa. Perché tutti hanno significato qualcosa, ma c'è sempre quello il cui significato è esclusivo, assoluto.
Accettando di chiamarti Francesca ho accettato la tua vita prenatale, quando altro non eri che un frutto sano d'amore, che la vita avrebbe irrimediabilmente guastato. Quando sei venuta a me, con i tuoi anni e con le tue esperienze ho sperato per un attimo di annullare, con il sentimento del quale eravamo protagonisti, quegli anni e quelle esperienze, riportandoti indietro ai mesi in cui eri Francesca. Ma c'è di mezzo l'altro nome...
Di che cosa è fatta veramente la tua solitudine? Di malinconia non sempre ben camuffata. Per questo diventi facile bersaglio di quanti non ti vogliono bene.
Leggere in te è come leggere in un libro strappato, al quale, con gesto gratuito, siano state tolte delle pagine. Il libro all'esterno è invitante, con la copertina ben rilegata, con la carta lucida, il disegno sobrio e di buon gusto, i caratteri nitidi. All'interno, invece, esso è mutilo ed allora, se si vuoi leggerlo - si fa per dire - arrivati alle pagine che mancano, c'è bisogno di uno sforzo dell'immaginazione per tentare di riempire il vuoto. Così è con te: anche tu hai dei vuoti che, tutto sommato, sono pieni di qualcosa che va scoperta.
Contraddittoria sei, in questo non c'è dubbio, con i tuoi repentini scatti d'umore, con le tue impennate, forse soltanto all'apparenza ingiustificate, con le tue ire furibonde e le tue dolcezze impareggiabili. Contraddittoria, ed amabile forse proprio perché così.
La tua psicologia è contorta, frutto, probabilmente, di esperienze irrisolte nella coscienza, e tu, magari, soffri di questa psicologia più di quanto non soffra chi ti sta accanto e ne subisce le conseguenze.
Non si contano gli episodi nel corso dei quali sono rimasto sgomento per la tua imprevedibilità. Ci siamo, talvolta, lasciati carichi di odio, decisi a farla finita ed il pomeriggio, invece, continuando a litigare, abbiamo finito per abbracciarci e baciarci. Magari, all'ultimo minuto, quando dovevamo tornare a casa.
Oh, la tua dolcezza, quando, posando la testa sul mio braccio posato sul tavolo, ti lasciavi accarezzare sui capelli e baciare sulla fronte. Ma dopo un quarto d'ora, tutto era finito e tu, balzando in piedi inviperita, ricominciavi a fare i capricci.
Quando fu che cominciammo veramente? Ma, a questo punto, andrebbe forse stabilito se abbiamo mai cominciato veramente o se tutto non è stato che, come dire?, un gioco al quale noi abbiamo prestato, magari consapevolmente per il piacere del gioco stesso, sentimenti reali, di quelli che nel tempo, in ogni tempo, hanno dato vita ad amori impossibili, disperati, realizzati per la gioia ed il pianto delle anime romantiche, portate alla facile emozione. Tutto è stato una fragile apparenza dissipata, inevitabilmente, quando la realtà ha cominciato a reclamare i suoi diritti, o una realtà che all'interno, ad un certo momento, ha cominciato a svuotarsi di contenuti? E se questi contenuti c'erano, di che natura essi erano? L'attrazione reciproca, insomma, aveva giustificazioni profonde, in te ed in me naturalmente, di quelle che contano nella vita di due individui o era il prodotto, superficiale, di una pura e semplice vicinanza dalla quale, fatalmente, doveva scaturire un rapido episodio d'amore che, ad un certo momento, è passato per mancanza di contenuti ideali? O non c'era, da parte mia, l'esigenza, da appagare al più presto, dell'amplesso facilmente, e senza rischio. realizzato?
Ma il rischio, in ogni caso, c'è sempre stato! Ognuno di noi due, al di la del rispetto delle convenienze sociali, ha tenacemente avvertito il senso di un territorio umano, la famiglia, che alle spalle preme e non si lascia intaccare. Anche questa è una convenienza sociale cui ognuno di noi due si sente legato, cui non sa rinunziare. Il rischio, in realtà, era questo anche se, esorcizzato abilmente con le ipotesi più logore, esso è sempre sembrato lontano e privo di efficacia. Talvolta ne abbiamo parlato, ma senza convinzione, così, tanto per parlarne, tanto per dare un altro tocco di fascino al nostro incontro.
Ma quando è cominciato veramente confesso di non ricordare. O, forse, non è mai cominciato. Dunque, è bene che te lo dica subito, non è ancora finito. O, se è finito, è finito in quella zona della coscienza che, per determinazione del destino e fuori dalla volontà dell'UOMO, fa la storia.
Ecco una parola cui tengo molto perché mi aiuta nello sviluppo dei miei studi, nell'elaborazione delle mie ricerche. Ed anche nella comprensione delle piccole e grandi vicende quotidiane. La storia è quel senso della realtà che diventa, per me, naturalmente, realismo cui m'affido allorquando debbo impostare e risolvere un problema, sia esso di studio sia esso di quotidiana contingenza. La storia è quel filo tenace lungo il quale si ripercorre la vicenda dei tempi, ed anche quella delle creature, lungo il quale è agevole esaminare e giustificare i fatti, cause ed effetti.
Anche tu hai una storia, che andrebbe ricostruita, la storia di un'anima, variamente sfaccettata che andrebbe compresa allo scopo di comprendere le tue manifestazioni presenti, i tratti della tua psicologia tanto complessa e pur tanto elementare, da dar l'impressione, in chi t'osserva, d'aver tutto capito di te.
Posso affermare che è cominciata per me quando - non lo so - è cominciata per te? Mi pare di sì: tu hai stabilito, con vivo senso del realismo, una data. - E' stato -hai detto - il giorno in cui, mentre ci baciavamo, ho sentito qualcosa -. Quando? Te l'ho chiesto, ma tu non hai voluto dirmelo. Non mi è riuscito di comprendere questo: un vezzo romantico? Forse un calcolo? Di che natura? O forse non è vero niente e tu hai bisogno, per sopravvivere alla tua solitudine e alla tua debolezza, di fantasmi che, popolando la tua anima, ti diano il senso delle storie ricche, intessute di passioni struggenti, cariche di significati riposti.
Mi domando se, scrivendo queste pagine, io non cerchi di annullare questo che mi sembra un distacco da te. Se questo affidare alla carta i miei disordinati pensieri intorno alla nostra vicenda non sia, una volta conclusa, se è conclusa, un continuarla con una riflessione che, in fondo, dovrebbe inserirla nella storia. Come se queste pagine dovessero rappresentare un'eco, abbastanza pallida d'altronde, di ciò che è accaduto tra noi. Come se affidando alla carta questi pensieri e queste riflessioni, io tentassi di annullare il tempo.
Queste cose, però, non hanno tempo; vivono esse un giorno o molti mesi o molti anni, vivono sempre, non hanno tempo perché il tempo ne diminuisce la forza e il valore. Il tempo in amore non esiste, perché un attimo di gioia, di felicità, vale un'eternità. Ma tu non l'hai compreso, non per colpa tua, ma di tante circostanze che t'hanno fatta così come sei.
Come sei, malgrado tanto mio freddo analizzare, non lo so nemmeno io. Nemmeno tu, d'altronde, anche perché, istintiva come sei, non possiedi gli strumenti intellettuali per un'analisi del genere, che dev'essere condotta a freddo, senza passionalità, con l'ausilio del raziocinio al quale tu non sei abituata. Però, nemmeno di questa mia inquietudine ho fiducia. Essa mi dice che, in questo momento almeno, nemmeno io possiedo quegli strumenti che, tuttavia, possedevo e mi son venuti meno nel momento in cui ho capito che tutto franava.
Francesca, ti chiamo col nome che mi hai chiesto d'adoperare per avere una certezza cui affidare almeno queste pagine, oh se potessi tu analizzare questa mia inquietudine. Se potessimo, in definitiva, analizzarla insieme, in maniera di trovare in noi quel che ancora, probabilmente, non è ancora perduto. Che cosa? Talvolta, mi par di pensare che attraverso le difficoltà, gli ostacoli, della tua contraddittoria personalità, attraverso gli scogli del tuo difficile temperamento, passi una strada, anche a te sconosciuta, lungo la quale cammina questo nostro sentimento d'affetto che, per chi sa quale intoppo, si è arrestato ed aspetta che qualcuno di noi due, tu o io, ma forse entrambi, d'accordo se possibile, rimoviamo l'ostacolo consentendogli di procedere speditamente. Potrà mai avvenire questo? Io non lo credo, sinceramente, e penso che tutto resterà fermo, chiuso in quell'atmosfera talvolta serena talvolta impetuosa, ed addirittura tempestosa alcune volte, nella quale è vissuto per alcuni mesi. I più calmi di eventi. Che sono stati eventi soltanto interiori! Dove è vissuto, in realtà, questo nostro sentimento? In un'area molto limitata, nella quale gli accadimenti si sono verificati ed hanno avuto, peraltro, la loro sede naturale.
Di che cosa, infatti, è stato intessuto tutto? Di parole talvolta dette a mezza voce, ma anche gridate, di frasi anche prive di senso, con le quali pensavamo, scioccamente, di scrivere un romanzo, di riflessioni senza fondamento alcune, altre, però, abbastanza sensate ed adeguate alla nostra vicenda, e poi di litigi e rapide, ed esaltanti, riappacificazioni, di baci furibondi e di qualche amplesso del quale, alla fine, non è restato che l'acerbo dei frutti appena addentati. Tutto qui! Poco, in realtà, ma molto se si considera l'atmosfera di ostilità nella quale ci siamo trovati a vivere e la limitatezza della superficie nella quale ci siamo trovati ad agire. Tenendo, altresì, conto dei personali condizionamenti, i tuoi più che i miei, che alle spalle facevano da freno.
Di che cosa siano fatte le tue lacrime non so. Quelle che scaturiscono da vero dolore, ed in questo periodo ne stai versando tante, sono sincere, fatte di dolore, ma più di disperazione; ma le altre, quelle che t'è capitato di versare per altre, banali, circostanze, di che cosa son fatte? C'è in te, spiccato, un istinto di difesa, espressione di una debolezza spirituale di fondo che facilmente ti porta a piangere, ma queste son lacrime false, perché di rabbia per qualcosa che volevi ad ogni costo ottenere e non hai, invece, ottenuto perché c'è stato chi te l'ha impedito. Allora diventi rancorosa, cattiva...
Sono salutari tra noi certe conversazioni poste sul piano del chiarimento. Conoscersi è anche amarsi..., ma anche perdersi! Che cosa prevarrà? E' vero che quando si è stati insieme, nell'intimità più assoluta, ci si conosce perfettamente, ma è anche vero che la tua imprevedibilità, la tua mutevolezza e certi aspetti abissali del tuo carattere, impediscono di conoscerti bene, fino in fondo. Ma è vero infine che con un po' di perspicacia, tutto sommato, non è difficile penetrare nel tuo animo e conoscerne gli infiniti aspetti. Quel che occorre comprendere, del tutto, è la tua debolezza e quel senso d'incertezza che continuamente ti domina e ti rende imprevedibile e mutevole.
Se ripercorro, con la memoria, qualcuno dei nostri pochissimi amplessi, ne ho un senso di serena felicità, ma anche di sgomento. Fu uno di questi ricordi ad aiutarmi a superare le penose, interminabili, ore serali e notturne dell'ospedale, quando repentinamente vi fui condotto nello scorso inverno. Ripercorrendo i pochissimi minuti del nostro primo amplesso, mi sentivo invadere da un senso di dolcezza sconfinata che annullava il grigiore della corsia, i lamenti degli ammalati, le mie stesse sofferenze, tutto... Pochissimi minuti, peraltro non goduti del tutto per il timore che qualcuno venisse a scoprirci, bastavano a riempire ore ed ore di tristezza, di solitudine, di dolore. Alla mia età!
Eppure lo sgomento è inevitabile quando il ricordo di quegli amplessi sopraggiunge e mi invade. Quando dici di aver "sentito" ti credo e subito dopo mi comando se puoi, così, senz'altro, buttarti tutto dietro le spalle, tranquillamente, come se nulla fosse accaduto. E' in quel "sentire" la chiave per comprendere il fatto in se stesso e le conseguenze spirituali che in te quel fatto può aver determinato.
"Sentire" non viene da sentimento? O, meglio, sentimento non viene da sentire? Che cosa hai sentito? Non sul piano fisico soltanto, che sarebbe ben poco... Ti sei mai domandata che cosa è veramente il sentimento? Un certo sentimento che ci spinge verso un'altra creatura nella cui pienezza entriamo per sentirci, a nostra volta, pieni. Di che cosa? Di un ineffabile che è come uno stato di grazia che gli accidenti della vita non possono distruggere, anche se possono attenuarlo ed, alla fine, dissiparlo senza però che non resti una traccia, esile quanto si voglia, ma suscettibile di rinnovarsi ogni volta che una spinta interiore, una qualsiasi occasione, esterna o intima, produce un moto dell'anima.
Vedi? Parlo di anima e so di contraddirmi, essendo io un materialista che si sforza di non andare oltre il proprio corpo. Ma mi contraddico volentieri perché, essendo anche io un debole, malgrado il mio temperamento all'esterno, ho bisogno, più di quanto tu non creda, di qualcosa che mi aiuti ad essere quello che, forse, avrei voluto essere e non sono riuscito ad essere. Che cosa? Adesso ne ho perduto la cognizione, in realtà, che da ragazzo avevo e che è stata demolita dalla vita. Che cosa mi è rimasto? Un vago rimpianto che mi porto appresso come testimonianza di una stagione felice della mia vita, quando una donna mi scrisse "Venezia è bella, ma sarebbe più bella se ci fossi tu". Per questo Venezia, quando l'ho conosciuta, due volte, mi è rimasta nel cuore, come se nella laguna ci fosse, da me ritrovato, un pizzico di me come nostalgia d'una donna cui avevo affidato i miei splendidi vent'anni. Perché, malgrado la guerra appena trascorsa ed immanente con le sue tragiche conseguenze, i miei vent'anni furono, in aspirazioni ed idealità, tutte miseramente franate purtroppo, veramente splendidi. Ed io li amo più che non ami questa mia età, ormai matura, fatta di esaltanti esperienze intellettuali, delle quali sono, credimi, felice.
Saranno, queste esperienze, poche, limitate nella qualità, ma a me bastano per riempire una vita intessuta di sollecitazioni interiori abbastanza esaltanti.
Chiamarti Francesca, almeno su queste pagine, è un po', per me, esorcizzare certi aspetti del tuo carattere che, all'esterno, ti rendono sgradevole e, come si dice, antipatica. Dici che si deve amare comunque? Hai ragione, ma la verità è anche amore, anche se, spesse volte, duole.
Solo una creatura sola può comprendere un'altra creatura sola: comprendere come riconoscere! E tu più stai tra la gente più sei sola!
C'è in te un fondo di egoismo che ti fa diventare, talvolta, quando inappagata resti delusa, dura e, permettimelo, fisicamente brutta. Con un viso nero qua e là chiazzato di rosso. Quando, così conciata, ti allontani altera, da me o da chiunque altro, sei più fragile d'una barca nel mezzo di una burrasca. Ed allora sei destinata al naufragio.
Dopo il naufragio risorgi: timida, umile, con la voce dimessa, con il volto disteso e chiedi, quel che è più importante, quell'amicizia che pochi minuti prima hai sdegnosamente rifiutata. C'è da dire, come comunemente si dice: - Chi ti capisce è bravo -. Nessuno, però, ha mai capito di te che per capirti, senza il bisticcio, bisogna andare al fondo di te, cioè agli anni in cui sei stata ragazza ed alle esperienze da te compiute, in ogni senso. Qualcosa si coglie dal tuo vagolare disordinato nei ricordi lontani, quando farraginosamente racconti e bisogna cogliere, con un po' d'attenzione, l'essenziale, quel che può servire all'analisi di te. Il tuo soggiorno a Lucca, per esempio, o per passare ad altro piano, la tua religiosità che a me pare molto contraddittoria, incoerente addirittura. Bada che di questo non ti faccio una colpa! Sai quali sono le mie idee intorno alla religiosità... Ne abbiamo parlato spesso e, malgrado le tue pie intenzioni, me le conservo... religiosamente!
Certe volte mi viene l'idea di scriverti, su queste pagine, qualcuna di quelle frasi che tanti e tanti anni fa gli innamorati romantici scrivevano alle loro donne, ma poi rinunzio, sorridendo: - Questa - mi dico - è una cosa seria e va trattata seriamente!
Ma l'amore è una cosa seria, fatta, talvolta, con il senso del gioco!
Ma non t'accorgi che in queste pagine, quando scrivo di me, è perché scrivo di te?
Sei pittoresca nella tua, talvolta ingenua, furbizia. Di che cosa questa è fatta non è facile saperlo. Di elementi buoni e cattivi nello stesso tempo: l'importante è sapere se gli elementi cattivi prevalgono sui buoni.
Ti basta diventare un po' più serena per essere amabile; ma bisogna stare in guardia con te perché, quando meno uno se l'aspetta, tiri fuori le unghie e graffi. E non sempre con ragione! Non ci sono fatti, in queste note, non dialoghi, non monologhi, ma solo osservazioni sulla tua personalità. Se dovessi riportare qualcuno dei tanti tempestosi dialoghi corsi tra noi, ci sarebbe veramente da ridere!
Oh!, il vezzo prodotto dal tuo sibilare sommesso quando la lingua ti batte sull'incisivo superiore. E' molto sexy.
Hai della gelosia un concetto molto personalistico. Già, come teoria non mi convince sul piano generale. Applicata da te, poi, diventa un sentimento grottesco al quale, almeno così mi pare, sei disposta a sacrificare la tranquillità di chi ti sta vicino ed anche la tua stessa tranquillità.
E non t'accorgi che la gelosia è un'altra manifestazione della tua solitudine e della tua debolezza. Anche perché tu adoperi la gelosia come arma di difesa, non accorgendoti di offendere. Chi? Te stessa. Quando ti mostri gelosa diventi veramente brutta.
Quando ci diciamo che tutto è finito lo facciamo senza apparente rimpianto. Sai perché? Perché, se qualcosa è finita qualche altra cosa deve cominciare. Che cosa? Nessuno di noi due lo sa, però entrambi lo speriamo ardentemente. Ci sono in noi meccanismi del pensiero che, una volta messi in moto, difficilmente si arrestano. Producono sempre, anche, magari, a nostra insaputa, e rivelano il prodotto allorquando la nostra sensibilità all'esterno è pronta a riceverlo ed a farlo proprio.
Pensi proprio che io non mi sia ricordato di te quando, qualche giorno, non ti ho telefonato? Pensi proprio che io non abbia avuto voglia di ascoltare la tua voce, il tuo parlare fitto fitto, i tuoi lamenti, gli scatti di gioia o quanto fa di te una creatura complessa, contraddittoria e tuttavia amabile per quel fondo d'imprevedibilità che sempre rivela. Nelle occasioni più impensate? Ed allora, perché non ti ho telefonato, soffrendone?
Per uno scatto di orgoglio - Io confesso, facendo l'autocritica - che sempre mi domina e mi mette in condizione di farmi detestare da tutti. Ecco dove sta il punto portante della mia solitudine. Che io sia orgoglioso è vero, tanto che, degradando, divento anche vanitoso e nel far ciò mi rivelo debole, magari anche privo di consistenza interiore.
Ti ho detto che nel momento in cui ti darà da leggere questi appunti, smetterà di scrivere. Ecco un altro tratto del mio orgoglio. In realtà, son fatto così, e peggio per chi, non riuscendo a capirmi, non è riuscito nemmeno ad entrare in me, in quella regione segreta di me nella quale custodisco, intatta, la mia capacità di far della vita un momento d'amore. Ognuno ama a modo proprio. In tutto ciò l'amplesso non ha significato alcuno. L'amplesso è un coronamento, indispensabile, richiesto dalle facoltà dell'uomo d'amare in maniera totale: ma prima d'arrivarci bisogna che due creature saggino, completamente, tutte le loro potenzialità affettive, e bisogna che, saggiandole, siano sicure della loro perfetta tenuta. Altrimenti è bene che non ne facciano nulla. Talvolta, pensando a te, mi sento come un orologio cui sia saltata la molla. Vuoi che a ripararla sia un debole filo del telefono? C'è bisogno di ben altro, di quella pienezza sentimentale che non a molti è dato conseguire.
E tu? Che cosa è saltato a te? Spesso son saltati i nervi! Adesso, però, è saltata una certezza che credevi di non avere e che hai trovato repentinamente nel momento in cui hai dovuto conoscere la corsia di un ospedale. Se non ti telefono, se mi dimostro freddo e distante, se non sono espansivo come prima è per lasciare a te, tutta intera, la possibilità di riflettere e recuperare quella certezza. Credi che non mi costi, talvolta, o quasi sempre, essere così? Credi che non sia tentato, sempre, di correre al telefono e chiamarti? Non lo faccio per orgoglio, l'ho detto, ma soprattutto non lo faccio perché tu, sentendomi lontano, rifletta e faccia di tutto per recuperare te stessa. Non so nulla della tua vita passata, almeno so soltanto quel che mi hai raccontato, ma se sapessi qualcosa in più, forse questo mi aiuterebbe molto. In che senso? Cerca di capirlo!!!
Solo quando sarai lontana da me, mi sarai più vicina che mai. E quel che è stato mi parrà molto più luminoso, perché di te ho cercato ben altro e, qualche volta appena, ma basta, l'ho anche trovato. E quello è mio, più che tu non pensi.
Quando con tono dispettoso dici no è perché vorresti dir di sì e non lo fai, anche tu, per orgoglio. Ma che razza di storia siamo riusciti, tu ed io, a mettere insieme!
Dormire è come incamminarsi su una strada nera, come d'asfalto appena disteso. Non si sa mai quando finisce: può essere breve o lunga. Di tanto in tanto incontri un mostro che tenta di aggredirti e di divorarti. Oh, quel sesso femminile nero, profondo come un baratro, mostruoso nella sua orribile vitalità, una piovra nei cui tentacoli mi sono dibattuto fino a quando, sveglio, mi sono trovato in un bagno di sudore, tremante e gemente al punto d'aver paura d'addormentarmi di nuovo. Poi ho dormito, tranquillo, fino all'alba, ma quando mi son destato mi sentivo come se in tanti mi avessero percosso sadicamente infierendo sul mio povero corpo. Si sta peggio ad essere malati nell'anima che nel corpo. Eppure, temiamo più il dolore fisico che quello morale.
Mi capita sempre più spesso di pensare che val più la pena di scriversela una bella storia d'amore, che viverla. Sarà un'illusione, una fantasticheria, ma almeno ha il pregio, anche quando riflette momenti brutti, drammatici, penosi, umilianti, d'essere tutta tua. E, sebbene manchi la partner, è piena di vita perché in questa storia, immaginata e scritta, concorrono le esperienze che hai fatto con tutte, poche o molte che siano state, le donne della tua vita, le quali tutte ti hanno lasciato, nel bene e nel male, qualcosa. Ne viene, così, una sintesi precisa di tutto quel che le donne ti hanno dato, di tutto quel che alle donne, in sentimento, in amore, hai dato. In questo senso, una storia d'amore scritta è più autentica d'una storia d'amore vissuta, che è sempre parziale, limitata ad una sola donna.
Sei più dispettosa di una scimmia. Non ti mancano che le noci di cocco da tirare sulla testa dei passanti!
Quando parli troppo (succede molto spesso), concitatamente, con i tuoi concetti da vittima, è per difenderti da te stessa. Quando vedi intorno a te tutta la società nemica è perché diventi nemica di te stessa.
Malgrado tutto, non sei ancora riuscita a comprendere la spaventosa ampiezza dell'umana perfidia. Per questo, quando fai la furba, talvolta, sei più stupida che mai. E più indifesa. Ed allora l'offensiva ai tuoi danni è più micidiale. E colpisce sempre. Come, in questo caso, ha colpito. E non ti sei resa conto che devi stare continuamente sulla difensiva...

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